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La riformulazione è una tecnica di ascolto attivo che permette di rielaborare il contenuto di un messaggio.

Per la precisione si tratta di un gruppo di tecniche che consistono in interventi che non interpretano mai le parole dette dall’interlocutore.

In pratica l’ascoltatore rimanda all’interlocutore dei segnali che, come veri e propri specchi, riflettono ciò che egli ha appena detto, senza alterare la costruzione del discorso o la situazione psicologica in cui esso avviene.

La riformulazione

Cosa esprime la riformulazione:

  • la capacità di ascolto e accoglienza;
  • la capacità di focalizzarsi sull’interlocutore;
  • il rispetto completo per il suo vissuto;
  • la capacità di facilitare la sua libera comunicazione.

Le tecniche di rispecchiamento sono strumenti di rinforzo del sé dell’altro. Hanno infatti il potere di creare un clima socio-affettivo caloroso e rassicurante. Tale clima consente alla persona che sta parlando di ricevere continui feedback che lo inducono a riflettere su di sé, sulle affermazioni ed i pensieri espressi. L’interlocutore si sente realmente ascoltato ed accettato. [1]

MECCANISMI DI ASCOLTO ATTIVO PER ACCERTARSI CHE LA COMPRENSIONE SIA CORRETTA

1.Riformulazione: riformulo quanto ho capito e lascio che l’interlocutore mi corregga su quello che diverge

2.Sintesi e recap: Ricapitolo quanto ho capito in sintesi e chiedo se è corretto.

3.Riverbero o eco: una riformulazione più ampia che prende intere categorie, tra queste:

  • Riverbero dei dati: fare la somma di tutti i dati sentiti,
  • Riverbero emotivo: fare la somma di tutte le emozioni percepite e a cosa sono associate
  • Riverbero della mappa di credenze: fare la somma di tutte le credenze percepite, che restituisce il “modo di vedere le cose” della persona.[2]

[1] https://brescia.unicusano.it/universita/tecniche-di-ascolto-attivo/

[2]  TrevisaniD. Ascolto attivo ed empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Franco Angeli, Milano, 2019

Temi e Keywords dell’articolo:

  • Riformulazione
  • Ascolto attivo
  • Tecniche di ascolto attivo
  • Tecniche di rispecchiamento
  • Capacità di ascolto
  • Capacità di focalizzazione
  • Feedback
  • Ascolto
  • Accettazione
  • Sintesi
  • Recap
  • Riverbero
  • Riverbero dei dati
  • Riverbero emotivo
  • Riverbero della mappa di credenze

Ascolto attivo ed empatia, testo sulla comunicazione empatica, formazione per l’ascolto e l’empatia, estratto dal volume

Ascolto attivo ed empatia: I segreti di una comunicazione efficaceascolto attivo ed empatia libro di daniele trevisani edito da franco angeli milano

Libro edito da Franco Angeli, di Daniele Trevisani, articolo estratto dal libro, con integrazioni da voci Wikipedia

Ascolto attivo, empatia e leadership conversazionale

La gente non ascolta, aspetta solo il suo turno per parlare.
(Chuck Palahniuk)

Quando si parla di ascolto efficace, si intendono essenzialmente due cose: 1) l’ascolto è stato utile a raccogliere informazioni e comprendere meglio lo stato delle cose, dei fatti, e delle persone; 2) l’ascolto è stato un momento di relazione piacevole, accogliente, in cui si è riusciti a fare da contenitore emotivo alla persona.

Quando queste due situazioni accadono, siamo di fronte ad un ascolto efficace. Direi abbastanza raro. Nella vita la materia più rara e preziosa non è l’oro, è qualcuno che ti capisca.

Alcune domande possono esserci utili:

  • Hai mai avuto la sensazione che una persona non ti stia ascoltando?
  • Che voglia non ascoltarti, o che non ci riesca proprio?
  • Oppure hai mai percepito che mentre parlate, l’altra persona stia dicendo le cose a metà, non dica tutto, trattenga qualcosa? Per volontà, a volte, o per incapacità, o per paura, chissà?
  • Hai mai avuto la vaga impressione che la persona con cui parli stia cercando di proiettare di sè un’immagine magari poco veritiera, praticando qualche forma di “Impressions Management”[1] (letteralmente “Gestione dell’Impressione”, creare di sè un’immagine artificiosa)?
  • Ti è mai capitata l’intenzione di parlare con qualcuno per approfondire un certo tema o situazione, mentre invece la persona continua a sfuggire, scappare, evitare?
  • Hai mai sentito la presenza di un “nucleo” dietro al parlare di una persona, del contenuto – idee, opinioni, progetti – che si osserva solo in trasparenza, ma non emerge, per quanti sforzi la persona faccia per spiegarsi?

Se ti sei trovato anche solo in una di queste situazioni, hai praticato un “ascolto oltre le parole”, una “percezione aumentata” e ti sei avvicinato o avvicinata ai temi dell’ascolto attivo e dell’empatia.

Tra l’altro, se c’erano interessi in gioco, hai toccato con mano quanto possa essere importante la Leadership Conversazionale e la capacità di dirigere gli andamenti di una conversazione.

Ascolto attivo ed empatia, anche in azienda

Nelle aziende sapersi ascoltare vale oro. L’ascolto attivo e l’empatia aumentano la produttività manageriale e hanno ripercussioni sul capitale psicologico d’impresa (PsyCap). Hai anche visto, nella tua vita, quanto sia raro l’ascolto attivo, e che essere ascoltati è abbastanza raro, rispetto alla vita normale dove tutto corre e nessuno ha mai il tempo per nulla.

Bene, piuttosto che recriminare gli altri per ciò che fanno o non fanno, questo libro vuole offrire strumenti per chi vuole migliorare il proprio ascolto, per lavoro o nella vita di tutti i giorni, per praticare un ascolto di qualità, un ascolto attivo, e un ascolto empatico.

Lo spirito delle parole di Virgilio, il suo invito a cercare sempre di capire, è il fondamento che scorre lungo tutto questo volume. È il valore di fondo che ci ispira a praticare un ascolto attivo.

Si può essere stanchi di tutto, ma non di capire.

 (Virgilio)

L’ascolto attivo è percezione, e percepire per noi è normale, fisiologico, ma non lo facciamo spesso davvero attivamente, molto spesso il nostro ascolto è passivo, non acuto, non come dovrebbe essere.

Lo hai fatto centinaia e migliaia di volte, anche solo osservando le persone nel come sono vestite o come camminano. Inevitabilmente. Lo hai fatto, che volessi o meno. Il problema è che la percezione è diventata superficiale, molto superficiale, e l’ascolto altrettanto. E questo è un peccato, perché una percezione acuta, è una via privilegiata verso la verità.

La leadership conversazionale è la capacità di ridare forza all’ascolto, dirigere la conversazione sui temi che ci interessano, o sui formati che vogliamo strategicamente attivare (e l’ascolto, è uno di questi).

Perché serve leadership per poter ascoltare? Perché la leadership è un atto volontario, e in questo volume trattiamo proprio l’ascolto come atto volontario, deciso da chi ascolta, non come un atto casuale che può capitare a chiunque senza prestarvi attenzione.

Gli esseri umani sono dotati di capacità di ascolto, naturali, utilizzano l’udito per capire suoni e parole, perché questo è vitale per la loro sopravvivenza. Se non sapessimo ascoltare, né i suoni, né le intenzioni (es, aggressive, ostili, o amichevoli), ci saremmo già estinti.

Si dice spesso che occorre il coraggio di alzarsi in piedi e parlare, dire la propria. Beh, molto spesso serve anche il coraggio di portare la mente li, dove siamo ora, per ascoltare e guardare dentro all’anima e alla mente di una persona.

Esiste coraggio anche nell’ascoltare.

Il coraggio è quello che ci vuole per alzarsi e parlare; il coraggio è anche quello che ci vuole per sedersi ed ascoltare.
(Sir Winston Churchill)

Ascolto attivo, empatia ed emozioni. Ascoltare le Emozioni

Emozioni e comunicazione sono fortemente correlate.

Quando comunichiamo, oltre ai dati verbali (oggetti, soggetti, verbi, aggettivi e altri elementi del discorso) possiamo sempre notare un sottofondo emotivo (la parte esterna della ruota di Plutchick sotto presentata). A volte questo sottofondo si fa più intenso, e quasi arriviamo a “sentire” o “percepire” più lo sfondo emotivo delle stesse parole (area delle emozioni intermedie). Quando si entra nelle emozioni estreme, quelle intense, rappresentate al centro, le parole diventano quasi inutili, perché veniamo inondati dall’emozione che ci arriva dall’altro, e questa finisce per sopraffare qualsiasi contenuto.

Il “solido di Plutchik” o “Ruota delle Emozioni di Plutchik”[2] rappresenta una delle migliori visualizzazioni su come funzionano le emozioni.

Dobbiamo tenere a mente che anche noi siamo soggetti comunicatori, per cui quanto sopra evidenziato, vale anche per quando siamo noi a parlare.

Figura 1 – Ruota degli stati emotivi (Plutchik)

Emozioni Plutchick Ascoltare le emozioni ascolto attivo ed ascolto empatico

(grafica adattata dal modello originale, con riferimento in bibliografia, Plutchik 1980)

Inevitabilmente, in uno scambio comunicativo, abbiamo sempre un sottostante scambio di emozioni.

Alcune persone sono bravissime e rapidissime nel cogliere le proprie emozioni interne, dirigerle, dominarle, farne l’uso che vogliono. Ad esempio, parlare in pubblico davanti a migliaia di persone senza provare il minimo di ansia.

Altre persone invece sono vittime delle emozioni, possono diventare vittime di un amore cieco e sordo ad ogni diniego, e perseverare nell’amare una persona che non le ama, o non ha nemmeno mai dato segni di amore. Possono provare paura persino del pensiero di parlare in pubblico, e temerlo come il peggiore dei veleni. L’ascolto attivo richiede un’animo disponibile all’altro.

Ogni situazione comunicativa (COMSIT) può avere specifici significati e sottofondi emotivi. Le COMSIT sono specifici frames o momenti comunicativi che possono essere distinti gli uni dagli altri, come il dialogo tra amici, o il litigio, o il dare spiegazioni stradali, e mille altre possibilità date dalla vita di relazione. In ciascuna COMSIT, si presentano gradi diversi di incomunicabilità e diversi tipi di emozioni.[3]

Ma allora cosa fare. La strada, l’unica vera strada, è “allenarsi alle emozioni”. E detta così sembra come “allenarsi a vivere”, qualcosa di intangibile. Ed è proprio quell’allenare l’intangibile che fa dell’”allenamento alle emozioni” un esercizio di grande intelligenza emotiva. E una raffinata palestra di Coaching Esperienziale, per chi progetta esercizi di formazione attiva sulle emozioni.

Si tratta di fronteggiare le emozioni in un “laboratorio emotivo” dove queste possano essere sperimentate e poi “sbobinate” con il supporto di un formatore, coach, Counselor o psicologo, in funzione del tipo di intervento.

Quando si lavora su gruppi aziendali e non su situazioni di patologia clinica, certamente la figura del formatore e del Counselor possono essere il riferimento. Questi “laboratori sulle emozioni” devono essere formulati ingegneristicamente, possono utilizzare video, immagini, lettere, dialoghi a tema, ed ogni tipo di esercizio che coinvolga le emozioni.

Come ci dice Howell[4] parlando delle nostre “incompetenze emotive inconsapevoli”, all’inizio troveremo il tutto un pò stupido o saremo “imbranati”, ma poi “scaleremo” questa vetta, passo dopo passo, sino a giungere ad una forte competenza emotiva. Questo vale anche per l’ascolto attivo e l’empatia.

E del resto, questa è necessaria tanto più è elevata la posizione di carriera. Si pensi alle necessità di equilibrio emotivo di un Giudice, o di un Chirurgo, o di un operatore delle Forze dell’Ordine, o in situazioni specifiche come tirare un rigore, o in sport difficili ed estremi dove le emozioni sono tutto, o quasi tutto.

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[1] Schlenker, Barry R. (1980). Impression Management: The Self-Concept, Social Identity, and Interpersonal Relations. Monterey, California: Brooks/Cole.

[2] Plutchik, Robert (1980), Emotion: Theory, research, and experience: Vol. 1. Theories of emotion, 1, New York: Academic

Plutchik, Robert (2002), Emotions and Life: Perspectives from Psychology, Biology, and Evolution, Washington, DC: American Psychological Association

Plutchik, Robert; R. Conte., Hope (1997), Circumplex Models of Personality and Emotions, Washington, DC: American Psychological Association

[3] Trevisani, Daniele (1992). A Semiotic Models Approach to the Analysis of International/Intercultural Communication; published in “Proceedings of the International and Intercultural Communication Conference”, University of Miami, FL., USA, 19 – 21 May 1992.

[4] Howell, William S. (1982). The empathic communicator. University of Minnesota: Wadsworth Publishing Company

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Approfondimenti di ascolto attivo ed empatia da Wikipedia

L’ascolto è l’atto dell’ascoltare. È l’arte dello stare a sentire attentamente, del prestare orecchio. Ascoltatore è chi ascolta; ascoltare la lezione, un oratore; ascoltare con interesse tutto ciò che il professore dice. Non trattasi di atto superficiale.

In psicologia ascolto è uno strumento dei nostri cinque sensi per apprendere, conoscere il tempo e lo spazio che ci circonda e comunicare con noi stessi e il mondo circostante. L’ascolto è un processo psicologico e fisico del nostro corpo per comunicare ai nostri neuroni, al cervello che li traduce in emozioni e nozioni

Etimologia

Dalla radice Auris “Orecchio”, latino parlato, Ascoltare è verbo transitivo. La parola ascolto nasce in italiano come derivato del verbo ascoltare, che proviene a sua volta dal latino “auscultare”, cioè sentire con l’orecchio. Il significato tradizionale del termine ascolto è appunto quello che indica in genere l’azione e il risultato dell’ascoltare ed è fortemente legato al concetto di attenzione.

Come noi ascoltiamo

Nell’ascolto attivo c’è la componente fisica, tra orecchio e neuroni di come noi assimiliamo stimoli acustici e la componente psicologica, che è l’apprendimento attraverso i cinque sensi.

Una delle cose che facciamo con l’ascolto è l’apprendimento del linguaggio. Due teorici come Burrhus Skinner e Orval Hobart Mowrer, ritengono che il nostro apprendimento si realizzi attraverso le interazioni con l’ambiente. Prima si apprendono le parole e più tardi si uniscono. Per fare questo si deve ascoltare attivamente con la vista e con l’udito. Per imparare la parola mamma, il bambino sente il suono mamma, per esempio “vieni dalla mamma”. Usando sempre questa frase, vede il movimento delle labbra e l’oggetto in quel caso la mamma. Lui non ha associato subito il significato di mamma, ma è stata la ripetizione degli eventi. Questo procedimento vale in generale. Sempre con l’ascolto il bambino piccolo dice la parola mamma, perché fa delle prove vocali. Per esempio dice: “aaaa” “ma ma ma”… Fa tanti versi il neonato, e attraverso l’ascolto e la ripetizione: capisce, impara a dire, prova emozione. L’ascolto attivo non è solo udito, ma tutto quello che noi riusciamo ad apprendere o assimilare attraverso i nostri sensi.

Usi della parola “ascolto”

La fortuna della parola ascolto è cresciuta a dismisura negli ultimi trent’anni. Fino a qualche decennio fa, infatti, la voce ascolto non si usava quasi mai autonomamente, ma serviva soprattutto per formare locuzioni con valore di avverbi come essere in ascoltorimanere in ascolto, o con valore verbale, come dare ascoltoprestare ascolto nel senso di fare attenzione. Al massimo, la funzione dell’ascoltatore poteva interessare i linguisti, i quali distinguono l’analisi del parlare, cioè della produzione dei testi di una lingua, da quella della loro comprensione.

Empatia

L’empatia è la capacità che va persino oltre l’ascolto attivo e include la capacità di comprendere appieno lo stato d’animo altrui, le sue emozioni, sia che si tratti di gioia, che di dolore. Il significato etimologico del termine è “sentire dentro[1], ad esempio “mettersi nei panni dell’altro“, ed è una capacità che fa parte dell’esperienza umana ed animale.

Il concetto in campo medico è sempre stato ritenuto di carattere esclusivamente psicologico fino a quando un’equipe dell’Università di Parma ha scoperto l’esistenza dei neuroni specchio presenti nel cervello dell’uomo ed altri animali, che funzionano da organo biologico di funzioni empatiche.

Origini del termine

La parola deriva dal greco antico “εμπάθεια” (empátheia), a sua volta composta da en-, “dentro”, e pathos, “sofferenza o sentimento”),[2] che veniva usata per indicare il rapporto emozionale di partecipazione che legava l’autore-cantore al suo pubblico.

Il termine empatia è stato coniato da Robert Vischer, studioso di arti figurative e di problematiche estetiche, alla fine dell’Ottocento. Tale termine nasce perciò all’interno di un contesto legato alla riflessione estetica, ove con empatia s’intende la capacità della fantasia umana di cogliere il valore simbolico della natura[3]. Vischer concepì questo termine come capacità di sentir dentro e di con-sentire[4], ossia di percepire la natura esterna, come interna, appartenente al nostro stesso corpo. Rappresenta quindi la capacità di proiettare i sentimenti da noi agli altri e alle cose, che percepiamo.

Il termine empatia verrà utilizzato da Theodor Lipps, il quale lo porrà al centro della sua concezione estetica e filosofica, considerandolo quale attitudine al sentirsi in armonia con l’altro, cogliendone i sentimenti, le emozioni e gli stati d’animo, e quindi in piena sintonia con ciò che egli stesso vive e sente.

Concetto

Il termine “empatia” è stato equiparato a quello tedesco Einfühlung,[5] coniato, quest’ultimo, dal filosofo Robert Vischer (1847-1933) e, solo più tardi, tradotto in inglese come empathy. Vischer ne ha anche definito per la prima volta il significato specifico di simpatia estetica. In pratica il sentimento, non altrimenti definibile, che si prova di fronte ad un’opera d’arte. Già suo padre Friedrich Theodor Vischer aveva usato il termine evocativo einfühlen per lo studio dell’architettura applicato secondo i principi dell’Idealismo.[6]

Nelle scienze umane, l’empatia designa un atteggiamento verso gli altri caratterizzato da un impegno di comprensione dell’altro, escludendo ogni attitudine affettiva personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale. Fondamentali, in questo contesto, sia gli studi pionieristici di Darwin sulle emozioni e sulla comunicazione mimica delle emozioni, sia gli studi recenti sui neuroni specchio scoperti da Giacomo Rizzolatti, che confermano che l’empatia non nasce da uno sforzo intellettuale, è bensì parte del corredo genetico della specie. Si vedano al proposito anche gli studi di Daniel Stern.

Nell’uso comune, empatia è l’attitudine a offrire la propria attenzione per un’altra persona, mettendo da parte le preoccupazioni e i pensieri personali. La qualità della relazione si basa sull’ascolto non valutativo e si concentra sulla comprensione dei sentimenti e bisogni fondamentali dell’altro.

Il contrario di ’empatia’ è ‘dispatia’ ovvero l’incapacità o il rifiuto di condividere i sentimenti o le sofferenze altrui[7]

In medicina l’empatia è considerata un elemento fondamentale della relazione di cura (ad esempio la relazione medico-paziente) e viene talvolta contrapposta alla simpatia: quest’ultima sarebbe un autentico sentimento doloroso, di sofferenza insieme (da syn- “insieme” e pathos “sofferenza o sentimento”) al paziente e sarebbe quindi un ostacolo ad un giudizio clinico efficace; al contrario l’empatia permetterebbe al curante di comprendere i sentimenti e le sofferenze del paziente, incorporandoli nella costruzione del rapporto di cura ma senza esserne sopraffatto (questo tipo di distinzione non è condiviso da tutti, vedi alla voce simpatia). Sono state anche messe a punto delle scale per la misurazione dell’empatia nella relazione di cura, come la Jefferson Scale of Physician Empathy. L’empatia nella relazione di cura è stata messa in relazione a migliori risultati terapeutici (outcome), migliore soddisfazione del paziente e a minori contenziosi medico-legali tra medici e pazienti.[8]

La nozione di empatia è stata oggetto di numerose riflessioni da parte di intellettuali come Edith SteinAntoine ChesìMax SchelerSigmund Freud o Carl Rogers.

Il merito dell’introduzione del principio di empatia in psicoanalisi è principalmente dovuto a Heinz Kohut[9]. Il suo principio è applicabile al metodo di raccolta del materiale inconscio[10]. Anche l’alternativa all’applicazione del principio rientra nelle possibilità di cura, quando è ineludibile la necessità di fare i conti con un altro principio, quello di realtà.

Per le sue origini l’empatia ha ragione di essere nell’arte e nelle sue applicazioni. In maniera particolare quando l’arte utilizza le parole per la narrazione. In questo caso non solo è mantenuto il rapporto con la psicologia, ma si ampliano le sue possibilità di intervento. Non tutti possono scolpire o dipingere, ma parlando se non scrivendo qualcosa lo possono raccontare molti. Allora la produzione si sviluppa nel verso artista-psicologo-individuo. Non sono escluse possibilità per i disabili, privilegiando la relazione artista-individuo con la mediazione più cauta dello psicologo. Quest’ultimo non può suggerire all’individuo un percorso di emulazione. Il che non impedisce che l’individuo disabile possa diventare artista a sua volta. A cambiare è la posizione dello psicologo che deve solo rendere possibile la fusione dei vissuti dell’artista con quelli dell’individuo. Di certo lo psicologo dovrebbe mantenere entro limiti accettabili la complessità dell’intervento. Senza che per questo il disabile o l’arte abbiano a soffrirne, anzi si potrebbe dire il contrario.

Il libro di Geoffrey Miller The mating mind difende il punto di vista secondo il quale

«l’empatia si sarebbe sviluppata perché mettersi nei panni dell’altro per sapere cosa pensa e come reagirebbe costituisce un importante fattore di sopravvivenza in un mondo in cui l’uomo è in continua competizione con gli altri uomini.»

L’autore spiega inoltre che la selezione naturale non ha potuto che rinforzarla, poiché influiva sulla sopravvivenza e che alla fine si è sviluppato un sentimento umano che attribuiva una personalità praticamente a tutto ciò che la circondava. Si vede in questo un’origine probabile dell’animismo e più tardi del panteismo.

L’empatia è anche il cuore del processo di comunicazione non violenta secondo Marshall Rosenberg, allievo di Carl Rogers.

Grande interesse è stato posto nella ricerca di corrispondenze biologiche per l’empatia[11]. Sono stati valutati allo scopo i cosiddetti “neuroni-specchio”, attraverso diagnostica per immagini del tipo fRMN[12]. Queste cellule si attivano sia quando un’azione viene effettuata da un individuo sia quando questo stesso individuo osserva la stessa azione effettuata da un altro individuo; questo fenomeno è stato in particolare osservato in alcuni primati[13] Analogamente negli uomini si attiva la medesima area cerebrale nel corso di un’emozione e osservando altre persone nel medesimo stato emozionale[14]. Vi sono altre segnalazioni analoghe[15], anche in psicopatologia[16].

Molti si aspettano dalla biologia una spiegazione definitiva di questa materia. Creature differenti sembrano possedere lo stesso numero di geni. Il genere umano è tuttavia peculiare nel mondo vivente. Sappiamo che la funzione del RNA non consiste solo nella produzione di proteine sotto la guida del DNA. L’RNA ha proprietà di regolazione e programmazione su crescita e funzione cellulare. Il complicato meccanismo d’azione non è del tutto noto e potrebbe spiegare la differente complessità degli esseri viventi. Al riguardo l’impressione è che la biologia sia ancora priva di conoscenze complete.[17] L’empatia in questione coinvolge troppo ampiamente sviluppo e funzione psichica perché questo orientamento di ricerca trovi una conferma in esclusiva. Alternativamente si può fare conto su conoscenze disponibili in altre discipline.

Distinzione tra empatia positiva ed empatia negativa

Con empatia positiva si intende la capacità del soggetto di partecipare pienamente alla gioia altrui; si tratta di un con-gioire e di un saper perciò cogliere la gioia altrui, avendo coscienza della felicità da lui provata. In questo senso l’empatia in termini positivi può essere collegata, in generale a simpatia. La gioia colta attraverso la simpatia è però diversa, rispetto al contenuto, dalla gioia colta tramite l’empatia. Nel primo caso, infatti sarà una gioia non-originaria e quindi meno intensa e durevole rispetto a colui che si presenta più prossimo a questa gioia; mentre nel secondo caso, la gioia colta tramite l’empatia sarà di tipo originario, in quanto il contenuto di ciò che viene provato empatizzando con l’altro avrà lo stesso contenuto, anche se solo un altro modo di datità[18].

Con empatia negativa si concepisce l’esperienza di colui che non riesce a empatizzare rispetto alla gioia altrui, trasferendo nel proprio vissuto originario le sue emozioni. Ciò accade in quanto qualcosa in lui si oppone; un’esperienza presente o passata o la stessa personalità della persona fungono, infatti, da barriera alla sua capacità di cogliere la gioia altrui. L’esempio potrebbe essere quello della perdita di una persona cara, che impedisce all’individuo di far emergere una simpatia verso la gioia dell’altro e quindi di condividerla. In questo caso, infatti, il triste evento e i sentimenti di altrettanto tipo che ne derivano fanno sorgere un conflitto, in quanto l’io si sente diviso tra due parti: vivere della gioia altrui o rimanere nella tristezza che quanto accaduto determina[18].

I diversi approcci

Approccio cognitivo e affettivo

Secondo un approccio prettamente affettivo, l’empatia sarebbe un evento di partecipazione/condivisione del vissuto emotivo dell’altro, seppure in modo vicario.

Psicoterapeuti, e psicoanalisti già dall’inizio del secolo scorso, avevano dato maggiore rilievo al ruolo che l’empatia gioca nelle relazioni interpersonali. In particolare, per chi per primo si è avventurato nello studio dell’empatia, inserendola nell’ambito della psicologia sociale, essa è imitazione spontanea di gesti e posture osservate negli altri, e quindi condivisione dei loro vissuti; d’altro canto per alcuni psicoanalisti, empatizzare significa provare quello che prova l’altro, dando motivo al soggetto di capire ciò che prova egli stesso. Secondo invece la natura di tipo cognitivo l’empatia è considerata la capacità di comprendere il punto di vista dell’altro. Per i cognitivisti, a partire dagli anni ’60, empatizzare con qualcuno significa comprendere i suoi pensieri, le sue intenzioni, riconoscere le sue emozioni in modo accurato e riuscire a vedere la situazione che sta vivendo dalla sua prospettiva[19], pur non negando che vi sia anche una piccola partecipazione dell’emotività che entra in gioco, ma considerandola come un epifenomeno cognitivo.

Dagli anni ’80, empatizzare significa provare un’esperienza di condivisione emotiva e di comprensione dell’esperienza dell’altro, dando quindi spazio ad una componente affettiva ed una cognitiva, in modo tale che esse possano coesistere nel processo empatico. Questa nuova idea di vedere il fenomeno, fa riferimento ai modelli multifattoriali (o multidimensionali) dell’empatia. Malgrado alcuni distinguano due tipi diversi di empatia (cognitiva e emozionale), come A. Mehrabian (1997), vi sono altri studiosi, come N.D. Feshbach, la quale considera l’empatia come un costrutto multicomponenziale. In essa vi è un incontro affettivo (affect match), in cui però si prova certezza nel fatto che ciò che si prova è ciò che prova anche l’altro (condivisione vicaria). Vi è quindi un’integrazione delle due componenti affettiva e cognitiva.

Approccio psicoanalitico

Secondo Nancy Mc Williams l’empatia è uno strumento non solo utile, ma necessario allo psicoanalista di professione per percepire ciò che il paziente prova dal punto di vista emotivo. Capita spesso infatti, che vi siano molti terapeuti che si lamentino di essere poco empatici nei confronti dei propri pazienti, ma in realtà questa loro insicurezza, paura e spesso ostilità verso la clientela, è provocata da affetti poco positivi, che scaturiscono proprio dal loro elevato livello di empatia, il quale permette di entrare talmente nello stato del paziente, da sentirne i sentimenti, a tal punto da confondere i propri con quelli degli altri. Gli affetti dei pazienti quindi, molte volte causano una sofferenza talmente grande allo stesso terapeuta, che a lui risulta difficile indurre negli stessi risposte di uguale intensità. Tutto ciò in realtà è molto positivo, perché in questo modo l’infelicità del paziente diventa percepita in maniera sincera e genuina. Non è quindi frutto di un meccanismo dettato dalla mera compassione professionale, ma tenendo conto dell’unicità della persona si entra autenticamente a far parte del suo vissuto emotivo.

Educazione

Genitori e attaccamento

Già M. L. Hoffman dà rilievo all’empatia, come qualcosa che compare nella consapevolezza del bambino fin dai primi anni di vita. Madre e padre dovrebbero imparare anch’essi ad essere soggetti empatici, soprattutto tramite la sensibilità e non la punizione. Dovrebbero quindi educare ai valori dell’altruismo, dell’apertura verso il prossimo, in modo tale che il figlio impari a capire e condividere il punto di vista degli altri.

In generale, secondo John Bowlby, esiste la cosiddetta teoria dell’attaccamento, per la quale il legame relazionale che si crea tra il bimbo e le figure adulte (caregivers), che si prendono cura di lui, è innato. Inoltre tale legame può essere spiegato ricorrendo alla teoria evoluzionistica, secondo la quale il piccolo può sopravvivere più facilmente se vicino ha qualcuno che lo protegge dai pericoli e gli è vicino nei momenti felici e in quelli di difficoltà.

Secondo J. ElickerM.Englund e L. A. Stroufe, le figure adulte di attaccamento, non solo favoriscono al bambino aspettative sociali positive, ma inoltre fa sì che si rinforzi l’autostima del bambino assieme all’immagine che egli ha di sé.

Ascolto attivo ed empatia nella scuola

Presupposto essenziale dell’educazione è la trasmissione di un messaggio dal contenuto relazionale-affettivo, perché solo con un clima positivo e di fiducia reciproca c’è un incremento dell’apprendimento negli allievi. Per questo l’insegnante stesso, per essere un buon insegnante deve ricorrere al raggiungimento di un buon livello di empatia con la sua classe.

Cooper ha voluto indagare quale sia il legame fra empatia-insegnante-alunni, e ha notato, che a livello morale, il livello di empatia dell’insegnante influenza enormemente la condivisione di affetti, sentimenti e conoscenze a livello interclasse. È insomma, egli stesso un esempio, una guida, una sorta di catalizzatore dell’apprendimento. L’importante per lui, è tenere conto individualmente di ciascun alunno, ma senza perdere di vista l’insieme, affinché questa sorta di partecipazione influisca anche sugli alunni più bravi, in modo che lo supportino nel suo obiettivo.

Fortuna e Tiberio (1999) hanno determinato dei criteri per stabilire quanto un insegnante sia più empatico di un altro. Nel caso sia più empatico, il docente è contraddistinto da una maggiore propensione a elogiare e premiare gli studenti che se lo meritano, più che a denigrare o svalutare coloro che non riescono a portare a termine un risultato. Inoltre sanno accogliere e guidare gli studenti che esprimono liberamente i propri sentimenti, incentivando le discussioni condivise in aula. Tali maestri non ricorrono all’atteggiamento autoritario, ma sono capaci di valorizzare i propri alunni, facendo emergere la loro creatività. Molto importante è il fatto che gli alunni che collaborano con insegnanti empatici abbiano un livello di autostima più alto e un concetto di sé sociale più positivo, senza contare che anche a livello sociale gli alunni si prestano molto più ad essere collaborativi, perché capiscono qual è il comportamento più rispettoso da tenere all’interno di un gruppo. L’empatia non è presente però in tutti gli insegnanti, essi stessi infatti ritengono che essa sia una sorta di caratteristica individuale più o meno esercitata nel tempo. Essa emerge soprattutto all’interno delle classi poco numerose. Condizione necessaria è che si instauri tra insegnante e alunni un rapporto di fiducia, positivo, cooperativo e volto all’ascolto reciproco.

Empatia nelle relazioni d’amore

L’empatia è un fattore fondamentale nelle relazioni di coppia. Nelle relazioni amorose l’essere umano non dà cose materiali, ma se stesso in sostanza; dunque le persone che amano si sentono vive. C’è un desiderio di fondersi con l’altro essere, comprendendolo pienamente, che è proprio una dimensione dell’empatia stessa; pertanto l’empatia facilita il coinvolgimento della crescita all’interno della coppia.

L’empatia può produrre effetti positivi e negativi nella coppia. Nel primo caso può essere utilizzata per risolvere incomprensioni e litigi futili; nel secondo caso invece può danneggiarla evidenziando le differenze che minacciano la continuità della relazione. Infatti l’empatia prolunga l’amore quando non vi è una disparità tra i partner nella comprensione reciproca e nella capacità di sentirsi vicendevolmente.

La misurazione dell’empatia

Poiché non esiste una definizione condivisa di empatia, risulta particolarmente difficile definire quali sono i metodi e gli strumenti maggiormente idonei a misurarla. Alcuni studiosi, infatti, privilegiano l’approccio cognitivo e altri quello affettivo.

È quindi possibile distinguere diverse tecniche di misurazione dell’empatia facendo riferimento agli aspetti che esse considerano: cognitiviaffettivi o multidimensionali.

Strumenti basati su aspetti cognitivi

Tra di essi si possono distinguere due sottocategorie.

  • I test di predizione sociale, che identificano l’empatia come la capacità della persona di fare una stima di ciò che gli altri provano (emozioni e pensieri). Due famosi test di questo tipo sono quello di R. F. Dymond e quello di W. A. Kerr e B. J. Speroff.
  • I test di role taking affettivo, che identificano l’empatia come l’abilità dell’individuo di comprendere la prospettiva dell’altro in una determinata situazione. L’esempio più noto è il Test di Percezione Interpersonale (Interpersonal Perception Test) di H. Borke.

Strumenti basati su aspetti affettivi

In questo caso si possono individuare tre tipologie.

  • Resoconti verbali, cioè risposte che gli individui danno a situazioni stimolo come storie figurate, interviste e questionari.
  • Indici somatici, cioè posture, gesti, sguardi, vocalizzi ed espressioni facciali[20] che le persone assumono nel momento in cui si trovano esposte a situazioni significative dal punto di vista emotivo.
  • Indici psicofisiologici, cioè risposte del sistema nervoso autonomo come, ad esempio, la sudorazione, la vasocostrizione, il battito cardiaco, la temperatura e la conduttanza della pelle[21].

Strumenti basati su aspetti multidimensionali

Secondo alcuni autori non è sufficiente limitarsi a considerare solamente o l’aspetto cognitivo o quello affettivo, ma è necessario utilizzare strumenti più complessi che fanno riferimento ad entrambi. Due esempi significativi sono il Sistema di Punteggio Continuo (Empathy Continuum Scoring System) di Janet Stayer e l’Indice di Reattività Interpersonale (Interpersonal Reactivity Index) di M. H. Davis. Un terzo esempio riguarda la Scala di Empatia Esperienziale (Empathic Experience Scale) che offre una misura bidimensionale dell’empatia in termini di comprensione intersoggettiva [22]; la scala distingue tra la propensione all’esperienza vicaria e alla comprensione intuitiva degli stati emotivi altrui.

Disturbi

Alcuni disturbi e malattie mentali (es. disturbo antisociale di personalitàdisturbo narcisistico di personalità) presentano come sintomi anche carenza di empatia. Mentre in questi tale caratteristica è solo conseguente o parallela ad altre caratteristiche disturbanti, esiste un disturbo comprendente a volte deficit di empatia cognitiva, la sindrome di Asperger; in questa, tale deficit non deve essere interpretato come negativo, ma neutro, in quanto se nei pazienti mancano i risvolti “positivi” dell’empatia, mancano anche quelli “negativi” (schadenfreude, acredine).

La civiltà dell’empatia di Jeremy Rifkin

Secondo i concetti esposti dall’economista e saggista statunitense Jeremy Rifkin in un saggio del 2010 intitolato La civiltà dell’empatia, l’uomo moderno è naturalmente predisposto all’empatia, intesa come capacità di immedesimarsi negli altri – uomini o animali – attraverso i cosiddetti neuroni specchio, così da sentirne le sofferenze, le gioie, le fatiche ecc. Secondo Rifkin «sono circa 20.000 anni che non siamo più homo sapiens sapiens, ma homo empathicus. Leghiamo tra di noi, socializziamo, ci occupiamo l’uno dell’altro, siamo cooperativi […] Ci basiamo su tre colonne portanti per il nostro benessere: la socializzazione, la salute (igiene e sanità, nutrizione), e la creatività. Quando una di queste tre colonne o l’empatia viene a mancare o repressa, vengono fuori i nostri alter-eghi, da cui la violenza, l’egoismo, il narcisismo ecc. […] Poi però, ci pentiamo di aver fatto del male, perché non è proprio nella nostra natura.[23]

La comunicazione empatica di Marshall Rosenberg

Lo psicologo Marshall Rosenberg ha fondato diverse scuole nel mondo per diffondere la sua teoria di comunicazione empatica o comunicazione nonviolenta, che si basa su un approccio empatico nelle relazioni efficace nel risolvere i conflitti sia a livelli personali che a livello di gruppi.

Note

  1. ^ Fortuna F., Tiberio A., Il mondo dell’empatia. Campi di applicazione, Franco Angeli 1999, p. 11.
  2. ^ Cf. empatia in Enciclopedia Treccani online.
  3. ^ Giusti E., Locatelli M., Empatia integrata. Analisi umanistica del comportamento, Sovera edizioni. 2007, p. 13.
  4. ^ Giusti E., Locatelli M., Empatia integrata. Analisi umanistica del comportamento, Sovera edizioni. 2007, p. 12.
  5. ^ Cf. Einfühlung in Enciclopedia Treccani online.
  6. ^ Mallgrave and Ikonomou, Introduction, in Empathy, Form and Space. Problems in German Aesthetics, 1873-1893, Santa Monica, 1994, pp. 1-85.
  7. ^ Grazia Mannozzi, Giovanni Angelo Lodigiani, “La Giustizia riparativa: Formanti, parole e metodi” isbn=8892105191 2017, 128
  8. ^ Hojat M. “Empathy in patient care”, Springer 2007, Storia, sviluppo, misurazione ed esito dell’uso dell’empatia nella cura dei pazienti.
  9. ^ Kohut H., “How does analysis cure?” The University of Chigago Press (Chicago, 1984), 82
  10. ^ Galotti A., “Profili: Heinz Kohut” in “Individuazione” anno 11° nº 42 (Genova, dicembre 2002), 4.
  11. ^ Preston e de Waal, 2002
  12. ^ Decety e Jackson, Decety e Lamm, de Vignemont e Singer; 2006
  13. ^ ‘Empathy – Neurological basis’ English www.wikipedia.org
  14. ^ Wicker et al., 2003. Keysers et al., Morrison et al., 2004. Singer et al., 2004 e 2006. Jackson et al., 2005 e 2006. Lamm et al., 2007
  15. ^ Bower; Nakahara e Miyashita; 2005
  16. ^ Tunstall, Fahy e McGuire, 2003. Dapretto et al., 2006
  17. ^ Biology’s Big Bang – Unravelling the Secrets of RNA The Economist June 16th, 2007.
  18. ^ Salta a:a b Stein E., L’empatia, Franco Angeli, 1986, pp. 68-70
  19. ^ Albiero P., Matricardi G., Che cos’è l’empatia, Carocci, 2006, p.11
  20. ^ Bonino S., Lo Coco A., Tani F., Empatia. I processi di condivisione delle emozioni, Giunti Editore, 2010, p. 82
  21. ^ Albiero P., Matricardi G., Che cos’è l’empatia, Carocci, 2006, p.70
  22. ^ (EN) Marco Innamorati, Sjoerd J. H. Ebisch, Vittorio Gallese e Aristide Saggino, A bidimensional measure of empathy: Empathic Experience Scale, in PLOS ONE, vol. 14, n. 4, 29 aprile 2019, pp. e0216164, DOI:10.1371/journal.pone.0216164. URL consultato il 6 maggio 2019.
  23. ^ Jeremy Rifkin, La civiltà dell’empatia, Milano, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., 2010. 
  24. Bibliografia

  1. Trevisani, Daniele. Ascolto attivo ed empatia, Milano, Franco Angeli, 2019 https://amzn.to/3qFPgZc
  2. Douglas Chismar, “Empathy and sympathy: The important difference”, The Journal of Value Inquiry, 22 1988, pp. 257-266.
  3. Mallgrave and Ikonomou, “Introduction”, in “Empathy, Form and Space: Problems in German Aesthetics, 1873-1893” (Santa Monica, 1994), 1-85.
  4. Kohut H., “How does analysis cure?” The University of Chicago Press (Chicago, 1984), 82.
  5. Fogliani T. M., “Empatia ed emozioni”, C.U.E.C.M. (Catania, 2003)
  6. Galotti A., “Profili: Heinz Kohut”, in “Individuazione” anno 11° nº42 (Genova, dicembre 2002), 4.
  7. “Empathy – Neurological basis”, in English www.wikipedia.org
  8. “Biology’s Big Bang – Unravelling the Secrets of RNA”, The Economist June 16th, 2007.
  9. Hojat M. “Empathy in Patient care – Antecedents, Development, Measurement and outcomes”, 2007 Springer Science.
  10. Håkansson Eklund, J., & Summer Meranius, M. (2020). Toward a consensus on the nature of empathy: A review of reviews.
  11. Jeremy Rifkin, La civiltà dell’empatia, Milano, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., 2010. ISBN 978-88-04-59548-9.
  12. M. Scheler, Essenza e forme della simpatia, FrancoAngeli, Milano 2010
  13. A. Pinotti, Empatia. Storia di un’idea da Platone al postumano, Laterza (Roma-Bari) 2011.
  14. Capurso M., Relazioni educative e apprendimento. Modelli e strumenti per una didattica significativa, Centro Studi Erickson, 2004
  15. Fortuna F., Tiberio A., Il mondo dell’empatia. Campi di applicazione, Franco Angeli 1999
  16. Stein E., L’empatia, Franco Angeli, 1986
  17. Giusti E., Locatelli M., Empatia integrata. Analisi umanistica del comportamento, Sovera edizioni. 2007
  18. Mc Williams N., La diagnosi psicoanalitica. Struttura della personalità e processo clinico, Astrolabio Ubaldini, Roma, 1999
  19. Albiero P., Matricardi G., Che cos’è l’empatia, Carocci, 2006
  20. Bonino S., Lo Coco A., Tani F., Empatia. I processi di condivisione delle emozioni, Giunti Editore, 2010
  21. Gandolfi G., Il processo di selezione. Strumenti e tecniche (colloquio, test, assessment di selezione). Manuale pratico applicativo con test ed esercitazioni, Franco Angeli, 2004
  22. Bolognini S. ,L’empatia psicoanalitica, Bollati Boringhieri, 2002
  23. Håkansson Eklund. Exploring the phenomenon of empathy Stoccolma, 2003

Altri approfondimenti di ascolto attivo ed empatia dal testo “Ascolto Attivo ed Empatia” edito da Franco Angeli, di Daniele Trevisan

Saper “leggere” le persone. Un ritorno alle nostre sensibilità ancestrali

Nel nostro DNA è intrinseca una parte di noi che s’interessa a quanto gli altri dicono. Fosse anche solo per interesse personale.

Una delle nostre principali preoccupazioni ancestrali è capire se una persona sia o meno pericolosa per noi, in base ai segnali comunicativi che riceviamo. Altra preoccupazione molto concreta e di natura più quotidiana è capire se una persona sia o meno credibile, se possiamo dargli credito o meno, in base a come comunica, ai canali comunicativi che usa, ai segni e segnali che emette[1].

Saper leggere una persona in un istante significa cogliere quello che, in quel “frame” di tempo, un secondo, o pochi minuti, la persona sta “emettendo” di sè. E quindi potremo cogliere parole, ma anche e soprattutto stati emotivi, stati d’animo, leggendo i volti, leggendo il corpo, ascoltando la non-voce, il timbro, la vocalità, prima ancora delle parole.

Persino da una foto si capisce qualcosa. Si può “ascoltare” anche una foto, ebbene si. O un dipinto, o un brano di musica, o un paesaggio.

Di una persona, sul lavoro, potremmo fidarci di quanto scritto sul biglietto da visita, ma insistiamo nel guardare anche alla sua postura, alla schiena dritta o curva, al suo mento e agli occhi tristi od orgogliosi, per capire se è fiero di quel biglietto mentre te lo porge, o se per lui/lei è un peso.

Diciamo pure che siamo curiosi per natura, perché la sopravvivenza richiede il sapere le cose, il capire chi ti è ostile o amico, e saperlo fare in una frazione di secondo, come i veri cacciatori/raccoglitori che eravamo, con lo sguardo, osservando occhi, movimenti, intenzioni.

Annusando istintivamente le situazioni prima ancora che “comprenderle razionalmente”.

Questo fa parte di quell’Intelligenza Inconscia, una forma di intelligenza che in questo volume andiamo ad aggiungere alle tante Intelligenze Multiple di cui disponiamo, risorse mentali e corporee così ben esposte da Howard Gardner[2].

Dell’intelligenza inconscia parla giù Freud (definendola „Unbewussten Verständnis“, o „comprensione inconscia) ma senza evidenziarla come risorsa a disposizione di tutti noi, e ancora prima ne parla il filosofo Schelling (1775 –1854)[3] individuandola come una “intelligenza della natura”, ma ancora una volta senza considerarla per ciò che può essere, una nostra preziosissima risorsa. Noi, invece, vogliamo farlo. Gardner ha dimostrato come il fenomeno “intelligenza” possa essere scomposto in una serie variegata di abilità umane distinte, quindi di diverse intelligenze: linguistica, musicale, logico-matematica, spaziale, corporeo-cinestetica, personale e Interpersonale[4], aggiungendo in seguito, quella Intra-personale legata al conoscere se stessi.

Vicina all’intelligenza Inter-personale, aggiungiamo in questo volume la categoria dell’Intelligenza Inconscia, che qui consideriamo una vera e propria skill, una competenza allenabile per l’ascolto attivo, che deriva da una connessione e da un allenamento più forte nel far dialogare la Neocorteccia (parte recente nello sviluppo del cervello), e altre aree antiche come il cervello rettile e il cervello pre-mammifero, aree abilissime a cogliere informazioni sottili ed istintive.

E qui siamo: sulla parte animale dell’uomo, sul suo “leggere lo sguardo”, sul suo “ascoltare anche il non detto”.

Saper leggere le persone, le loro finalità, richiede un ritorno a capacità ancestrali, quando l’attrazione era segnalata con gli occhi verso altri occhi, e non con un profilo social. Ora, più che mai, è tempo di imparare di nuovo a leggere le persone. Perché da un lato stiamo perdendo la capacità di riconoscere i “cattivi” o nemici, dall’altro lato facciamo di tutta l’erba un fascio e magari diciamo NO a qualcuno che non ci può fare alcun danno e anzi magari ci può portare valore.

Ascolto attivo significa saper cogliere segnali

Per praticare ascolto attivo ed empatia urge un ritorno alle nostre sensibilità ancestrali. Urge ripristinare la capacità di percepire correttamente, prima ancora che di valutare logicamente i soli dati. Per farlo, dobbiamo saper usare in modo speciale l’ascolto, facendolo diventare una “percezione aumentata” di qualsiasi segnale entra nella nostra sfera:

  1. Segnali uditivi verbali. cos’ha appena detto Tizio all’altro tavolo?
  2. Segnali uditivi paralinguistici. Riesco a sentire lo stress vocale di una persona?
  3. Segnali tattili-aptici (in questa seggiola si è appena seduto qualcuno? È calda?), o “cosa mi dice questa stretta di mano su di te?”
  4. Segnali cinestesici-visivi: come sta oggi la squadra? Capirlo dalla falcata, dalla postura. Capirlo persino negli spogliatoi. Sembrano tranquilli o agitati? Demotivati o motivati?
  5. Segnali Olfattivi: Che cos’è questo odore di nuovo che sento nell’auto appena comprata, ci ho mai fatto caso? Sono consapevole che è un odore ingegnerizzato o penso sia frutto del caso?
  6. Segnali emotivi: come sto in questo momento, come sta la mia ansia, la mia gioia, il mio cuore, il mio sognare, il mio vivere in relazione con altri e con me stesso? E… Come sta la persona di fronte a me? Come sta respirando, cosa sta sentendo?
  7. Segnali corporali: che mestiere potrebbe fare il secondo da destra su quel tavolo, in base alla tipologia di muscolatura e come è vestito e ai segni che noto sulla pelle?
  8. Segnali olistici: chi è la persona più pericolosa o dissonante in questa carrozza di treno o in questo bar, c’è qualcuno che potrebbe essere pericoloso? In base a cosa lo noto?

I segnali sono tanti. Segnali d’amore, segnali di odio, di indifferenza, di paura, di disgusto, di amicizia. Se solo sapessimo coglierli tutti…

Ma appena cogliamo che il discorso non tocca i nostri interessi vitali, facciamo dietrofront e continuiamo nel nostro fare distratto.

La distrazione è un male dell’epoca.

La “furia dei tempi” e la fretta hanno portato l’ascolto ai livelli minimi assoluti nella storia della civiltà occidentale.

Smartphone e altri dispositivi elettronici hanno sostituito le persone, e siamo quindi diventati bravi ad “ascoltare” i segnali dei dispositivi elettronici, riconoscere un bip da un beeep, a manipolare un telefono o uno schermo touch, ma meno bravi a guardare negli occhi una persona che ci parla dal vivo e coglierne le sfumature, il tono di voce, lo sguardo, i cenni del capo, e capire cosa prova, e se mente o meno.

Nel corso del libro ci saranno decine e decine di strumenti utili per re-imparare l’arte e tecnica del “leggere le persone” – che significa praticare un “ascolto oltre le parole”. L’importante è che si accenda in noi la scintilla. La scintilla del DNA ancestrale. La scintilla della curiosità.

La furia dei tempi ha abituato gli studenti a fare quiz, test a risposta multipla, esami informatizzati, e l’esame orale va sparendo lentamente dal panorama della formazione accademica, perché “richiede troppo tempo”. Così, non impariamo più a “sintonizzarci sul Prof. e sui suoi interessi che magari abbiamo sentito a lezione”, perché è diventato inutile.

Anche nei gruppi di ragazzi e ragazze, seduti a tavola in una pizzeria, si può notare un continuo “fare”, ma con il proprio smartphone, e una assenza quasi fisica del luogo in cui le persone sono veramente, con rare, rarissime conversazioni tra i partecipanti, spesso superficiali.

Non è mai facile ascoltare. A volte è più comodo comportarsi da sordi, accendere il walkman e isolarsi da tutti. È così semplice sostituire l’ascolto con le e-mail, i messaggi e le chat, e in questo modo priviamo noi stessi di volti, sguardi e abbracci.
(Papa Francesco)

Dal pressing verso l’essere persuasivi alla riscoperta dell’ascolto attivo di qualità e della comunicazione empatica (empatia nella comunicazione, non solo persuasione)

Nella nostra società, rimane sempre forte e pulsante una sorta di “pressing” verso l’essere iper-comunicativi e persuasivi, veloci-rapidi-vincenti, ma mai verso l’ascolto attivo e l’empatia. Svanisce il tempo per rallentare al fine di ragionare, riflettere, il tempo che serve per generare la qualità e non solo la quantità. Eppure paradossalmente, anche in azienda – dove la qualità viene giustamente idolatrata e premiata – nonostante questo, le persone tra di loro non si ascoltano mai veramente e a fondo, a volte persino in una riunione. Per non parlare dei colloqui tra capi e collaboratori. Siamo tutti invitati a “parlare bene”, ma meno ad “ascoltare bene”. L’ascolto comprende anche “l’ascolto delle cose”. I ponti parlano, le navi parlano, le auto parlano, se solo ne sai ascoltare i linguaggi, se solo sai dove e cosa osservare, se solo passi con un occhio, orecchio, e mani, allenati a cogliere emergenze, dissonanze e problemi.

E se hai voglia di farlo.

 

– Ascolta la nave.

– Che c’è da ascoltare?

– Ascoltala e basta.

dal film “Pandorum – L’Universo Parallelo”

 

Siamo spinti ad essere incisivi, ad esempio per passare un colloquio di lavoro, oppure in un corso di public speaking dove si studiano i meccanismi per strappare un applauso, o in pubblicità, le strategie per comunicare verso i target e persuadere. Ma è sempre comunicazione “ad una via”. Non è mai ascolto vero.

L’ascolto è un processo olistico. Puoi ascoltare una persona, puoi ascoltare una cascata, puoi ascoltare un fiume. E questo ha a che fare con temi fondamentali come la sicurezza. Mai e poi mai, qualcuno penserebbe di “ascoltare un ponte”, o una nave, o un aereo.

L’altra faccia della medaglia comunicativa, il saper ascoltare, il saper percepire, è sparita. Inglobata da un mondo che “va troppo veloce” per potersi permettere il lusso di fermarsi ad ascoltare. Eppure, senza ascolto si muore. Non si colgono i segnali di pericolo, non si coglie la natura dei messaggi sottili.

Prima di morire o cedere, una struttura dà tantissimi segnali, il caso dei 300 metri di viadotto caduto a Genova[5] ne è un esempio.

In un periodo della mia vita di alcuni anni, in cui ero incaricato di svolgere coaching rivolto a Comandanti di Navi da Crociera, con 5.000 persone a bordo, e un fardello di responsabilità sulla schiena impressionante, facevo compiere ai comandanti e vice-comandanti un esercizio speciale, dicevo “Adesso stenditi a terra e ascolta la nave“. “Chiudi gli occhi. Ascolta la nave“. All’inizio sbalorditi, poi pian piano emergevano dopo pochi minuti un’enormità di segnali, la percezione si faceva più acuta, dalle vibrazioni note a quelle mai ascoltate, dal rumore di una pompa che non avevano mai udito (eppure era sempre stata li), alla capacità di fare un “ascolto olistico” della nave, rollio, beccheggio, inclusi gli uomini, gli equipaggi, le loro vere conversazioni e stati emotivi in manovra.

La parte del “ascoltare la macchina” si chiama nel mio metodo “Ascolto Strutturale”, la parte “uomo” si chiama “Ascolto dei Climi Emotivi, o “Ascolto degli Acquari Emotivi” quando applicata alle situazioni di Team Leadership.

È tempo di ridare dignità e metodo alla “parte nascosta della comunicazione” che è appunto l’ascolto, che si tratti di ascoltare attivamente una struttura, o in modo empatico un familiare, un lavoratore, un fornitore, o di capire meglio i dati di un progetto di lavoro, connettersi meglio alle emozioni altrui, capire il proprio equipaggio e team in che condizione emozionale è, saper intervenire quando necessario.

L’ascolto oltre le parole. Vie per l’ascolto empatico

Una cosa è conoscere il sentiero giusto, un’altra è imboccarlo.

Morpheus (Lawrence Fishburne)

dal film “Matrix” di Andy Wachowski

Tutti sappiamo che ascoltare è importante, ma pochi lo fanno, e di quei pochi, ancora meno sono quelli allenati all’empatia, il che significa “formati” a sviluppare tecnicamente empatia e ascolto empatico. A volte serve saperlo fare con metodo, e non solo per attitudine naturale.

Se ti capita che una persona ti stia “sentendo a pelle”, e tu “senti a pelle” che sta capendo, stai vivendo un momento di ascolto oltre le parole. Momenti magici. L’ascolto va assolutamente oltre le parole. L’ascolto è tutto ciò che entra in noi e a cui attribuiamo significato. L’ascolto quindi, diventa percezione, e può diventare “percezione aumentata” se lo potenziamo. Possiamo persino arrivare a capire di una persona più di quanto essa stessa capisca di sè, in quanto l’ascolto, praticato da fuori, riesce a cogliere elementi che una persona vive costantemente, ma di cui non è consapevole.

È come girare tutta la vita con un cartello dietro la schiena. Tutti lo vedono, tranne tu. La personalità è come quel cartello.

Altrettanto nascoste sono le convinzioni più profonde. Per quelle periferiche, le preferenze, ciò che piace o meno, si possono cogliere da dettagli, con una semplice osservazione dell’alzarsi dei muscoli del naso (come quando si odora qualcosa di sgradito), e raramente vengono verbalizzate in pubblico. Eppure, un ascolto non verbale accurato, le saprà cogliere.

Quando noi osserviamo tutto questo e non solo le parole, stiamo praticando un “ascolto oltre le parole”, una percezione aumentata.

Fare percezione aumentata significa “saper leggere la gente”, saper cogliere segnali, parole, frasi non dette, gesti, simboli, cenni.

Sapeva ascoltare, e sapeva leggere.

Non i libri, quelli sono buoni tutti, sapeva leggere la gente.

 (Alessandro Baricco)

La percezione aumentata può persino arrivare a potenziare i sistemi sensoriali stessi, rendendo una persona allenata capace di ascoltare le variazioni dello stress vocale (segnalatore di bugie o di imbarazzo), qualcosa che in genere solo un software specifico riesce a fare.

La percezione aumentata può portarti a cogliere microespressioni facciali della durata inferiore ad 1/10 di secondo, così brevi, eppure così significative, come l’alzarsi del muscolo di un sopracciglio, o di un muscolo labiale, indicatore di interesse, o di sorpresa, o di allarme. E non vi è dubbio che quando siamo più acuti nel cogliere, nel percepire, nell’ascoltare, diventiamo persone diverse, noi stessi. Cambiamo dentro.

L’ascolto può poi arrivare a definirsi “empatico” quando davvero siamo riusciti ad “entrare nella testa di una persona”, capire come la pensa, capire come ragiona, coglierne le sfumature del pensiero, e capire perché la pensa così, “da dentro” il suo sistema di credenze, di convinzioni e di emozioni.

Questo riguarda non solo le questioni semplici, ma anche qualcosa che ci appare molto strano, qualcosa di arcano che con l’ascolto empatico possiamo capire, perché siamo riusciti a cogliere le logiche interne che la persona sta usando.

L’ascolto è una delle fasi di una “conversazione”, di un dialogo, di un rapporto. Spesso, la più importante. E la più trascurata. L’ascolto è un atto di dono, capire una persona è una forma di dono, e può trasformarsi in atto strategico (ad esempio in un negoziato) ma di base e nella vita quotidiana, può essere considerato un grande dono.

Io chiamo religioso colui che comprende la sofferenza degli altri.

 (Mahatma Gandhi)

L’ascolto non si limita assolutamente a voler capire la sofferenza altrui (tema che tocca la psicoterapia, il counseling, le relazioni d’aiuto), ma può anche entrare nel far aumentare le performance di atleti, sportivi, manager, imprese e team, quando l’ascolto viene usato come arma primaria in un buon coaching sulle performance.

L’empatia, quindi, diventa anche una potente arma per vincere le sfide più grandi della nostra vita, o di un cliente.

Il potere dell’ascolto

Il potere dell’ascolto, lo diremo subito, è soprattutto la capacità di vedere oltre le parole. Vedere le carte dell’altro, per poter giocare meglio e non al buio. L’ascolto, quello vero, quello che “apre a metà” la comunicazione e il comunicatore per guardarci dentro, è un’arma potentissima. Smaschera bugie e falsità, impedisce alla nebbia mentale di entrare nelle conversazioni, perché la sa riconoscere.

È così facile raccontare bugie a chi non sa ascoltare bene, a chi si lascia trasportare da retorica e status, e non entra nel profondo del messaggio per coglierne la verità.

L’ascolto attento è arma anti-persuasiva per eccellenza, così come l’ascolto distratto è succube di status e ruoli, ed è via maestra per farti entrare nella testa messaggi subliminali che ti persuadono senza che te ne accorgi. L’ascolto subentra nelle fasi di negoziazione con clienti interni ed esterni, con stakeholders (i vari portatori d’interessi che ruotano attorno alla vita di una persona o di un’azienda), si manifesta in famiglia, tra coppie, tra genitori e figli, tra amici, con persone della stessa cultura e di culture diverse.

Il potere dell’ascolto è pari a quello che si ha nel giocare a carte potendo vedere le carte dell’avversario. Leggiamo le persone meglio, leggiamo le situazioni meglio. Vediamo meglio.

Può essere usato per curare (Carl Rogers, nella Terapia Centrata sul Cliente, ne fa lo strumento centrale per la guarigione psicoterapeutica[6]) o per persuadere (studio di un target audience ed empatia strategica), per progettare, come nel project management, per comprendere a fondo i desideri e obiettivi di una persona e “cosa ha in testa”, e per prendere più saggiamente decisioni di gruppo senza che nessuno si senta escluso o non ascoltato.

Anche decisioni difficili e in condizioni di crisi, si avvalgono del potere dell’ascolto. Perché l’ascolto, tranne che in un interrogatorio, è uno stato d’animo di spaziosità per le parole altrui, per le emozioni altrui, per le storie altrui.

La rabbia e l’intolleranza sono i nemici della corretta comprensione.

 (Mahatma Gandhi)

Di sicuro, possiamo affermare che le persone che sanno ascoltare hanno un vantaggio competitivo sugli altri. Sanno cogliere più informazioni, sanno percepire di più, sanno entrare in connessione neurale con altre menti, possono avere l’opzione di ascoltare o no, a loro piacimento, mentre chi non sa ascoltare ha una sola opzione: non ascoltare, o ascoltare malissimo, e come ha specificato Malcom X, “coloro che non ascoltano niente cadranno per qualsiasi cosa.”

In ogni conversazione, avviene una fase di ascolto, esiste sempre uno “strato” di noi che ascolta, che ne siamo consapevoli o meno, ed avvengono “manovre” implicite.

Chi parla per primo? Chi ascolta chi? Per quanto? Con che scopi? Scopi impliciti? Scopi espliciti? E quali percezioni avrà l’altro? Che formati ha questa conversazione, al di la delle singole parole? È una “supplica”, è una “autocelebrazione”, è un “attacco al mondo crudele”?

Cosa capiamo di una persona quando l’abbiamo ascoltata bene? Capiamo come la pensa e il suo stato d’animo, sino ad arrivare alla sua personalità. E capiti quelli, abbiamo colto il 90% della persona.

Saper cogliere le risonanze emotive, verso l’”ascolto sensibile”

Le risonanze emotive sono degli “eco delle emozioni” che giungono apparentemente da lontano, ma riportano nuovo contenuto su un piano diverso e arricchiscono l’ascolto. Ci sono almeno dieci modi di dire “va tutto bene” di fronte alla domanda “Come va oggi?”, e quelle dieci diverse sfumature provengono dalle risonanze emotive che riverberano nella persona e si associano alle parole. Provare per credere. È possibile esercitarsi a “sentire” le risonanze emotive, per arrivare più vicini possibile alla verità delle cose. Mentre l’ascolto tradizionale si concentra sulla parola, l’ascolto empatico si concentra più sul cogliere le emozioni. Le emozioni dell’altro hanno una vibrazione, un riverbero, le nostre anche, e si crea un vero e proprio momento di risonanza.

Quando io capisco che stanno risonando emozioni nell’altra persona, siamo nell’ascolto sensibile. Quando io inizio ad interessarmi, a cercare di capire che tipo di emozioni stiano risonando, stiamo entrando nell’ascolto empatico.

Ciascuna delle principali pubblicazioni che ho scritto[7], ciascuna riga, contiene possibili mondi interpretativi. Sentire che esiste un flusso, decidere di voler decodificare un testo, una parola, una frase, una conversazione, è saper ascoltare con il cuore e non solo con la mente.

In fisica, questo fenomeno viene chiamato “modello di interferenza tra due fonti singolari”, e quella che i fisici chiamano interferenza, per noi può essere invece ricchezza e sensibilità. Nelle arti, il modello è chiamato vesica piscis o mandorla, un simbolo di forma ogivale ottenuto da due cerchi dello stesso raggio, intersecanti in modo tale che il centro di ogni cerchio si trova sulla circonferenza dell’altro.

Il nome significa letteralmente vescica di pesce in latino. Per noi diventa importante in quanto rappresenta l”ingresso” nella porta delle emozioni altrui, base di ogni ascolto empatico. L’ascolto empatico riguarda infatti:

  • La natura delle emozioni (Quale emozione sento nell’ascolto?);
  • la molteplicità delle emozioni (Quante emozioni sento? Quali sono compresenti?);
  • la forza delle emozioni (Quanto sono forti le emozioni che sento nell’altro: periferiche, intermedie, centrali?), e
  • cosa le muove (Cosa potrebbe essere la ragione dello stato emotivo che sento nell’altro?).

Questo è solo un inizio di ascolto empatico, che possiamo chiamare un “ascolto sensibile”. Passare all’ascolto empatico richiede poi specifiche domande, specifiche riformulazioni, e un contesto adeguato. Ma stiamo sull’ascolto sensibile.

Un familiare ci dice “vorrei cambiare lavoro”. Ma non ce lo dice con slancio, cogliamo una risonanza emotiva di tristezza, malinconia.

Se siamo in fase empatica, faremo domande, cercheremo di capire, ad esempio, se questa ricerca è mossa da insoddisfazione per il lavoro attuale, e se sì, cosa la causa.

Arriveremo anche a capire cosa cerca la persona in un nuovo lavoro, se vuole o meno viaggiare, che caratteristiche dovrebbe avere il suo lavoro ideale, e se la persona si sente mentalmente all’altezza – come potere personale (autoefficacia) – di avviare un vero percorso di ricerca di lavoro. Avremo, in sostanza, aiutato quella persona, partendo da una risonanza emotiva.

La nostra consapevolezza su come funziona un ascolto di qualità, la capacità di attivare un ascolto attivo, e soprattutto la coscienza piena di tutte le sue enormi sfumature e variabili emotive, influirà sulla nostra vita. L’ascolto incide già oggi, su ogni negoziazione e sulle nostre vite professionali, e persino nella nostra esistenza in senso ampio, come esseri umani, dalla nascita sino all’ultimo respiro. L’ascolto è con noi, sempre. Che lo vogliamo o meno. Ascoltiamo le nostre risonanze emotive mentre parliamo. Faremo grandi scoperte.

L’ascolto entra anche nelle aziende, nelle relazioni di vendita consulenziale. Una relazione d’aiuto forte, centrata sull’ascolto verso il cliente, è la base di ogni metodologia di vendita consulenziale onesta, autentica, sincera, professionale. Non ci meravigliamo se, mancando la capacità di ascolto, tante situazioni di vendita sono descrivibili come il “mettere sù il brano memorizzato” e parlare sopra la testa del cliente, incuranti di ciò che gli serva veramente.

Al centro di ogni processo di vera consulenza, medica, professionale, tecnica, umana, c’è l’ascolto, la capacità di far emergere dati e situazioni che aiutano a realizzare una proposta utile, contributiva, efficace.

Quando udiamo o percepiamo qualcosa che risuona in noi, abbiamo ascoltato.

Se ciò che io dico risuona in te, è semplicemente perché siamo entrambi rami di uno stesso albero.

 (William Butler Yeats)

Cercare risonanza e ascolto vale anche nelle professionisti strategiche. Nel caso della vendita, la tecnica di ascolto si trasforma in un vero e proprio coaching del cliente, che viene aiutato a fare passi avanti e miglioramenti grazie alle nostre azioni di ascolto attivo. L’ascolto attivo fa sempre da “madre di ogni riflessione”. Non cambia molto se ci spostiamo verso l’esame delle capacità di ascolto di un medico verso il paziente.

Quante volte vi siete sentiti ascoltati pienamente, a fondo, e senza fretta di arrivare a conclusioni?

I tempi tecnici della sanità non lo rendono sempre possibile, ma il problema è che – se anche vi fosse il tempo – i medici non “Sanno Fare”, non sono dotati, né sono stati formati nel corso dei loro studi, ad una capacità di ascolto in profondità che invece servirebbe. E lo posso dire avendo insegnato Comunicazione Medico-Paziente in numerosissimi Master per medici[8]. La loro prima scoperta, con esercizi pratici di ascolto, sul fatto di non saper ascoltare, li ha spesso sconvolti.

Le aziende, invece, spesso pensano di “ascoltarci” facendoci compilare questionari o tramite risponditori automatici, il che non aiuta certo a creare un legame empatico con il cliente.

Con questionari e form online, così distanti, così freddi, difficilmente si creerà quella risonanza emotiva che solo un ascolto attivo sa creare.

L’ascolto entra anche nella leadership, perché un conto è dare ordini a persone senza sapere che impatto e adesione troveremo, e altro è dare disposizioni, consegne o deleghe avendo un quadro chiarissimo su come le persone la pensino e cosa possano o meno accettare o vedere fattibile.

Se l’ascolto fosse un fiume, avremo un ascolto semplice, che si limita a guardare l’acqua passivamente e distrattamente, e un ascolto empatico “oltre le parole”, che va ad osservare con attenzione anche i diversi colori e sfumature del flusso d’acqua, le rive, le insenature, la vegetazione che lo contorna, i sottili mulinelli dell’acqua, una barca, un tronco trasportato, e la velocità della corrente, e tutto quanto il flusso possibile di segnali che scorgiamo nell’ambiente.

Per offrire un primo contributo di metodo, esaminiamo ora una prima scala visuale dei livelli di ascolto, utile per fissare alcuni punti sin dall’inizio. Una scala per i livelli di ascolto è per forza di cose una riduzione, rispetto alla complessità di un fenomeno così vasto ed enorme. Eppure, se questa riduzione ci aiuta nel fare passi avanti nella formazione, allora ben venga. Questa scala può aiutarci a difenderci da un ascolto aggressivo, o attivare un ascolto empatico. Starà a noi la scelta.

L’articolo prosegue nel testo originale

Ascolto attivo ed empatia: I segreti di una comunicazione efficace


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[1] Weigold, Michael & Trevisani, Daniele (1993). Mass Media, image and persuasion: The indirect effect of communication channels on source credibility and message acceptance. Paper presented at the Annual meeting of the Association For Education In Journalism And Mass Communication, Kansas City, MO, USA, (1993, August).

[2] Howard Gardner (1983), Frames of Mind: The Theory of Multiple Intelligences, Edition Hachette UK, 2011.

[3] Friedrich Schelling, Vom Ich als Prinzip der Philosophie oder über das Unbedingte im menschlichen Wissen (L’io come principio della Filosofia o sul fondamento della conoscenza umana), 1795

Friedrich Schelling, Ideen zu einer Philosophie der Natur (Idee per una filosofia della natura), 1797

[4] Howard Gardner (2010), Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza. Feltrinelli, Milano.

[5] Data accadimento 14/08/2018

[6] Carl R. Rogers (2013), La terapia centrata-sul-cliente. Firenze, Giunti Editore. Edizione originale: Rogers, Carl. (1951). Client-Centered Therapy: Its Current Practice, Implications and Theory. London: Constable. ISBN 1-84119-840-4.

[7] Trevisani Daniele. (1992), A Semiotic Models Approach to the Analysis of International/Intercultural Communication, in Proceedings of the 9th International and Intercultural Communication Conference, University of Miami, 19-21 May.

Trevisani Daniele (2000), Competitività aziendale, personale, organizzativa. Strumenti di sviluppo e creazione del valore. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2001), Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2003),  Comportamento d’Acquisto e Comunicazione Strategica. Dall’analisi del Consumer Behavior alla progettazione comunicativa. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2005), Negoziazione interculturale. Comunicazione oltre le barriere culturali. Dalle relazioni interne sino alle trattative internazionali. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2007), Regie di Cambiamento. Approcci integrati alle risorse umane, allo sviluppo personale e organizzativo, e al Coaching. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2009), Il potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2011), Strategic Selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2014),  Self-Power. Psicologia della motivazione e della performance. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2014),   Il Coraggio delle Emozioni. Energie per la vita, la comunicazione e la crescita personale. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2016), Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team, Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2017), Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2018), Psicologia della libertà. Liberare le potenzialità delle persone. Roma, Mediterranee.

[8] Prevalentemente presso il Master in Economia e Management dei Sistemi Sanitari, Facoltà di Economia, Università degli Studi di Ferrara

 

Programma Base Corso L’Ascolto in Azienda: Ascolto Attivo ed Empatia by Studio Trevisani Academy (Copyright Dott. Daniele Trevisani)

Intelligenza Conversazionale e ascolto in azienda

Ogni giorno siamo immersi in azienda in decine e centinaia di conversazioni. Il modulo verte sulla dinamica delle conversazioni e in particolare sulle fasi di ascolto. Capire le loro dinamiche nascoste ci aiuta ad ascoltare meglio, intervenire meglio, pensare con una qualità personale superiore ed essere manager più efficaci

9-13

  • La “scala dei Livelli di ascolto”
  • Intelligenza Conversazionale come “skill” allenabile
  • Strati di ascolto
  • Il modello 4 Ears 4 Mouth
  • Il 4 Distances Model per l’ascolto
  • Le strategie di acquisizione delle abilità di ascolto

Pausa caffè h 10.30-10.45

  • Contatto emotivo, osservazione, rilevazione, comunicazione
    Le emozioni nelle situazioni di ascolto (Communication Situations – Comsits)
    Ascolto, Emozioni e Neuroscienze. Capire le basi per apprendere il “fare” operativo
    Psicologia della comunicazione interpersonale
    Analisi della conversazione e competenze di conversation analysis
    Conversation management e leadership conversazionale
    Percezione Efficace e Ascolto

Il modulo verte sulla percezione, sui meccanismi mentali che avvengono in presenza di qualsiasi stimolo, sul pensiero che si innesca, sulla qualità di questo pensiero, sulla modalità di osservazione di segnali deboli, sulle relazioni interpersonali, sviluppando le capacità di ascolto

h 14-18

L’ascolto oltre la percezione. Modello Stimolo – Pensiero – Qualità del Pensiero – Risposta
Dalla percezione vaga e confusa (entropia informativa) al “focusing”
Percezione ristretta e percezione aumentata
Ascolto sul piano verbale
Ascolto paraverbale
Ascolto non verbale e FACS
Ascolto oltre le parole: ascolto di Cultura, Personalità, Umore, Emozioni, Credenze
Tunnel sensoriale

Pausa caffè h 15.30-15.45

Tecniche di approccio
Tecniche di intervista e colloquio strategico
Canali empatici e empatia
Tecniche di ascolto attivo e ascolto avanzato multilivello
Lie detection (riconoscimento delle dissonanze)
Ascolto dell’attivazione emotiva
Videomicroanalisi
Reality checks, i “test di realtà”
Recap, sintesi, next steps

Modalità didattica corso “Ascolto Attivo ed Empatia in Azienda”: di tipo prevalentemente esperienziale, con brevi fasi concettuali seguite da esercizi di coppia, di gruppo e in sottogruppo, in applicazione dei concetti stessi.

Attenzione. I corsi di Formazione e Coaching sull’Ascolto Attivo ed Empatia sono realizzati solo sulla base di una analisi approfondita delle esigenze del cliente. Questo è solo un programma esemplificativo

Programma Copyright dott. Daniele Trevisani www.studiotrevisani.it

Corso empatia e pillole di formazione per l’empatia – Dal libro Ascolto Attivo ed Empatia, di Daniele Trevisani

corso empatia crescita personale libri ascolto attivo ed empatia

L’ascolto e l’empatia riescono a portare “fuori” quel mondo enorme di pensieri e sentimenti che siamo, e che abbiamo dentro. Chiarificarli, farli emergere, significa comunicare in profondità, e possiamo dire che questo tempo dedicato alla comunicazione profonda è un tempo speciale, un tempo sacro, un dono per chi lo riceve, e un momento vita importante per chi lo pratica.

Daniele Trevisani

Elementi positivi e distruttivi dell’empatia

Quando si viene ascoltati ed intesi, situazioni confuse che sembravano irrimediabili si trasformano in ruscelli

che scorrono relativamente limpidi.

Carl Rogers

L’empatia viene distrutta o favorita da specifici comportamenti comunicativi e atteggiamenti.

Favorisce l’empatia Distrugge l’empatia
Curiosità, passione, motivazione all’ascolto Disinteresse, ascoltare per obbligo, per dovere; scarsa motivazione
Partecipazione reale all’ascolto, non finzione Fingere un ruolo di ascolto solo per dovere professionale
Atteggiamento dello “scopritore”, del cercatore di tartufi o cercatore di pietre preziose. Vediamo cosa salterà fuori oggi! Atteggiamento burocratico, ingessato. Anche oggi, proprio adesso, un altro incontro, che noia
Riformulazione dei contenuti

Recap – ricapitolazione delle “storie” e dei “temi” che emergono

Giudizio sui contenuti, commenti

Flusso ininterrotto senza mai accertarsi di avere capito di cosa si parla e del senso delle cose

Pluralità di approcci di domanda (domande aperte, chiuse, di precisazione, di focalizzazione, di generalizzazione)

Flessibilità delle domande in funzione di come varia una sessione e il suo contesto

Monotonia nel tipo di domande, staticità delle domande,  domande troppo ancorate a uno schema o scuola dogmatica
Centratura sul vissuto emotivo, ascolto emozionale Centratura esclusiva sui fatti, ascolto robotizzato
Segnali verbali e non verbali di attenzione, segnali “fàtici” (segnali di contatto) es, uhm, ah, ok, ho capito… Body Language che esprime disinteresse o noia, apatia, voler essere altrove
Segnali paralinguistici di attenzione, incoraggiamento ad esprimersi, segnali “fàtici” (segnali che esprimono il fatto di essere presenti e attenti) Scarsa dimostrazione di interesse e attenzione al flusso di pensiero

Assenza o scarsità di segnali “fàtici” e di contatto mentale


“L’empatia fra le persone è come l’acqua nel deserto: si incontra di rado,

ma quando capita di trovarla ti calma e ti rigenera.”

Emanuela Breda

Corso di Empatia e Ascolto Empatico. “Esserci” nella relazione: separare l’ascolto dalle attività di “espressione” e generare il “flusso empatico”

Poche delizie possono eguagliare la semplice presenza

di colui di cui ci fidiamo totalmente.

 (George MacDonald)

Nell’empatia, “esserci”, è importante. Per “esserci” è essenziale non confondere i piani, l’ascolto, e l’espressione. La comunicazione d’ascolto, e la qualità dell’ascolto, comprendono la necessità di separare nettamente, e prima di tutto mentalmente, le attività di attenzione alla comunicazione altrui, la sua comprensione (comunicazione in ingresso) dalle attività di espressione di nostri messaggi (comunicazione in uscita).

Possiamo parlare veramente di un “flusso”, un flusso empatico, un flusso bidirezionale che scorre tra due persone durante una comunicazione empatica. Un flusso che, a volte, ha qualcosa di magico. Attenzione: chiaramente il contenuto di questo flusso in termini di parole, frasi, espressioni del volto e ogni altro “contenuto comunicativo” viene espresso da chi parla, ma chi ascolta esprime un flusso altrettanto potente, persino ancora più potente, il flusso dell’attenzione e della presenza mentale. Due flussi di apertura, di accettazione, che creano un momento di condivisione umana unica e speciale. Se ti accade di sentirti dire “non mi sono mai sentito così capito come in questa conversazione, grazie davvero” è probabile che il tuo tasso di empatia sia stato alto.

Figura 9 – Separazione del flusso di espressione dal flusso empatico

i due flussi della comunicazione. empatia e ascolto vs. proposizione e dire

Quando sapremo separare bene questi due flussi, prima di tutto a livello mentale, poi sul piano fisico e comportamentale, sapremo come dare presenza, evitando di intromettere il flusso empatico con comunicazioni non appropriate. Quando sarà “il nostro turno”, saremo sempre e comunque empatici, “collegati” e pertinenti.

Ci sono persone che lasciano la loro presenza in un luogo anche quando non ci sono più.

 (Andy Goldsworthy)

Il Decalogo per un ascolto empatico di qualità. Dieci regole da applicare sempre

La maggior parte delle liti amplifica un malinteso.

 (Andre Gide)

Durante le fasi di ascolto empatico è necessario:

  1. non interrompere l’altro;
  2. non giudicarlo prematuramente; non esprimere giudizi che possano bloccare il flusso espressivo altrui;
  3. ricapitolare di tanto in tanto quanto si è capito (quindi se ho capito bene, è successo che…), riformulare i punti critici (ok, non ti risponde subito al telefono, e tu ci rimani molto male, capito), fare parafrasi (quindi, se capisco bene è come se….?)
  4. non distrarsi, non pensare ad altro, non fare altre attività mentre si ascolta (tranne prendere eventuali appunti), usare il pensiero per ascoltare, non vagare;
  5. non correggere l’altro mentre afferma, anche quando non si è d’accordo, rimanere in ascolto;
  6. non cercare di sopraffarlo;
  7. non cercare di dominarlo;
  8. non cercare di insegnargli o impartire verità, trattenere la tentazione di immettersi nel flusso espressivo per correggere qualcosa che non si ritiene corretto;
  9. non parlare di sé;
  10. testimoniare interesse e partecipazione attraverso i segnali verbali e il linguaggio del corpo;

Di particolare interesse risultano gli atteggiamenti di:

  • interesse genuino e curiosità verso la controparte: il desiderio di conoscere ed esplorare la mente di un’altra persona, attivare la curiosità umana e professionale;
  • silenzio interiore: creare uno stato di quiete emozionale (liberarsi da emozioni negative e pregiudizi) per ascoltare l’altro e rispettarne i ritmi;
  • predisporsi mentalmente al “tutto”: riuscire a fare posto anche a materiali psichici “pesanti” (paure, traumi, drammi, tragedie personali, sogni, stati d’animo turbati) che l’altra persona esprime, o quando emergono nel processo, saperli esplorare rimanendo “centrati”, in equilibrio mentale ed emozionale, non sopraffatti da quanto si ascolta (tecnica di Distanziamento Emotivo Controllato – DEC).

È importante ricorrere alle parole di Carl Rogers, psicologo e fondatore del Counseling, la persona che ha più influito sul concetto stesso di empatia:

“La nostra prima reazione di fronte all’affermazione di un altro è una valutazione o un giudizio, anziché uno sforzo di comprensione. Quando qualcuno esprime un sentimento o un atteggiamento o un’opinione tendiamo subito a pensare ‘è ingiusto’, ’è stupido’, ‘è anormale’, ‘è irragionevole’, ‘è scorretto’, ‘non è gentile’. Molto di rado ci permettiamo di ‘capire’ esattamente quale sia per lui il significato dell’affermazione.”

Carl Rogers

Cosa sia per lui il significato dell’affermazione” è il vero senso di qualsiasi operazione di empatia, capire la connessione emotiva, il movente visto da dentro. Si tratta di una tecnica. Poi poco importa che tale tecnica sia applicata verso un criminale per capire quali prossimi gesti possa compiere, o verso una persona che soffre di ansia, o per aiutare un giovane a trovare la sua strada nel futuro, uno sportivo a vincere la sua prossima gara, o una squadra nella quale stiamo cercando di produrre lo stato di “flow per le massime performance.

Empatia e ascolto fanno bene, a chi li pratica, e a chi ne riceve: Alcune evidenze dalla ricerca

Regala la tua assenza a chi non da valore alla tua presenza.
(Oscar Wilde)

L’empatia è un valore e genera valore. Per questo è bene osservare cosa dicono alcune indicazioni in merito provenienti dal mondo della ricerca. L’empatia, il fatto di praticarla bene, richiede una mente che funzioni bene[1]. Questo significa per noi, che il comunicatore empatico deve prendere cura di se stesso, della sua salute, dello stato della sua mente, esempio essere riposato, non abusare di sostanze, nutrirsi e fare attività fisica, insomma, siamo di fronte a degli atleti della comunicazione e a degli atleti della mente.

Certo, si potrà obiettare che alcuni psicoterapeuti riescono ad essere estremamente abili nell’ascolto attivo ed empatici anche a 80 anni, o con il fisico malato, ma non dimentichiamo quanta esperienza li stia sorreggendo, e quindi, facciamo i nostri compiti personali con diligenza per trovare il nostro migliore stato di forma ed avere un corpo-mente che ci sorregga, che ci sia di aiuto, che ci supporti.

Prendersi cura di sè aiuta l’empatia. Avere energie personali, fisiche, corporee, mentali, motivazionali, aiuta l’empatia. Se non hai energie, non ascolterai mai nessuno davvero in profondità.

Altra evidenza: quando il tema dell’ascolto attivo ed empatico è una sofferenza (distress)[2], avere alle spalle una scuola metodologica, ad esempio la psicologia umanistica, il Counseling Bioenergetico, o altre, è un fattore di aiuto, perché non si è più soli nell’ascoltare, si è soli solo fisicamente, ma la presenza della “scuola” aiuta a procedere comunque bene. Per quanta buona volontà tu abbia, avere alle spalle una scuola che dà struttura, aiuta, sorregge moralmente.

La “scuola” può essere anche un’associazione, circolo o gruppo di persone dove ci si ritrova, e nelle quali si discute del metodo e del lavoro, di casi o di modelli, e questa discussione è di enorme arricchimento professionale. Che si tratti di un circolo di leader, di un circolo di Counselor, di una scuola formativa, i momenti di “sbobinatura e riallineamento” come quelli di supervisione sono fondamentali, anche nel contesto non clinico. Anzi, si pensi a quanto in azienda possa essere migliorativo fare colloqui con i collaboratori da parte di un leader, sapendo di avere un Mentor e poterli poi discutere con un supervisore, piuttosto che lasciarli nel nulla.

In ultimo, una riflessione importante. L’empatia è un concetto che viene interpretato, in letteratura, in molti modi a volte anche non compatibili tra di loro[3].

La distinzione sostanziale è tra due estremi, un tipo di empatia emozionale, che sia soprattutto centrata sul vissuto, cioè basata sul sentire e riflettere i sentimenti di chi parla, e un tipo di empatia cognitiva, basata sul riflettere e comprendere i ragionamenti di chi parla.

La nostra visione è che l’empatia sia una forma concreta di presenza mentale nella comunicazione, un colloquio nel quale si vuole ottenere l’End State (punto di arrivo) di comprendere una persona nel pieno delle sue sfumature fisico-corporee, intellettuali ed emozionali.

Nel nostro metodo, quindi, l’empatia deve essere sia emozionale, che cognitiva. Significa poter capire una situazione o brano di vita secondo il punto di vista di chi lo vive, e questo richiede fare luce sia su componenti emozionali (capire le emozioni e le loro sfumature), sia sui ragionamenti (capire i valori, le convinzioni, le azioni, i pensieri strutturati). Solo l’unione tra le due componenti può portare a vera empatia, almeno per quanto riguarda l’ascolto empatico.

Diverso discorso si può fare per un “modo di essere” empatico, che significa vivere costantemente con l’attenzione e la sensibilità alle emozioni altrui, ma questo fuoriesce dal tema della tecnica di ascolto attivo ed empatico, non è certamente da condannare, ma nemmeno da forzare.

Credo sia giusto lasciare al libero arbitrio di ciascuno, come condurre la propria vita. Di certo, però, quando entriamo in una sessione di ascolto attivo o empatico, saper attingere a questa sensibilità, serve.

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[1] Neumann D1, Zupan B. Empathic Responses to Affective Film Clips Following Brain Injury and the Association with Emotion Recognition Accuracy. In:  Arch Phys Med Rehabil. 2018 Aug 21. pii: S0003-9993(18)30938-9. doi: 10.1016/j.apmr.2018.07.431.

[2] Guan K, Kim RE, Rodas NV, Brown TE, Gamarra JM, Krull JL, Chorpita BF,. Emergent Life Events: An In-Depth Investigation of Characteristics and Provider Responses during Youth Evidence-Based Treatment. In: J Clin Child Adolesc Psychol. 2018 Aug 24:1-16. doi: 10.1080/15374416.2018.1496441.

[3] Dohrenwend AM. Defining Empathy to Better Teach, Measure, and Understand its Impact. In: Acad Med. 2018 Aug 21. doi: 10.1097/ACM.0000000000002427.

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Copyright, dal testo “Ascolto Attivo ed Empatia” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano.

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Copyright Daniele Trevisani. Articolo estratto dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace

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Nel nostro DNA è intrinseca una parte di noi che s’interessa a quanto gli altri dicono. Fosse anche solo per interesse personale.

Una delle nostre principali preoccupazioni ancestrali è capire se una persona sia o meno pericolosa per noi, in base ai segnali comunicativi che riceviamo. Altra preoccupazione molto concreta e di natura più quotidiana è capire se una persona sia o meno credibile, se possiamo dargli credito o meno, in base a come comunica, ai canali comunicativi che usa, ai segni e segnali che emette[1].

Saper leggere una persona in un istante significa cogliere quello che, in quel “frame” di tempo, un secondo, o pochi minuti, la persona sta “emettendo” di sè. E quindi potremo cogliere parole, ma anche e soprattutto stati emotivi, stati d’animo, leggendo i volti, leggendo il corpo, ascoltando la non-voce, il timbro, la vocalità, prima ancora delle parole.

Persino da una foto si capisce qualcosa. Si può “ascoltare” anche una foto, ebbene si. O un dipinto, o un brano di musica, o un paesaggio.

Di una persona, sul lavoro, potremmo fidarci di quanto scritto sul biglietto da visita, ma insistiamo nel guardare anche alla sua postura, alla schiena dritta o curva, al suo mento e agli occhi tristi od orgogliosi, per capire se è fiero di quel biglietto mentre te lo porge, o se per lui/lei è un peso.

Diciamo pure che siamo curiosi per natura, perché la sopravvivenza richiede il sapere le cose, il capire chi ti è ostile o amico, e saperlo fare in una frazione di secondo, come i veri cacciatori/raccoglitori che eravamo, con lo sguardo, osservando occhi, movimenti, intenzioni.

Annusando istintivamente le situazioni prima ancora che “comprenderle razionalmente”.

Questo fa parte di quell’Intelligenza Inconscia, una forma di intelligenza che in questo volume andiamo ad aggiungere alle tante Intelligenze Multiple di cui disponiamo, risorse mentali e corporee così ben esposte da Howard Gardner[2].

Dell’intelligenza inconscia parla giù Freud (definendola „Unbewussten Verständnis“, o „comprensione inconscia) ma senza evidenziarla come risorsa a disposizione di tutti noi, e ancora prima ne parla il filosofo Schelling (1775 –1854)[3] individuandola come una “intelligenza della natura”, ma ancora una volta senza considerarla per ciò che può essere, una nostra preziosissima risorsa. Noi, invece, vogliamo farlo. Gardner ha dimostrato come il fenomeno “intelligenza” possa essere scomposto in una serie variegata di abilità umane distinte, quindi di diverse intelligenze: linguistica, musicale, logico-matematica, spaziale, corporeo-cinestetica, personale e Interpersonale[4], aggiungendo in seguito, quella Intra-personale legata al conoscere se stessi.

Vicina all’intelligenza Inter-personale, aggiungiamo in questo volume la categoria dell’Intelligenza Inconscia, che qui consideriamo una vera e propria skill, una competenza allenabile per l’ascolto attivo, che deriva da una connessione e da un allenamento più forte nel far dialogare la Neocorteccia (parte recente nello sviluppo del cervello), e altre aree antiche come il cervello rettile e il cervello pre-mammifero, aree abilissime a cogliere informazioni sottili ed istintive.

E qui siamo: sulla parte animale dell’uomo, sul suo “leggere lo sguardo”, sul suo “ascoltare anche il non detto”.

Saper leggere le persone, le loro finalità, richiede un ritorno a capacità ancestrali, quando l’attrazione era segnalata con gli occhi verso altri occhi, e non con un profilo social. Ora, più che mai, è tempo di imparare di nuovo a leggere le persone. Perché da un lato stiamo perdendo la capacità di riconoscere i “cattivi” o nemici, dall’altro lato facciamo di tutta l’erba un fascio e magari diciamo NO a qualcuno che non ci può fare alcun danno e anzi magari ci può portare valore.

 

[1] Weigold, Michael & Trevisani, Daniele (1993). Mass Media, image and persuasion: The indirect effect of communication channels on source credibility and message acceptance. Paper presented at the Annual meeting of the Association For Education In Journalism And Mass Communication, Kansas City, MO, USA, (1993, August).

[2] Howard Gardner (1983), Frames of Mind: The Theory of Multiple Intelligences, Edition Hachette UK, 2011.

[3] Friedrich Schelling, Vom Ich als Prinzip der Philosophie oder über das Unbedingte im menschlichen Wissen (L’io come principio della Filosofia o sul fondamento della conoscenza umana), 1795

Friedrich Schelling, Ideen zu einer Philosophie der Natur (Idee per una filosofia della natura), 1797

[4] Howard Gardner (2010), Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza. Feltrinelli, Milano.

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Copyright Daniele Trevisani. Articolo estratto dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace

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In breve
Con questo libro, attraverso riflessioni, esempi, casi pratici e concetti d’avanguardia, imparerete ad ascoltare in modo attivo e a coltivare l’empatia. Utile per chiunque voglia migliorare in modo significativo il proprio modo di comunicare sia nel privato che nella professione, il testo propone numerosi modelli fondamentali anche per chi opera nelle professioni di aiuto o nelle organizzazioni come leader o manager.

Presentazione del volume

Siamo inondati di messaggi, ma non siamo capaci di ascoltare e di comunicare davvero, anche se sappiamo bene che una comunicazione “vera” contraddistingue le persone speciali, in ogni contesto di vita.
Volete essere anche voi “speciali” e fare la differenza, umanamente e professionalmente? Con questo libro, attraverso riflessioni, esempi, casi pratici e concetti d’avanguardia, imparerete ad ascoltare in modo attivo e a coltivare l’empatia.
Riuscirete a costruire un vostro modo di essere unici, attenti alla “presenza comunicativa” e alle emozioni.
Il mondo di chi ascolta e il mondo di chi parla sono due mondi diversi. Ognuno ha le sue storie, un suo passato, amici differenti e sensibilità diverse. L’ascolto attivo ed empatico può compiere il miracolo e creare un ponte tra questi due mondi, un ponte che porterà tutti nella direzione di un legame più forte, di una maggiore efficacia nel comunicare, di un maggiore senso di competenza, professionalità e spessore umano.
Utile per chiunque voglia migliorare in modo significativo il proprio modo di comunicare sia nel privato sia nella professione, il testo propone numerosi modelli fondamentali anche per chi opera nelle professioni di aiuto o nelle organizzazioni come leader o manager e per chi agisce in strutture e imprese che fanno del rapporto umano e dell’ascolto del cliente una leva strategica.

Daniele Trevisani
, consulente e formatore aziendale con più di 25 anni di esperienza nel coaching, nel counseling, nella formazione attiva ed esperienziale in azienda, vanta numerose pubblicazioni nazionali e internazionali. Premiato con l’onorificenza Fulbright (Governo USA) per i contributi portati alle scienze della comunicazione e alla ricerca per sconfiggere l’incomunicabilità, ha sviluppato modelli proprietari di comunicazione e management erogati ad oltre 200 imprese e organizzazioni, tra cui le Nazioni Unite, numerose multinazionali e molte imprese italiane in fase di sviluppo o di passaggio generazionale. Dirige i progetti di consulenza e di formazione, coaching e counseling di www.studiotrevisani.it. www.danieletrevisani.it www.danieletrevisani.com

  • Anteprima editoriale esclusiva per i lettori del blog, realizzata dall’autore del libro, articolo

    condivisibile, si prega di citare sempre la fonte.

  • © Daniele Trevisani, Volume “L’ascolto Attivo: Metodi e Strumenti per l’ascolto attivo ed empatico”. Anteprima editoriale, Franco Angeli editore Milano, 2019.
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Empatia e comunicazione empatica: i quattro livelli dell’empatia nel metodo ALM/HPM

…a volte si parla al mondo e il mondo sembra non sentire….

altre volte il mondo parla a noi e noi siamo da un’altra parte.

Daniele Trevisani

L’empatia è quello stato di “presenza mentale”, dove “noi siamo qui, con te”, e quel “tu” è un essere umano che vogliamo capire a fondo.

Come tale, ha una possibilità di durata illimitata, quella di un colloquio, ma il suo effetto può durare per sempre, come per ogni memoria o esperienza.

L’empatia si basa sul fatto di volere fortemente essere presenti, una presenza mentale che accoglie ogni sfumatura e dettaglio di quanto detto, del non verbale, del paralinguistico, cercando di comprenderne il significato, fino ad arrivare a capire la “storia” di una persona e i suoi “episodi salienti, positivi e negativi”.

Può anche arrivare ad una totale comprensione dello “stato d’animo” di una persona, oltre ogni etichetta verbale, al di là di ogni possibilità di espressione.

Nel metodo ALM (sviluppo aziendale) e HPM (sviluppo personale)  si elabora un modello speciale di empatia, con una tipologia esposta inizialmente nel volume Negoziazione Interculturale.

Fig. 1 – Tipi di empatia in base agli angoli di osservazione

  • Empatia comportamentale: capire i comportamenti e le loro cause, capire il perché del comportamento e le catene di comportamenti correlati.
  • Empatia emozionale: riuscire a percepire le emozioni vissute dagli altri, capire che emozioni prova il soggetto (quale emozione è in circolo), di quale intensità, quali mix emozionali vive l’interlocutore, come le emozioni si associano a persone, oggetti, fatti, situazioni interne o esterne che l’altro vive.
  • Empatia relazionale: capire la mappa delle relazioni del soggetto e le sue valenze affettive, capire con chi il soggetto si rapporta volontariamente o per obbligo, con chi deve rapportarsi per decidere, lavorare o vivere, quale è la sua mappa degli “altri significativi”, dei referenti, degli interlocutori, degli “altri rilevanti” e influenzatori che incidono sulle sue decisioni, con chi va d’accordo e chi no, chi incide sulla sua vita professionale (e in alcuni casi personale).
  • Empatia cognitiva (o dei prototipi cognitivi): capire i prototipi cognitivi attivi in un dato momento del tempo, le credenze, i valori, le ideologie, le strutture mentali che il soggetto possiede e a cui si àncora.

Fig. 2 – Tipologie di empatia nel metodo ALM

 

Elementi positivi e distruttivi dell’empatia

Quando si viene ascoltati ed intesi, situazioni confuse che sembravano irrimediabili si trasformano in ruscelli

che scorrono relativamente limpidi.

Carl Rogers

 

L’empatia viene distrutta o favorita da specifici comportamenti comunicativi e atteggiamenti.

Favorisce l’empatia Distrugge l’empatia
Curiosità, passione, motivazione all’ascolto Disinteresse, ascoltare per obbligo, per dovere; scarsa motivazione
Partecipazione reale all’ascolto, non finzione Fingere un ruolo di ascolto solo per dovere professionale
Atteggiamento dello “scopritore”, del cercatore di tartufi o cercatore di pietre preziose. Vediamo cosa salterà fuori oggi! Atteggiamento burocratico, ingessato. Anche oggi, proprio adesso, un altro incontro, che noia
Riformulazione dei contenuti

Recap delle “storie” e dei “temi” che emergono

Giudizio sui contenuti, commenti

Flusso ininterrotto senza mai accertarsi di avere capito di cosa si parla e del senso delle cose

Pluralità di approcci di domanda (domande aperte, chiuse, di precisazione, di focalizzazione, di generalizzazione)

Flessibilità delle domande in funzione di come varia una sessione e il suo contesto

Monotonia nel tipo di domande, staticità delle domande,  domande troppo ancorare a uno schema o scuola dogmatica
Centratura sul vissuto emotivo, ascolto emozionale Centratura esclusiva sui fatti, ascolto robotizzato
Segnali verbali e non verbali di attenzione, segnali “fàtici” (segnali di contatto) es, uhm, ah, ok, ho capito… Body Langage che esprime disinteresse o noia, apatia, voler essere altrove
Segnali paralinguistici di attenzione, incoraggiamento ad esprimersi, segnali “fàtici” (segnali che esprimono il fatto di essere presenti e attenti) Scarsa dimostrazione di interesse e attenzione al flusso di pensiero

Assenza o scarsità di segnali “fàtici” e di contatto mentale

 

“L’empatia fra le persone è come l’acqua nel deserto: si incontra di rado,

ma quando capita di trovarla ti calma e ti rigenera.”

Emanuela Breda

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Quando un’alba o un tramonto non ci danno più emozioni,

significa che l’anima è malata.

 (Roberto Gervaso)

Ascoltare dati e ascoltare emozioni sono due processi diversi. A volte compresenti, e spesso diventano due “task” o compiti che viaggiano in parallelo. Ma concettualmente sono diversi. Noi abbiamo sempre a disposizione “il tutto” mentre ascoltiamo, sta a noi saper cogliere, saper distinguere, saper “apprezzare” ed essere sensibili anche alle più sottili sfumature dell’anima e dell’emozione.

È vero che anche un’emozione è una forma di “dato”, ma dobbiamo constatare, giocoforza, che un conto è trattare dati qualitativi come il sentire piacere, o essere orgogliosi, o sentirsi tristi o depressi, e un’altro conto è annotare informazioni come “Londra”, “Milano”, “50 km”, “aereo”, “treno” e altre informazioni quantitative o qualitative più tangibili.

 

È vero che anche un’emozione è una forma di “dato”, ma dobbiamo constatare, giocoforza, che un conto è trattare dati qualitativi come il sentire piacere, o essere orgogliosi, o sentirsi tristi o depressi, e un’altro conto è annotare informazioni come “Londra”, “Milano”, “50 km”, “aereo”, “treno” e altre informazioni quantitative o qualitative più tangibili.

Possiamo dire che scientificamente abbiamo un “data-point” (punto di dati) ogni volta che riusciamo una proposizione verificabile o narrata. “Erano le 17” è un data-point, “Davide è felicissimo” è un altro data-point. “Prima delle 17, Davide ha concluso una vendita ed era felicissimo” contiene quattro data-point.

Ascoltare bene assomiglia molto al processo di “estrarre e separare” che avviene in un giacimento. Estrarre materiale e separarlo in pietre da un lato e terra dall’altro.

Nell’ascolto, i materiali sono quasi sempre congiunti, quasi incollati, ma possiamo imparare a separarli. Nell’esempio scritto di seguito sarà abbastanza facile farlo.

 

Quando trattiamo con la gente, ricordiamo che non stiamo trattando con persone dotate di logica. Noi stiamo trattando con creature dotate di emozioni.

 (Dale Carnegie)

Ricordiamo che anche un’emozione è in qualche misura un dato, ma va da se che un conto è fare domande attive partendo dalla frase “ho comprato 4 kili di pesce” e altro è farlo per approfondire la frase “in questo periodo mi sento pieno di speranza ma anche di rimorsi”.

Le emozioni sono espresse sia con le parole, ma molto maggiormente tramite microespressioni del volto, segnali del corpo, e stato della voce (paralinguistica), che non tramite la componente verbale.

Le sole parole non veicolano emozioni se non sono accompagnate da un contesto adeguato. Il modo con cui sono dette, molto di più. Ma non vengono di solito “dette”. Semplicemente si manifestano nel comportamento non verbale, nelle espressioni del volto. E anche se non dette, vanno “ascoltate”.

La cosa più importante nella comunicazione è

ascoltare ciò che non viene detto.

 (Peter F. Drucker)

Ascoltare i dati o ascoltare le emozioni qualifica la differenza tra un ascolto informativo centrato sui dati e un ascolto a forte orientamento psicologico.

Ascoltare dati non equivale a cogliere stati emotivi. Possiamo infatti applicare un ascolto di tipo psicologico o un ascolto tecnico-informativo.

Un negoziatore avanzato e un venditore di alto livello saranno in grado di applicare il livello di ascolto corretto, o entrambi, a seconda delle situazioni, senza entrare in uno stato di ascolto prefissato, stereotipato e rigido.

Questo vale anche per un genitore che voglia ascoltare un figlio su come sta andando a scuola, fissandosi sui voti e dati come per riempire un foglio di excel, o cercando di capire gli stati d’animo e le relazioni.

Imparare ad ascoltare bene è possibile, con cura, con esercizio, con passione e volontà, sbagliando, e ripardendo sempre.

Sii sempre come il mare, che infrangendosi contro le rocce trova sempre la forza di riprovarci.

Jim Morrison

 

 

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Dall’ascolto selettivo, attivo, empatico e simpatetico

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Ascolto Selettivo

Con l’ascolto selettivo superiamo la “zona rossa” dell’ascolto ed entriamo in modalità che possono essere utili.

L’ascolto selettivo, pur non essendo empatico negli intenti, va a cercare informazioni molto precise, che possono essere sia oggettuali (cose, persone, tempi) che emozionali (stati d’animo, sentimenti), rispetto ad un certo episodio o tema in fase di esplorazione.

Chi vuole fare ascolto attivo deve conoscere l’ascolto selettivo, perché in alcuni momenti è essenziale saper “smontare un episodio” negativo, per capire cosa non fare più, e saper smontare episodi positivi, per capire i fattori di successo che siamo riusciti a creare, e come si sono succedute precisamente le catene di eventi.

Alcune tecniche di ascolto qui diventano fondamentali:

  • Reflecting: fare da specchio, riformulare quanto si è capito. Consente di poter precisare meglio e apre altro contenuto.
  • Deflecting. Riconoscere immissioni di temi che non c’entrano e riuscire a farli uscire dalla conversazione, smorzarli ed espellerli.
  • Probing. Mettere alla prova un’informazione con una domanda collegata, es chiedere “visto che mi hai detto che è arrivato tardi, quando è poi arrivato?”. Utile per approfondire.
  • Recap: ricapitolazione e rilancio. Fare delle ricapitolazioni di quanto raccolto sinora e aprire “ok siamo arrivati al punto in cui ti presenti per il colloquio, ti fanno aspettare, tu inizi ad agitarti, entri e non sai più cosa dire. Poi cos’è successo?”
  • Contatto: costanti segnali di contatto visivo, cenni del capo, espressioni gutturali e paralinguistiche (uhm, ah, oh), tutto ciò che sia segnale “Fàtico” (i segnali fàtici sono quelli che dicono, in sostanza, “ci sono”, sono qui per te).

Tutte queste tecniche saranno approfondite meglio quando parleremo di “analisi della conversazione”, tuttavia è bene già da ora sapere che esistono, e che un ascolto attivo, selettivo o empatico, usa tecniche precise, oltre alla volontà

Nell’ascolto selettivo, siamo estremamente focalizzati nel capire una cosa specifica, una questione specifica su ciò che pensa l’altra persona, o un’informazione precisa che vogliamo cogliere.

Tutto il resto non ci interessa.

La nostra presenza mentale è accesa, acuta, ma diretta come un laser verso un punto informativo, e non – come nell’ascolto empatico – accogliente verso qualsiasi cosa emerga.

Quando emerge qualcosa che non ci interessa, riportiamo con domande la conversazione sul “focus” che ci interessa.

In termini di efficienza ed efficacia dell’ascolto selettivo, le nostre domande diventano “diagnostiche” solo quando riescono a depurare il quadro da ciò che non ci interessa veramente per cui per praticarlo bene serve tecnica e studio.

Anche nella vita quotidiana accade, e non c’è da preoccuparsene. La questione può essere “a che ora tornerai a casa?” e può interessarci solo e unicamente avere un’ora, e nient’altro.

Dobbiamo preoccuparci invece se l’intenzione è di fare ascolto attivo ed empatico su un vissuto emotivo e umano, ed escono solo domande di precisazione.

Se chiediamo con ascolto selettivo “dove vorresti andare in vacanza” l’ascolto andrà ad incentrarsi solo sul “dove” trascurando però il “come”, la “natura sottile” del tipo di vacanza che l’altro vorrebbe fare.

Praticare ascolto selettivo non è in se sbagliato o giusto. Dipende dalla coerenza tra il nostro scopo sottostante e il tipo di domande che escono.

L’ascolto selettivo non è in sè quindi nè giusto nè sbagliato, possiamo valutarlo in base al fattore empatia – se il nostro scopo è creare empatia, va dosato molto attentamente. L’empatia è un processo che “accoglie” piuttosto che escludere e quindi l’ascolto selettivo è ottimo per raccogliere dati e molto scarso per far entrare veramente le emozioni.

Ascolto attivo

Un buon ascoltatore aiuta ad ascoltare noi stessi.
(Yahia Lababidi)

Quando pratichiamo ascolto attivo siamo immersi in un’attività speciale. Stiamo dando interesse, nostro tempo, nostra energia, per capire una persona, i suoi dati, i suoi contenuti, le sue intenzioni, e un brano della sua storia.

Le persone sono generalmente diffidenti nell’aprirsi e raccontare di sè stessi, del proprio intimo, persino a se stesse. L’ascolto attivo offre una “piattaforma di vita” dove le parole altrui e i pensieri altrui possano delicatamente e progressivamente poggiarsi.

Perchè ad ogni apertura, segue una maggiore apertura, sino a che il “nucleo” della persona si rivela per ciò che è, nel suo splendore, nel suo dolore, nella sua verità.

Arrivare al “nucleo” richiede tanta strada, ma si può fare. Dal nulla dell’ascolto schermato, ogni piccolo passo in avanti verso il “condividere” è sempre significativo.

“Parlate delle vostre cose il meno possibile e solo a quelli che sapranno darvi incoraggiamento e ispirazione.”

Florence Scovel Shinn

La persona si impegna nell’ascolto, di base, vuole ascoltare, lo considera un fatto importante, importante al punto di frenare il suo pensiero, il dire come la pensa, frenare il fatto di “prendere il turno della converazione” per fare un’arringa o esprimere opinioni.

L’ascolto attivo si concentra sul fatto di ascoltare. Lo fa con le parole, con le domande, e anche con il corpo, utilizza segnali corporei e paraverbali di partecipazione a quanto detto, riformulazioni e ricapitolazioni dei contenuti percepiti, e altri dispositivi linguistici e non verbali che servono per dare il segnale “quello che dici mi interessa, ti sto seguendo”.

Si può praticare ascolto attivo per due grandi classi di interessi, persino opposte una dall’altra.

Lo si può fare come atto estremo di amore, un dono che facciamo ad una persona amica, o un momento di grande umanità in cui ci interessiamo agli altri.

Oppure, può trattarsti di un ascolto estremamente strategico, un ascolto professionale nel quale le informazioni racchiuse nella mente di qualcun’altro ci servono. Ci servono per aiutare l’altro stesso, come nel coaching o nella terapia, o ci servono per dirigere un’organizzazione, o per prendere decisioni, come nella leadership.

In ogni caso, quanto abbiamo nella nostra mente si arricchisce sempre, grazie all’ascolto degli altri.

Saper ascoltare significa possedere, oltre al proprio, il cervello degli altri.
(Leonardo da Vinci)

E’ naturale che da un ascolto attivo emergano più informazioni e la persona possa anche esporre informazioni emotive, tanto più profonde quanto più l’ascoltatore s’impegnerà nel non dare giudizi, non giudicare, non interrompere, non “interpretare”.

L’ascolto attivo richiede energia, impegno, un corpo riposato, una mente attenta e vigile. Quando siamo in questa modalità, anche un solo cenno di sopracciglio non colto, può farsi perdere informazioni preziose.

“Uno non può distrarsi un momento che rimane fregato per tutta la vita!”

Micaela Ramazzotti – Anita

Ascolto empatico

Ascoltare senza pregiudizi o distrazioni è il più grande dono che puoi fare a un’altra persona.
(Denis Waitley)

L’empatia è uno stato superiore, estremamente avanzato, di una relazione umana. Potremmo definirlo un apprendere a mettersi nei panni degli altri per poter sentire quello che essi provano.

L’empatia in sè non è nè buona nè cattiva, e infatti si può utilizzare l’empatia strategica anche per capire come ragiona un ricercato, e quale sarà la sua prossima mossa (empatia strategica).

In generale, nei rapporti umani quotidiani e professionali, l’empatia è positiva ed è anche merce rara.

La coscienza empatica si fonda sulla consapevolezza che gli altri, come noi, sono esseri unici e mortali. Se empatizziamo con un altro è perché riconosciamo la sua natura fragile e finita, la sua vulnerabilità e la sua sola e unica vita; proviamo la sua solitudine esistenziale, la sua sofferenza personale e la sua lotta per esistere e svilupparsi come se fossero le nostre.

Il nostro abbraccio empatico è il nostro modo di solidarizzare con l’altro e celebrare la sua vita.

(Jeremy Rifkin)

L’empatia è rara perché richiede la sottile capacità di sintonizzarsi emotivamente, e capire i livelli più nascosti, emotivi e personali, del vissuto del nostro interlocutore, più che i dati numerici o oggettuali che ci espone.

Utilizza inoltre la metacomunicazione (letteralmente “comunicare sulla comunicazione stessa”) ad esempio chiede senza timori il significato di un termine che non comprende, o, nelle poche occasioni in cui l’ascoltatore parlerò, lo farà per spiegare concetti che servono al processo comunicativo stesso.

L’ascolto empatico è di una rarità impressionante. Possiamo dire di averlo incontrato l’ultima volta in cui una pesona ci abbia dedicato un’ora di tempo senza raccontarci niente di lui o lei, e ascoltando solo quello che noi avevamo da dire, e facendoci domande per capire meglio, non solo le nostre informazioni, ma le nostre emozioni. Bene, se è successo, si è trattata probabilmente di una sessione di coaching, di counseling o di terapia.

Periodi più brevi ma dotati della stessa intensità di ascolto si incontrano a volte nella vita, nelle amicizie vere, o tra veri compagni sul lavoro, ma non è detto che l’attenzione sia sempre tutta e solo spostata su uno dei soggetti, come invece avviene nell’empatia.

E del resto, se servono corsi specifici per imparare l’empatia, è perchè la scuola, la formazione, i libri, sono sempre molto spostati sul parlare bene, sul comunicare dicendo noi cosa pensiamo, piuttosto che sull’ascoltare.

Come c’è un’arte di raccontare, solidamente codificata attraverso mille prove ed errori, così c’è pure un’arte dell’ascoltare, altrettanto antica e nobile, a cui tuttavia, che io sappia, non è stata mai data norma.
(Primo Levi)

La componente più difficile dell’ascolto empatico è certamente la sospensione del giudizio.

Se qualcuno dice “ho picchiato mio figlio” o “ho gettato il sacco della spazzatura dal finestrino”, è praticamente impossibile non giudicare negativamente.

Ma la “sospensione” del giudizio significa appunto “sospenderlo”, non farlo sparire. Sospenderlo affinchè possiamo meglio capire cosa, dove, come, perchè avvengono certe cose. Se non lo facessimo avremmo perso larga parte delle informazioni che invece potevano uscire.

Il giudizio è la parte meno interessante dell’ascolto.

(Anonimo)

Ascolto simpatetico

A volte, ci sono delle simpatie così forti che, incontrandosi per la prima volta, sembra di ritrovarsi.

 (Alfred de Musset)

L’ascolto simpatetico ha il fine non solo di ascoltare ma anche di dimostrare affettività e simpatia verso l’altro. È un ascolto non necessariamente migliore di quello empatico, ma solo diverso.

Nell’ascolto simpatetico, la priorità è dare all’altro la sensazione di piacevolezza e vicinanza.

È essenziale far capire che ci interessa quanto sta dicendo, non solo per i dati, ma per la persona che li esprime. Ascoltare in questo caso diventa parte di un gioco che ha una componente seduttiva, quello che ci interessa non è solo una fredda analisi di dati e parole, ma vi è un forte stato di ammirazione o apprezzamento.

Dimostra quindi calore umano, piacere della relazione, gradimento dell’altro, sia con le parole che con il sistema non verbale.

Consideriamo un fattore molto pratico. L’ascolto simpatetico è un ascolto che “avvicina”, e avvicinare relazionalmente la persona che vogliamo ingaggiare può essere un’ottima strategia psicologica per aprire poi varchi verso un ascolto più profondo.

“Noi siamo soliti considerare come buoni ascoltatori solo quelli che condividono le nostre opinioni.”

François de La Rochefoucauld

L’ascolto simpatetico può essere facilmente giudicato come un ascolto “ruffiano”, ma chiediamoci se viviamo in una società avara di complimenti o prodiga di giudizio e accusa quando facciamo qualcosa di male, mentre quando facciamo qualcosa di buono, il silenzio predomina.

Allora, un ascolto simpatetico, quando ci sta, quando c’è l’occasione, non è mai un regalo di poco conto.

Se quando ascoltiamo qualcuno, qualcosa di positivo riverbera in noi, lasciamo che sia, e non vergognamoci a farlo trasparire come apprezzamento.

“Il canto del mare termina sulla riva o nei cuori di chi l’ascolta?”

Khalil Gibran

Concludiamo con una breve riflessione.

Nel corso del libro incontreremo tante tecniche, modalità, strategie, per praticare un ascolto attivo e in profondità. Per entrare nella mente e nei cuori, o per estrarre informazioni, o per lavorare assieme meglio.

Ma qualsiasi sia il nostro intento e il bagablio di tecniche, ve ne è una, che davvero non posso insegnare ma solo suggerire: la volontà di ascolto.

La chiave per un buon ascolto non è la tecnica, è il desiderio.

Fino a quando non vogliamo davvero capire l’altra persona,

non potremo mai ascoltare bene.
(Steve Goodier)

 

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L’ascolto giudicante/aggressivo

Essere incompresi da coloro che amiamo è la condizione peggiore per vivere e affrontare ogni giorno gli impegni della vita.

L’incomprensione pesa come una montagna e traccia solchi profondi sull’anima.

 (Romano Battaglia)

L’ascolto giudicante/aggressivo è caratterizzato dal fatto che il ricevente non ascolta veramente, ma raccoglie informazioni per poi emettere immediatamente sentenze e giudizi. Quando riguarda noi, possiamo dire che stiamo “mettendo su un muro” verso l’altra persona, tale che non importa nemmeno cosa dica, come lo dica, è tutto sbagliato “a prescindere”.

Quello che possiamo chiamare un “riverbero negativo” può toccare sia il tema “quello che hai detto sul tema x è una stupidaggine”, oppure andare direttamente al cuore, attaccando la persona stessa e non la sua frase “sei un egocentrico e non capisci niente”. Questa seconda forma di offesa è molto più grave della prima perchè investe la persona nella sua totalità: “tu sei”, e non in una sua azione delimitata “tu fai x e non mi piace quel x”.

L’ascolto giudicante si fa con le parole ma non solo. Può emergere anche da una smorfia sottilissima emessa in modo non verbale quale “storcere il naso” durante un’affermazione altrui che non approviamo, e non è da confondere con la partecipazione emotiva a quanto detto dall’altro.

L’ascolto aggressivo innesca la spirale aggressione-odio-maggiore aggressione-maggiore odio e via così. È veramente un nemico delle relazioni umane e dell’umanità più in generale.

La pace non può essere mantenuta con la forza; può essere conseguito solo la comprensione.

 (Albert Einstein)

Ascolto apatico o passivo

Che poi ci sono cose peggiori di un’assenza. Una presenza distratta.

 (manuela_reich, Twitter)

L’ascolto apatico o passivo è caratterizzato dalla nostra o altrui “assenza mentale”, ed è negativo. Privo di energia, stanco, “morto”, spento, distratto.

E’ un ascolto praticato da una persona disinteressata, o incapace nell’ascoltare, spesso totalmente assorbita dai suoi processi interni, dai suoi ragionamenti interiori, in cui le parole ascoltate non fanno breccia. Come se volessimo lanciare freccette su una cassaforte blindata, quelle freccette si infrangono e cadono. Niente entra veramente.

La comunicazione e i messaggi sfiorano solo queste persone, e dire che capiranno poco di quanto detto, è fargli un regalo.

Ascolto a tratti

Il fattore principale di distrazione non sono le chiacchiere della gente che ci circonda, ma quel chiacchiericcio che avviene all’interno della nostra mente. Per poter raggiungere una perfetta concentrazione è necessario mettere a tacere queste voci interiori.

 (Daniel Goleman)

Attento in alcuni momenti, distratto in altri. E’ un meccanismo, “acceso/spento/semiacceso/semispento” che crea un ascolto pessimo.

L’ascolto a tratti è estremamente comune, probabilmente lo stato più realistico delle interazioni medie quotidiane.

Ascoltiamo, poi qualcosa del contenuto altrui ci “accende” perchè connesso ai nostri interessi, allora forse facciamo una domanda di approfondimento, poi il contenuto altrui cambia, o ci viene in mente qualcosa, sentiamo una frase di una conversazione che ci attira, ci perdiamo con la testa, “andiamo via” dalla conversazione, anche se fisicamente siamo ancora li.

Il modo più rapido per applicare un ascolto sbagliato “a tratti” è di ascoltare con un media acceso, ascoltare mentre si digita su una tastiera o schermo, ascoltare con la tv accesa o con un monitor acceso, che possiamo considerare “sottofondo” ma sottofondo non è, in quanto da esso escono informazioni che a volte ci catturano, e questo è uno degli ascolti peggiori in assoluto, tranne che per alcuni momenti di “presenza mentale”.

Lo sforzo di parlare con qualcuno che ascolta “a tratti” è enorme, sia fisico che emotivo.

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  • Anteprima editoriale esclusiva per i lettori del blog, realizzata dall’autore del libro, articolo condivisibile, si prega di citare sempre la fonte.
  • © Daniele Trevisani, Volume “L’ascolto Attivo: Metodi e Strumenti per l’ascolto attivo ed empatico”. Anteprima editoriale, Franco Angeli editore Milano, 2019.
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Che differenza c’è tra domanda e accusa?

Un’accusa è quella a cui non si risponde, a una domanda si risponde.

dal film “I Predoni” di Steven C. Miller

Uno strumento visivo può essere molto utile per comprendere immediatamente che esiste una vera e propria “scala” nei livelli di ascolto e nella qualità dell’ascolto.

Da un ascolto criticante ad un ascolto empatico, la differenza è parecchia, e tangibile.

Questa scala è esposta nella figura.

In essa notiamo una progressione verso il miglioramento dei livelli di ascolto, man mano che si sale nella scala.

Partiamo dai livelli decisamente negativi:

Gli elementi negativi dell’ascolto sono quelli che ti fanno star male, quando li subisci. Sono il non essere capiti, o trascurati, o non considerati per quanto si dice e nemmeno come persone. Vanno contro, in pratica, ad un bisogno basilare di ogni essere umano: essere capiti. Un bisogno a volte tanto forte come quello d’aria.

 

Forse non si desiderava tanto essere amati, quanto essere capiti.
(George Orwell)

 L’ascolto schermato o distorsivo

Non ci comprenderemo mai fra noi finché non avremo ridotto la nostra lingua

a non più di sette parole.

 (Khalil Gibran)

L’ascolto schermato blocca i dati provenienti dal canale uditivo e li distorce, così come fa per gli altri canali: vista, tatto, gusto, olfatto. L’esito è non capire, non prestare attenzione, distorcere i dati in ingresso.

Letteralmente, capire una cosa per l’altra.

Accade quando si è troppo stanchi per ascoltare, o l’ascoltatore sta vivendo uno stato emotivo non adeguato ad un ascolto di qualità (es, rabbia, frustrazione, euforia, passione, e tante altre emozioni di forte intensità) e vi sono quindi stati interni che si frappongono ad un ascolto di qualità.

Vi sarà capitato molto spesso di essere dall’altra parte, nel ruolo della persona che parla, e di non essere affatto capiti, o addirittura completamente fraintesi. Bene, ora avete una precisa etichetta per questa condizione.

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