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Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team

La leadership psicodinamica

Lo psicodinamismo della leadership consiste nello sapersi spostare adeguatamente al­l’interno delle comunicazioni amministrative o emozionali, scegliendo attivamente dove collocare una conversazione, impostando linee di azione volontarie, assertive (non subìte).

psicodinamica della leadership

Tra le possibilità di una leadership psicodinamica:

•     capire qual è il momento per attuare un bilancio del rapporto con un proprio collaboratore;

•     capire quando non è il momento di analizzare il vissuto emotivo ma occorre rimanere in una comunicazione amministrativa e centrata sui dati;

•     capire quando un certo argomento amministrativo rischia di trascinare con sé un enorme carico emozionale latente: illusione di poter trattare argomenti che coinvolgono il potere e i ruoli come se si trattasse di semplici comunicazioni amministrative prive di carichi emozionali.

Per una leadership di qualità, occorre estrema chiarezza nella definizione degli obiettivi, e altrettanta attenzione nel comprendere quando il corso del­l’azione verso l’obiettivo prende una “piega sbagliata”, quando avvengono deviazioni dal tracciato, per cui invece di attivare sistemi comunicativi dinamici, utili e positivi, si innescano circoli viziosi.

La leadership emozionale non è tale solo quando il dialogo smette di essere prettamente amministrativo in senso “tecnico”. Ma, anzi, diviene tale quando il livello del rapporto tocca i livelli più profondi dei valori e dei vissuti delle persone, associati agli obiettivi di lavoro.

Leader in azione: la capacità del leader di dirigere le conversazioni (argomenti e modalità)

Il leader riconosce il tipo di comunicazione in corso al­l’interno di un gruppo attraverso un’attenta lettura dei segnali, e interviene per mantenerla nel tracciato e nel formato che egli giudica proficuo.

Con un adeguato addestramento alla sensibilità, è possibile cogliere in poche battute quali siano gli “stati conversazionali” che predominano una comunicazione. Per “stati conversazionali” intendiamo qui una sequenza di mosse comunicative riconducibile a dei prototipi, per esempio:

•     la confessione;

•     la seduzione;

•     le stilettate reciproche (conflitto strisciante);

•     la “conversazione da spogliatoio”;

•     l’autocelebrazione;

•     la ricerca di aiuto;

•     l’autovittimizzazione;

•     l’offerta di aiuto;

•     l’accusa;

•     l’analisi scientifica di un problema;

•     “proviamo a capire”;

•     lo “sparlare degli assenti”;

•     lo sfogo;

•     il “parlar di guai”;

•     il “sogno a occhi aperti”;

•     il litigio;

•     l’interrogatorio;

•     il gioco;

•     lo scherzo.

Le conversazioni si spostano continuamente da uno stato al­l’altro, e possiamo avere conversazioni che partono in termini di “confessione” per poi spostarsi in seduzione e scivolare in autocelebrazione, poi ancora in accusa.

Figura 11 – Evoluzione degli stati conversazionali durante una conversazione o riunione

evoluzione degli stati conversazionali

Teorie dei giochi e leadership conversazionale

Il ruolo del leader richiede una forte attenzione ai giochi comunicativi in corso, con la consapevolezza che nelle organizzazioni i messaggi non sono prodotti per fini poetici ma soprattutto per gestire il potere.

Come evidenzia Tonfoni, la conversazione assomiglia molto a una partita a scacchi, dove a ogni mossa corrisponde una contromossa e conseguenze riparabili o irreparabili:

Considerare invece il modello comunicativo al­l’interno della Teoria dei Giochi richiede l’esplicitazione previa del modello medesimo, come pure degli obiettivi. Gli attori, al­l’interno della teoria, in quanto “giocatori” appunto progettano e realizzano sequenze di azioni dirette al conseguimento di un fine prestabilito.

Tale fine è costituito dal­l’utile, essendo la teoria orientata al comportamento di natura prevalentemente economica.

Gli “attori” sono anche “comunicanti verbali”; in quanto tali, le loro azioni devono essere rivolte essenzialmente a una previsione il più possibile esatta di sequenze di azioni e a una determinazione esplicita delle cosiddette “regole del gioco”.

Gli attori operano attraverso la realizzazione di strategie opportune, volte al conseguimento del fine o al­l’opposizione nei confronti di controstrategie attivate dagli interlocutori, ovvero dagli altri individui che prendono parte al gioco comunicativo (Tonfoni 1991, p. 104).

Le teorie dei giochi applicate alla comunicazione direzionale riguardano non tanto la gestione di budget e finanze (aspetto economico monetario), ma la gestione dei giochi di potere interni ai team, e tra i diversi team aziendali, e l’analisi di come questi si dispiegano e concretizzano nelle comunicazioni con le persone.

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Attivare i meccanismi motivazionali

Le comunicazioni che osserviamo tra due persone o in un gruppo sono solo la punta del­l’iceberg di processi relazionali più forti che agiscono tra le persone, i Sistemi Motivazionali Interpersonali (SIM) (Bercelli 2004). Alcuni dei SIM più riconosciuti sono: attaccamento, seduzione, agonismo e cooperazione. Un leader deve essere molto attento a quale SIM si attiva nei suoi collaboratori e nella squadra. Il conflitto e i malfunzionamenti dei gruppi partono dal sistema di comunicazione osservabile nella dinamica del gruppo.

sistemi motivazionali interpersonali

Il principio di cooperazione agisce come collante principale del gruppo, ma anche altri sistemi possono attivarsi per aumentarne il dinamismo. Tra questi:

•     l’agonismo (interno tra i membri del team o tra il team e altri soggetti esterni). L’agonismo può essere positivo quando scatena la ricerca della propria performance, ma deleterio se determina meccanismi di distruzione che vanno a discapito del­l’intero gruppo;

•     la seduzione, un SIM in genere relegato alla vita privata, può agire in background nei meccanismi di sviluppo del carisma del leader;

•     l’attaccamento può essere utile in alcune fasi iniziali del coaching e mentoring che il leader sviluppa per affiancare i nuovi arrivati nel team.

Un principio di base di qualità della leadership è definibile come segue.

Principio 5 – Repertorio del leader come attivatore di Sistemi Motivazionali Interpersonali

La qualità della vita nei gruppi di lavoro e la performance dei gruppi stessi è correlata a:

•     capacità del leader nell’attivare meccanismi cooperativi nei membri del team, ove la cooperazione sia fattore indispensabile per il raggiungimento del goal;

•     ampiezza del repertorio motivazionale e capacità di attingere a sistemi motivazionali diversi (attaccamento, seduzione, competizione).

Comunicazioni amministrative e comunicazioni emozionali nei gruppi

Il leader che si concentra solo sul gruppo e non sui suoi risultati commette un errore.

Un team comprende sia il fattore umano che il risultato atteso. Intrinseci al ruolo di leader vi sono una grande mole di comunicazioni di routine e di scambi di dati prettamente informativi e organizzativi. Dov’è quindi il confine tra capacità manageriali di organizzazione e altre (più emozionali) quali l’ascolto in profondità?

Riportiamo ora una dicotomia tra sistemi comunicazionali di grande rilevanza al fine di sviluppare le competenze comunicazionali nella lead­ership:

•     comunicazioni amministrative;

•     comunicazioni emozionali/esperienziali.

Nelle comunicazioni di natura “amministrativa” lo scambio è simile a quello necessario a un capitano di nave per attraccare: scambi di parole ridotti al minimo, comunicazione essenziale, segnalazione di eventi solo se realmente indispensabili al­l’azione. Ogni parola in più, ogni battuta non necessaria, ruba tempo e risorse mentali. Diviene inutile e controproducente per il risultato (attraccare, per una nave), o peggio portatrice di distrazione e possibili incidenti o disastri (non cogliere una segnalazione di pista occupata per un aereo).

Nelle comunicazioni di natura “emozionale” ed “esperienziale” i soggetti sono invece impegnati a trasferirsi stati d’animo e vissuti. Lo scambio è simile al dialogo profondo tra amici su quale sia lo stato di soddisfazione verso il momento che si sta vivendo, a come si viva il proprio matrimonio o rapporto, o ancora al­l’ascolto profondo che un genitore dedica al proprio figlio, o un terapeuta verso il cliente, o il tentativo di scambiarsi le sensazioni prodotte da un paesaggio mozzafiato.

La confusione presente nel campo della leadership e più in generale nel campo della direzione delle risorse umane è proprio sul tipo di comunicazione da attivare (dare ordini o ascoltare, parlare al cervello o parlare al cuore). Nella leadership sono entrambe necessarie.

Il capitano della nave deve avere grandi doti di comunicazione amministrativa nel momento del­l’attracco, o nella gestione del­l’emergenza in un mare forza sette, ma deve anche sapere parlare al cuore del­l’equipaggio nei momenti in cui questo è importante: motivazione, gratificazioni, analisi di problemi personali e stati di crisi, risoluzione di conflitti interpersonali.

Ogni gruppo e ogni coppia evolvono, nel tempo, verso stati conversazionali diversi dai quali sono partiti. Una coppia (marito e moglie) può avviare il proprio rapporto, durante il fidanzamento, con una forte componente emozionale (in che cosa credo io, in che cosa credi tu, che senso ha per te la vita, che cosa vorresti costruire assieme, che cosa sogniamo di fare assieme), per poi discendere sempre più, a mano a mano che procedono gli anni, verso dialoghi di tipo prettamente amministrativo: “Hai pagato la bolletta? Esco alle 18, riesci a passare tu al­l’asilo? La cucina nuova ti piacerebbe più bianca e nera o gialla con i pallini verdi? Hai visto come era sciupata Carola ieri sera? Volevo mettere su dei cerchi in lega nuovi, da 17 o 18 pollici, che cosa ne pensi? Chi taglia il prato questa volta? Sei passata a prendere il vestito grigio? Oggi sono stata dal parrucchiere e c’era un sacco di gente”.

Ognuno di questi atti comunicativi ha una componente di dati e una di emozioni, oppure può essere spento su entrambi i fronti.

Il fatto che si parli di gusti o preferenze personali non è sufficiente per far divenire un rapporto di tipo emozionale.

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Gestione della conversazione e rapporti di potere nei team

Gli atti linguistici s’inseriscono sempre al­l’interno di linee d’azione comunicativa. Collaborare, tenere toni bassi, oppure scontrarsi, litigare, sono linee d’azione comunicativa basate su sommatorie di atti linguistici (verbalizzazioni), e atti comunicativi non verbali e paralinguistici (toni, gesti, sguardi, body language).

Linee d'azione comunicativa

Come la lingua “segmenta il mondo”, la conversazione “segmenta il gruppo” facendo emergere i rapporti di forza e di leadership.

Vediamo prima il punto più generale. Che cosa significa che una lingua “segmenta il mondo”? In sostanza, le categorie linguistiche guidano la percezione, focalizzando la mente umana su strati di realtà specifici e togliendo l’attenzione da altri. Gli esquimesi hanno oltre dieci parole specifiche per altrettanti tipi di neve e questo guida la percezione attraverso categorie preimpostate. Ove questa distinzione linguistica non esiste, la neve diviene un oggetto mentale unico, lasciando alla composizione di frasi una descrizione di diversi tipi di neve. La precisione linguistica quindi dipende anche dalla disponibilità di categorie e vocabolari specifici.

Se il linguaggio contribuisce a costruire la percezione del mondo, la conversazione contribuisce a creare i rapporti di potere e di leadership al­l’interno dei gruppi. È sufficiente che un richiamo venga disatteso per far cadere la leadership, per esempio: il soggetto A dichiara “preferisco che non proseguiamo oltre su questo argomento”, mentre B dice “sì, però…” e prosegue su quel­l’argomento. Questo mancato rispetto genera un’imme­diata percezione nel gruppo sul tipo di rapporti di forza esistenti (anche in modo subliminale) e una drastica caduta di punti nel leadership score del soggetto A a vantaggio del soggetto B.

L’atto linguistico di A “preferisco che non proseguiamo oltre su questo argomento” è una mossa conversazionale che si inserisce al­l’interno della linea d’azione comunicativa di A denominabile “gestione assertiva dei contenuti e fissazione del mio ruolo”. L’atto linguistico di B “sì, però…” è una contromossa relazionale inquadrabile nella linea d’azione comunicativa di B “non ti riconosco nel ruolo di gestore dei contenuti e proseguo per la mia strada, me ne frego di te”. Se questo meccanismo non viene ripreso e sanzionato, il soggetto A perderà immediatamente la leadership di fatto.

La stratificazione di atti linguistici, mosse conversazionali e relative ripercussioni produce la leadership reale non iscritta nei documenti aziendali o del gruppo, ma nella realtà quotidiana delle conversazioni.

Principio 4 – Gestione degli stati conversazionali

La qualità della vita nei gruppi di lavoro e la performance dei gruppi stessi è correlata:

•     alla capacità del leader nel cogliere lo stato conversazionale in corso (riconoscimento del tipo di formato della conversazione e delle mosse conversazionali in corso);

•     alla capacità del leader nel cogliere gli stati conversazionali disfunzionali (riconoscimento specifico negativo), e praticare rinforzi negativi, intervenire per ripristinare stati funzionali

•     alla capacità del leader nel cogliere gli stati conversazionali positivi (riconoscimento specifico positivo), premiarli e rinforzarli.

Il leader funge da coordinatore, animatore interno e controller dei flussi comunicativi e degli stati conversazionali, esplicitando il proprio assenso o dissenso nei momenti topici, per ogni membro del team, o per interi gruppi, esercitando un controllo assertivo su di essi.

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Riconoscere gli stati conversazionali

Una delle competenze comunicative più centrali nella direzione è l’abilità nel riconoscere e gestire gli stati conversazionali nei gruppi.

In ogni gruppo o riunione circolano dosi massicce di comunicazioni inutili o controproducenti, veicolate con stili distruttivi. Mescolate a messaggi utili ai processi e al clima. Questi due aspetti vanno osservati e distinti.

leadership conversazionale

Osservando la comunicazione come un flusso di liquido, è come se dal rubinetto del­l’acqua potabile vedessimo uscire sabbia, fango, veleni, che si mescolano al­l’acqua, o ancora se l’acqua uscisse a getti, alternata a bolle d’aria e spruzzi. Non sarà molto facile o piacevole bere da quel rubinetto.

In una riunione aziendale, per esempio, possiamo riconoscere quando qualcuno attiva dinamiche di “chiacchiera da bar” o propone un “teorema da piccolo professore” con affermazioni non supportate da alcun dato. Se il riconoscimento funziona, possiamo attivamente decidere di ricercare uno stato conversazionale più adeguato.

La leadership conversazionale consiste anche nel respingere i tentativi di alcuni membri di produrre una conversazione malata, riconoscendo quando avviene il boicottaggio della riunione, il boicottaggio di un’analisi seria del problema, o quando accade il tentativo di attacco al ruolo, e qualsiasi altra forma di azione distruttiva.

Processi specifici della leadership conversazionale

La leadership conversazionale applicata richiede che si attivino i seguenti processi.

Osservare per capire

•     Chi sta gestendo la conversazione, chi attua linee d’azione finalizzate a conquistare il potere nella conversazione.

•     Come vengono presi i turni di parola (per concessione di un leader, con tecniche di richiesta di permesso, con sovrapposizione e intrusione aggressiva sul parlato altrui).

•     Valutare se vi sono soggetti che monopolizzano la conversazione e altri che rimangono passivi nel gruppo.

•     Capire se vengono interrotti brani conversazionali inopportunamente, e da parte di chi.

•     Di che cosa si parla (argomento, argomenti multipli, contenuti centrali e laterali, sfumature di contenuto).

•     Se l’argomento è centrato, decentrato o completamente sfocato rispetto agli obiettivi della conversazione (centratura della conversazione).

•     Se viene tenuto il focus su un argomento o si cambia argomento (opportunamente o inopportunamente).

•     Se il tempo in cui un argomento è trattato è adeguato.

•     Se il luogo in cui un argomento è trattato è adeguato.

•     Se il contesto relazionale in cui un argomento è trattato è adeguato.

•     Se lo stile e l’approccio utilizzati nella conversazione sono produttivi.

Intervenire sugli elementi

•     Riappropriazione del potere conversazionale fissando le regole dal­l’inizio (imprinting della leadership conversazionale).

•     Gestione diretta dei turni di parola, concessione dei turni a terzi (turn taking e turn management).

•     Sanzione delle interruzioni, sovrapposizioni e intrusioni aggressive sul parlato altrui, sollecitazione al­l’intervento di partecipanti che non stanno intervenendo, ove necessario (rinforzi negativi);

•     Apprezzamento per stili conversazionali positivi, contributi attivi e atti conversazionali produttivi (rinforzi positivi).

•     Content management (fissazione del­l’argomento, della scaletta, dei contenuti centrali e laterali, delle sfumature di contenuto).

•     Ricentraggio conversazionale: se l’argomento è centrato, decentrato o completamente sfocato rispetto agli obiettivi della conversazione (centratura della conversazione).

•     Topic shifting: cambio di argomento quando opportuno.

•     Conversational timing e time management: decisione del tempo adeguato per trattare un certo argomento, inteso sia come durata necessaria che come momento nel giorno, settimana, mese o anno, o altri parametri temporali.

•     Intervento assertivo per bloccare conversazioni che cercano di avviarsi fuori dai tempi ideali o fuoriuscire dai tempi ideali o fissati (fuoriuscite conversazionali).

•     Setting management: valutazione del luogo e ambiente in cui un argomento viene trattato. Intervento assertivo per bloccare conversazioni che cercano di avviarsi in ambienti dai climi inadeguati (rumore, temperatura, umidità, affollamento, disturbi esterni).

•     Climate management: valutazione del contesto relazionale in cui un argomento è trattato (propensione alla collaborazione, clima disteso o ricettivo vs. indisponibilità al dialogo o clima tossico e ostile che rende la conversazione impossibile). Analisi dei rumor psicologici che intervengono sulla conversazione e interventi di eliminazione.

•     Azione assertiva sullo stile ottimale atteso dai partecipanti e rilevazione, persona per persona, sul fatto che l’approccio o stile utilizzato nella conversazione sia o meno produttivo (azione sul code switching, il cambio di codice comunicativo).

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Riconoscere le emozioni

La leadership emozionale propone di inserire tra i fattori di successo della gestione di un gruppo la capacità del leader nel “leggere le persone” sotto il profilo emozionale, capire i propri stati interiori e quelli altrui.

leadership emozionale

Questo permette di muovere il cursore della comunicazione con consapevolezza tra le polarità (entrambe necessarie) della direttività (fronte hard) e del­l’empatia e della relazione d’aiuto (fronte soft).

Quali le implicazioni pratiche nella direzione dei team? La prima e più forte considerazione viene dalla natura biologica del­l’essere umano che opera in azienda. Le emozioni sono risposte psicobiologiche del­l’organi­smo e non possono essere “spente” a comando.

A un livello “immaturo” di leadership emozionale, possiamo al massimo pensare di attutire e “camuffare” la manifestazione esterna delle emozioni, ma non impedire il loro prodursi. A un livello “intermedio” possiamo affinare le sensibilità propriocettive (la percezione interna) e agire sulle intensità emotive diventando più abili nel gestirle. A un livello “avanzato” possiamo ristrutturare completamente le nostre risposte emotive agli stimoli esterni.

Quando predominano emozioni negative, la produttività scende al di sotto di qualsiasi soglia di accettazione, la leadership stessa viene vissuta come una condizione di frustrazione e la partecipazione al gruppo diventa sempre più un obbligo (dal quale sfuggire prima possibile). Se predominano emozioni positive possiamo invece aspirare alla “condizione di flusso”, uno stato nel quale il lavoro viene vissuto come una gioia – una sensazione piacevole dello scorrere del tempo e dei rapporti con le persone, una condizione esistenziale che trasforma il lavoro: da gabbia a luogo di espressione e autorealizzazione.

Le implicazioni per la produttività sono immediate, enormi, ma questo è nulla a fronte della rivoluzione sociologica che questo passaggio può implicare: il lavoro come liberazione cessa di essere utopia ed entra nella sfera del possibile. Ovviamente, non bastano trucchi e scorciatoie per raggiungere questo stato, e chiunque creda/proponga soluzioni “da un minuto” o altre ricette facili e pronte per l’uso sta compiendo un grave falso e un errore di sottovalutazione.

Le implicazioni pratiche

Rispetto alle possibili interrelazioni tra i diversi temi, il metodo HPM evidenzia come il successo nel gestire un team dipenda largamente dalla capacità di riconoscere e valorizzare le dinamiche conversazionali che avvengono nelle interazioni quotidiane dei gruppi. Allo stesso tempo, viene evidenziata la necessità di sviluppare la componente emotiva che inevitabilmente accompagna le relazioni umane e le comunicazioni interne.

La qualità della vita al­l’interno di un gruppo è fortemente influenzata da due fattori.

•     L’ecologia della comunicazione: l’analisi e gestione del clima psicologico al­l’interno di un gruppo dipende largamente dalla comunicazione e dagli stati conversazionali che intercorrono tra i membri. Non possiamo pensare di “acquistare” climi positivi: si tratta di una merce non in vendita. È invece necessario sforzarsi nella direzione del­l’ampliamento delle competenze comunicative e conversazionali.

•     La leadership emozionale, la capacità di attingere con successo alle risorse emotive della persona e del gruppo per coordinare e dirigere i team e i progetti, richiede competenze comunicative ad hoc. Larga parte del lavoro richiede un dis-apprendimento (unlearning) di schemi mentali assimilati durante la crescita, nei quali è stato creato il “blocco espressivo emozionale” (tappo, o coperchio al­l’espressione delle emozioni) che l’adulto trascina con sé come un fardello per il resto della sua esistenza.

Date queste premesse, è necessario approfondire gli strumenti operativi e pragmatici che permettono di agire su due fronti.

Sul versante aziendale:

•     cambiare la qualità della vita e i risultati aziendali agendo sulle variabili comunicative dei gruppi;

•     produrre climi comunicativi positivi in un gruppo di lavoro intento a raggiungere un obiettivo;

•     migliorare la prontezza di risposta aziendale verso le sfide esterne, agendo sui processi di comunicazione interna e direzione.

Sul piano individuale e della crescita personale:

•     capire i fattori del proprio successo al­l’interno delle dinamiche di gruppo;

•     dotarsi di strumenti operativi nella direzione dei team;

•     crescere sotto il profilo della capacità di creare relazioni profonde, empatiche, emozionalmente ricche, nei rapporti umani, relative ai gruppi personali o familiari di cui si faccia parte.

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Gestione strategica della conversazione

Se è vero che la leadership non è un “certificato burocratico” che si possa acquistare, ma si guadagna sul campo, è altrettanto evidente che la leadership reale richiede modalità di comunicazione interpersonale specifiche. La comunicazione interpersonale deve concretizzare il carisma, la capacità di motivare e guidare, monitorare e dare feedback, in ogni singola conversazione.

leadership

La psicolinguistica studia l’acquisizione del linguaggio nel­l’uomo e l’uso che egli ne fa nelle relazioni interpersonali. Una psicolinguistica della leadership dovrà quindi analizzare come il leader acquisisce il “linguaggio da leader”, lo studio del­l’acquisizione del linguaggio, il suo uso in relazione alle variabili psicologiche ed emotive che si connettono al­l’“essere leader”.

Uno degli effetti più concreti della teoria è la sua capacità di mettere in luce la necessità di un training adeguato dei leader e dei manager (di qualsiasi essere umano intento a raggiungere obiettivi) sul­l’allargamento dei propri repertori di stile comunicativo, riconoscimento degli stati conversazionali in corso e sulla capacità di gestione strategica degli stili conversazionali.

Un secondo effetto concreto è lo spostamento del problema della leadership da una “generica strategia leadership” a una “strategia di comunicazione per la leadership”, attenta al funzionamento delle comunicazioni quotidiane, giornaliere, sino ai singoli brani e spezzoni di interazione (attenzione al livello micro della leadership).

Senza attenzione agli stati conversazionali, qualsiasi riunione, meeting, discussione o incontro di direzione, qualsiasi interazione interpersonale in azienda rischia di disperdere le proprie energie lungo rivoli improduttivi anziché canalizzarsi nella risoluzione di problemi o nella progettualità.

Lo stesso vale per ciò che accade durante un pranzo o cena al­l’interno di una famiglia. Quali modelli di conversazione prendono piede inconsapevolmente durante una cena? Quali sono positivi per il clima? Quali negativi?

La teoria degli stati conversazionali ci aiuta anche a prendere consapevolezza dei rapporti tra conversazione e contesto della comunicazione.

Nel setting della “famiglia a tavola”, la presenza di una televisione accesa facilita o inibisce lo stato conversazionale desiderato? È accesa forse proprio per evitare di avviare conversazioni più profonde? È forse solo un’abitudine?

Qualsiasi sia la risposta, il problema non è la scelta (chiunque può scegliere di tenere o meno accesa una televisione a tavola) ma la consapevolezza di che cosa la scelta produce, che cosa genera, quali sono gli effetti di un elemento di setting sul­l’esito della conversazione.

Creare conversazioni strategiche significa costruire attivamente il setting. Quanto incide la presenza altrui in un chiarimento tra persone? Quanto i rumori di fondo, il momento della giornata, e ogni altra variabile di contesto?

Ecologia della conversazione

La teoria è sviluppata nel metodo HPM come contaminazione tra (1) gli studi di microsociologia del­l’interazione (soprattutto la Frame Analysis di Goffman) e (2) l’analisi degli stili comunicativi (codici e sottocodici), con riferimento principale alla scienza semiotica. Sullo sfondo di questa teoria si collocano (3) i contributi derivanti dagli studi sul­l’analisi della conversazione, che vedono tra i protagonisti Bercelli (per il contesto italiano) e altri autori nel contesto internazionale (Antaki 1998; Bazzanella 2002; Bercelli, Leonardi e Viaro 1999; Drew ed Heritage 1992; Fasulo e Pontecorvo 1999; Galatolo e Pallotti 1999; Goffman 1987 [1981]; Mizzau 2002; Ochs e Capps 2001).

La teoria del­l’ecologia della comunicazione intende far riflettere sul­l’effetto che assumono gli stati conversazionali al­l’interno dei climi dei gruppi, producendo emozioni positive o negative, vissuti sereni o ambienti avvelenati.

L’ecologia studia il grado di salubrità degli ambienti nei quali vive l’uomo, inclusa la presenza di agenti inquinanti e altri elementi che danneggiano la salute o il benessere. Il tema del­l’ecologia della comunicazione evidenzia come tra gli agenti esterni si debbano considerare i messaggi che il soggetto riceve, minuto dopo minuto, ora dopo ora, giorno dopo giorno.

La sommatoria e stratificazione di messaggi, input comunicativi ricevuti e scambi determina per la persona un progressivo avvelenamento o (sul fronte opposto) una progressiva depurazione del­l’organismo inteso come sistema corpo-mente.

Le implicazioni pratiche per la direzione d’impresa vanno diritto al cuore del­l’azienda. Prestando attenzione al­l’ecologia della comunicazione aziendale possiamo intervenire sul­l’“aria che si respira in azienda”, sulla produttività dei gruppi, possiamo limitare la fuga dei cervelli aziendali e avvicinare le migliori menti. Sempre che le si cerchi veramente.

L’azienda come luogo nel quale si possa vivere ed esprimersi creativamente, e per il quale vale la pena di sforzarsi e impegnarsi, non è solo immagine pubblicitaria, può diventare concreta realtà.

Le implicazioni sulla famiglia sono altrettanto forti: disagio, fuga, abbandono, separazione vs. amore, unità, serenità, piacere del vivere assieme.

Senza attenzione a questi elementi i climi aziendali possono sfuggire di mano, il tempo del personale diventa sempre meno produttivo e sempre più dedicato al conflitto interno, e si attivano i meccanismi di fuga o conflitto.

Ci sembra che queste tematiche richiedano una certa attenzione.

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  • Produttività
  • Improduttività
  • psicolinguistica e comunicazione

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Stili comunicativi per una conversazione efficace

La teoria degli stati conversazionali nasce al­l’interno del percorso di ricerca del­l’autore sui temi della comunicabilità e incomunicabilità (Trevisani 1992).

La teoria evidenza che gli individui impegnati in una conversazione utilizzano prototipi e schemi comunicativi, modelli di conversazione che possono essere funzionali (efficaci) o disfunzionali (inefficaci) rispetto agli obiettivi.

stati conversazionali

Per esempio, affinché una conversazione tra terapeuta e cliente sia efficace è necessario che la modalità conversazionale del terapeuta sia di ascolto attivo, mentre il cliente si applichi in un prototipo grezzamente assimilabile al “confessionale”. Se il terapeuta diviene “giudice” e il cliente “difensore di se stesso” la conversazione avrà scarsi risultati.

Allo stesso modo, se un leader affronta un insuccesso con un proprio dipendente utilizzando il modello “proviamo a capire le cause del problema”, il risultato sarà certamente diverso (più positivo) del­l’esito di un dialogo “accusa-difesa”. Nulla proibisce di passare al modello accusa-difesa in una fase successiva del dialogo, ma ciò che conta è che questo sia frutto di una scelta consapevole e non di un errore.

E ancora, immaginiamo una coppia (marito-moglie) nelle conversazioni personali che avvenivano durante il fidanzamento. Poi confrontiamole con le conversazioni che avvengono durante il decimo anno di matrimonio, o nel ventesimo. Noteremo, in molti casi, che la conversazione (inizialmente basata su un carico emozionale forte, nei contenuti e nei toni) diviene sempre più “amministrativa”, sempre più orientata a risolvere problemi quotidiani, o al conflitto (nei casi peggiori), e sempre meno al “sognare assieme”.

Ogni rapporto evolve in base a come evolvono gli stati conversazionali tra due persone. Se la conversazione diviene sempre più amministrativa, anche il rapporto lo diverrà.

Gli stati conversazionali si applicano anche a modalità di conversazione allargata o mediata. Possiamo immaginare una comunicazione in pubblico (public speaking) sotto forma di “sequenza di minuti interminabili nei quali sono sotto esame da parte di tutti” (modello di comunicazione come prestazione) vs. “uno spazio di tempo nel quale vorrei aiutare il mio pubblico a capire un concetto” (modello di comunicazione come relazione d’aiuto).

La teoria quindi analizza gli esiti conversazionali strategici, i risultati di un’interazione, il successo o fallimento nel raggiungimento degli obiettivi, evidenziando come essi dipendano largamente dagli stili comunicativi adottati dai vari membri del gruppo, e, nel caso della leadership, soprattutto da parte della direzione (team leader).

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Temi e Keywords dell’articolo:

  • Stati conversazionali
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  • Stili comunicativi

Analisi della conversazione e arte della conversazione con il cliente

© Articolo estratto dal Videocorso “Ascolto Attivo ed Empatia” con integrazioni dal libro di Daniele Trevisani “Negoziazione interculturale. Comunicare oltre le barriere culturali. Dalle relazioni interne sino alle trattative internazionali”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

Atti linguistici e linee d’azione comunicativa

Ogni “emissione dotata di significato”, all’interno di una negoziazione, costituisce un atto linguistico[1].

Gli atti linguistici si inseriscono sempre all’interno di linee d’azione comunicativa e contribuiscono a fissare il tipo di relazione in corso (conflittuale, collaborativa, e altre). Collaborare, tenere toni bassi, oppure scontrarsi, litigare, sono linee d’azione in cui intervengono precisi atti linguistici (quali l’aggredire, o il collaborare).

Anche altri atti comunicativi assumono significato, ad esempio le emissioni che utilizzano sistemi non verbali (movimento del corpo, gesti, sguardi) e paralinguistici (toni, pause, silenzi, intonazioni).

la Formazione Conversazionale

Gli esquimesi hanno oltre 10 parole specifiche per altrettanti tipi di neve, e questo guida la percezione attraverso categorie preimpostate. Ove questa distinzione linguistica non esiste, la neve diviene un oggetto mentale unico, lasciando alla composizione di frasi una descrizione di diversi tipi di neve. 

Ma ancora, nella lingua Navajo non esiste la parola equivalente al concetto “tardi” (la percezione del tempo è sempre relativa), così come nelle lingue amazzoniche non esiste la parola “neve”; nel Cinese Mandarino, una singola parola (qing) rappresenta varie tonalità sia di blu che di verde[2].

La precisione linguistica quindi dipende anche dalla disponibilità di categorie e vocabolari specifici. 

Emerge quindi una prima opera che consiste nell’educare l’interlocutore a percepire le differenze. Se un esquimese vuole riuscire a far capire all’europeo la differenza tra i dieci tipi di neve, dovrà associare la parola (etichetta verbale) utilizzata a qualche rappresentazione riconoscibile (una fotografia, o la dimostrazione pratica). Allo stesso tempo, per poter negoziare, è necessario far capire all’altro la diversità tra la sua cultura e la nostra cultura.

Ciascuno dei negoziatori interculturali deve essere disponibile ad apprendere, disponibile a formarsi grazie all’incontro con l’altro.

La negoziazione su prodotti nuovi o su progetti mai attuati prima, richiede una fase di acculturazione, che metta la controparte in grado di orientarsi, di capire, e di scegliere consapevolmente all’interno di differenze che prima non poteva percepire.

Potere e conversazione

Come la lingua “segmenta il mondo”, la conversazione “segmenta il gruppo” facendo emergere i rapporti di forza e di leadership.

Se il linguaggio contribuisce a costruire la percezione del mondo, la conversazione contribuisce a creare i rapporti di potere e di leadership all’interno dei gruppi. È sufficiente che un richiamo venga disatteso, per generare una immediata percezione nel gruppo sul tipo di rapporti di forza esistenti e generare una drastica caduta di punti nel leadership score (grado di leadership conversazionale del soggetto).

Immaginiamo il caso di A (dirigente) e B (funzionario), in cui A enuncia “preferisco che non proseguiamo oltre su questo argomento”, mentre B replica “si però…” proseguendo esattamente sull’argomento. 

L’atto linguistico di A “preferisco che non proseguiamo oltre su questo argomento” è una mossa conversazionale che si inserisce all’interno della linea d’azione comunicativa di A denominabile “gestione assertiva dei contenuti e fissazione del mio ruolo”. 

L’atto linguistico di B “si però…” è una contromossa relazionale inquadrabile nella linea d’azione comunicativa di B “non ti riconosco nel ruolo di gestore dei contenuti e proseguo per la mia strada”. Se questo meccanismo non viene ripreso e sanzionato, A perderà immediatamente la leadership di fatto.

La stratificazione di atti linguistici, mosse conversazionali e relative ripercussioni produce la leadership reale non iscritta nei documenti aziendali o del gruppo, una leadership che si crea nella realtà quotidiana delle conversazioni.

Principio – Gestione degli stati conversazionali

La qualità della vita nei gruppi di lavoro e la performance dei gruppi stessi è correlata:

  • alla capacità del leader nel cogliere lo stato conversazionale in corso (riconoscimento generale);
  • alla capacità del leader nel cogliere gli stati conversazionali disfunzionali (riconoscimento specifico negativo), e praticare rinforzi negativi, intervenire per ripristinare stati funzionali 
  • alla capacità del leader nel cogliere gli stati conversazionali positivi (riconoscimento specifico positivo) e rinforzarli.

Il leader funge da coordinatore, animatore interno e controller dei flussi comunicativi e degli stati conversazionali, esplicitando il proprio assenso o dissenso nei momenti topici, per ogni membro del team, ed esercitando un controllo assertivo su di essi.

I Sistemi Motivazionali Interpersonali

In ciascuno dei diversi momenti comunicativi che avvengono nei gruppi si possono attivare diversi sistemi di comunicazione.

Gli scambi di messaggi che osserviamo tra persone o in un gruppo sono solo la punta dell’iceberg di processi relazionali più forti, i Sistemi Interpersonali Motivazionali (SIM)[3]Alcuni dei SIM più riconosciuti sono:

  • attaccamento;
  • seduzione;
  • agonismo;
  • cooperazione.

Il conflitto e i malfunzionamenti dei gruppi partono quindi dal sistema di comunicazione osservabile nella dinamica del gruppo.

La leadership consiste nel prendere le redini degli incontri , e riuscire a dirigerli con consapevolezza e tatto culturale. Non significa assolutamente dominio sull’altro, ma consiste in un tentativo di gestione volontaria dei flussi comunicativi, visti dall’alto di una maggiore consapevolezza.

È possibile ad esempio riconoscere quale dei Sistemi Motivazionali si stia generando nella negoziazione, e cercare di modificarlo.

Il principio di cooperazione agisce come collante principale del gruppo, ma anche altri sistemi possono attivarsi per aumentarne il dinamismo.

L’analisi della conversazione e i climi comunicativi negoziali

Possiamo riconoscere il tipo di comunicazione in corso all’interno di un gruppo, attraverso un’attenta lettura dei segnali.

Con un adeguato addestramento ed elevata sensibilità naturale, è possibile cogliere in poche battute quali siano gli “stati conversazionali” che predominano una comunicazione.

Per “stati conversazionali” intendiamo qui una sequenza di mosse comunicative riconducibile a dei prototipi,

Alcune mosse conversazionali (frutto di nostra ricerca interna) sono:

  1. affermare,
  2. anticipare,
  3. attaccare,
  4. cedere il turno (Turn Giving),
  5. conquistare o prendere il turno (Turn Taking),
  6. chiedere una precisazione, fare domande di puntualizzazione,
  7. cambiare stile/codice comunicativo (Code Switching)
  8. chiedere per ampliare, fare domande di apertura,
  9. decentrare l’argomento della conversazione,
  10. difendere altri,
  11. difendersi,
  12. negare,
  13. non riconoscere l’altro o una sua emissione/messaggio (disconferma relazionale),
  14. precisare,
  15. ricentrare la conversazione su un argomento (ricentraggio),
  16. evitare un argomento e scivolarne via (Topic-Avoidance),
  17. riconoscere l’affermazione dell’altro (conferma relazionale),
  18. disconoscere l’affermazione dell’altro (disconferma relazionale),
  19. riparare (un errore, un fraintendimento, una mossa precedente),
  20. ritrattare,
  21. rivedere quanto detto (aggiustare il tiro),
  22. scusarsi (mosse di riparazione, Repair)
  23. sollevare dubbi,
  24. esemplificare, offrire un esempio,
  25. metafora (come se…),
  26. offrire aiuto,
  27. chiedere aiuto,
  28. fissare un argomento di conversazione (Topic-Setting),
  29. spostare l’argomento della conversazione (Topic-Shifting),
  30. ricapitolazione breve (Recap),
  31. riformulazione (riformulare quanto capito o parafrasarlo),
  32. tirare le somme,
  33. chiudere (concludere la conversazione).

Le mosse conversazionali non sono mai statiche ma evolvono con un tracciato che possiamo anche rendere visivo, come in questo esempio. Le evoluzioni possibili sono numerosissime.analisi della conversazione tracciato conversazionaleDa queste riflessioni e ricerche nasce un principio di analisi della conversazione estremamente concreto per affrontare con coscienza le conversazioni di vendita.

Principio 6 – Gestione strategica della conversazione con il cliente

La comunicazione di vendita efficace richiede:

  • L’utilizzo di “mosse conversazionali” consapevoli e positive. Ad esempio una domanda potente come “che caratteristiche ha il suo fornitore ideale di XYZ?”
  • Chiarezza e consapevolezza dell’obiettivo strategico del dialogo.
  • Chiarificazione e ricapitolazione (recap) degli specifici bisogni del cliente.
  • Riformulazione dei passaggi salienti di quanto ascoltato per essere certi di avere compre bene e dare allo stesso tempo un segnale di interesse al cliente.
  • Trascorrere almeno il 75% del tempo ad ascoltare e parlare non più del 25% del tempo totale di conversazione.
  • Concentrazione dei temi conversazionali sugli ideali e sugli obiettivi e problemi del cliente.
  • Utilizzo di mosse che tendono all’apertura del dialogo con il cliente. Non farsi cogliere dalla “frenesia alimentare” del cercare di chiudere la vendita troppo presto.
  • Utilizzo di mosse appropriate di deferenza, rispetto, contegno e cortesia, anche considerando le specificità della cultura di provenienza del cliente.

 

La vendita diventa inefficace quando:

  • Non si ha consapevolezza del fatto che ogni affermazione o azione che si fa ha valore di una “mossa conversazionale”.
  • Manca chiarezza e consapevolezza dell’obiettivo strategico del dialogo.
  • Non si utilizzano tecniche di chiarificazione e ricapitolazione (recap) degli specifici bisogni del cliente.
  • Non viene mai attuata la riformulazione dei passaggi salienti di quanto ascoltato per essere certi di avere compre bene e dare allo stesso tempo un segnale di interesse al cliente.
  • La conversazione viene centrata più sul “parlare” che sull’ascoltare.
  • La conversazione diverge, non si concentra su una sana analisi degli ideali, obiettivi e problemi del cliente.
  • Utilizzo di mosse che tendono alla chiusura al dialogo con il cliente.
  • Utilizzo di mosse inappropriate, mancanza di deferenza, rispetto, contegno e cortesia, o violazione grave delle specificità della cultura di provenienza del cliente.

 

Le conversazioni si spostano continuamente da uno stato all’altro, e possiamo avere conversazioni che partono in termini di “confessione” per poi spostarsi in seduzione, e scivolare in autocelebrazione, poi ancora in accusa.

Durante una negoziazione interculturale, il negoziatore deve essere consapevole del fatto che certi formati conversazionali – quali il gioco e lo scherzo – sono difficilmente traducibili tra culture diverse, per cui è facilissimo fare gaffes, essere umoristici o “simpatici” forzatamente.

Ogni conversazione (negoziale e non) procede comunque lungo un format finché un altro e diverso format non prende piede. 

Il ruolo della leadership conversazionale è esattamente quello di spostare i format e dirigerli ove sia più produttivo[4].

Ciò che risulta produttivo, per la negoziazione interculturale, è quindi la capacità di capire come la conversazione sta evolvendo lungo il tracciato, e l’abilità di spostare le linee entro spazi comunicativi più produttivi.

Economia cognitiva della comunicazione nei gruppi e prioritization skills

L’economia cognitiva si occupa dell’utilizzo efficiente delle risorse mentali.

Una riunione interculturale pone problemi elevati di utilizzo delle risorse, poiché esse vanno divise e “assorbite” sia dal dibattito sui contenuti, che dalla difficoltà comunicativa generata dalla differenza linguistica e culturale.

I problemi di economia cognitiva diventano quindi ancora più pressanti rispetto alle riunioni intra-culturali.

Possiamo quindi indicare che l’utilizzo del tempo e delle risorse diventa una meta-competenza del negoziatore interculturale. Tra le sue doti si collocano quindi le prioritization skills, le capacità di fissare le priorità, di saper rispondere alla domanda fondamentale: di cosa è bene parlare? Come gestire il tempo scarso e limitato?

Ogni riunione ha un costo elevato. Proviamo semplicemente a calcolare il costo orario di molti dirigenti che impiegano una mattinata, arrivando in aereo da paesi diversi, il costo delle sale e dei materiali, il costo di preparazione.

Ogni gruppo che si riunisce per raggiungere uno scopo può o meno darsi una strategia per ottimizzare le risorse messe in campo durante l’incontro.

Le prioritization skills interculturali prevedono che il negoziatore si impegni attivamente per definire quali priorità trattare, agendo quindi anche sul formato della negoziazione, così come per impostare i termini di base da trattare. Definire quali priorità trattare significa anche fare scelte molto concrete: di cosa parlare prima, di cosa parlare dopo. Come parlarne, con quale approccio, con quale atteggiamento.

Altre priorità riguardano la fissazione di un clima conversazionale positivo: senza il clima adeguato ogni discussione sui contenuti diviene più difficile. Per questo, ad esempio, è necessario capire che esiste una precisa relazione tra climi e stili comunicativi. Alcuni stili comunicativi sono deleteri al raggiungimento di un risultato, risultano diseconomici, disfunzionali, e vanno colti (negli altri), ed evitati (per se stessi).

Il tema dell’economia della comunicazione richiede quindi:

  1. capacità di riconoscere le risorse attentive (limitate) disponibili per la negoziazione (consapevolezza delle risorse);
  2. capacità di capire i confini di tempo disponibili (consapevolezza dei tempi);
  3. capacità di muoversi entro tali confini decidendo i contenuti più appropriati e riconoscendo quelli dispersivi (consapevolezza dei contenuti strategici);
  4. capacità di gestire le fasi e tempi degli incontri (consapevolezza delle sequenze di interazione)
  5. capacità di agire sugli stili comunicativi adeguati alle diverse fasi, e sugli atteggiamenti sottostanti gli stili di relazione (consapevolezza contestuale degli stili comunicativi).

I temi principali di economia della comunicazione negoziale sono evidenziati nel seguente principio.

Principio – Economia della comunicazione e centratura della negoziazione

La qualità della negoziazione dipende:

  • dalla capacità di centrare i contenuti della conversazione;
  • dalla capacità di gestire le proprie risorse attentive (ricarica attentiva e gestione delle energie personali) e cogliere gli stati altrui;
  • dalla consapevolezza dei limiti di tempo per la negoziazione;
  • dalla capacità di segmentare i tempi negoziali, distinguendo le fasi negoziali e i relativi obiettivi specifici, in particolare separando mentalmente e nei fatti il tempo dell’ascolto (empatia) e il tempo propositivo;
  • dalla capacità di modulare i propri stili di comunicazione, rompendo la rigidità comunicativa, sapendo adattare gli stili alle diverse fasi, es: amicale nelle fasi di warming up e small talk (chiacchiere introduttive), psicanalitico nelle fasi empatiche, assertivo nelle fasi propositive, e altri stili adeguati al contesto.

Teorie dei giochi e leadership conversazionale

Il ruolo del leader richiede una forte attenzione ai giochi comunicativi in corso, con la consapevolezza che nelle organizzazioni e nella negoziazione i messaggi non sono prodotti per fini poetici ma soprattutto per gestire il potere.

La leadership del negoziatore comprende la capacità di 

  • realizzare specifiche offerte di tema: buttare sul tavolo della conversazione argomenti non casuali, per vedere quale sia la reazione degli interlocutori; osservare se raccolgono il tema o lo lasciano andare, e altre possibili mosse dell’interlocutore (sminuire, accentuare, aggrapparsi al tema, valorizzarlo, ignorarlo);
  • gestire il formato conversazionale: quale clima predomina durante la negoziazione? Siamo di fronte ad formato di “interrogatorio”, di “ricerca di una soluzione”, di “confessione reciproca”, o cos’altro? Se durante una negoziazione di vendita il venditore si accorge che il buyer sta adottando il formato “interrogatorio”, la leadership conversazionale prevede di farlo notare, con frasi del tipo “questa conversazione assomiglia più ad un interrogatorio che ad una ricerca di soluzioni, noi vorremmo provare a dare al nostro incontro un taglio diverso, forse più produttivo”;
  • ribilanciare i rapporti di potere: nella vendita soprattutto si assiste ad un “non detto” nel quale chi acquista detiene il potere della negoziazione. Questo potere viene esercitato tramite atteggiamenti tipici di chi detiene il potere: controllo sui contenuti, decidere chi parla, di cosa si parla, e come si parla. A volte questo sfocia nella arroganza immotivata. La leadership conversazionale prevede la capacità di riformulare i giochi, ribilanciare gli atteggiamenti, riportare i due negoziatori sullo stesso piano, per non essere schiacciati.

Teorie dei ruoli e comunicazione del ruolo di leadership

Essere leader di una famiglia significa riuscire nel ruolo di “guida” della famiglia stessa, e questo si esprime nelle conversazioni di gruppo ed individuali con i familiari. Essere leader di un reparto di produzione significa assumere il ruolo di punto di riferimento per tutti i tecnici, riuscendo a gestire conflitti, riunioni, processi formativi e motivazionali.

Essere leader di una forza di vendita significa assumere il ruolo di mentore e coordinatore di risorse e delle strategie, e applicare il ruolo in ogni comunicazione con i propri collaboratori.

Al di là di quale sia il gruppo di riferimento aziendale o sociale, la leadership deve essere considerato un meta-ruolo che investe trasversalmente un soggetto all’interno di un gruppo di individui. 

L’assunzione del ruolo è evidente nella modalità di comunicazione adottata, e la sua mancanza è altrettanto evidente.

Il mancato rispetto delle aspettative e dei comportamenti di ruolo è evidente proprio nella conversazione interindividuale e di gruppo in cui il soggetto non agisce come “individuo privato” ma come “interprete del ruolo di leader”. 

La leadership richiede quindi attenzione alle dinamiche comunicative di ascolto in cui si manifestano:

  • attacchi al ruolo, da parte di membri del team;
  • assunzioni di ruolo improprie, da parte di membri del team o di altri soggetti;

I comportamenti comunicativi correlati sono quindi:

  • segnalazione della percezione dell’attacco al ruolo, da parte del leader;
  • esplicitazione dei fatti, far emergere che si è capito cosa sta accadendo.
  • difesa del ruolo;
  • negoziazione dei ruoli reciproci.

Dialogo Cooperativo

Il dialogo cooperativo prevede una forte concentrazione di mosse positive, di apertura, un ricorso a SIM di analisi e condivisione, e l’eliminazione di mosse di attacco al ruolo e all’identità altrui.

Il dialogo cooperativo si compone principalmente di:

  • ascolto, evitazione dell’interruzione;
  • spostamenti strategici tra macro-finalità dei progetti e dettagli, con preferenza per le macro-finalità e la ricerca di una mission condivisa; considerare le divergenze sui dettagli come passeggere, recuperabili, e andare alla ricerca di una visione comune e di ciò che accomuna;
  • ricerca di un approccio win-win;
  • atteggiamenti di apertura ed evitazione del giudizio altrui (sospensione del giudizio sino alla comprensione completa).

[1] Capitolo a cura di Daniele Trevisani, con il contributo di Fabrizio Bercelli (Scienze della Comunicazione, Università di Bologna) sul tema della Analisi della Conversazione e dei Sistemi Motivazionali Interpersonali.

[2] Pruitt-Mentle, Davina (2005). Cultural Dimensions to Multimedia Design. Educational Technology Outreach. MEMO Conference, University of Maryland.

[3] Liotti G. (1994) La dimensione interpersonale della coscienza, NIS, Roma.

[4] Il tema della direttività nella conversazione, con specifico riferimento a conversazioni di gruppo (terapia familiare), è trattato in Leonardi P., Viaro M. (1990), Conversazione e terapia. L’intervista circolare. Cortina, Milano, e in Bercelli F., Leonardi P., Viaro M. (1999) Cornici terapeutiche. Applicazioni cliniche di analisi dell’interazione verbale. Cortina, Milano.

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Le parole chiave di questo articolo La leadership conversazionale e gli stili di conversazione sono :

  • Approccio win-win
  • Ascolto
  • Aspettative
  • Atto linguistico
  • Centratura della negoziazione
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  • Dialogo cooperativo
  • Economia della comunicazione
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  • Prioritization Skills
  • Sistemi interpersonali motivazionali
  • Sospensione del giudizio
  • Stati conversazionali
  • Teoria dei giochi
  • Teoria dei ruoli

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

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Nell’articolo a seguire ci occuperemo ancora di leadership conversazionale. Questa volta però approfondiremo sia il gioco di ruoli all’interno della conversazione, ponendo particolare attenzione al ruolo leader dell’ascoltatore, sia le capacità fondamentali che ogni leader dovrebbe possedere se vuole imparare a gestire realmente un atto comunicativo.

Il ruolo dell’ascoltatore richiede una forte attenzione ai giochi comunicativi in corso, con la consapevolezza che nelle organizzazioni e nella negoziazione i messaggi non sono prodotti per fini poetici ma soprattutto per gestire il potere. Anche nel dialogo interpersonale, l’ascolto è una forma di potere. Chi ha il potere di fare domande, ha più potere di chi risponde. 

Vi sono pochi dubbi sul fatto che la comunicazione abbia a che fare con il potere, forse solo nei bambini piccoli possiamo trovare quella spontaneità pulita di chi comunica senza un fine. Per tutto il resto, la comunicazione ha anche a che fare con la ricerca di potere. 

La leadership nell’ascolto comprende la capacità di: 

  1. realizzare specifiche offerte di tema: buttare sul tavolo della conversazione argomenti voluti, non casuali, per vedere quale sia la reazione degli interlocutori; osservare se raccolgono il tema o lo lasciano andare, e notare le mosse dell’interlocutore (ignorare il tema, sminuire il tema, aggrapparsi al tema, valorizzarlo, ignorarlo); 
  1. gestire il formato conversazionale: quale clima predomina durante la relazione? Siamo di fronte al formato di “interrogatorio”, di “ricerca di una soluzione”, di “confessione reciproca”, o cos’altro? Vediamo un esempio in campo aziendale: se durante una negoziazione di vendita il venditore si accorge che il buyer sta adottando il formato “interrogatorio”, la leadership conversazionale prevede di farlo notare e cambiare i toni, con frasi del tipo “questa conversazione assomiglia più ad un interrogatorio che ad una ricerca di soluzioni, noi vorremmo provare a dare al nostro incontro un taglio diverso, forse più produttivo. Mi chiedevo cosa lei pensa rispetto a XYZ?”. In questo modo, notate una fase meta-comunicativa (riflettiamo sul fatto che così non va bene) e una fase di role-shifting, passaggio di ruolo da parlante ad ascoltatore (chi fa le domande), 
  1. ribilanciare i rapporti di potere: nelle famiglie si parte spesso dal principio che i genitori debbano avere più potere dei figli, creando così grandi danni. In azienda, nella leadership accade altrettanto. Nella vendita soprattutto, si assiste ad un “non detto” nel quale chi acquista detiene il potere della negoziazione. Questo potere viene esercitato tramite atteggiamenti tipici di chi detiene il potere: controllo sui contenuti, su chi deve parlare e su cosa e come si parla. A volte questo sfocia nell’arroganza immotivata. Grave segno di ignoranza. La leadership conversazionale prevede la capacità di riformulare i giochi, ribilanciare gli atteggiamenti, riportare i due soggetti sullo stesso piano, per non essere schiacciati. Fare domande è la leva più forte in questo senso. 

Essere leader di una famiglia significa riuscire nel ruolo di “guida” della famiglia stessa, e questo si esprime nelle conversazioni di gruppo ed individuali con i familiari.  

Ascoltare mariti, mogli, figli, parenti, è compito arduo, e ascoltare attivamente ed empaticamente, dimenticando i rancori, ancora di più. 

Essere leader di un reparto di produzione significa assumere il ruolo di punto di riferimento per tutti i tecnici, riuscendo a gestire conflitti, riunioni, processi formativi e motivazionali.  

Essere leader di una forza di vendita significa assumere il ruolo di mentore, supervisore e coordinatore di risorse e delle strategie (buon padre di famiglia, in altri termini), preoccuparsi di far crescere le persone, e applicare il ruolo in ogni comunicazione con i propri collaboratori. Al di là di quale sia il gruppo di riferimento aziendale o sociale, la leadership deve essere considerata un modo di essere che investe trasversalmente un soggetto all’interno di un gruppo di individui.  L’assunzione del ruolo è evidente nella modalità di comunicazione adottata, centrata sull’ascolto, e la sua mancanza è altrettanto evidente. Come evidenzia Tonfoni, ciascun ruolo si carica di aspettative e di comportamenti di ruolo.

Il mancato rispetto delle aspettative e dei comportamenti di ruolo è evidente proprio nella conversazione tra persone e nei gruppi in cui il soggetto non agisce come “individuo privato” ma come “interprete di un ruolo” (es. direttore, padrone, schiavo, servitore, o qualsiasi altro ruolo di copione). 

La leadership richiede quindi attenzione alle dinamiche comunicative di ascolto in cui si manifestano: 

  • attacchi al ruolo, da parte di membri del team; 
  • assunzioni di ruolo improprie, da parte di membri del team o di altri soggetti. 

I comportamenti comunicativi correlati sono quindi: 

  • segnalazione della percezione dell’attacco al ruolo, da parte del leader; 
  • esplicitazione dei fatti, ossia far emergere che si è capito cosa sta accadendo; 
  • difesa del ruolo
  • negoziazione dei ruoli reciproci
"Ascolto Attivo ed Empatia" di Daniele Trevisani

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© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

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Come si può dedurre in maniera limpida dal titolo, l’articolo di oggi sarà un’introduzione agli stati conversazionali, la cui attenta gestione mostra il grado di leadership conversazionale all’interno di uno scambio comunicativo tra due o più interlocutori.

L’Analisi della Conversazione è una vera e propria disciplina scientifica. Nota nel mondo anglosassone delle scienze della Comunicazione come Conversation Analysis (CA), si occupa proprio di esaminare questo fenomeno così quotidiano eppure così complicato.  

Ne abbiamo già parlato, tuttavia servono approfondimenti perché l’ascolto, senza un’analisi del meccanismo in cui è inserito (la conversazione) sarebbe ben poco affrontabile. 

Noteremo subito che l’ascolto è un momento speciale della conversazione, è l’interruzione di un noioso ping-pong dove uno cerca di parlare sull’altro o avere sempre l’ultima parola. È in altre parole, un disintossicante delle conversazioni

L’analisi della Conversazione ci invita innanzitutto a riconoscere il formato di conversazione in corso, il tipo di conversazione che sta accadendo all’interno di un gruppo o tra due persone, attraverso un’attenta lettura dei segnali verbali, paralinguistici e non verbali che scorrono tra le persone. 

Con un adeguato addestramento ed elevata sensibilità naturale, è possibile cogliere in poche battute quali siano gli “stati conversazionali” che predominano in una comunicazione. 

Per “stati conversazionali” intendiamo qui una sequenza di mosse comunicative riconducibile a dei prototipi, ad esempio: 

  1. la confessione, 
  2. la seduzione, 
  3. le stilettate reciproche (conflitto strisciante), 
  4. la “conversazione da spogliatoio”, 
  5. l’autocelebrazione, 
  6. la ricerca di aiuto, 
  7. l’auto vittimizzazione, 
  8. l’offerta di aiuto, 
  9. l’accusa, 
  10. l’analisi scientifica di un problema, 
  11. “proviamo a capire”, 
  12. lo “sparlare degli assenti”, 
  13. lo sfogo, 
  14. il “parlar di guai”, 
  15. il “sogno ad occhi aperti”, 
  16. il litigio, 
  17. l’interrogatorio, 
  18. il giocare assieme, 
  19. il “fare le fusa”, 
  20. il “parlare tra simili”. 

Le conversazioni si spostano continuamente da uno stato all’altro, e possiamo avere conversazioni che partono in termini di “confessione” per poi spostarsi in seduzione, scivolare in autocelebrazione, e poi ancora in accusa. 

Altri formati conversazionali, quali l’analisi scientifica di un problema, o il “parlare tra simili” (es.: confrontarsi tra “padri di famiglia”) possono far emergere differenze culturali, ma con meno margini di errore. 

Ogni conversazione (negoziale e non) procede comunque lungo un format finché un altro e diverso format non prende piede.  

Quando il format cambia, abbiamo un “Cambio di Footing”, un cambio di passo nella conversazione. Può andare verso un’accelerazione, dove i climi e gli scambi si fanno più serrati e rapidi, o verso un rilassamento dove si nota più spaziosità tra i turni di conversazione, più ascolto empatico, più disponibilità e meno fretta. 

Il ruolo della leadership conversazionale è esattamente quello di spostare i format e dirigerli ove sia più produttivo. 

Ciò che risulta utile, per l’ascolto, è la capacità di capire come la conversazione sta evolvendo lungo il tracciato, e l’abilità di spostare le linee entro spazi comunicativi il più possibile produttivi. 

Per concludere, possiamo dire che questi formati conversazionali possono essere considerati come il sale e il sapore della conversazione stessa. 

"Ascolto Attivo ed Empatia" di Daniele Trevisani

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