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© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

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L’importanza della variabile “credibilità della fonte” nella persuasione è stata sottolineata già dai primi studi sulla materia, i quali avvalorano l’ipotesi seguente: un’alta credibilità della fonte ha più effetto, nel persuadere un’audience, che una fonte a bassa credibilità

L’ascolto attivo ha una forte componente persuasiva. Devo persuaderti che vale la pena raccontarmi le tue cose, le tue situazioni, dati, sentimenti, fatti accaduti, qualsiasi cosa sia oggetto del colloquio. 

Allora, la verità comincerà a fluire e l’ascolto a funzionare

Nel coaching, per quanto la fase di comunicare esprimendo dati sia inferiore al tempo passato nell’ascoltare, l’intero “apparato uomo”, l’intera persona come sistema, è una “fonte” che comunica qualcosa di sè, e come tale, soggetta ad esame di credibilità.  

Il coach è una fonte di ascolto, una fonte di consigli, una fonte intesa anche come fonte di saggezza, un porto sicuro nel mare in tempesta. Se non fornisce questa immagine, diventa dissonante. 

Se parliamo di ascolto, possiamo dire senza ombra di dubbio che – ove manchi credibilità spontanea – l’unico modo per ottenere informazioni sarebbe un interrogatorio. E questo non è certo quello che deve fare una persona che voglia praticare ascolto attivo. 

Quello che ci interessa è invece riuscire a creare un ambiente collaborativo e facilitante per l’ascolto. La nostra parte in questo consiste nell’essere persone con una forte credibilità, dovuta a due specifici meccanismi evidenziati dalla psicologia sociale: 

  1. Trustworthiness (o Trust): letteralmente “essere degni di fiducia”, essere persone attendibili; 
  1. Expertise: essere visti come persone competenti ed esperte sul tema che trattiamo, o nel processo di coaching stesso. 

Nel coaching e consulenza, la competenza ricercata è la capacità di analisi, e non tanto l’essere delle persone competenti nel campo merceologico di cui si occupa il cliente. Se ad esempio il cliente produce barche, ma noi siamo coach in azione per lavorare sulla leadership, deve emergere che sappiamo esperti in leadership, e non che siamo esperti di barche.  

Lo stesso vale per il public speaking, dove il fatto di parlare in una banca, in una fabbrica, in un teatro, o in un campo di gioco, non cambia la sostanza forte delle questioni su cui lavorare. 

La dinamica di ascolto va però adattata in funzione delle culture e delle persone.  

Se facciamo ascolto attivo a livello internazionale, sappiamo che un CEO aziendale giapponese pretenderà cenni di rispetto e di cortesia estrema, e non pacche sulla spalla. Il contatto fisico sarà da evitare, almeno nelle prime fasi. Se siamo negli USA, sappiamo che avremo a che fare con una cultura molto diretta, che non apprezza i convenevoli, importanti invece nelle culture latine ed arabe. 

Il fattore expertise (considerato come “competenza” tecnica o “qualificazione”) si riferisce alla conoscenza e preparazione tecnica della fonte riguardo i fatti presentati nel messaggio. 

Il fattore Trustworthiness si riferisce alla percezione che la persona dica o meno la verità che conosce (oppure dia solo una versione parziale dei fatti), con lo scopo di manipolare le controparti a loro insaputa. 

Queste due dimensioni possono essere combinate costruendo una matrice di analisi della credibilità per formare quattro diverse tipologie di percezioni della fonte:

  1. alta expertise- alta trustworthiness: la fonte più credibile, essendo percepita come competente e affidabile; 
  2. alta expertise- bassa trustworthiness: fonte inaffidabile; 
  3. bassa expertise- alta trustworthiness: fonte inesperta; 
  4. bassa expertise- bassa trustworthiness: fonte inaffidabile e inesperta. 

L’intento di passare all’ascolto attivo e non essere quindi spettatori disinteressati ci porta al tema dell’intento di coaching e intento comunicativo e stile comunicativo che ne deriva. 

Tutti si rivolgono a coach, esperti e consulenti per risolvere problemi, o aumentare le loro prestazioni. Il problema avviene quando il cliente pretende di sapere già quale sia la soluzione, e magari cerca una scorciatoia “rapida e indolore” per un obiettivo che richiede invece impegno e continuità. 

Nel momento in cui il professionista accondiscende ad offrire soluzioni che possano portare si alla performance desiderata, ma con grave danno per la persona stessa, l’etica deve far dire no.  

"Ascolto Attivo ed Empatia" di Daniele Trevisani

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Nell’articolo a seguire ci occuperemo ancora di leadership conversazionale. Questa volta però approfondiremo sia il gioco di ruoli all’interno della conversazione, ponendo particolare attenzione al ruolo leader dell’ascoltatore, sia le capacità fondamentali che ogni leader dovrebbe possedere se vuole imparare a gestire realmente un atto comunicativo.

Il ruolo dell’ascoltatore richiede una forte attenzione ai giochi comunicativi in corso, con la consapevolezza che nelle organizzazioni e nella negoziazione i messaggi non sono prodotti per fini poetici ma soprattutto per gestire il potere. Anche nel dialogo interpersonale, l’ascolto è una forma di potere. Chi ha il potere di fare domande, ha più potere di chi risponde. 

Vi sono pochi dubbi sul fatto che la comunicazione abbia a che fare con il potere, forse solo nei bambini piccoli possiamo trovare quella spontaneità pulita di chi comunica senza un fine. Per tutto il resto, la comunicazione ha anche a che fare con la ricerca di potere. 

La leadership nell’ascolto comprende la capacità di: 

  1. realizzare specifiche offerte di tema: buttare sul tavolo della conversazione argomenti voluti, non casuali, per vedere quale sia la reazione degli interlocutori; osservare se raccolgono il tema o lo lasciano andare, e notare le mosse dell’interlocutore (ignorare il tema, sminuire il tema, aggrapparsi al tema, valorizzarlo, ignorarlo); 
  1. gestire il formato conversazionale: quale clima predomina durante la relazione? Siamo di fronte al formato di “interrogatorio”, di “ricerca di una soluzione”, di “confessione reciproca”, o cos’altro? Vediamo un esempio in campo aziendale: se durante una negoziazione di vendita il venditore si accorge che il buyer sta adottando il formato “interrogatorio”, la leadership conversazionale prevede di farlo notare e cambiare i toni, con frasi del tipo “questa conversazione assomiglia più ad un interrogatorio che ad una ricerca di soluzioni, noi vorremmo provare a dare al nostro incontro un taglio diverso, forse più produttivo. Mi chiedevo cosa lei pensa rispetto a XYZ?”. In questo modo, notate una fase meta-comunicativa (riflettiamo sul fatto che così non va bene) e una fase di role-shifting, passaggio di ruolo da parlante ad ascoltatore (chi fa le domande), 
  1. ribilanciare i rapporti di potere: nelle famiglie si parte spesso dal principio che i genitori debbano avere più potere dei figli, creando così grandi danni. In azienda, nella leadership accade altrettanto. Nella vendita soprattutto, si assiste ad un “non detto” nel quale chi acquista detiene il potere della negoziazione. Questo potere viene esercitato tramite atteggiamenti tipici di chi detiene il potere: controllo sui contenuti, su chi deve parlare e su cosa e come si parla. A volte questo sfocia nell’arroganza immotivata. Grave segno di ignoranza. La leadership conversazionale prevede la capacità di riformulare i giochi, ribilanciare gli atteggiamenti, riportare i due soggetti sullo stesso piano, per non essere schiacciati. Fare domande è la leva più forte in questo senso. 

Essere leader di una famiglia significa riuscire nel ruolo di “guida” della famiglia stessa, e questo si esprime nelle conversazioni di gruppo ed individuali con i familiari.  

Ascoltare mariti, mogli, figli, parenti, è compito arduo, e ascoltare attivamente ed empaticamente, dimenticando i rancori, ancora di più. 

Essere leader di un reparto di produzione significa assumere il ruolo di punto di riferimento per tutti i tecnici, riuscendo a gestire conflitti, riunioni, processi formativi e motivazionali.  

Essere leader di una forza di vendita significa assumere il ruolo di mentore, supervisore e coordinatore di risorse e delle strategie (buon padre di famiglia, in altri termini), preoccuparsi di far crescere le persone, e applicare il ruolo in ogni comunicazione con i propri collaboratori. Al di là di quale sia il gruppo di riferimento aziendale o sociale, la leadership deve essere considerata un modo di essere che investe trasversalmente un soggetto all’interno di un gruppo di individui.  L’assunzione del ruolo è evidente nella modalità di comunicazione adottata, centrata sull’ascolto, e la sua mancanza è altrettanto evidente. Come evidenzia Tonfoni, ciascun ruolo si carica di aspettative e di comportamenti di ruolo.

Il mancato rispetto delle aspettative e dei comportamenti di ruolo è evidente proprio nella conversazione tra persone e nei gruppi in cui il soggetto non agisce come “individuo privato” ma come “interprete di un ruolo” (es. direttore, padrone, schiavo, servitore, o qualsiasi altro ruolo di copione). 

La leadership richiede quindi attenzione alle dinamiche comunicative di ascolto in cui si manifestano: 

  • attacchi al ruolo, da parte di membri del team; 
  • assunzioni di ruolo improprie, da parte di membri del team o di altri soggetti. 

I comportamenti comunicativi correlati sono quindi: 

  • segnalazione della percezione dell’attacco al ruolo, da parte del leader; 
  • esplicitazione dei fatti, ossia far emergere che si è capito cosa sta accadendo; 
  • difesa del ruolo
  • negoziazione dei ruoli reciproci
"Ascolto Attivo ed Empatia" di Daniele Trevisani

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Oggi vorrei soffermarmi su un argomento che trovo piuttosto interessante, ossia l’empatia animale.

Come tutti ben sappiamo le specie più evolute hanno la capacità di empatizzare con il resto degli esseri viventi. Attraverso questa empatia è possibile creare una connessione profonda che da vita alla comunicazione.

Partendo quindi dalla concezione di empatia, cercherò di mostrare come l’ascolto in profondità possa permetterci di aprire le strada ad una comunicazione pura e autentica, senza filtri, capace di oltrepassare non solo le barriere linguistiche e culturali, ma addirittura di specie.

Cos’è l’empatia?

L’empatia è la capacità di comprendere lo stato d’animo altrui, ovvero di “mettersi nei panni dell’altro“. (1)

Ma come possiamo metterci nei panni dell’altro, se non siamo in grado di ascoltare? Come possiamo comprendere davvero ciò che prova un altro essere vivente se non lo osserviamo attentamente? Se non lo ascoltiamo attentamente?

L’ascolto è la base per creare un legame empatico. Se non riusciamo, anche solo per un secondo, a recepire il messaggio in maniera profonda, l’empatia non si creerà mai e continueremo a vedere l’altro come un riflesso dei nostri stessi pensieri e comportamenti.

Tornando al mondo animale, sarei curiosa di sapere se qualcuno di voi ha mai messo in “punizione” il proprio animale domestico.

Sapete come mai è così importante capire ciò? Perché gli animali domestici, come cani e gatti, non recepiscono l’idea di “punizione” prettamente umana: per loro essere chiusi dentro una stanza, essere picchiati o legati ad una catena non ha alcun senso di “insegnamento”, anzi, per loro è solo una sofferenza ingiustificata. Non imparano nulla dalla violenza, ma sviluppano soltanto una paura della violenza nei confronti del loro padrone.

Eppure molti sono convinti che picchiare il proprio gatto quando vomita sul divano sia per lui un monito.

Avete mai visto nessuno, che dopo aver tirato una sculacciata al proprio micio se ne è uscito con una frase del tipo: “guarda che se lo rifai ancora, le prendi nuovamente!”

Immagino di sì…

Per il gatto, che vomita il proprio pelo per motivi naturali, quella è solo un’aggressione violenta senza alcun senso. Magari non vomiterà più in quel punto, ma lo farà comunque da qualche altra parte della casa e forse anche in punti nascosti, come sotto il letto o sotto il divano, poiché ha solo paura di subire lo stesso trattamento.

Cosa avrete risolto quindi? Nulla.

Se evitassimo di riflettere le nostre idee e i nostri valori sugli altri, come anche sugli animali, convinti che tutti pensino e si comportino esattamente come noi e che abbiano le stesse reazioni, ma provassimo, per una volta, a fermarci, ascoltare e riflettere, ci renderemmo subito conto che ciò che stiamo facendo o dicendo, spesso per l’altro non ha alcun significato.

Ascoltare serve a questo. Capire serve a questo. Empatizzare serve a questo.

E come dicevo all’inizio, anche gli animali sono in grado di empatizzare: allora perché gli esseri umani evitano di farlo?

Per esempio, secondo uno studio pubblicato sulla rivista “Learning & Behaviour“, i cani sono dotati di forte empatia verso la propria famiglia adottiva e corrono in suo aiuto ogni qualvolta percepiscono nei loro membri un forte stress emozionale. (2)

Anche i gatti sono sensibili ai gesti emotivi umani; infatti diversi esperimenti hanno provato che il gatto reagisce in base all’umore della persona ed è in grado di percepire il suo stato d’animo, di leggerne l’emotività e le espressioni facciali. (3)

Questo perché cani e gatti fanno qualcosa che molti di noi non riusciranno mai a fare: ascoltare ed osservare.

Grazie all’empatia gli animali comunicano con noi, ci inviano segnali, ci stanno vicini quando siamo depressi, gioiscono della nostra felicità e piangono della nostra assenza per solitudine.

Forse, se anche noi fossimo più come i nostri amici animali e provassimo davvero a capire l’altro in profondità, riusciremmo a creare legami forti e indissolubili, fatti di comprensione e non di giudizio.

Nell’azienda del futuro ascoltare, creare empatia e comunicare in modo sano saranno la chiave per oltrepassare qualsiasi barriera e fonderanno nuovi ambienti lavorativi in cui la fiducia e il rispetto reciproco staranno alla base del successo personale e aziendale.

Working on your empathy? Ponder baby animals

(1) https://it.wikipedia.org/wiki/Empatia

(2) https://link.springer.com/article/10.3758%2Fs13420-018-0332-3

(3) https://www.culturafelina.it/gatti-percepiscono-nostro-danimo/

Articolo a cura della dott.ssa Ginevra Bighini, www.negoziazioneinterculturale.wordpress.com; mentoring a cura del dott. Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it

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L’articolo di oggi ruota attorno alle capacità e consapevolezze che tutti dovrebbero possedere per imparare ad ascoltare e vivere meglio. Per poter padroneggiare queste abilità è però necessario dedicarsi dei momenti di rigenerazione, che permettano di ricaricare le batterie e migliorare quindi il livello di attenzione.

Chi vuole praticare un ascolto attivo deve assolutamente imparare a padroneggiare le proprie energie e le proprie risorse, in particolare la propria risorsa più limitata: l’attenzione. 

L’attenzione è un bene rarissimo.  

In un’ora di ascolto, solo pochi minuti sono veramente dedicati ad una profonda connessione neurale. Larga parte del tempo dell’ascolto, infatti, è purtroppo in balia di forze superiori, come i processi interni all’individuo stesso (pensiero, digestione, respirazione, caldo, freddo, fame, sete, bisogno di andare in bagno, bisogno di muoversi), che crescono con il crescere del tempo. Le conversazioni sono dense di emozioni, di espressioni degli stati del corpo (es. stare bene o stare male) e di tutto ciò che frulla per la testa, sia di chi parla, che di chi ascolta. 

L’economia cognitiva si occupa di portare un po’ di ordine nelle conversazioni, e di sfruttare in modo efficiente le risorse mentali. Una riunione pone problemi elevati di utilizzo delle risorse, poiché esse vanno divise ed “assorbite” sia dal dibattito sui contenuti, che dalla difficoltà comunicativa generata dalla differenza di valori e posizioni. 

I problemi di economia cognitiva diventano quindi ancora più pressanti rispetto alle riunioni aziendali comuni, in cui si fa finta che le persone non abbiano un corpo, e la loro attenzione abbia durata infinita. Per questo, si arriva ad abusare delle capacità attentive, e le conversazioni si fanno sempre più improduttive. 

Possiamo quindi indicare che l’utilizzo del tempo comunicativo e delle risorse mentali diventa una meta-competenza dell’ascoltatore e del professionista. Tra le sue doti si collocano quindi le prioritization skills, le capacità di fissare le priorità.

La sfida dell’ascolto è saperlo usare come risorsa scarsa. Saper rispondere alla domanda fondamentale: di cosa è bene parlareCome gestire il tempo scarso e limitato? Come sollevare le curve di attenzione quando tendono a cadere? 

Ogni conversazione ha un costo elevato.  Proviamo semplicemente a calcolare il costo, all’interno di un’azienda, dell’orario di molti dirigenti che impiegano una mattinata, arrivando in aereo da paesi diversi, oppure pensiamo al costo delle sale e dei materiali, o a quello di preparazione, ecc… 

In famiglia, immaginiamo quanto siano rari e quindi preziosi quei minuti in cui si può parlare dopo aver dedicato tempo al lavoro e agli impegni. 

Le conversazioni quotidiane non sembrano costare, per il semplice fatto che nel nostro tempo libero non veniamo pagati. Ma se consideriamo il fatto che il nostro tempo sulla Terra è limitato, allora faremmo bene a spenderlo il più possibile per renderlo piacevole.

L’attenzione è portare il nostro focus sulle parole, sui significati, sui gesti, sugli sguardi, sulle posture, sul rapporto delle persone con gli oggetti circostanti (es. come li usano), ecc… . L’attenzione è un’arte, e forse è per questo che è così rara e preziosa. 

Ogni gruppo che si riunisce per raggiungere uno scopo può o meno darsi una strategia per ottimizzare le risorse messe in campo durante l’incontro

Le prioritization skills prevedono che il comunicatore si impegni attivamente per definire quali priorità trattare, agendo quindi anche sul formato di un incontro, impostando i termini di base da trattare. Questo significa anche fare scelte molto concrete: di cosa parlare e come parlarne.

Altre priorità riguardano la fissazione di un clima conversazionale positivo: senza il clima adeguato ogni discussione sui contenuti diviene più difficile. Per questo è necessario capire che esiste una precisa relazione tra climi emotivi e stili comunicativi.  

Alcuni stili comunicativi, come il darsi delle arie, o lo svilimento altrui, sono deleteri al raggiungimento di un risultato. Essi risultano diseconomici e disfunzionali, e vanno colti negli altri ed evitati per se stessi. 

Il tema dell’economia della comunicazione richiede quindi: 

  1. capacità di riconoscere le risorse attentive (limitate) disponibili per la conversazione (consapevolezza delle risorse); 
  2. capacità di capire i confini di tempo disponibili (consapevolezza dei tempi); 
  3. capacità di muoversi entro tali confini decidendo i contenuti più appropriati e riconoscendo quelli dispersivi (consapevolezza dei contenuti strategici); 
  4. capacità di gestire le fasi e tempi degli incontri (consapevolezza delle sequenze di interazione) 
  5. capacità di agire sugli stili comunicativi adeguati alle diverse fasi, e sugli atteggiamenti sottostanti gli stili di relazione (consapevolezza contestuale degli stili comunicativi). 

Per concludere, la qualità dell’ascolto dipende: 

  • dalla capacità di centrare i contenuti della conversazione; 
  • dalla capacità di gestire le proprie risorse attentive (ricarica e gestione delle energie personali) e cogliere gli stati altrui; 
  • dalla consapevolezza dei limiti di tempo per la conversazione; 
  • dalla capacità di segmentare i tempi conversazionali, distinguendo le fasi e i relativi obiettivi specifici, in particolare separando il tempo dell’ascolto (empatia) e il tempo propositivo dell’affermare; 
  • dalla capacità di modulare i propri stili di comunicazione, rompendo la rigidità comunicativa, sapendo adattare gli stili alle diverse fasi, ad esempio: amicale nelle fasi di warming up e small talk (chiacchiere introduttive), psicanalitico nelle fasi empatiche, assertivo nelle fasi propositive, ecc.
"Ascolto Attivo ed Empatia" di Daniele Trevisani

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Come si può dedurre in maniera limpida dal titolo, l’articolo di oggi sarà un’introduzione agli stati conversazionali, la cui attenta gestione mostra il grado di leadership conversazionale all’interno di uno scambio comunicativo tra due o più interlocutori.

L’Analisi della Conversazione è una vera e propria disciplina scientifica. Nota nel mondo anglosassone delle scienze della Comunicazione come Conversation Analysis (CA), si occupa proprio di esaminare questo fenomeno così quotidiano eppure così complicato.  

Ne abbiamo già parlato, tuttavia servono approfondimenti perché l’ascolto, senza un’analisi del meccanismo in cui è inserito (la conversazione) sarebbe ben poco affrontabile. 

Noteremo subito che l’ascolto è un momento speciale della conversazione, è l’interruzione di un noioso ping-pong dove uno cerca di parlare sull’altro o avere sempre l’ultima parola. È in altre parole, un disintossicante delle conversazioni

L’analisi della Conversazione ci invita innanzitutto a riconoscere il formato di conversazione in corso, il tipo di conversazione che sta accadendo all’interno di un gruppo o tra due persone, attraverso un’attenta lettura dei segnali verbali, paralinguistici e non verbali che scorrono tra le persone. 

Con un adeguato addestramento ed elevata sensibilità naturale, è possibile cogliere in poche battute quali siano gli “stati conversazionali” che predominano in una comunicazione. 

Per “stati conversazionali” intendiamo qui una sequenza di mosse comunicative riconducibile a dei prototipi, ad esempio: 

  1. la confessione, 
  2. la seduzione, 
  3. le stilettate reciproche (conflitto strisciante), 
  4. la “conversazione da spogliatoio”, 
  5. l’autocelebrazione, 
  6. la ricerca di aiuto, 
  7. l’auto vittimizzazione, 
  8. l’offerta di aiuto, 
  9. l’accusa, 
  10. l’analisi scientifica di un problema, 
  11. “proviamo a capire”, 
  12. lo “sparlare degli assenti”, 
  13. lo sfogo, 
  14. il “parlar di guai”, 
  15. il “sogno ad occhi aperti”, 
  16. il litigio, 
  17. l’interrogatorio, 
  18. il giocare assieme, 
  19. il “fare le fusa”, 
  20. il “parlare tra simili”. 

Le conversazioni si spostano continuamente da uno stato all’altro, e possiamo avere conversazioni che partono in termini di “confessione” per poi spostarsi in seduzione, scivolare in autocelebrazione, e poi ancora in accusa. 

Altri formati conversazionali, quali l’analisi scientifica di un problema, o il “parlare tra simili” (es.: confrontarsi tra “padri di famiglia”) possono far emergere differenze culturali, ma con meno margini di errore. 

Ogni conversazione (negoziale e non) procede comunque lungo un format finché un altro e diverso format non prende piede.  

Quando il format cambia, abbiamo un “Cambio di Footing”, un cambio di passo nella conversazione. Può andare verso un’accelerazione, dove i climi e gli scambi si fanno più serrati e rapidi, o verso un rilassamento dove si nota più spaziosità tra i turni di conversazione, più ascolto empatico, più disponibilità e meno fretta. 

Il ruolo della leadership conversazionale è esattamente quello di spostare i format e dirigerli ove sia più produttivo. 

Ciò che risulta utile, per l’ascolto, è la capacità di capire come la conversazione sta evolvendo lungo il tracciato, e l’abilità di spostare le linee entro spazi comunicativi il più possibile produttivi. 

Per concludere, possiamo dire che questi formati conversazionali possono essere considerati come il sale e il sapore della conversazione stessa. 

"Ascolto Attivo ed Empatia" di Daniele Trevisani

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Restando sempre all’interno dell’area tematica dell’ascolto attivo, introduciamo le domande potenti, che possono essere utilizzate per analizzare interiormente l’interlocutore, oltre che noi stessi, e per capire la sua rete relazionale.

Mentre ascoltiamo sappiamo che ogni parola o frase non esiste da sola, ma si inserisce in reti e nodi mentali preesistenti, che vengono toccati (sollecitati) dalla comunicazione. 

  1. Ogni messaggio che tocca un nodo di una rete di significati stimola i significati vicini ad essa
  2. I messaggi che attraversano le reti cognitive e i sistemi di credenze dell’individuo possono modificare la struttura della rete stessa

Le domande potenti, quelle che scavano nel profondo, possono cambiare la mente. Non solo possono dare luce ai mondi interiori delle persone, ma possono cambiarle agendo sull’incremento della consapevolezza del cliente. È sufficiente avere il permesso di farle, o la richiesta, come avviene nelle sessioni di psicoterapia. 

Alcune domande potenti sono qui portate ad esempio, ma vanno usate con intelligenza, con il permesso di farlo e con pratica professionale: 

  1. Da quanto tempo non ti senti felice? 
  2. Che atmosfera si vive a casa tua? 
  3. Cosa credi sia possibile e cosa credi che sia impossibile nella tua vita? 
  4. Che fase è questa, nella tua vita? 
  5. Con cosa non hai ancora fatto i conti nella tua vita? 
  6. Cosa dà senso alla vita per te? 
  7. Tra quanto tempo vorresti sentirti felice? 
  8. Qual è la cosa peggiore che nella tua vita non deve capitare? 
  9. Quali sono stati i momenti peggiori della tua vita?  
  10. Perché siamo arrivati li? 
  11. Da quanto tempo non ti senti spensierato? 
  12. Con chi ti senti bene? 
  13. Quando ti senti bene? 
  14. Quali sono le persone che ti danno energia e quelle che te ne tolgono? 
  15. Ti senti capace nel programmare il tuo futuro?  
  16. In genere programmi qualcosa nella giornata, settimana, mese, anno, più anni, mai? 
  17. Qual è l’offesa più mortale che potrebbero farti? 
  18. Cosa rappresenta per te un rifugio esistenziale, quel posto dove vai a curare te stesso? 
  19. Cosa vorresti fare nella vita prima di morire, cosa non vuoi dire di non aver provato, o fatto? 
  20. Come ti senti in presenza di X? (dove X è una persona significativa) 

Alcune di queste domande possono essere compiute con tecniche speciali di training mentale, ad occhi chiusi, da distesi, ma questo richiede un tipo di formazione speciale, in quanto la profondità nella lettura di sé stessi, in quella condizione, aumenta, e aumentano anche le risposte emotive, incluse emozioni che portano al pianto, alla rabbia, alla sofferenza, alla gioia. 

Per saper gestire queste reazioni occorre un training speciale, come minimo una scuola di counseling o di coaching avanzato. 

Far uscire queste risposte e le emozioni che le accompagnano fa bene, poiché rompe la “Spirale del Silenzio”, che come un morbo attanaglia persone, aziende e organizzazioni, sino ad intere società. 

Il network cognitivo è l’insieme dei concetti, idee e pensieri che portiamo con noi. 

Dietro ad ogni decisione ci sono “suggeritori occulti”, persone la cui reazione viene immaginata e anticipata, per capire se un sì o un no possono urtare gli equilibri relazionali e mentali esistenti. Es. Cosa avrebbe detto mio padre di fronte a questa scelta? (o qualsiasi altro referente mentale attivo nella mente della persona). 

Un ascolto attivo e avanzato cerca quindi di capire quale sia il network umano che sta dietro alla persona, le persone che la influenzano, il quale può emergere sempre attraverso l’uso di domande potenti come:

  • Secondo lei chi dovremmo coinvolgere in questa decisione?
  • Chi può essere dispiaciuto o rallegrarsi di questa decisione o scelta?
  • Di chi ti piacerebbe avere l’approvazione se fosse possibile averla?
  • In caso di bisogno economico, su chi pensi potresti contare per un aiuto? 
  • In una situazione di bisogno materiale, ad esempio rimanere a piedi con l’auto, chi chiameresti per avere un primo aiuto? 
  • Chi sono le persone che vedi di più
  • Di chi ti fidi in questa fase della tua vita? 
  • Chi ha deluso le tue aspettative? 
"Ascolto Attivo ed Empatia" di Daniele Trevisani

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Oggi ci concentreremo sui 3 errori più comuni che di solito vengono fatti durante la fase di ascolto.

Vista la complessità e varietà di casi e situazioni, è normale aspettarsi che quando facciamo una domanda o ascoltiamo, la mente sia aperta a qualsiasi informazione entri. In realtà possono succedere i seguenti errori prevalenti.

Ascoltare solo per avere conferma di avere ragione. Questioni di dissonanza cognitiva in noi e nel cliente

Questo tipo di ascolto è denominato “ascolto confermativo”, poiché l’obiettivo è solo quello di cercare la conferma di avere ragione, di essere nel giusto. 

Questo ascolto fa scartare molte delle informazioni in ingresso, e soprattutto non fa cogliere quei segnali dubitativi che le persone lanciano tramite micro espressioni, gesti corporei e segnali dei muscoli facciali che possono comunicare disapprovazione, disgusto, o sorpresa. 

È confermato che le persone evitino accuratamente di esporsi a fonti informative che possano disturbare i propri equilibri cognitivi, e portare dissonanza cognitiva.  

La dissonanza cognitiva è un concetto introdotto da Leon Festinger e usato prevalentemente in psicologia sociale per descrivere la situazione di elaborazione mentale in cui credenze, nozioni e opinioni su un certo tema entrano in contrasto tra loro. 

Certe volte preferiamo letteralmente non venire a conoscenza di qualcosa che andrebbe ad alterare ciò che pensiamo sia vero e giusto. 

Ascoltare le persone e le loro dissonanze cognitive è un esercizio fondamentale. 

Naturalmente, lo stesso vale per noi. Quando scopriamo una dissonanza cognitiva in noi, faremo bene ad esaminarla con un supporto professionale di coaching, counseling o terapia, perché “tenersi dentro” delle dissonanze è “tenersi dentro” confusione mentale, e anche dolore. 

Ascoltare utilizzando solo il proprio filtro di opinioni e valori senza accettare che ve ne possano essere altri  

Ascoltare con pregiudizio è un passo di partenza sbagliato. Io chiamo questo tipo di ascolto “ascolto filtrato” ed è normale che accada: quando sentiamo una notizia, la valutiamo in base ai nostri filtri valoriali.  

Quello che è sbagliato, nell’ascolto attivo, è pensare che la persona che stiamo ascoltando abbia esattamente i nostri filtri valoriali, e le stesse nostre mappe mentali, dando per scontate le sue risposte, e adombrandoci quando non assomigliano per niente a quelle che avremmo dato noi. L’ascolto attivo deve essere neutro. 

Nel flusso di comunicazione che stiamo ascoltando, inevitabilmente qualcosa che la persona dirà va contro alcune delle nostre opinioni, persino contro alcuni dei nostri valori, o addirittura è contrario a qualcuno dei nostri principi più solidi.  

Appena questo “contrasto” emerge, rischiamo di irrigidirci e smettere di ascoltare. È fondamentale invece per un ascoltatore avanzato, saper “sospendere il giudizio”, ascoltando tutto il flusso comunicativo.

Ascolto in Cloud 

Partecipare all’ascolto significa sospendere la nostra ruminazione mentale e praticare la presenza mentale, portare la nostra mente “li”, nell’ascolto. Significa ascoltare e basta, spegnendo ogni altro pensiero. 

L’ascolto nella nuvola mentale o ascolto “in Cloud” è invece un ascolto che si pratica mentre la mente si perde in altri pensieri e si deconcentra.  

Consiste in sostanza nel lasciare che l’ascolto rimbombi nella propria testa. È normale che mentre ascoltiamo si aprano pensieri, ricordi, riflessioni. Altrettanto normale è che si creino riverberi interni su quanto ascoltiamo, e altri pensieri.  

Tutti questi pensieri possono formare una “nube” che arriva ad assorbire completamente la nostra attenzione. In questo modo la nostra attenzione diventa auto-centrata, cioè diretta solamente verso noi stessi, perciò, anche se l’altro “emette” parole, queste non entrano realmente nella nostra mente, diventando puro rumore di fondo.  

Questo “ascolto in cloud” o ascolto nella nuvola, può e deve essere spezzato: 

  • da momenti di breve riformulazione (quindi eri a Roma, giusto?);  
  • da domande (in che zona di Roma?);  
  • da momenti di ricapitolazione (Se ho capito bene la storia è andata così…);  
  • da gesti non verbali del capo (come, per esempio, cenni che facciano intendere all’interlocutore che abbiamo capito);
  • da brevi punteggiature para verbali (es, ah, uhm, ok).

Fondamentale è l’assenza di rumori di fondo, di distrattori come televisione, telefoni, chat, e altri elementi di disturbo. È anche possibile dire apertamente “mi sto perdendo, hai parlato di Davide, e poi?” 

Possiamo dire senza ombra di dubbio che la base di una comunicazione in stato di cloud sia il caos, il non capirsi, il disordine mentale, lo stato di entropia comunicativa.

Da questa base di partenza, l’ascolto attivo agisce per inserire maggiore ordine informativo, estrarre informazioni, dati, segnali, emozioni, e coordinarle per trarvi significato. Un lavoro non da poco.

"Ascolto Attivo ed Empatia" di Daniele Trevisani

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L’articolo di oggi, così come quelli a seguire, si concentreranno sull’importanza dell’empatia e dell’ascolto attivo nella comunicazione e nelle negoziazioni. Ciò che leggerete qui di seguito è un’introduzione all’ascolto dei sistemi di credenze del nostro interlocutore. Comprendere le mappe mentali di chi ci circonda, infatti, ci permette di scegliere con cura le parole da utilizzare e apre le strade ad una comunicazione strategica ed efficace.

Le credenze o beliefs sono qualcosa che la persona possiede, e sente propria ben più di un bene materiale. 

Immaginiamo di chiedere ad una persona “cosa ne pensi dello yoghurt al naturale”? E di non sapere veramente niente di quella persona, non averla mai incontrata prima.  

Potrebbe rispondere “buono”, ma in realtà quello che evoca il concetto “yoghurt al naturale” è qualcosa di estremamente più complesso.

Quanta di questa complessità sapremo cogliere? Dipende dalla nostra abilità di ascolto. Questo esempio serve per capire che dietro alle parole si nascondono “mondi semantici”, “mondi di significati“. Lo yoghurt, è solo una scusa per capire come funziona il meccanismo.  

Le mappe mentali che si nascondono dietro alle parole sono il nostro interesse, la nostra ricerca. Le infinità di sfumature e interi universi di significato che si nascondono tra le pieghe delle parole. 

E ci interessa davvero coglierle? Dipende, a volte può non interessarci, a volte, soprattutto nel lavoro d’azienda, può essere ciò che fa la differenza tra il capire un cliente e vendere, e non capirlo e non vendere. La differenza tra fallimento e successo. 

Nell’esempio illustrato qui di seguito si evidenzia la rete semantica che si associa ad uno specifico prodotto: lo yoghurt intero, non scremato. 

Questo è letteralmente “ciò che ha in testa” quella persona, la sua “rete semantica”. Ed è questo il concetto che ci interessa, oltre lo yogurt. 

Una convinzione è un’idea su “come funzionano le cose” che viene accettata come se fosse vera o reale. 

Le reti semantiche toccate dal “prodotto tradizionale non scremato” sono ben lontane dalla valutazione puramente alimentare. Esse infatti vanno dal “ricordo dei vecchi tempi”, al senso di fiducia, dalla possibilità di avere più energia per lavorare sodo, sino al senso di felicità ed armonia interna. 

Se compariamo la mappa precedente con quella di un prodotto molto più “problematico” (yoghurt modificato geneticamente) capiamo come le mappe percettive consentano di far emergere le percezioni di prodotto e le barriere semantiche

Il prodotto geneticamente modificato si carica di paure, sfiducia, senso di immoralità. Vengono alla luce componenti valutative “organiche”, psicologiche (dissonanza tra innaturalità biologica e armonia interna) e valutazioni sociali e culturali, sino alle responsabilità per il benessere dell’umanità: a cosa contribuisco con questo acquisto? Che valori supporto?  

La scelta smette di aver a che fare unicamente con il prodotto come “cibo” ma assume una connotazione densa di valenze culturali, etiche e sociali (cosa faccio mentre acquisto, chi finanzio, che distanza di valori c’è tra me e loro). Il percorso valutativo agisce indipendentemente dal valore economico del bene, e si correla altamente al valore simbolico assunto dall’atto d’acquisto. La consapevolezza di quali siano le reti semantiche “attive” nel cliente è un tema centrale dell’ascolto delle credenze. Ascoltare le credenze e convinzioni è fondamentale anche per capire cosa motiva le persone. Sia gente comune che grandi campioni formulano credenze, che si ripetono come paradigmi di verità, e nel corso del tempo diventano la loro realtà. 

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Articolo a cura della dott.ssa Ginevra Bighini, www.negoziazioneinterculturale.wordpress.com; mentoring a cura del dott. Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it

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L’articolo di oggi ruota attorno ad uno dei temi più discussi nel mondo del lavoro, ossia la comunicazione aziendale e la gestione delle risorse umane. 

Come imprenditori, c’è da chiedersi innanzitutto che valore attribuiamo ad entrambe, e quindi: 

  1. quanto contano per me le persone che lavorano nella mia azienda? 
  1. Considero utile la loro formazione? E quanto sono disposto ad investirci? 
  1. Quanto conta per me la comunicazione in azienda? La considero indispensabile per raggiungere il successo come impresa, oppure preferisco non sprecare ore preziose di lavoro per formarmi e formare i miei dipendenti alla comunicazione efficace? 

Ci sono molte altre domande che potrei aggiungere, ma se dovessi elencarle tutte, probabilmente al posto di un articolo produrrei un libro. 

È chiaro che, una volta che ci siamo posti le giuste domande, dobbiamo anche darci le giuste risposte. E proprio a questo punto sarei curiosa di leggere nel pensiero di ogni imprenditore che sta leggendo questo post, per creare una statistica reale della concezione che le aziende italiane hanno del capitale umano e del supporto consulenziale in marketing e comunicazione strategica. 

Potrei sbagliarmi, ma dalle precedenti esperienze lavorative mi sono accorta che, in Italia, la maggior parte delle aziende vede le persone come numeri sostituibili e i corsi di formazione come una spesa inutile.  

Il nostro compito, come consulenti, è quello di sfatare questo mito e di provare in tutti i modi a far aprire gli occhi delle aziende sul futuro del lavoro. 

Il futuro che io vedo, forse ancora nell’utopia della giovinezza, è un futuro dove le aziende valorizzano sé stesse attraverso la cura per il proprio personale, dove ogni dipendente viene posto al centro di ogni discussione, dove le persone riescono a bilanciare con serenità vita privata e lavorativa, ma soprattutto dove la comunicazione sia argomento fondamentale nella formazione di ogni lavoratore. 

Rendiamoci conto che, raggiungere obiettivi all’interno di qualsiasi società comporta il doversi relazionare con colleghi, clienti e fornitori: in altre parole con altri esseri umani che, come noi, hanno sogni, aspirazioni, valori e credenze specifici, con cui dobbiamo fare i conti ogni giorno quando interagiamo. 

Se l’interazione non è fluida si creano ostacoli, spesso insormontabili, al successo e si rischia il fallimento. Per questo motivo lavorare sulle proprie capacità comunicative, e soprattutto su quelle dei nostri dipendenti, è fondamentale per permettere alla propria società di diventare sempre più competitiva sul mercato. 

Saper comunicare bene giova sia al personale interno, che all’immagine stessa dell’azienda nei confronti di clienti e fornitori esterni con cui condurremo negoziazioni positive e svilupperemo rapporti di fiducia duraturi. 

Per concludere vorrei dire due parole a tutti quegli imprenditori che si sono soffermati a leggere queste poche righe: se davvero ci tenete al futuro della vostra impresa osservate il mondo che cambia, poiché se sta cambiando significa che l’essere umano ha raggiunto nuove consapevolezze e vuole vivere la propria vita privata e lavorativa in modo diverso. Le nuove generazioni si sono rese conto che per lavorare bene, bisogna essere felici e anche l’azienda è responsabile della loro felicità. Dipendenti felici significa maggiore produttività, che, unita ad una comunicazione strategica consapevole, può davvero fare la differenza nel mondo che verrà. 

Articolo a cura della dott.ssa Ginevra Bighini, www.negoziazioneinterculturale.wordpress.com; mentoring a cura del dott. Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it

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Tecniche di Negoziazione Avanzata basate sul metodo della Negoziazione Interculturale 4 Distances Model (Modello delle Quattro Distanze), pubblicate nei testi:

Tecniche di Negoziazione e Negoziazione Interculturale 4DM™

Il corso di Coaching 4DM™ viene erogato direttamente dall’autore del Modello di Coaching Interculturale e Negoziazione Interculturale 4DM™, dott. Daniele Trevisani, in modalità duale (incontri via web e incontri in presenza).

Alla base vi è lo studio del Modello 4DM™ e della sua letteratura e tecniche per il Coaching e in particolare per il Business Coaching Internazionale e il Coaching Interculturale

Coaching Interculturale ed Internazionale Modello delle 4 Distanze di Trevisani

Il modello lavora sulle differenze esistenti tra comunicatori, in particolare:

  1. distanze di ruolo
  2. distanze di codice comunicativo
  3. distanze ideologiche e valoriali
  4. distanze esperienziale

Tecniche di Negoziazione – I principi di base dal testo “Negoziazione Interculturale: Comunicazione Oltre le Barriere Culturali”. Franco Angeli editore, MilanoTecniche di negoziazione. la negoziazione interculturale di Daniele Trevisani, libro sulla negoziazione1.  Tecniche di Comunicazione. Localizzare le barriere comunicative, distanze psicologiche, incomprensione e disaccordo – modello T2V (Trevisani 2 Variabili)

1.1.    Tecniche di Negoziazione e Negoziazione Interculturale. Localizzare learriere linguistiche e barriere culturali

Una delle prime scoperte di chi si avventura al di fuori dei propri contesti culturali, è che le regole comportamentali funzionanti nella propria cultura si dimostrano fragili e poco produttive quando trasposte in un contesto estraneo.

Vediamo alcuni esempi brevi:

  • Nella tua casa: da un pò vorresti trattare con un tuo familiare un argomento, ma ogni volta che ci provi la persona sfugge. Cosa sta accadendo?
  • Nella tua nazione: un cliente vorrebbe acquistare (un progetto, un prodotto) ma tu sai che è l’acquisto è sottodimensionato, il problema che egli vorrebbe risolvere è grande e il budget non è sufficiente per dargli un risultato vero, come riesci a farlo capire?
  • Pechino. Ore 9,30, Hotel Sheraton. La delegazione dell’impresa cliente non è ancora arrivata, l’appuntamento era alle 9,15. Possiamo interpretarlo come una mossa tattica, o un reale ritardo? Volevano ritardare, o è successo qualcosa?
  • Mosca. Proponiamo alla controparte l’esclusiva del nostro prodotto sul territorio Sovietico, il benefit aggiuntivo della formazione del personale di tutta la loro rete vendita, ma la controparte si offende e chiude le trattative. Cosa è successo?
  • Buenos Aires. Le trattative per accedere agli appalti del ministero dell’industria sono interminabili, incomprensibili, oscure. Come comportarci?
  • Gerusalemme. Rappresentanti dei culti ebraico, cattolico e musulmano, ministri e rappresentanti politici si incontrano per negoziare una pace possibile, siete chiamati a condurre il dibattito, come evitare un conflitto?
  • Budapest. La direzione di stabilimento non riesce ad abbattere i difetti di produzione, ogni tentativo di intervenire in profondità è vano. Cosa fare?

In ogni situazione esemplificativa esposta, siamo di fronte alla problematica della negoziazione interculturale.

La capacità negoziale interculturale è nelle mani di chi è più abile nel gestire la comunicazione sul campo, applicando la consapevolezza culturale (power of awareness) in ogni singolo contatto.

Ma vediamo qualche altra situazione.

  • Bologna, inizi del terzo millennio: un bambino di nove anni non vuole più andare alla scuola di calcio che frequenta già da due anni, preferisce giocare con i propri amici nel campetto, e di scuola di calcio e campionato non vuole più sentire parlare. Perché?
  • Monaco di Baviera: un marito trentenne, libero professionista, litiga con la moglie (stessa età) perché lui vuole fare i figli solo quando avranno una solida base economica, mentre la moglie vuole farli presto. Cosa succede?
  • Casa tua: ti svegli alla mattina e sai di aver fatto un sogno che ti ha colpito ma non riesci a ricordare i particolari. Cosa è successo?
  • Nel tuo ufficio o azienda: con un collega non riesci a capirti da tempo, sembrate parlare due lingue diverse, più ti sforzi e più non vi capite, cominci ad essere veramente stanco della situazione. Cosa sta succedendo in realtà?

In tutti questi casi entra – a vari stadi – la dimensione interculturale.

Un denominatore comune accomuna tutti questi casi: le barriere linguistiche non sono nulla rispetto alla diversa visione del mondo che le persone portano con se, e alle diversità che esiste tra sè e gli altri, nonostante le apparenze.

Non vogliamo svelare o proporre soluzioni facili o immediate per tutti questi diversi casi (al massimo, possiamo proporre ipotesi), ma vogliamo dare solo un indizio sul caso che sicuramente risulta più strano e difficile da inquadrare come comunicazione interculturale: il ricordo di un sogno. Ebbene, come evidenziano diverse ricerche nel campo, anche il dialogo interno alla stessa persona (dialogo interiore) assume tratti del dialogo interculturale.

Quando diversi stati di coscienza hanno difficoltà a dialogare tra loro, es: lo stato razionale della veglia contro lo stato inconscio e subconscio del sonno, si produce incomunicabilità interna. Questi stati sono dominati da logiche estremamente diverse, e riescono a trovare momenti di comunanza solo in rare occasioni (come negli stati di confine, di dormiveglia, i momenti nei quali nessuno dei due riesce a dominare l’altro).

Persino a livello interiore, quindi, troviamo sintomi di una condizione di dialogo interculturale.

Esercitazione di confronto e ricerca di spiegazioni alternative

Tentare, in piccoli gruppi, di dare risposte ai quesiti posti dai casi sopra evidenziati. Cercare di evidenziare

  • le ipotesi alternative o spiegazioni alternative;
  • le diverse ipotesi sul campo;
  • ragionare sulle probabilità che le nostre spiegazioni siano realmente le cause dei fenomeni indagati;
  • ricercare le proprie rigidità valutative, le ipotesi che partono da stereotipi o credenze non verificate.

1.2.    Barriere alla comunicabilità, microdiversità linguistiche, macrodiversità, campi semantici

Abbiamo iniziato ad accennare, nel paragrafo precedente, al problema della diversa concezione del mondo prodotta dalla diversità culturale.

Ma i problemi non si fermano qui. Nella comunicazione interculturale troviamo infatti una ulteriore barriera, in genere molto più evidente: una lingua diversa, un linguaggio diverso, un codice di comunicazione non comune, dei sottocodici (dialetti, linguaggi professionali) sconosciuti.

È sufficiente sentir parlare tra di loro due astronomi o due fisici, mentre trattano un loro problema lavorativo, per sentirsi dopo pochi secondi completamente estranei, non riuscire a connettersi mentalmente con quanto essi stiano dicendo.

Anche in questo caso dobbiamo considerare un fenomeno importante: la diversità linguistica può essere evidente (macrodiversità: es., Cinese vs. Arabo), ma anche molto subdola e difficile da riconoscere, creando situazioni di microdiversità linguistica.

Esistono diversi linguaggi professionali all’interno della stessa lingua, e significati diversi applicati alle stesse parole.

Il problema della comunicazione non si limita alla traduzione tra lingue diverse, ma tocca anche il flusso di parole che intercorrono tra padre e figlio, cresciuti in due generazioni diverse, con modelli e linguaggi diversi, o tra dirigenti di diversi settori, i cui problemi e linguaggi divengono mondi separati.

Tradurre significa trasportare significati all’interno di altre lingue, ma anche, e soprattutto, consentire l’accesso ad un sistema di pensiero diverso.

Vediamo il seguente caso:

  • per gli Americani USA, “tomorrow” (domani, in italiano) significa dalla mezzanotte alla mezzanotte;
  • in Messico, “mañana” (sempre “domani” in italiano) significa “nel futuro”, ha senso posticipatorio generale, e non racchiude assolutamente un preciso arco di tempo.

Le due diverse concezioni non sono puramente linguistiche, ma si riferiscono ad una diversa percezione del tempo.

Un atto apparentemente banale, quale scrivere una data, può causare fraintendimenti e problemi, es: 05.02.2010 significa 5 febbraio 2010 in molti stati europei che adottano il formato di data giorno/mese/anno, ma significa 5 aprile 2010 negli USA e in altri sistemi che adottano per convenzione il formato mese/giorno/anno.

Quando due generazioni o due religioni dialogano tra di loro, il problema dell’interpretariato culturale si pone seriamente. Questo problema emerge anche nel dialogo tra due aziende, indipendentemente dalla lingua utilizzata.

Uno degli errori più naïve di chi affronta la dimensione interculturale è la presunzione che sia possibile tradurre i significati in modo esatto, trasponendo verbi e parole “come sono” e semplicemente portandoli nel linguaggio altrui.

La traduzione è in realtà un fenomeno molto più complesso. Ogni parola, ogni verbo, ha “campi semantici” (campi di significato) specifici e non traducibili esattamente nella lingua altrui. In alcuni casi, non esistono possibilità di traduzione – in molti casi, le parole e verbi non hanno alcuna corrispondenza esatta nelle culture e lingue altrui.

Vediamo un esempio. Una società italiana si appresta ad avviare una attività produttiva in Cina. È alla ricerca di consulenze in loco per formare i quadri sui temi della leadership orientata alla qualità, l’impegno sui valori aziendali (commitment), la buona comunicazione interna. È alla ricerca quindi di formatori in comunicazione. Ma come farà a descrivere il proprio bisogno, quando la categoria “formatori in comunicazione” non è linguisticamente consolidata nella lingua cinese? E siamo sicuri che – qualora esista un termine similare – l’immagine mentale che in Italia corrisponde al “formatore” sia la stessa nella mente del ricevente cinese? Pensare che le immagini mentali tra due soggetti possano combaciare perfettamente è una pura illusione.

Esistono problemi interculturali anche quando si parla di comunicazione tra sessi. Se solo riflettiamo su quanta diversità esista tra un uomo e una donna latini sul concetto di “avere una relazione”, o “fare l’amore”, e altri concetti simili, possiamo capire che la dimensione interculturale sia presente in ogni istante quotidiano.

Ma torniamo alla nostra dimensione italo-cinese. Di quale forma di comunicazione stiamo parlando? In Cinese esistono almeno due termini (ideogrammi) per descrivere la “comunicazione”, ed almeno tre parole che possono vagamente avvicinarsi al senso del termine “formatore”. Siamo certi di poter tradurre correttamente o che il traduttore lo faccia?

Vediamo nella seguente tabella comparativa alcuni di questi significati.

Fig. 13 – Tabella comparativa di significati

Termini

 

Ideogrammi

 

Ping Yin

 

Significati

 

comunicazione

 

沟通

 

gou tong

 

capirsi bene tra le parti

 

comunicazione

 

传播

 

chuan bo

 

farsi capire e diffondere le proprie idee

 

trainer

 

训练员

 

xun lian yuan

 

chi aiuta a fare esercizi

 

coach

 

培训

 

pei xun

 

una guida della crescita che cura sia aspetto dell’abilità che la motivazione

 

maestro – mentor

 

导师

 

dao shi

 

guida spirituale – chi illumina la via – chi ti assiste nella crescita (es: mentore di studio, guida religiosa, maestro)

Anche lingue molto simili (italiano e spagnolo) possono dare origine a problemi di traduzione, a volte proprio per la similarità del sound o della parola.

La parola “imbarazzata” in italiano ha un significato (all’incirca, essere a disagio), mentre in spagnolo la parola “embarazada” significa essere incinta. La stessa similarità nella radice della parola genera problemi nel parlante americano che si rapporta ad un parlante spagnolo dicendo “I am embarrassed” (sono imbarazzato), che può essere decodificato come “sono incinto”.

Il problema interculturale non parte solo dalla distanza chilometrica, ma può prodursi nel raggio di pochi metri.

Ogni dialetto è pieno di parole che non possono essere tradotte nella lingua ufficiale. Ad esempio, il dialetto ferrarese – come ogni dialetto – utilizza termini che non possono essere tradotti in modo letterale nella lingua italiana:

Tab. 2 – Alcune corrispondenze e problematiche di intraducibilità esatta da dialetto (ferrarese) a lingua italiana

Termine Spiegazione approssimativa Traduzioni possibili in italiano Problemi di semantica
Cioccapiatt

 

Qualcuno che “ciocca i piatti”, che fa sbattere dei piatti

Il cioccapiatt evidenzia la persona che fa molto rumore ma non produce concretezza, qualcuno che parla tanto ma non fa, ma anche qualcuno che sostiene di aver fatto o di fare, ma poi non lo farà.

Chiacchierone, millantatore Chiacchierone non contiene la dimensione semantica della furtività, del millantare, che “cioccapiatt” invece possiede

Millantatore è connotato molto negativamente in italiano, ma il “cioccapiatt” in ferrarese è solo vagamente offensivo, spesso è un termine scherzoso.

Puffarol Qualcuno che “fa dei puff”. I Puff sono truffe, fughe, promesse non mantenute Truffatore, “bidonatore” Il puffarol fa truffe, si, ma non grafi, può realizzare al massimo pochi danni
Trabascan Persona losca, qualcuno che ha “giri loschi” Truffatore, losco Il Trabascan è molto più negativo del Puffarol, può essere anche malavitoso, mentre il Puffarol in genere non fa gravi danni, ma si limita a “tirare bidoni”
Esercitazioni sulle intraducibilità

Esercizio: ricercare parole all’interno dei propri dialetti (se conosciuti), che possano essere di difficile traduzione nella lingua italiana. Valutare i problemi e difficoltà di una traduzione precisa, sull’esempio della tabella sopra riportata.

Esercizio: ricercare parole all’interno della propria lingua che possano essere di difficile traduzione in un’altra lingua conosciuta. Valutare i problemi e difficoltà di una traduzione linguistica precisa, e le alternative per trasferire comunque efficacemente il significato.

Esercizio: ricercare termini tecnici all’interno della propria professione, selezionando soprattutto i termini che andrebbero spiegati ai nuovi clienti, e i termini che non possiamo dare per scontati o tradurre semplicisticamente in un linguaggio diverso. Selezionare soprattutto i termini che richiedono opera di “acculturazione” del cliente.

1.2.1.      Distanze psicologiche e comunicative

Il metodo T2V sviluppato dall’autore affronta il problema delle “distanze” che separano i comunicatori – distanze psicologiche e comunicative, non certo fisiche – e da come queste possano o meno essere superate.

Sentire la “distanza” tra persone è un fatto comune, quotidiano. Sentirsi lontani anche quando si è vicini fisicamente, cercare un contatto e non trovarlo, non capire le mosse di avvicinamento altrui, i desideri di un rapporto più profondo, o i segnali che gli altri ci lanciano. È un aspetto comune della vita.

Possiamo però, ed è questo il gioco interessante – cercare di ridurre queste distanze, se e quando lo desideriamo interiormente – nel caso delle amicizie e rapporti intimi.

In questi casi, o quando sia importante in termini di business, è possibile mettere in atto dei dispositivi che ci permettano di cercare l’avvicinamento, ridurre la distanza e allontanare l’incomprensione.

Tra i principali errori della comunicazione vi è quello di illudersi che le persone siano tutto sommato simili in termini di opinioni, linguaggi, atteggiamenti, valori di fondo, visioni del mondo.

Questa presunzione porta a considerare la trasmissione di un’idea o concetto che noi consideriamo ovvio e semplice, un fatto quasi “automatico”, mentre nella realtà le cose non stanno così.

Una ulteriore illusione è che la comunicazione interculturale richieda poco sforzo o impegno. Alcuni pensano di risolvere i rapporti con mogli, mariti figli, colleghi, parlando ad un cellulare per pochi minuti. Fossero anche ore, la qualità comunicativa rimarrà comunque inadatta al problema.

La vera negoziazione interculturale richiede tempo, impegno, dedizione, contatti interpersonali e ampio “lavoro di rapporto” che non si conclude con un email o una telefonata. Se vogliamo essere efficaci sul piano interculturale dobbiamo utilizzare i tempi adeguati e i mezzi di contatto adeguati.

Esercitazione di analisi di critical incidents personali

I critical incidents (casi critici, positivi o negativi) sono di estremo aiuto per scoprire alcuni meccanismi di relazione che non funzionano, o comportamenti e atteggiamenti che creano difficoltà nei rapporti e nelle negoziazioni.

Analizzare alcuni critical incidents personali di relazione (eventi critici, positivi o negativi), in cui possiamo valutare che non sia stato dedicato il tempo sufficiente a lavorare sul rapporto, a chiarire le diversità, o non siano stati utilizzati i mezzi di contatto più efficaci, da parte nostra o dagli altri.

Evidenziare:

  • tempi (quando);
  • persone coinvolte (chi);
  • motivi della criticità (perché);
  • possibili linee d’azione alternative da adottare in casi simili.

1.3.    Differenze tra emittenti e riceventi dei messaggi

Una delle principali aree della comunicazione interculturale è lo studio delle differenze tra emittente e ricevente del messaggio. In cosa “io” e “tu” siamo diversi? Nei rapporti tra aziende, dove sono le diversità tra “noi” e “voi”?

Nel nostro metodo utilizzeremo due variabili primarie che costituiscono differenze tra comunicatori – due principali differenze culturali, (1) il codice di comunicazione e (2) la visione del mondo (World-View).

L’unione delle due variabili ci permetterà di sviluppare una matrice di situazioni o stati della comunicazione (COMSITS).

Dall’analisi della matrice, proporremo alcune considerazioni sui limiti della comunicazione. In particolare, le implicazioni riguardano:

  • (1) l’aspetto tecnico della qualità comunicativa, cioè, l’esattezza o accuratezza dello scambio di informazioni tra persone di culture diverse (understanding), e
  • (2) il risultato della comunicazione in termini di accordo (agreement) sui contenuti e sulle visioni espresse fra i comunicatori.

Il modello bidimensionale sarà ulteriormente sviluppato in una prossima pubblicazione tramite l’introduzione del modello a quattro variabili (T4V).

1.4.    Tecniche di Negoziazione. Identificare Codice comunicativo e linee di pensiero: un modello bidimensionale

La cultura è considerata in questo metodo come un insieme di modelli di pensiero, categorizzazione, comportamento e comunicazione, che vengono sia appresi (durante la crescita dell’individuo) che ereditati (frutto del codice genetico comportamentale). Questi modelli influenzano la percezione del mondo, la comunicazione ed il comportamento.

Inoltre, seguendo la prospettiva teorica di Watzlawick ed altri, si considera la comunicazione come processo che accade sia intenzionalmente che involontariamente, in qualunque momento il comportamento si presenta in presenza di altri.

1.4.1.      Prima componente: il codice di comunicazione

In una prospettiva semiotica, l’ unità fondamentale di analisi ed il primo componente della comunicazione percepito durante l’ interazione è il segno, la più vasta categoria inclusiva di entità di significato.

I segni sono ciò che emettiamo, e costituiscono il comportamento comunicativo esterno percepito da un ricevente o osservatore.

Sono quindi segni i comportamenti verbali, i comportamenti non-verbali (immaginiamo ad esempio la postura corporea che assumiamo di fronte ad un interlocutore, e i suoi significati non detti), la comunicazione scritta, i simboli, le immagini che utilizziamo per comunicare.

I segni (usati per comunicare) ed il significato della comunicazione, sono collegati da un codice di comunicazione, che a sua volta si compone di sottocodici.

Un codice di comunicazione quindi è inteso come sistema di regole impiegate per collegare le espressioni (qualsiasi segno usato per comunicare, sia verbale che non verbale) ai significati sottostanti.

La consapevolezza dei codici multipli della comunicazione è essenziale per la qualità comunicativa.

Ogni comunicatore/negoziatore consapevole sa che il proprio corpo emette segnali in continuazione, e che questi segnali possono essere incongruenti o congruenti con i segnali verbali (parole o frasi dette).

Possiamo dire – a parole – di essere sereni, ma trasmettere con il corpo la sensazione di essere tesi e nervosi, e i nostri interlocutori se ne accorgeranno.. Possiamo esprimere verbalmente piacere e trasmettere inconsciamente repulsione.

Il problema dei codici comunicativi è soprattutto un problema di stile comunicativo, che richiede la scelta del tipo di linguaggio da utilizzare. Quale stile, quale linguaggio utilizziamo per esprimere il messaggio?

Ricorriamo ad una metafora sugli stili della comunicazione sessuale:

…attualmente conosciamo quattro diversi linguaggi nella sessualità, ciascuno dei quali dà un’impronta completamente diversa alla stessa situazione. Per esempio, se vuole essere penetrata, una donna può chiedere:

  • «Introduci il pene nella vagina» (linguaggio tecnico)
  • «Vorrei sentirti dentro di me, per vedere le stelle» (linguaggio romantico)
  • «Scopami e fammi godere» (linguaggio pornografico)
  • «Con il bastone di giada apri il mio fiore di loto» (linguaggio poetico)[1]

Ogni negoziatore, ogni comunicatore, consapevolmente o meno, utilizza uno stile linguistico.

Lo stile si nota in ogni fase del discorso e della conversazione, in ogni comunicazione scritta e persino nei supporti fisici (materiali, oggetti).

Un negoziatore può aprire la conversazione con un interlocutore di business affermando:

  • «Siamo qui per valutare come sia possibile costruire un progetto assieme» (linguaggio cooperativo);
  • «È necessario valutare la feasibility e l’eventuale break-even point di una nostra joint-venture» (linguaggio managerialese anglofono);
  • «Ok, siamo qui, adesso tagliamo corto, ditemi le vostre condizioni e sbrighiamoci, non ho tempo da perdere» (linguaggio aggressivo);
  • «Cerchiamo di esplorare i nostri orizzonti comuni e vedere se tra noi può sorgere un alba, spero non un tramonto » (linguaggio poetico-ironico).

La consapevolezza dei codici e degli stili utilizzati è indispensabile, poiché codici e stili possono essere antitetici o simili, funzionali o disfunzionali rispetto agli obiettivi.

1.4.1.1.   Tecniche di Negoziazione e Interculturalità nascosta in azienda: la negoziazione tra culture professionali diverse

Ogni sessione di comunicazione amministrativa può essere distrutta dall’utilizzo di stili disfunzionali e gerghi, parole, atteggiamenti non adeguati.

Nel caso che esponiamo di seguito, possiamo notare come due culture aziendali possano collidere quanto una (o entrambe) non si preoccupano

1 – di tener conto della comprensibilità del proprio linguaggio, dei termini utilizzati, di spiegare i termini che permettono la comprensione del discorso (capacità di metacomunicazione terminologica);

2 – della precisione del linguaggio.

1.4.1.2.   Esempio di riconoscimento e modulazione dei sotto-linguaggi in una negoziazione di vendita. Come le scelte di stile comunicativo aumentano le distanze negoziali

In una riunione di lavoro tra una azienda informatica e una azienda meccanica, il conduttore (titolare dell’azienda informatica) utilizza prevalentemente due repertori e connesse strategie comunicative:

  • l’utilizzo di un repertorio denso di terminologie anglofone anche ove non sia necessario (managerialese anglofono);
  • il condimento delle terminologie con frasi che oscurano il significato e creano penombra connotativa (fumosità dei significati), con funzione di “ammorbidimento” dell’immagine e carico di lavoro che l’adozione del programma prevede (stile diminutivo).

Tab. 3 – Elementi di repertorio, stile managerialese-diminutivo (A)

Repertorio utilizzato per la componente “managerialese anglofona” Repertorio per lo “Stile diminutivo”
Fare un forecast

È un utente di staff

Ho visto l’account

Prendi la Function Description

Se vuoi contattare il trader

Dobbiamo rivolgerci al target setter

Vuoi fare un tracking

Se va in overdue

Abbiamo una visit

Dobbiamo dare una reason

Lavoriamo sul field

Fai un pricing

Prendo una sales call

Al front-end

Al back-end

Faccio la query

È un activity report

Fate una survey

Qualcosina di più friendly

Il Repository

Per attivare il click-stream analysis serve il BW

Mi sembra che siano clienti soddisfatti

Bisogna pensarci un attimino

Facciamo un giro molto rapido

La versioncina per il palmare

Un pochino come su internet

Un piccolo grafico

Stiamo vedendo un pochino l’applicazione concreta

Vediamo un attimino se è possibile

Facciamo una piccola verifica poi vediamo

Penso si possa fare

In quattro ore di riunione, possiamo assistere alla Collisione degli stati conversazionali, nella quale un team (team di vendita) utilizza il repertorio A (“manageriale informatichese anglofono diminutivo”), mentre il team d’acquisto utilizza un repertorio simile a quello seguente:

Tab. 4 – Elementi dello stile pragmatico-concreto

Repertorio terminologico (parole) Domande pragmatiche
  • Il mercato
  • I clienti
  • Il personale interno
  • Il carico di lavoro
  • La facilità di apprendimento
  • L’integrazione con i programmi esistenti
  • Ore
  • Giorni
  • Costo licenze
  • Limitazioni di utilizzo
  • Competenze

 

Su questo progetto, chi fa cosa nella nostra azienda e chi fa cosa nella vostra azienda?

Possiamo usare il programma che stiamo giù utilizzando per produrre il sito web o dobbiamo passare ad un altro programma? Dobbiamo cambiare il programma?

Possiamo continuare a utilizzare i Macintosh o dobbiamo passare a Windows?

Quali sono le competenze interne all’azienda, necessarie per far funzionare il sistema giorno dopo giorno?

Chi deve saper fare che cosa? Quanto può durare un corso di addestramento? Chi vi dovrebbe partecipare?

Se voglio modificare una schermata di inserimento dati, posso farla dall’interno o dobbiamo fare una richiesta a voi?

Quante giornate serviranno per l’avvio e per la messa a sistema del programma?

Possiamo visitare di persona un’azienda che abbia già adottato questo sistema?

Serve una licenza?

Esercitazione sugli stili di riunione

Riprodurre tramite role-playing l’andamento di una possibile riunione tra team A (team di vendita “managerialese-diminutivo” composto da titolare e da spalla) e team B (team d’acquisto “concreto-pragmatico” composto da titolare e da spalla)

Il conduttore dovrà ricercare tra i partecipanti i soggetti che possano conoscere un vocabolario informatico atto a interpretare lo stile.

1.4.2.      Seconda componente: la visione del mondo (World-View)

Un secondo componente della cultura preso in considerazione nel modello 2V è “World-View” – la “visione del mondo”

La visione del mondo è considerata negli studi antropologici come un insieme di credenze, valori e atteggiamenti, impiegati dagli attori sociali per interpretare e categorizzare la realtà, dando significato agli eventi, stabilire rapporti tra di essi e guidare il comportamento.

La visione del mondo è un concetto talmente personale da essere difficilmente classificabile in schemi rigidi, tuttavia le esigenze (o tentativi) di fornire classificazioni hanno condotto alcuni scienziati sociali a produrre delle categorie attraverso le quali leggere le culture. Tra questi, esponiamo la classificazione di Hofstede[2], tra le più usate in letteratura.

[1] Zadra, Elmar, & Zadra, Michaela (2004). Tantra per due. Milano, Mondadori, p. 215

[2] Hofstede, Geert. (1991). Cultures and Organizations. Software of the Mind, London, McGraw-Hill. Hofstede, Geert (1983). The Cultural Relativity of Organizational Practices and Theories. In: Journal of International Business Studies, Fall.

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