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empatia strategica

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Definizione di ascolto attivo: attività di ascolto nella quale viene realizzata una serie di mosse conversazionali, dalle domande aperte alle riformulazioni, per favorire l’espressione altrui. L’ascolto attivo è il precursore dell’empatia e dell’ascolto empatico. L’ascolto attivo è una tecnica di ascolto e osservazione attenta agli aspetti linguistici (contenuti espressi dal parlante), paralinguistici (toni, accenti, timbri della voce) e ai segnali non verbali, con feedback sotto forma di parafrasi accurata, che viene utilizzata nella consulenza, formazione e risoluzione di controversie o conflitti, nella vendita e nella negoziazione, nel coaching, counseling e in ogni relazione d’aiuto professionale.

ascolto attivo ed empatia

Approfondimento dal libro Ascolto Attivo ed Empatia (Franco Angeli editore)

Esiste una classificazione in letteratura che differenzia i livelli di ascolto dal più negativo sino al più positivo, come segue: ascolto giudicante/aggressivo, ascolto apatico/passivo, ascolto a tratti, ascolto attivo, ascolto empatico, ascolto simpatetico (Trevisani, Daniele (2019), Ascolto attivo ed empatia. Milano, Franco Angeli)

Ascolto attivo ed empatia: I segreti di una comunicazione efficacePersino da una foto si capisce qualcosa. Si può “ascoltare” anche una foto, ebbene si. O un dipinto, o un brano di musica, o un paesaggio.

Di una persona, sul lavoro, potremmo fidarci di quanto scritto sul biglietto da visita, ma insistiamo nel guardare anche alla sua postura, alla schiena dritta o curva, al suo mento e agli occhi tristi od orgogliosi, per capire se è fiero di quel biglietto mentre te lo porge, o se per lui/lei è un peso.

Diciamo pure che siamo curiosi per natura, perché la sopravvivenza richiede il sapere le cose, il capire chi ti è ostile o amico, e saperlo fare in una frazione di secondo, come i veri cacciatori/raccoglitori che eravamo, con lo sguardo, osservando occhi, movimenti, intenzioni.

Annusando istintivamente le situazioni prima ancora che “comprenderle razionalmente”.

Questo fa parte di quell’Intelligenza Inconscia, una forma di intelligenza che in questo volume andiamo ad aggiungere alle tante Intelligenze Multiple di cui disponiamo, risorse mentali e corporee così ben esposte da Howard Gardner[1].

Dell’intelligenza inconscia parla giù Freud (definendola „Unbewussten Verständnis“, o „comprensione inconscia) ma senza evidenziarla come risorsa a disposizione di tutti noi, e ancora prima ne parla il filosofo Schelling (1775 –1854)[2] individuandola come una “intelligenza della natura”, ma ancora una volta senza considerarla per ciò che può essere, una nostra preziosissima risorsa. Noi, invece, vogliamo farlo. Gardner ha dimostrato come il fenomeno “intelligenza” possa essere scomposto in una serie variegata di abilità umane distinte, quindi di diverse intelligenze: linguistica, musicale, logico-matematica, spaziale, corporeo-cinestetica, personale e Interpersonale[3], aggiungendo in seguito, quella Intra-personale legata al conoscere se stessi.

Vicina all’intelligenza Inter-personale, aggiungiamo in questo volume la categoria dell’Intelligenza Inconscia, che qui consideriamo una vera e propria skill, una competenza allenabile per l’ascolto attivo, che deriva da una connessione e da un allenamento più forte nel far dialogare la Neocorteccia (parte recente nello sviluppo del cervello), e altre aree antiche come il cervello rettile e il cervello pre-mammifero, aree abilissime a cogliere informazioni sottili ed istintive.

E qui siamo: sulla parte animale dell’uomo, sul suo “leggere lo sguardo”, sul suo “ascoltare anche il non detto”.

Saper leggere le persone, le loro finalità, richiede un ritorno a capacità ancestrali, quando l’attrazione era segnalata con gli occhi verso altri occhi, e non con un profilo social. Ora, più che mai, è tempo di imparare di nuovo a leggere le persone. Perché da un lato stiamo perdendo la capacità di riconoscere i “cattivi” o nemici, dall’altro lato facciamo di tutta l’erba un fascio e magari diciamo NO a qualcuno che non ci può fare alcun danno e anzi magari ci può portare valore.

L’ascolto attivo: Saper cogliere segnali

Urge un ritorno alle nostre sensibilità ancestrali. Urge ripristinare la capacità di percepire correttamente, prima ancora che di valutare logicamente i soli dati. Per farlo, dobbiamo saper usare in modo speciale l’ascolto, facendolo diventare una “percezione aumentata” di qualsiasi segnale entra nella nostra sfera:

  1. Segnali uditivi verbali. cos’ha appena detto Tizio all’altro tavolo?
  2. Segnali uditivi paralinguistici. Riesco a sentire lo stress vocale di una persona?
  3. Segnali tattili-aptici (in questa seggiola si è appena seduto qualcuno? È calda?), o “cosa mi dice questa stretta di mano su di te?”
  4. Segnali cinestesici-visivi: come sta oggi la squadra? Capirlo dalla falcata, dalla postura. Capirlo persino negli spogliatoi. Sembrano tranquilli o agitati? Demotivati o motivati?
  5. Segnali Olfattivi: Che cos’è questo odore di nuovo che sento nell’auto appena comprata, ci ho mai fatto caso? Sono consapevole che è un odore ingegnerizzato o penso sia frutto del caso?
  6. Segnali emotivi: come sto in questo momento, come sta la mia ansia, la mia gioia, il mio cuore, il mio sognare, il mio vivere in relazione con altri e con me stesso? E… Come sta la persona di fronte a me? Come sta respirando, cosa sta sentendo?
  7. Segnali corporali: che mestiere potrebbe fare il secondo da destra su quel tavolo, in base alla tipologia di muscolatura e come è vestito e ai segni che noto sulla pelle?
  8. Segnali olistici: chi è la persona più pericolosa o dissonante in questa carrozza di treno o in questo bar, c’è qualcuno che potrebbe essere pericoloso? In base a cosa lo noto?

I segnali sono tanti. Segnali d’amore, segnali di odio, di indifferenza, di paura, di disgusto, di amicizia. Se solo sapessimo coglierli tutti…

Ma appena cogliamo che il discorso non tocca i nostri interessi vitali, facciamo dietrofront e continuiamo nel nostro fare distratto.

La distrazione è un male dell’epoca.

La “furia dei tempi” e la fretta hanno portato l’ascolto ai livelli minimi assoluti nella storia della civiltà occidentale.

Smartphone e altri dispositivi elettronici hanno sostituito le persone, e siamo quindi diventati bravi ad “ascoltare” i segnali dei dispositivi elettronici, riconoscere un bip da un beeep, a manipolare un telefono o uno schermo touch, ma meno bravi a guardare negli occhi una persona che ci parla dal vivo e coglierne le sfumature, il tono di voce, lo sguardo, i cenni del capo, e capire cosa prova, e se mente o meno.

Nel corso del libro ci saranno decine e decine di strumenti utili per re-imparare l’arte e tecnica del “leggere le persone” – che significa praticare un “ascolto oltre le parole”. L’importante è che si accenda in noi la scintilla. La scintilla del DNA ancestrale. La scintilla della curiosità.

La furia dei tempi ha abituato gli studenti a fare quiz, test a risposta multipla, esami informatizzati, e l’esame orale va sparendo lentamente dal panorama della formazione accademica, perché “richiede troppo tempo”. Così, non impariamo più a “sintonizzarci sul Prof. e sui suoi interessi che magari abbiamo sentito a lezione”, perché è diventato inutile.

Anche nei gruppi di ragazzi e ragazze, seduti a tavola in una pizzeria, si può notare un continuo “fare”, ma con il proprio smartphone, e una assenza quasi fisica del luogo in cui le persone sono veramente, con rare, rarissime conversazioni tra i partecipanti, spesso superficiali.

Non è mai facile ascoltare. A volte è più comodo comportarsi da sordi, accendere il walkman e isolarsi da tutti. È così semplice sostituire l’ascolto con le e-mail, i messaggi e le chat, e in questo modo priviamo noi stessi di volti, sguardi e abbracci.

 

[1] Howard Gardner (1983), Frames of Mind: The Theory of Multiple Intelligences, Edition Hachette UK, 2011.

[2] Friedrich Schelling, Vom Ich als Prinzip der Philosophie oder über das Unbedingte im menschlichen Wissen (L’io come principio della Filosofia o sul fondamento della conoscenza umana), 1795

Friedrich Schelling, Ideen zu einer Philosophie der Natur (Idee per una filosofia della natura), 1797

[3] Howard Gardner (2010), Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza. Feltrinelli, Milano.

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L’ascolto attivo in Wikipedia

Ascolto

Da Wikipedia

L’ascolto è l’atto dell’ascoltare. È l’arte dello stare a sentire attentamente, del prestare orecchio. Ascoltatore è chi ascolta; ascoltare la lezione, un oratore; ascoltare con interesse tutto ciò che il professore dice. Non trattasi di atto superficiale.

In psicologia ascolto è uno strumento dei nostri cinque sensi per apprendere, conoscere il tempo e lo spazio che ci circonda e comunicare con noi stessi e il mondo circostante. L’ascolto è un processo psicologico e fisico del nostro corpo per comunicare ai nostri neuroni, al cervello che li traduce in emozioni e nozioni.

Etimologia

Dalla radice Auris “Orecchio”, latino parlato, Ascoltare è verbo transitivo. La parola ascolto nasce in italiano come derivato del verbo ascoltare, che proviene a sua volta dal latino “auscultare”, cioè sentire con l’orecchio. Il significato tradizionale del termine ascolto è appunto quello che indica in genere l’azione e il risultato dell’ascoltare ed è fortemente legato al concetto di attenzione.

Come noi ascoltiamo

Nell’ascolto c’è la componente fisica, tra orecchio e neuroni di come noi assimiliamo stimoli acustici e la componente psicologica, che è l’apprendimento attraverso i cinque sensi. Bisognerebbe parlare di tante cose sull’apprendimento, partendo da Sigmund Freud con la fase orale (che noi apprendiamo per esempio dalla bocca e i bambini attraverso quel mezzo assaporano, il gusto (freddo, amaro…), il tatto (forma, durezza, …) per capire che cos’è. È il loro primo approccio con il mondo esterno. Sempre in quel periodo c’è l’apprendimento attraverso la vista e l’udito, che poi durerà tutta la vita. L’udito è molto importante, perché la percezione dello spazio e del nostro equilibrio si basa sull’orecchio.

Una delle cose che facciamo con l’ascolto è l’apprendimento del linguaggio. Due teorici come Burrhus Skinner e Orval Hobart Mowrer, ritengono che il nostro apprendimento si realizzi attraverso le interazioni con l’ambiente. Prima si apprendono le parole e più tardi si uniscono. Per fare questo si deve ascoltare con la vista e con l’udito. Per imparare la parola mamma, il bambino sente il suono mamma, per esempio “vieni dalla mamma”. Usando sempre questa frase, vede il movimento delle labbra e l’oggetto in quel caso la mamma. Lui non ha associato subito il significato di mamma, ma è stata la ripetizione degli eventi. Questo procedimento vale in generale. Sempre con l’ascolto il bambino piccolo dice la parola mamma, perché fa delle prove vocali. Per esempio dice: “aaaa” “ma ma ma”… Fa tanti versi il neonato, e attraverso l’ascolto e la ripetizione: capisce, impara a dire, prova emozione. L’ascolto non è solo udito, ma tutto quello che noi riusciamo ad apprendere o assimilare attraverso i nostri sensi.

Usi della parola “ascolto”

La fortuna della parola ascolto è cresciuta a dismisura negli ultimi trent’anni. Fino a qualche decennio fa, infatti, la voce ascolto non si usava quasi mai autonomamente, ma serviva soprattutto per formare locuzioni con valore di avverbi come essere in ascoltorimanere in ascolto, o con valore verbale, come dare ascoltoprestare ascolto nel senso di fare attenzione. Al massimo, la funzione dell’ascoltatore poteva interessare i linguisti, i quali distinguono l’analisi del parlare, cioè della produzione dei testi di una lingua, da quella della loro comprensione.

Ancora all’inizio degli anni Sessanta, l’ascolto non aveva niente a che fare con il pubblico dei programmi radio o tivvù. L’ascolto radio non era l’indice di gradimento: secondo il più grande vocabolario della lingua italiana, la cui lettera A risale al 1961, l’ascolto radiotelegrafico era il periodo fissato, di qualche ora al giorno, durante il quale le stazioni riceventi sulle coste e sulle navi al largo restano in ascolto per captare eventuali segnali di pericolo. Oggi invece ascolto è una parola molto frequente, soprattutto quando si discute di televisione. Sembra un’incongruenza parlare in questo caso di ascolto, visto che la televisione più che ascoltarla la si guarda. Ma l’apparente incongruenza si spiega in parte come un ricordo dei tempi della radio, in parte perché la parola ascolto, nell’accezione di gradimento di un programma radiofonico o televisivo, traduce l’inglese audience, vocabolo molto usato da noi anche nella forma originaria.

Empatia definizione. L’empatia è la capacità di relazionarsi ad altre persone percependone le emozioni, le sensazioni, gli stati d’animo, e le sfumature più sottili del suo vissuto esistenziale. Il contrario dell’empatia è il disinteresse più totale nei riguardi delle emozioni di un’altra persona (Daniele Trevisani).

L’empatia è trattata approfonditamente nel testo “Ascolto Attivo ed Empatia: I segreti di una Comunicazione Efficace“, di Daniele Trevisani, edito da Franco Angeli, Milano.

Empatia libro: Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace, di Daniele Trevisani

Empatia e Ascolto Empatico. Articolo e video sull’empatia e ascolto empatico

Copyright dal testo Ascolto Attivo ed Empatia

Ascolto, empatia e leadership conversazionale

La gente non ascolta, aspetta solo il suo turno per parlare.
(Chuck Palahniuk)

Quando si parla di ascolto efficace, si intendono essenzialmente due cose: 1) l’ascolto è stato utile a raccogliere informazioni e comprendere meglio lo stato delle cose, dei fatti, e delle persone; 2) l’ascolto è stato un momento di relazione piacevole, accogliente, in cui si è riusciti a fare da contenitore emotivo alla persona.

Quando queste due situazioni accadono, siamo di fronte ad un ascolto efficace. Direi abbastanza raro. Nella vita la materia più rara e preziosa non è l’oro, è qualcuno che ti capisca.

Alcune domande possono esserci utili:

  • Hai mai avuto la sensazione che una persona non ti stia ascoltando?
  • Che voglia non ascoltarti, o che non ci riesca proprio?
  • Oppure hai mai percepito che mentre parlate, l’altra persona stia dicendo le cose a metà, non dica tutto, trattenga qualcosa? Per volontà, a volte, o per incapacità, o per paura, chissà?
  • Hai mai avuto la vaga impressione che la persona con cui parli stia cercando di proiettare di sè un’immagine magari poco veritiera, praticando qualche forma di “Impressions Management[1] (letteralmente “Gestione dell’Impressione”, creare di sè un’immagine artificiosa)?
  • Ti è mai capitata l’intenzione di parlare con qualcuno per approfondire un certo tema o situazione, mentre invece la persona continua a sfuggire, scappare, evitare?
  • Hai mai sentito la presenza di un “nucleo” dietro al parlare di una persona, del contenuto – idee, opinioni, progetti – che si osserva solo in trasparenza, ma non emerge, per quanti sforzi la persona faccia per spiegarsi?

Se ti sei trovato anche solo in una di queste situazioni, hai praticato un “ascolto oltre le parole”, una “percezione aumentata” e ti sei avvicinato o avvicinata ai temi dell’ascolto attivo e dell’empatia.

Tra l’altro, se c’erano interessi in gioco, hai toccato con mano quanto possa essere importante la Leadership Conversazionale e la capacità di dirigere gli andamenti di una conversazione.

Hai anche visto, nella tua vita, quanto sia raro l’ascolto attivo, e che essere ascoltati è abbastanza raro, rispetto alla vita normale dove tutto corre e nessuno ha mai il tempo per nulla.

Bene, piuttosto che recriminare gli altri per ciò che fanno o non fanno, questo libro vuole offrire strumenti per chi vuole migliorare il proprio ascolto, per lavoro o nella vita di tutti i giorni, per praticare un ascolto di qualità, un ascolto attivo, e un ascolto empatico.

Lo spirito delle parole di Virgilio, il suo invito a cercare sempre di capire, è il fondamento che scorre lungo tutto questo volume. È il valore di fondo che ci ispira a praticare un ascolto attivo.

Si può essere stanchi di tutto, ma non di capire.

 (Virgilio)

L’ascolto è percezione, e percepire per noi è normale, fisiologico.

Lo hai fatto centinaia e migliaia di volte, anche solo osservando le persone nel come sono vestite o come camminano. Inevitabilmente. Lo hai fatto, che volessi o meno. Il problema è che la percezione è diventata superficiale, molto superficiale, e l’ascolto altrettanto. E questo è un peccato, perché una percezione acuta, è una via privilegiata verso la verità.

La leadership conversazionale è la capacità di ridare forza all’ascolto, dirigere la conversazione sui temi che ci interessano, o sui formati che vogliamo strategicamente attivare (e l’ascolto, è uno di questi).

Perché serve leadership per poter ascoltare? Perché la leadership è un atto volontario, e in questo volume trattiamo proprio l’ascolto come atto volontario, deciso da chi ascolta, non come un atto casuale che può capitare a chiunque senza prestarvi attenzione.

Gli esseri umani sono dotati di capacità di ascolto, naturali, utilizzano l’udito per capire suoni e parole, perché questo è vitale per la loro sopravvivenza. Se non sapessimo ascoltare, né i suoni, né le intenzioni (es, aggressive, ostili, o amichevoli), ci saremmo già estinti.

Si dice spesso che occorre il coraggio di alzarsi in piedi e parlare, dire la propria. Beh, molto spesso serve anche il coraggio di portare la mente li, dove siamo ora, per ascoltare e guardare dentro all’anima e alla mente di una persona.

Esiste coraggio anche nell’ascoltare.

Il coraggio è quello che ci vuole per alzarsi e parlare; il coraggio è anche quello che ci vuole per sedersi ed ascoltare.
(Sir Winston Churchill)

Empatia emotiva. Ascoltare le emozioni. Emozioni e comunicazione

Emozioni e comunicazione sono fortemente correlate.

Quando comunichiamo, oltre ai dati verbali (oggetti, soggetti, verbi, aggettivi e altri elementi del discorso) possiamo sempre notare un sottofondo emotivo (la parte esterna della ruota di Plutchik sotto presentata). A volte questo sottofondo si fa più intenso, e quasi arriviamo a “sentire” o “percepire” più lo sfondo emotivo delle stesse parole (area delle emozioni intermedie). Quando si entra nelle emozioni estreme, quelle intense, rappresentate al centro, le parole diventano quasi inutili, perché veniamo inondati dall’emozione che ci arriva dall’altro, e questa finisce per sopraffare qualsiasi contenuto.

Il “solido di Plutchik” o “Ruota delle Emozioni di Plutchik”[2] rappresenta una delle migliori visualizzazioni su come funzionano le emozioni.

Dobbiamo tenere a mente che anche noi siamo soggetti comunicatori, per cui quanto sopra evidenziato, vale anche per quando siamo noi a parlare.

Figura 1 – Ruota degli stati emotivi (Plutchik)

Empatia e Coaching Emozionale - Ruota di Plutchick

(grafica adattata dal modello originale, con riferimento in bibliografia, Plutchik 1980)

Inevitabilmente, in uno scambio comunicativo, abbiamo sempre un sottostante scambio di emozioni.

Alcune persone sono bravissime e rapidissime nel cogliere le proprie emozioni interne, dirigerle, dominarle, farne l’uso che vogliono. Ad esempio, parlare in pubblico davanti a migliaia di persone senza provare il minimo di ansia.

Altre persone invece sono vittime delle emozioni, possono diventare vittime di un amore cieco e sordo ad ogni diniego, e perseverare nell’amare una persona che non le ama, o non ha nemmeno mai dato segni di amore. Possono provare paura persino del pensiero di parlare in pubblico, e temerlo come il peggiore dei veleni.

Ogni situazione comunicativa (COMSIT) può avere specifici significati e sottofondi emotivi. Le COMSIT sono specifici frames o momenti comunicativi che possono essere distinti gli uni dagli altri, come il dialogo tra amici, o il litigio, o il dare spiegazioni stradali, e mille altre possibilità date dalla vita di relazione. In ciascuna COMSIT, si presentano gradi diversi di incomunicabilità e diversi tipi di emozioni.[3]

Ma allora cosa fare. La strada, l’unica vera strada, è “allenarsi alle emozioni”. E detta così sembra come “allenarsi a vivere”, qualcosa di intangibile. Ed è proprio quell’allenare l’intangibile che fa dell’”allenamento alle emozioni” un esercizio di grande intelligenza emotiva. E una raffinata palestra di Coaching Esperienziale, per chi progetta esercizi di formazione attiva sulle emozioni.

Si tratta di fronteggiare le emozioni in un “laboratorio emotivo” dove queste possano essere sperimentate e poi “sbobinate” con il supporto di un formatore, coach, Counselor o psicologo, in funzione del tipo di intervento.

Quando si lavora su gruppi aziendali e non su situazioni di patologia clinica, certamente la figura del formatore e del Counselor possono essere il riferimento. Questi “laboratori sulle emozioni” devono essere formulati ingegneristicamente, possono utilizzare video, immagini, lettere, dialoghi a tema, ed ogni tipo di esercizio che coinvolga le emozioni.

Come ci dice Howell[4] parlando delle nostre “incompetenze emotive inconsapevoli”, all’inizio troveremo il tutto un pò stupido o saremo “imbranati”, ma poi “scaleremo” questa vetta, passo dopo passo, sino a giungere ad una forte competenza emotiva.

E del resto, questa è necessaria tanto più è elevata la posizione di carriera. Si pensi alle necessità di equilibrio emotivo di un Giudice, o di un Chirurgo, o di un operatore delle Forze dell’Ordine, o in situazioni specifiche come tirare un rigore, o in sport difficili ed estremi dove le emozioni sono tutto, o quasi tutto.

[1] Schlenker, Barry R. (1980). Impression Management: The Self-Concept, Social Identity, and Interpersonal Relations. Monterey, California: Brooks/Cole.

[2] Plutchik, Robert (1980), Emotion: Theory, research, and experience: Vol. 1. Theories of emotion, 1, New York: Academic

Plutchik, Robert (2002), Emotions and Life: Perspectives from Psychology, Biology, and Evolution, Washington, DC: American Psychological Association

Plutchik, Robert; R. Conte., Hope (1997), Circumplex Models of Personality and Emotions, Washington, DC: American Psychological Association

[3] Trevisani, Daniele (1992). A Semiotic Models Approach to the Analysis of International/Intercultural Communication; published in “Proceedings of the International and Intercultural Communication Conference”, University of Miami, FL., USA, 19 – 21 May 1992.

[4] Howell, William S. (1982). The empathic communicator. University of Minnesota: Wadsworth Publishing Company

Dal libro Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace – Video su Ascolto Attivo ed Empatia – La Scala dei Livelli di Ascolto – Dott. Daniele Trevisani

Empatia: Video su Ascolto Attivo ed Empatia

Empatia – L’ascolto oltre le parole. Vie per l’ascolto empatico

Una cosa è conoscere il sentiero giusto, un’altra è imboccarlo.

Morpheus (Lawrence Fishburne)

dal film “Matrix” di Andy Wachowski

Tutti sappiamo che ascoltare è importante, ma pochi lo fanno, e di quei pochi, ancora meno sono quelli allenati all’empatia, il che significa “formati” a sviluppare tecnicamente empatia e ascolto empatico. A volte serve saperlo fare con metodo, e non solo per attitudine naturale.

Se ti capita che una persona ti stia “sentendo a pelle”, e tu “senti a pelle” che sta capendo, stai vivendo un momento di ascolto oltre le parole. Momenti magici. L’ascolto va assolutamente oltre le parole. L’ascolto è tutto ciò che entra in noi e a cui attribuiamo significato. L’ascolto quindi, diventa percezione, e può diventare “percezione aumentata” se lo potenziamo. Possiamo persino arrivare a capire di una persona più di quanto essa stessa capisca di sè, in quanto l’ascolto, praticato da fuori, riesce a cogliere elementi che una persona vive costantemente, ma di cui non è consapevole.

È come girare tutta la vita con un cartello dietro la schiena. Tutti lo vedono, tranne tu. La personalità è come quel cartello.

Altrettanto nascoste sono le convinzioni più profonde. Per quelle periferiche, le preferenze, ciò che piace o meno, si possono cogliere da dettagli, con una semplice osservazione dell’alzarsi dei muscoli del naso (come quando si odora qualcosa di sgradito), e raramente vengono verbalizzate in pubblico. Eppure, un ascolto non verbale accurato, le saprà cogliere.

Quando noi osserviamo tutto questo e non solo le parole, stiamo praticando un “ascolto oltre le parole”, una percezione aumentata.

Fare percezione aumentata significa “saper leggere la gente”, saper cogliere segnali, parole, frasi non dette, gesti, simboli, cenni.

Sapeva ascoltare, e sapeva leggere.

Non i libri, quelli sono buoni tutti, sapeva leggere la gente.

 (Alessandro Baricco)

La percezione aumentata può persino arrivare a potenziare i sistemi sensoriali stessi, rendendo una persona allenata capace di ascoltare le variazioni dello stress vocale (segnalatore di bugie o di imbarazzo), qualcosa che in genere solo un software specifico riesce a fare.

La percezione aumentata può portarti a cogliere microespressioni facciali della durata inferiore ad 1/10 di secondo, così brevi, eppure così significative, come l’alzarsi del muscolo di un sopracciglio, o di un muscolo labiale, indicatore di interesse, o di sorpresa, o di allarme. E non vi è dubbio che quando siamo più acuti nel cogliere, nel percepire, nell’ascoltare, diventiamo persone diverse, noi stessi. Cambiamo dentro.

L’ascolto può poi arrivare a definirsi “empatico” quando davvero siamo riusciti ad “entrare nella testa di una persona”, capire come la pensa, capire come ragiona, coglierne le sfumature del pensiero, e capire perché la pensa così, “da dentro” il suo sistema di credenze, di convinzioni e di emozioni.

Questo riguarda non solo le questioni semplici, ma anche qualcosa che ci appare molto strano, qualcosa di arcano che con l’ascolto empatico possiamo capire, perché siamo riusciti a cogliere le logiche interne che la persona sta usando.

L’ascolto è una delle fasi di una “conversazione”, di un dialogo, di un rapporto. Spesso, la più importante. E la più trascurata. L’ascolto è un atto di dono, capire una persona è una forma di dono, e può trasformarsi in atto strategico (ad esempio in un negoziato) ma di base e nella vita quotidiana, può essere considerato un grande dono.

Io chiamo religioso colui che comprende la sofferenza degli altri.

 (Mahatma Gandhi)

L’ascolto non si limita assolutamente a voler capire la sofferenza altrui (tema che tocca la psicoterapia, il counseling, le relazioni d’aiuto), ma può anche entrare nel far aumentare le performance di atleti, sportivi, manager, imprese e team, quando l’ascolto viene usato come arma primaria in un buon coaching sulle performance.

L’empatia, quindi, diventa anche una potente arma per vincere le sfide più grandi della nostra vita, o di un cliente.

Il potere dell’ascolto empatico

Il potere dell’ascolto, lo diremo subito, è soprattutto la capacità di vedere oltre le parole. Vedere le carte dell’altro, per poter giocare meglio e non al buio. L’ascolto, quello vero, quello che “apre a metà” la comunicazione e il comunicatore per guardarci dentro, è un’arma potentissima. Smaschera bugie e falsità, impedisce alla nebbia mentale di entrare nelle conversazioni, perché la sa riconoscere.

È così facile raccontare bugie a chi non sa ascoltare bene, a chi si lascia trasportare da retorica e status, e non entra nel profondo del messaggio per coglierne la verità.

L’ascolto attento è arma anti-persuasiva per eccellenza, così come l’ascolto distratto è succube di status e ruoli, ed è via maestra per farti entrare nella testa messaggi subliminali che ti persuadono senza che te ne accorgi. L’ascolto subentra nelle fasi di negoziazione con clienti interni ed esterni, con stakeholders (i vari portatori d’interessi che ruotano attorno alla vita di una persona o di un’azienda), si manifesta in famiglia, tra coppie, tra genitori e figli, tra amici, con persone della stessa cultura e di culture diverse.

Il potere dell’ascolto è pari a quello che si ha nel giocare a carte potendo vedere le carte dell’avversario. Leggiamo le persone meglio, leggiamo le situazioni meglio. Vediamo meglio.

Può essere usato per curare (Carl Rogers, nella Terapia Centrata sul Cliente, ne fa lo strumento centrale per la guarigione psicoterapeutica[1]) o per persuadere (studio di un target audience ed empatia strategica), per progettare, come nel project management, per comprendere a fondo i desideri e obiettivi di una persona e “cosa ha in testa”, e per prendere più saggiamente decisioni di gruppo senza che nessuno si senta escluso o non ascoltato.

Anche decisioni difficili e in condizioni di crisi, si avvalgono del potere dell’ascolto. Perché l’ascolto, tranne che in un interrogatorio, è uno stato d’animo di spaziosità per le parole altrui, per le emozioni altrui, per le storie altrui.

 

La rabbia e l’intolleranza sono i nemici della corretta comprensione.

 (Mahatma Gandhi)

 

Di sicuro, possiamo affermare che le persone che sanno ascoltare hanno un vantaggio competitivo sugli altri. Sanno cogliere più informazioni, sanno percepire di più, sanno entrare in connessione neurale con altre menti, possono avere l’opzione di ascoltare o no, a loro piacimento, mentre chi non sa ascoltare ha una sola opzione: non ascoltare, o ascoltare malissimo, e come ha specificato Malcom X, “coloro che non ascoltano niente cadranno per qualsiasi cosa.”

In ogni conversazione, avviene una fase di ascolto, esiste sempre uno “strato” di noi che ascolta, che ne siamo consapevoli o meno, ed avvengono “manovre” implicite.

Chi parla per primo? Chi ascolta chi? Per quanto? Con che scopi? Scopi impliciti? Scopi espliciti? E quali percezioni avrà l’altro? Che formati ha questa conversazione, al di la delle singole parole? È una “supplica”, è una “autocelebrazione”, è un “attacco al mondo crudele”?

Cosa capiamo di una persona quando l’abbiamo ascoltata bene? Capiamo come la pensa e il suo stato d’animo, sino ad arrivare alla sua personalità. E capiti quelli, abbiamo colto il 90% della persona.

Empatia e Ascolto Empatico –  Saper cogliere le risonanze emotive, verso l’”ascolto sensibile”

Le risonanze emotive sono degli “eco delle emozioni” che giungono apparentemente da lontano, ma riportano nuovo contenuto su un piano diverso e arricchiscono l’ascolto. Ci sono almeno dieci modi di dire “va tutto bene” di fronte alla domanda “Come va oggi?”, e quelle dieci diverse sfumature provengono dalle risonanze emotive che riverberano nella persona e si associano alle parole. Provare per credere. È possibile esercitarsi a “sentire” le risonanze emotive, per arrivare più vicini possibile alla verità delle cose. Mentre l’ascolto tradizionale si concentra sulla parola, l’ascolto empatico si concentra più sul cogliere le emozioni. Le emozioni dell’altro hanno una vibrazione, un riverbero, le nostre anche, e si crea un vero e proprio momento di risonanza.

Quando io capisco che stanno risonando emozioni nell’altra persona, siamo nell’ascolto sensibile. Quando io inizio ad interessarmi, a cercare di capire che tipo di emozioni stiano risonando, stiamo entrando nell’ascolto empatico.

Ciascuna delle principali pubblicazioni che ho scritto[2], ciascuna riga, contiene possibili mondi interpretativi. Sentire che esiste un flusso, decidere di voler decodificare un testo, una parola, una frase, una conversazione, è saper ascoltare con il cuore e non solo con la mente.

In fisica, questo fenomeno viene chiamato “modello di interferenza tra due fonti singolari”, e quella che i fisici chiamano interferenza, per noi può essere invece ricchezza e sensibilità. Nelle arti, il modello è chiamato vesica piscis o mandorla, un simbolo di forma ogivale ottenuto da due cerchi dello stesso raggio, intersecanti in modo tale che il centro di ogni cerchio si trova sulla circonferenza dell’altro.

Il nome significa letteralmente vescica di pesce in latino. Per noi diventa importante in quanto rappresenta l”ingresso” nella porta delle emozioni altrui, base di ogni ascolto empatico. L’ascolto empatico riguarda infatti:

  • La natura delle emozioni (Quale emozione sento nell’ascolto?);
  • la molteplicità delle emozioni (Quante emozioni sento? Quali sono compresenti?);
  • la forza delle emozioni (Quanto sono forti le emozioni che sento nell’altro: periferiche, intermedie, centrali?), e
  • cosa le muove (Cosa potrebbe essere la ragione dello stato emotivo che sento nell’altro?).

Questo è solo un inizio di ascolto empatico, che possiamo chiamare un “ascolto sensibile”. Passare all’ascolto empatico richiede poi specifiche domande, specifiche riformulazioni, e un contesto adeguato. Ma stiamo sull’ascolto sensibile.

Un familiare ci dice “vorrei cambiare lavoro”. Ma non ce lo dice con slancio, cogliamo una risonanza emotiva di tristezza, malinconia.

Se siamo in fase empatica, faremo domande, cercheremo di capire, ad esempio, se questa ricerca è mossa da insoddisfazione per il lavoro attuale, e se sì, cosa la causa.

Arriveremo anche a capire cosa cerca la persona in un nuovo lavoro, se vuole o meno viaggiare, che caratteristiche dovrebbe avere il suo lavoro ideale, e se la persona si sente mentalmente all’altezza – come potere personale (autoefficacia) – di avviare un vero percorso di ricerca di lavoro. Avremo, in sostanza, aiutato quella persona, partendo da una risonanza emotiva.

La nostra consapevolezza su come funziona un ascolto di qualità, la capacità di attivare un ascolto attivo, e soprattutto la coscienza piena di tutte le sue enormi sfumature e variabili emotive, influirà sulla nostra vita. L’ascolto incide già oggi, su ogni negoziazione e sulle nostre vite professionali, e persino nella nostra esistenza in senso ampio, come esseri umani, dalla nascita sino all’ultimo respiro. L’ascolto è con noi, sempre. Che lo vogliamo o meno. Ascoltiamo le nostre risonanze emotive mentre parliamo. Faremo grandi scoperte.

L’ascolto entra anche nelle aziende, nelle relazioni di vendita consulenziale. Una relazione d’aiuto forte, centrata sull’ascolto verso il cliente, è la base di ogni metodologia di vendita consulenziale onesta, autentica, sincera, professionale. Non ci meravigliamo se, mancando la capacità di ascolto, tante situazioni di vendita sono descrivibili come il “mettere sù il brano memorizzato” e parlare sopra la testa del cliente, incuranti di ciò che gli serva veramente.

Al centro di ogni processo di vera consulenza, medica, professionale, tecnica, umana, c’è l’ascolto, la capacità di far emergere dati e situazioni che aiutano a realizzare una proposta utile, contributiva, efficace.

Quando udiamo o percepiamo qualcosa che risuona in noi, abbiamo ascoltato.

Se ciò che io dico risuona in te, è semplicemente perché siamo entrambi rami di uno stesso albero.

 (William Butler Yeats)

Cercare risonanza e ascolto vale anche nelle professionisti strategiche. Nel caso della vendita, la tecnica di ascolto si trasforma in un vero e proprio coaching del cliente, che viene aiutato a fare passi avanti e miglioramenti grazie alle nostre azioni di ascolto attivo. L’ascolto attivo fa sempre da “madre di ogni riflessione”. Non cambia molto se ci spostiamo verso l’esame delle capacità di ascolto di un medico verso il paziente.

Quante volte vi siete sentiti ascoltati pienamente, a fondo, e senza fretta di arrivare a conclusioni?

I tempi tecnici della sanità non lo rendono sempre possibile, ma il problema è che – se anche vi fosse il tempo – i medici non “Sanno Fare”, non sono dotati, né sono stati formati nel corso dei loro studi, ad una capacità di ascolto in profondità che invece servirebbe. E lo posso dire avendo insegnato Comunicazione Medico-Paziente in numerosissimi Master per medici[3]. La loro prima scoperta, con esercizi pratici di ascolto, sul fatto di non saper ascoltare, li ha spesso sconvolti.

Le aziende, invece, spesso pensano di “ascoltarci” facendoci compilare questionari o tramite risponditori automatici, il che non aiuta certo a creare un legame empatico con il cliente.

Con questionari e form online, così distanti, così freddi, difficilmente si creerà quella risonanza emotiva che solo un ascolto attivo sa creare.

L’ascolto entra anche nella leadership, perché un conto è dare ordini a persone senza sapere che impatto e adesione troveremo, e altro è dare disposizioni, consegne o deleghe avendo un quadro chiarissimo su come le persone la pensino e cosa possano o meno accettare o vedere fattibile.

Se l’ascolto fosse un fiume, avremo un ascolto semplice, che si limita a guardare l’acqua passivamente e distrattamente, e un ascolto empatico “oltre le parole”, che va ad osservare con attenzione anche i diversi colori e sfumature del flusso d’acqua, le rive, le insenature, la vegetazione che lo contorna, i sottili mulinelli dell’acqua, una barca, un tronco trasportato, e la velocità della corrente, e tutto quanto il flusso possibile di segnali che scorgiamo nell’ambiente.

Per offrire un primo contributo di metodo, esaminiamo ora una prima scala visuale dei livelli di ascolto, utile per fissare alcuni punti sin dall’inizio. Una scala per i livelli di ascolto è per forza di cose una riduzione, rispetto alla complessità di un fenomeno così vasto ed enorme. Eppure, se questa riduzione ci aiuta nel fare passi avanti nella formazione, allora ben venga. Questa scala può aiutarci a difenderci da un ascolto aggressivo, o attivare un ascolto empatico. Starà a noi la scelta.

Perché l’importante, è avere l’opzione e poter scegliere.

 

[1] Carl R. Rogers (2013), La terapia centrata-sul-cliente. Firenze, Giunti Editore. Edizione originale: Rogers, Carl. (1951). Client-Centered Therapy: Its Current Practice, Implications and Theory. London: Constable. ISBN 1-84119-840-4.

[2] Trevisani Daniele. (1992), A Semiotic Models Approach to the Analysis of International/Intercultural Communication, in Proceedings of the 9th International and Intercultural Communication Conference, University of Miami, 19-21 May.

Trevisani Daniele (2000), Competitività aziendale, personale, organizzativa. Strumenti di sviluppo e creazione del valore. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2001), Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2003),  Comportamento d’Acquisto e Comunicazione Strategica. Dall’analisi del Consumer Behavior alla progettazione comunicativa. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2005), Negoziazione interculturale. Comunicazione oltre le barriere culturali. Dalle relazioni interne sino alle trattative internazionali. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2007), Regie di Cambiamento. Approcci integrati alle risorse umane, allo sviluppo personale e organizzativo, e al Coaching. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2009), Il potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2011), Strategic Selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2014),  Self-Power. Psicologia della motivazione e della performance. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2014),   Il Coraggio delle Emozioni. Energie per la vita, la comunicazione e la crescita personale. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2016), Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team, Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2017), Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2018), Psicologia della libertà. Liberare le potenzialità delle persone. Roma, Mediterranee.

[3] Prevalentemente presso il Master in Economia e Management dei Sistemi Sanitari, Facoltà di Economia, Università degli Studi di Ferrara.

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Tecniche di Negoziazione Avanzata basate sul metodo della Negoziazione Interculturale 4 Distances Model (Modello delle Quattro Distanze), pubblicate nei testi:

Tecniche di Negoziazione e Negoziazione Interculturale 4DM™

Il corso di Coaching 4DM™ viene erogato direttamente dall’autore del Modello di Coaching Interculturale e Negoziazione Interculturale 4DM™, dott. Daniele Trevisani, in modalità duale (incontri via web e incontri in presenza).

Alla base vi è lo studio del Modello 4DM™ e della sua letteratura e tecniche per il Coaching e in particolare per il Business Coaching Internazionale e il Coaching Interculturale

Coaching Interculturale ed Internazionale Modello delle 4 Distanze di Trevisani

Il modello lavora sulle differenze esistenti tra comunicatori, in particolare:

  1. distanze di ruolo
  2. distanze di codice comunicativo
  3. distanze ideologiche e valoriali
  4. distanze esperienziale

Tecniche di Negoziazione – I principi di base dal testo “Negoziazione Interculturale: Comunicazione Oltre le Barriere Culturali”. Franco Angeli editore, MilanoTecniche di negoziazione. la negoziazione interculturale di Daniele Trevisani, libro sulla negoziazione1.  Tecniche di Comunicazione. Localizzare le barriere comunicative, distanze psicologiche, incomprensione e disaccordo – modello T2V (Trevisani 2 Variabili)

1.1.    Tecniche di Negoziazione e Negoziazione Interculturale. Localizzare learriere linguistiche e barriere culturali

Una delle prime scoperte di chi si avventura al di fuori dei propri contesti culturali, è che le regole comportamentali funzionanti nella propria cultura si dimostrano fragili e poco produttive quando trasposte in un contesto estraneo.

Vediamo alcuni esempi brevi:

  • Nella tua casa: da un pò vorresti trattare con un tuo familiare un argomento, ma ogni volta che ci provi la persona sfugge. Cosa sta accadendo?
  • Nella tua nazione: un cliente vorrebbe acquistare (un progetto, un prodotto) ma tu sai che è l’acquisto è sottodimensionato, il problema che egli vorrebbe risolvere è grande e il budget non è sufficiente per dargli un risultato vero, come riesci a farlo capire?
  • Pechino. Ore 9,30, Hotel Sheraton. La delegazione dell’impresa cliente non è ancora arrivata, l’appuntamento era alle 9,15. Possiamo interpretarlo come una mossa tattica, o un reale ritardo? Volevano ritardare, o è successo qualcosa?
  • Mosca. Proponiamo alla controparte l’esclusiva del nostro prodotto sul territorio Sovietico, il benefit aggiuntivo della formazione del personale di tutta la loro rete vendita, ma la controparte si offende e chiude le trattative. Cosa è successo?
  • Buenos Aires. Le trattative per accedere agli appalti del ministero dell’industria sono interminabili, incomprensibili, oscure. Come comportarci?
  • Gerusalemme. Rappresentanti dei culti ebraico, cattolico e musulmano, ministri e rappresentanti politici si incontrano per negoziare una pace possibile, siete chiamati a condurre il dibattito, come evitare un conflitto?
  • Budapest. La direzione di stabilimento non riesce ad abbattere i difetti di produzione, ogni tentativo di intervenire in profondità è vano. Cosa fare?

In ogni situazione esemplificativa esposta, siamo di fronte alla problematica della negoziazione interculturale.

La capacità negoziale interculturale è nelle mani di chi è più abile nel gestire la comunicazione sul campo, applicando la consapevolezza culturale (power of awareness) in ogni singolo contatto.

Ma vediamo qualche altra situazione.

  • Bologna, inizi del terzo millennio: un bambino di nove anni non vuole più andare alla scuola di calcio che frequenta già da due anni, preferisce giocare con i propri amici nel campetto, e di scuola di calcio e campionato non vuole più sentire parlare. Perché?
  • Monaco di Baviera: un marito trentenne, libero professionista, litiga con la moglie (stessa età) perché lui vuole fare i figli solo quando avranno una solida base economica, mentre la moglie vuole farli presto. Cosa succede?
  • Casa tua: ti svegli alla mattina e sai di aver fatto un sogno che ti ha colpito ma non riesci a ricordare i particolari. Cosa è successo?
  • Nel tuo ufficio o azienda: con un collega non riesci a capirti da tempo, sembrate parlare due lingue diverse, più ti sforzi e più non vi capite, cominci ad essere veramente stanco della situazione. Cosa sta succedendo in realtà?

In tutti questi casi entra – a vari stadi – la dimensione interculturale.

Un denominatore comune accomuna tutti questi casi: le barriere linguistiche non sono nulla rispetto alla diversa visione del mondo che le persone portano con se, e alle diversità che esiste tra sè e gli altri, nonostante le apparenze.

Non vogliamo svelare o proporre soluzioni facili o immediate per tutti questi diversi casi (al massimo, possiamo proporre ipotesi), ma vogliamo dare solo un indizio sul caso che sicuramente risulta più strano e difficile da inquadrare come comunicazione interculturale: il ricordo di un sogno. Ebbene, come evidenziano diverse ricerche nel campo, anche il dialogo interno alla stessa persona (dialogo interiore) assume tratti del dialogo interculturale.

Quando diversi stati di coscienza hanno difficoltà a dialogare tra loro, es: lo stato razionale della veglia contro lo stato inconscio e subconscio del sonno, si produce incomunicabilità interna. Questi stati sono dominati da logiche estremamente diverse, e riescono a trovare momenti di comunanza solo in rare occasioni (come negli stati di confine, di dormiveglia, i momenti nei quali nessuno dei due riesce a dominare l’altro).

Persino a livello interiore, quindi, troviamo sintomi di una condizione di dialogo interculturale.

Esercitazione di confronto e ricerca di spiegazioni alternative

Tentare, in piccoli gruppi, di dare risposte ai quesiti posti dai casi sopra evidenziati. Cercare di evidenziare

  • le ipotesi alternative o spiegazioni alternative;
  • le diverse ipotesi sul campo;
  • ragionare sulle probabilità che le nostre spiegazioni siano realmente le cause dei fenomeni indagati;
  • ricercare le proprie rigidità valutative, le ipotesi che partono da stereotipi o credenze non verificate.

1.2.    Barriere alla comunicabilità, microdiversità linguistiche, macrodiversità, campi semantici

Abbiamo iniziato ad accennare, nel paragrafo precedente, al problema della diversa concezione del mondo prodotta dalla diversità culturale.

Ma i problemi non si fermano qui. Nella comunicazione interculturale troviamo infatti una ulteriore barriera, in genere molto più evidente: una lingua diversa, un linguaggio diverso, un codice di comunicazione non comune, dei sottocodici (dialetti, linguaggi professionali) sconosciuti.

È sufficiente sentir parlare tra di loro due astronomi o due fisici, mentre trattano un loro problema lavorativo, per sentirsi dopo pochi secondi completamente estranei, non riuscire a connettersi mentalmente con quanto essi stiano dicendo.

Anche in questo caso dobbiamo considerare un fenomeno importante: la diversità linguistica può essere evidente (macrodiversità: es., Cinese vs. Arabo), ma anche molto subdola e difficile da riconoscere, creando situazioni di microdiversità linguistica.

Esistono diversi linguaggi professionali all’interno della stessa lingua, e significati diversi applicati alle stesse parole.

Il problema della comunicazione non si limita alla traduzione tra lingue diverse, ma tocca anche il flusso di parole che intercorrono tra padre e figlio, cresciuti in due generazioni diverse, con modelli e linguaggi diversi, o tra dirigenti di diversi settori, i cui problemi e linguaggi divengono mondi separati.

Tradurre significa trasportare significati all’interno di altre lingue, ma anche, e soprattutto, consentire l’accesso ad un sistema di pensiero diverso.

Vediamo il seguente caso:

  • per gli Americani USA, “tomorrow” (domani, in italiano) significa dalla mezzanotte alla mezzanotte;
  • in Messico, “mañana” (sempre “domani” in italiano) significa “nel futuro”, ha senso posticipatorio generale, e non racchiude assolutamente un preciso arco di tempo.

Le due diverse concezioni non sono puramente linguistiche, ma si riferiscono ad una diversa percezione del tempo.

Un atto apparentemente banale, quale scrivere una data, può causare fraintendimenti e problemi, es: 05.02.2010 significa 5 febbraio 2010 in molti stati europei che adottano il formato di data giorno/mese/anno, ma significa 5 aprile 2010 negli USA e in altri sistemi che adottano per convenzione il formato mese/giorno/anno.

Quando due generazioni o due religioni dialogano tra di loro, il problema dell’interpretariato culturale si pone seriamente. Questo problema emerge anche nel dialogo tra due aziende, indipendentemente dalla lingua utilizzata.

Uno degli errori più naïve di chi affronta la dimensione interculturale è la presunzione che sia possibile tradurre i significati in modo esatto, trasponendo verbi e parole “come sono” e semplicemente portandoli nel linguaggio altrui.

La traduzione è in realtà un fenomeno molto più complesso. Ogni parola, ogni verbo, ha “campi semantici” (campi di significato) specifici e non traducibili esattamente nella lingua altrui. In alcuni casi, non esistono possibilità di traduzione – in molti casi, le parole e verbi non hanno alcuna corrispondenza esatta nelle culture e lingue altrui.

Vediamo un esempio. Una società italiana si appresta ad avviare una attività produttiva in Cina. È alla ricerca di consulenze in loco per formare i quadri sui temi della leadership orientata alla qualità, l’impegno sui valori aziendali (commitment), la buona comunicazione interna. È alla ricerca quindi di formatori in comunicazione. Ma come farà a descrivere il proprio bisogno, quando la categoria “formatori in comunicazione” non è linguisticamente consolidata nella lingua cinese? E siamo sicuri che – qualora esista un termine similare – l’immagine mentale che in Italia corrisponde al “formatore” sia la stessa nella mente del ricevente cinese? Pensare che le immagini mentali tra due soggetti possano combaciare perfettamente è una pura illusione.

Esistono problemi interculturali anche quando si parla di comunicazione tra sessi. Se solo riflettiamo su quanta diversità esista tra un uomo e una donna latini sul concetto di “avere una relazione”, o “fare l’amore”, e altri concetti simili, possiamo capire che la dimensione interculturale sia presente in ogni istante quotidiano.

Ma torniamo alla nostra dimensione italo-cinese. Di quale forma di comunicazione stiamo parlando? In Cinese esistono almeno due termini (ideogrammi) per descrivere la “comunicazione”, ed almeno tre parole che possono vagamente avvicinarsi al senso del termine “formatore”. Siamo certi di poter tradurre correttamente o che il traduttore lo faccia?

Vediamo nella seguente tabella comparativa alcuni di questi significati.

Fig. 13 – Tabella comparativa di significati

Termini

 

Ideogrammi

 

Ping Yin

 

Significati

 

comunicazione

 

沟通

 

gou tong

 

capirsi bene tra le parti

 

comunicazione

 

传播

 

chuan bo

 

farsi capire e diffondere le proprie idee

 

trainer

 

训练员

 

xun lian yuan

 

chi aiuta a fare esercizi

 

coach

 

培训

 

pei xun

 

una guida della crescita che cura sia aspetto dell’abilità che la motivazione

 

maestro – mentor

 

导师

 

dao shi

 

guida spirituale – chi illumina la via – chi ti assiste nella crescita (es: mentore di studio, guida religiosa, maestro)

Anche lingue molto simili (italiano e spagnolo) possono dare origine a problemi di traduzione, a volte proprio per la similarità del sound o della parola.

La parola “imbarazzata” in italiano ha un significato (all’incirca, essere a disagio), mentre in spagnolo la parola “embarazada” significa essere incinta. La stessa similarità nella radice della parola genera problemi nel parlante americano che si rapporta ad un parlante spagnolo dicendo “I am embarrassed” (sono imbarazzato), che può essere decodificato come “sono incinto”.

Il problema interculturale non parte solo dalla distanza chilometrica, ma può prodursi nel raggio di pochi metri.

Ogni dialetto è pieno di parole che non possono essere tradotte nella lingua ufficiale. Ad esempio, il dialetto ferrarese – come ogni dialetto – utilizza termini che non possono essere tradotti in modo letterale nella lingua italiana:

Tab. 2 – Alcune corrispondenze e problematiche di intraducibilità esatta da dialetto (ferrarese) a lingua italiana

Termine Spiegazione approssimativa Traduzioni possibili in italiano Problemi di semantica
Cioccapiatt

 

Qualcuno che “ciocca i piatti”, che fa sbattere dei piatti

Il cioccapiatt evidenzia la persona che fa molto rumore ma non produce concretezza, qualcuno che parla tanto ma non fa, ma anche qualcuno che sostiene di aver fatto o di fare, ma poi non lo farà.

Chiacchierone, millantatore Chiacchierone non contiene la dimensione semantica della furtività, del millantare, che “cioccapiatt” invece possiede

Millantatore è connotato molto negativamente in italiano, ma il “cioccapiatt” in ferrarese è solo vagamente offensivo, spesso è un termine scherzoso.

Puffarol Qualcuno che “fa dei puff”. I Puff sono truffe, fughe, promesse non mantenute Truffatore, “bidonatore” Il puffarol fa truffe, si, ma non grafi, può realizzare al massimo pochi danni
Trabascan Persona losca, qualcuno che ha “giri loschi” Truffatore, losco Il Trabascan è molto più negativo del Puffarol, può essere anche malavitoso, mentre il Puffarol in genere non fa gravi danni, ma si limita a “tirare bidoni”
Esercitazioni sulle intraducibilità

Esercizio: ricercare parole all’interno dei propri dialetti (se conosciuti), che possano essere di difficile traduzione nella lingua italiana. Valutare i problemi e difficoltà di una traduzione precisa, sull’esempio della tabella sopra riportata.

Esercizio: ricercare parole all’interno della propria lingua che possano essere di difficile traduzione in un’altra lingua conosciuta. Valutare i problemi e difficoltà di una traduzione linguistica precisa, e le alternative per trasferire comunque efficacemente il significato.

Esercizio: ricercare termini tecnici all’interno della propria professione, selezionando soprattutto i termini che andrebbero spiegati ai nuovi clienti, e i termini che non possiamo dare per scontati o tradurre semplicisticamente in un linguaggio diverso. Selezionare soprattutto i termini che richiedono opera di “acculturazione” del cliente.

1.2.1.      Distanze psicologiche e comunicative

Il metodo T2V sviluppato dall’autore affronta il problema delle “distanze” che separano i comunicatori – distanze psicologiche e comunicative, non certo fisiche – e da come queste possano o meno essere superate.

Sentire la “distanza” tra persone è un fatto comune, quotidiano. Sentirsi lontani anche quando si è vicini fisicamente, cercare un contatto e non trovarlo, non capire le mosse di avvicinamento altrui, i desideri di un rapporto più profondo, o i segnali che gli altri ci lanciano. È un aspetto comune della vita.

Possiamo però, ed è questo il gioco interessante – cercare di ridurre queste distanze, se e quando lo desideriamo interiormente – nel caso delle amicizie e rapporti intimi.

In questi casi, o quando sia importante in termini di business, è possibile mettere in atto dei dispositivi che ci permettano di cercare l’avvicinamento, ridurre la distanza e allontanare l’incomprensione.

Tra i principali errori della comunicazione vi è quello di illudersi che le persone siano tutto sommato simili in termini di opinioni, linguaggi, atteggiamenti, valori di fondo, visioni del mondo.

Questa presunzione porta a considerare la trasmissione di un’idea o concetto che noi consideriamo ovvio e semplice, un fatto quasi “automatico”, mentre nella realtà le cose non stanno così.

Una ulteriore illusione è che la comunicazione interculturale richieda poco sforzo o impegno. Alcuni pensano di risolvere i rapporti con mogli, mariti figli, colleghi, parlando ad un cellulare per pochi minuti. Fossero anche ore, la qualità comunicativa rimarrà comunque inadatta al problema.

La vera negoziazione interculturale richiede tempo, impegno, dedizione, contatti interpersonali e ampio “lavoro di rapporto” che non si conclude con un email o una telefonata. Se vogliamo essere efficaci sul piano interculturale dobbiamo utilizzare i tempi adeguati e i mezzi di contatto adeguati.

Esercitazione di analisi di critical incidents personali

I critical incidents (casi critici, positivi o negativi) sono di estremo aiuto per scoprire alcuni meccanismi di relazione che non funzionano, o comportamenti e atteggiamenti che creano difficoltà nei rapporti e nelle negoziazioni.

Analizzare alcuni critical incidents personali di relazione (eventi critici, positivi o negativi), in cui possiamo valutare che non sia stato dedicato il tempo sufficiente a lavorare sul rapporto, a chiarire le diversità, o non siano stati utilizzati i mezzi di contatto più efficaci, da parte nostra o dagli altri.

Evidenziare:

  • tempi (quando);
  • persone coinvolte (chi);
  • motivi della criticità (perché);
  • possibili linee d’azione alternative da adottare in casi simili.

1.3.    Differenze tra emittenti e riceventi dei messaggi

Una delle principali aree della comunicazione interculturale è lo studio delle differenze tra emittente e ricevente del messaggio. In cosa “io” e “tu” siamo diversi? Nei rapporti tra aziende, dove sono le diversità tra “noi” e “voi”?

Nel nostro metodo utilizzeremo due variabili primarie che costituiscono differenze tra comunicatori – due principali differenze culturali, (1) il codice di comunicazione e (2) la visione del mondo (World-View).

L’unione delle due variabili ci permetterà di sviluppare una matrice di situazioni o stati della comunicazione (COMSITS).

Dall’analisi della matrice, proporremo alcune considerazioni sui limiti della comunicazione. In particolare, le implicazioni riguardano:

  • (1) l’aspetto tecnico della qualità comunicativa, cioè, l’esattezza o accuratezza dello scambio di informazioni tra persone di culture diverse (understanding), e
  • (2) il risultato della comunicazione in termini di accordo (agreement) sui contenuti e sulle visioni espresse fra i comunicatori.

Il modello bidimensionale sarà ulteriormente sviluppato in una prossima pubblicazione tramite l’introduzione del modello a quattro variabili (T4V).

1.4.    Tecniche di Negoziazione. Identificare Codice comunicativo e linee di pensiero: un modello bidimensionale

La cultura è considerata in questo metodo come un insieme di modelli di pensiero, categorizzazione, comportamento e comunicazione, che vengono sia appresi (durante la crescita dell’individuo) che ereditati (frutto del codice genetico comportamentale). Questi modelli influenzano la percezione del mondo, la comunicazione ed il comportamento.

Inoltre, seguendo la prospettiva teorica di Watzlawick ed altri, si considera la comunicazione come processo che accade sia intenzionalmente che involontariamente, in qualunque momento il comportamento si presenta in presenza di altri.

1.4.1.      Prima componente: il codice di comunicazione

In una prospettiva semiotica, l’ unità fondamentale di analisi ed il primo componente della comunicazione percepito durante l’ interazione è il segno, la più vasta categoria inclusiva di entità di significato.

I segni sono ciò che emettiamo, e costituiscono il comportamento comunicativo esterno percepito da un ricevente o osservatore.

Sono quindi segni i comportamenti verbali, i comportamenti non-verbali (immaginiamo ad esempio la postura corporea che assumiamo di fronte ad un interlocutore, e i suoi significati non detti), la comunicazione scritta, i simboli, le immagini che utilizziamo per comunicare.

I segni (usati per comunicare) ed il significato della comunicazione, sono collegati da un codice di comunicazione, che a sua volta si compone di sottocodici.

Un codice di comunicazione quindi è inteso come sistema di regole impiegate per collegare le espressioni (qualsiasi segno usato per comunicare, sia verbale che non verbale) ai significati sottostanti.

La consapevolezza dei codici multipli della comunicazione è essenziale per la qualità comunicativa.

Ogni comunicatore/negoziatore consapevole sa che il proprio corpo emette segnali in continuazione, e che questi segnali possono essere incongruenti o congruenti con i segnali verbali (parole o frasi dette).

Possiamo dire – a parole – di essere sereni, ma trasmettere con il corpo la sensazione di essere tesi e nervosi, e i nostri interlocutori se ne accorgeranno.. Possiamo esprimere verbalmente piacere e trasmettere inconsciamente repulsione.

Il problema dei codici comunicativi è soprattutto un problema di stile comunicativo, che richiede la scelta del tipo di linguaggio da utilizzare. Quale stile, quale linguaggio utilizziamo per esprimere il messaggio?

Ricorriamo ad una metafora sugli stili della comunicazione sessuale:

…attualmente conosciamo quattro diversi linguaggi nella sessualità, ciascuno dei quali dà un’impronta completamente diversa alla stessa situazione. Per esempio, se vuole essere penetrata, una donna può chiedere:

  • «Introduci il pene nella vagina» (linguaggio tecnico)
  • «Vorrei sentirti dentro di me, per vedere le stelle» (linguaggio romantico)
  • «Scopami e fammi godere» (linguaggio pornografico)
  • «Con il bastone di giada apri il mio fiore di loto» (linguaggio poetico)[1]

Ogni negoziatore, ogni comunicatore, consapevolmente o meno, utilizza uno stile linguistico.

Lo stile si nota in ogni fase del discorso e della conversazione, in ogni comunicazione scritta e persino nei supporti fisici (materiali, oggetti).

Un negoziatore può aprire la conversazione con un interlocutore di business affermando:

  • «Siamo qui per valutare come sia possibile costruire un progetto assieme» (linguaggio cooperativo);
  • «È necessario valutare la feasibility e l’eventuale break-even point di una nostra joint-venture» (linguaggio managerialese anglofono);
  • «Ok, siamo qui, adesso tagliamo corto, ditemi le vostre condizioni e sbrighiamoci, non ho tempo da perdere» (linguaggio aggressivo);
  • «Cerchiamo di esplorare i nostri orizzonti comuni e vedere se tra noi può sorgere un alba, spero non un tramonto » (linguaggio poetico-ironico).

La consapevolezza dei codici e degli stili utilizzati è indispensabile, poiché codici e stili possono essere antitetici o simili, funzionali o disfunzionali rispetto agli obiettivi.

1.4.1.1.   Tecniche di Negoziazione e Interculturalità nascosta in azienda: la negoziazione tra culture professionali diverse

Ogni sessione di comunicazione amministrativa può essere distrutta dall’utilizzo di stili disfunzionali e gerghi, parole, atteggiamenti non adeguati.

Nel caso che esponiamo di seguito, possiamo notare come due culture aziendali possano collidere quanto una (o entrambe) non si preoccupano

1 – di tener conto della comprensibilità del proprio linguaggio, dei termini utilizzati, di spiegare i termini che permettono la comprensione del discorso (capacità di metacomunicazione terminologica);

2 – della precisione del linguaggio.

1.4.1.2.   Esempio di riconoscimento e modulazione dei sotto-linguaggi in una negoziazione di vendita. Come le scelte di stile comunicativo aumentano le distanze negoziali

In una riunione di lavoro tra una azienda informatica e una azienda meccanica, il conduttore (titolare dell’azienda informatica) utilizza prevalentemente due repertori e connesse strategie comunicative:

  • l’utilizzo di un repertorio denso di terminologie anglofone anche ove non sia necessario (managerialese anglofono);
  • il condimento delle terminologie con frasi che oscurano il significato e creano penombra connotativa (fumosità dei significati), con funzione di “ammorbidimento” dell’immagine e carico di lavoro che l’adozione del programma prevede (stile diminutivo).

Tab. 3 – Elementi di repertorio, stile managerialese-diminutivo (A)

Repertorio utilizzato per la componente “managerialese anglofona” Repertorio per lo “Stile diminutivo”
Fare un forecast

È un utente di staff

Ho visto l’account

Prendi la Function Description

Se vuoi contattare il trader

Dobbiamo rivolgerci al target setter

Vuoi fare un tracking

Se va in overdue

Abbiamo una visit

Dobbiamo dare una reason

Lavoriamo sul field

Fai un pricing

Prendo una sales call

Al front-end

Al back-end

Faccio la query

È un activity report

Fate una survey

Qualcosina di più friendly

Il Repository

Per attivare il click-stream analysis serve il BW

Mi sembra che siano clienti soddisfatti

Bisogna pensarci un attimino

Facciamo un giro molto rapido

La versioncina per il palmare

Un pochino come su internet

Un piccolo grafico

Stiamo vedendo un pochino l’applicazione concreta

Vediamo un attimino se è possibile

Facciamo una piccola verifica poi vediamo

Penso si possa fare

In quattro ore di riunione, possiamo assistere alla Collisione degli stati conversazionali, nella quale un team (team di vendita) utilizza il repertorio A (“manageriale informatichese anglofono diminutivo”), mentre il team d’acquisto utilizza un repertorio simile a quello seguente:

Tab. 4 – Elementi dello stile pragmatico-concreto

Repertorio terminologico (parole) Domande pragmatiche
  • Il mercato
  • I clienti
  • Il personale interno
  • Il carico di lavoro
  • La facilità di apprendimento
  • L’integrazione con i programmi esistenti
  • Ore
  • Giorni
  • Costo licenze
  • Limitazioni di utilizzo
  • Competenze

 

Su questo progetto, chi fa cosa nella nostra azienda e chi fa cosa nella vostra azienda?

Possiamo usare il programma che stiamo giù utilizzando per produrre il sito web o dobbiamo passare ad un altro programma? Dobbiamo cambiare il programma?

Possiamo continuare a utilizzare i Macintosh o dobbiamo passare a Windows?

Quali sono le competenze interne all’azienda, necessarie per far funzionare il sistema giorno dopo giorno?

Chi deve saper fare che cosa? Quanto può durare un corso di addestramento? Chi vi dovrebbe partecipare?

Se voglio modificare una schermata di inserimento dati, posso farla dall’interno o dobbiamo fare una richiesta a voi?

Quante giornate serviranno per l’avvio e per la messa a sistema del programma?

Possiamo visitare di persona un’azienda che abbia già adottato questo sistema?

Serve una licenza?

Esercitazione sugli stili di riunione

Riprodurre tramite role-playing l’andamento di una possibile riunione tra team A (team di vendita “managerialese-diminutivo” composto da titolare e da spalla) e team B (team d’acquisto “concreto-pragmatico” composto da titolare e da spalla)

Il conduttore dovrà ricercare tra i partecipanti i soggetti che possano conoscere un vocabolario informatico atto a interpretare lo stile.

1.4.2.      Seconda componente: la visione del mondo (World-View)

Un secondo componente della cultura preso in considerazione nel modello 2V è “World-View” – la “visione del mondo”

La visione del mondo è considerata negli studi antropologici come un insieme di credenze, valori e atteggiamenti, impiegati dagli attori sociali per interpretare e categorizzare la realtà, dando significato agli eventi, stabilire rapporti tra di essi e guidare il comportamento.

La visione del mondo è un concetto talmente personale da essere difficilmente classificabile in schemi rigidi, tuttavia le esigenze (o tentativi) di fornire classificazioni hanno condotto alcuni scienziati sociali a produrre delle categorie attraverso le quali leggere le culture. Tra questi, esponiamo la classificazione di Hofstede[2], tra le più usate in letteratura.

[1] Zadra, Elmar, & Zadra, Michaela (2004). Tantra per due. Milano, Mondadori, p. 215

[2] Hofstede, Geert. (1991). Cultures and Organizations. Software of the Mind, London, McGraw-Hill. Hofstede, Geert (1983). The Cultural Relativity of Organizational Practices and Theories. In: Journal of International Business Studies, Fall.

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Empatia e Ascolto Attivo: l’Intelligenza Emotiva

Empatia e ascolto attivo libro di Daniele Trevisani
Empatia e ascolto attivo libro di Daniele Trevisani

Empatia e Ascolto Attivo sono i temi del testo di riferimento in Italia: “Ascolto attivo ed empatia: I segreti di una comunicazione efficace” edito da Franco Angeli.
Ps. Empatia PDF. Se vuoi leggere il testo completo della ricerca svolta su fonti Wikipedia in inglese tradotte e adattate sul tema Empatia e Ascolto Attivo, scarica il PDF relativo Dispensa_Empatia_V_02 pdf

Nel testo del Libro Ascolto Attivo ed Empatia, l’autore, Daniele Trevisani, focalizza l’attenzione su diversi ingredienti dell’empatia. Riportiamo un passaggio dal testo.

Empatia. Dati ed emozioni: i due ingredienti basilari dell’ascolto empatico

Quando un’alba o un tramonto non ci danno più emozioni, significa che l’anima è malata. (Roberto Gervaso)

Empatia significato. L’empatia è definita in mille modi diversi.

Per il nostro scopo, è sufficiente concentrarsi, qui ed ora, sul fatto che l’empatia è uno “stato della mente”, uno stato di apertura all’ascolto, di predisposizione a cogliere i dati e le emozioni che arrivano dall’altra persona, a “sentirli”, arrivando a capire una situazione con immedesimazione, avere coscienza di ciò che vive, con gli occhi e con il cuore della persona che ce la sta raccontando. Approfondiremo il concetto più avanti.

Lo abbiamo già detto, ma l’empatia per quanto profonda non equivale alla simpatia. Chi pratica ascolto empatico deve essere molto bravo a “cogliere” e “sentire” ma non deve assolutamente cadere nel tranello del “confondere il proprio sè con quello dell’altro”. Quindi, stiamo per ora su un aspetto tecnico: la scomposizione dell’ascolto in dati ed emozioni. È fondamentale distinguere l’“ascolto attivo”, dei dati da un ascolto delle emozioni. Ascoltare dati e ascoltare emozioni sono due processi diversi.

A volte compresenti, e spesso diventano due “task” o compiti che viaggiano in parallelo. Ma concettualmente sono diversi.
Noi abbiamo sempre a disposizione “il tutto” mentre ascoltiamo, sta a noi saper cogliere, saper distinguere, saper “apprezzare” ed essere sensibili anche alle più sottili sfumature dell’anima e dell’emozione.

I due strati dell’ascolto possono essere visti come due fiumi che viaggiano paralleli l’uno all’altro. Due flussi di informazioni, anziché di acqua, che dobbiamo percepire, contemporaneamente.

  • Ascolto dei Dati

_____________________________________________________________________

  • Ascolto delle Emozioni


L’affermazione “Prima delle 17 Davide ha concluso una vendita ed era felicissimo” contiene quattro
data-point.

È vero che anche un’emozione è una forma di “dato”, ma dobbiamo constatare, giocoforza, che un conto è trattare dati qualitativi come il sentire piacere, o essere orgogliosi, o sentirsi tristi o depressi, e un altro conto è annotare informazioni come “Londra”, “Milano”, “50 km”, “10 kg”, “aereo”, “treno”, “100 Euro”, e altre informazioni quantitative o qualitative più tangibili. Possiamo dire che scientificamente abbiamo un “data-point” (punto dati, informazione certa) ogni volta che riusciamo ad estrarre una proposizione verificabile.

Ascoltare bene assomiglia molto al processo di “estrarre e separare”, come avviene in un giacimento. Estrarre materiale e separarlo in pietre da un lato, e fango dall’altro. Nell’ascolto, i materiali sono quasi sempre congiunti, quasi incollati, ma possiamo imparare a separarli. Nell’esempio scritto di seguito sarà abbastanza facile farlo.

Figura 7 – estrazione dei dati da un brano testuale (ascolto centrato sui dati)

Davide e Lucia ieri sera verso le 19.30 hanno litigato perché c’era dell’erba da togliere dal giardino e Paolo l’ha fatto ma si è stancato, quando lo ha detto a Lucia, con orgoglio, di avere pulito tutta una zona del prato corrispondente all’ingresso, Lucia si è arrabbiata perché ha sentito dentro di sè che fosse come una sorta di accusa, un tono che non le piaceva, come se avesse detto “non lo hai fatto tu, l’ho fatto io”.

Figura 8 – estrazione degli stati emotivi dallo stesso brano testuale

Paolo e Lucia ieri sera verso le 19.30 hanno litigato perché c’era dell’erba da togliere dal giardino e Paolo l’ha fatto ma si è stancato, quando lo ha detto a Lucia, con orgoglio, di avere pulito tutta una zona del prato corrispondente all’ingresso, Lucia si è arrabbiata perché ha sentito dentro di sè che fosse come una sorta di accusa, un tono che non le piaceva, come se avesse detto “non lo hai fatto tu, l’ho fatto io”.

Quando passiamo a brani di video, o ad interazioni umane in tempo reale, dobbiamo diventare ancora più bravi, perché le emozioni si “nascondono” dietro a microespressioni, piccoli segnali involontari del volto, o possono invece diventare molto manifeste e verbalizzate.

Quando ascoltiamo, possiamo prestare attenzione ad uno, all’altro, o ad entrambi. Riuscire a cogliere tutti e due è sicuramente meglio. Dietro ad un ascolto delle emozioni vi è una visione dell’uomo come creatura che “sente” e non solo come creatura che “ragiona”.

Quando trattiamo con la gente, ricordiamo che non stiamo trattando con persone dotate di logica.

Noi stiamo trattando con creature dotate di emozioni.

(Dale Carnegie)

Può sembrare strano sottovalutare la parte logica dell’essere umano, ma dobbiamo renderci conto che, secondo le neuroscienze, solo il 2% delle capacità di calcolo mentali sono a disposizione per ragionamenti coscienti e razionali, ed il resto rimane diviso tra dati necessari a far funzionare la “macchina biologica “cuore, polmoni, respirazione, e milioni di processi” e dati del subconscio, sui quali si innestano le emozioni, che vogliamo o meno.

Ricordiamo che anche un’emozione è in qualche misura un dato, ma va da se che un conto è fare domande attive partendo dalla frase “ho comprato 4 kili di pesce” e altro è farlo per approfondire la frase “in questo periodo mi sento pieno di speranza ma anche di rimorsi”.

Le emozioni sono espresse sia con le parole, ma molto maggiormente tramite microespressioni del volto, segnali del corpo, e stato della voce (paralinguistica), che non tramite la componente verbale.

Le sole parole non veicolano emozioni se non sono accompagnate da un contesto adeguato. Il modo con cui sono dette, molto di più. Ma non vengono di solito “dette”. Semplicemente si manifestano nel comportamento non verbale, nelle espressioni del volto. E anche se non dette, vanno “ascoltate”.

La cosa più importante nella comunicazione è

ascoltare ciò che non viene detto.

(Peter F. Drucker)

Ascoltare i dati o ascoltare le emozioni qualifica la differenza tra un ascolto informativo centrato sui dati e un ascolto a forte orientamento psicologico. Ascoltare dati non equivale a cogliere stati emotivi. Possiamo infatti applicare un ascolto di tipo psicologico o un ascolto tecnico-informativo. Un negoziatore avanzato e un venditore di alto livello saranno in grado di applicare il livello di ascolto corretto, o entrambi, a seconda delle situazioni, senza entrare in uno stato di ascolto prefissato, stereotipato e rigido.

Questo vale anche per un genitore che voglia ascoltare un figlio su come sta andando a scuola, fissandosi sui voti e dati come per riempire un foglio di Excel, o cercando di capire gli stati d’animo e le relazioni.

Imparare ad ascoltare bene è possibile, con cura, con esercizio, con passione e volontà, sbagliando, e ripartendo sempre.

Sii sempre come il mare, che infrangendosi contro le rocce trova sempre la forza di riprovarci.

Jim Morrison

(termine della citazione dal libro Ascolto Attivo ed Empatia)

___________________

Passiamo ora ad esaminare l’aspetto scientifico dell’empatia, attraverso l’esposizione di alcune delle principali ricerche.

Le ricerche scientifiche sull’Empatia

Empatia definizione

L’empatia è la capacità di comprendere o sentire ciò che un’altra persona sta vivendo all’interno del proprio quadro di riferimento, cioè la capacità di mettersi nella posizione di un altro. [1] Le definizioni di empatia comprendono un’ampia gamma di stati emotivi . I tipi di empatia includono empatia cognitiva, empatia emotiva (o affettiva) ed empatia somatica . [2] [3]

Abbracciare qualcuno che è ferito è un segnale di empatia

Definizione di Empatia Emotiva

“Comprendere e percepire il punto di vista di un altra persona arrivando a sentire le emozioni che prova e capirla non solo sul piano concettuale ma soprattutto visceralmente ed emotivamente” (Daniele Trevisani).

La parola inglese empatia deriva dalla parola greca antica ἐμπάθεια ( empatheia , che significa “affetto fisico o passione”). [4] Questo, a sua volta, deriva da ἐν ( en , “in, at”) e πάθος ( pathos , “passione” o “sofferenza”). [5] Il termine fu adattato da Hermann Lotze e Robert Vischer per creare la parola tedesca Einfühlung (“sentirsi dentro”).

Questo contributo è stato descritto per la prima volta in inglese dal critico e autore britannico Vernon Lee , che ha spiegato “la parola simpatia, con sentimento … viene esercitata solo quando i nostri sentimenti entrano e vengono assorbiti nella forma che percepiamo. ” [6] Einfühlung fu ufficialmente tradotto da Edward B. Titchener nel 1909 nella parola inglese” empatia “. [7 ] [8] [9] Tuttavia, in greco moderno : εμπάθεια significa, a seconda del contesto: pregiudizio , malevolenza , malizia e odio . [10]

Le definizioni di empatia comprendono un’ampia gamma di fenomeni, incluso il prendersi cura di altre persone e il desiderio di aiutarle; provare emozioni che corrispondono alle emozioni di un’altra persona; discernere ciò che un’altra persona sta pensando o provando; [11] rendendo meno distinte le differenze tra il sé e l’altro. [12]

Avere empatia può includere la comprensione che ci sono molti fattori che entrano nel processo decisionale e nei processi di pensiero cognitivo.

Le esperienze passate hanno un’influenza sul processo decisionale di oggi. Comprendere questo consente a una persona di provare empatia per le persone che a volte prendono decisioni illogiche su un problema a cui la maggior parte delle persone risponderebbe con una risposta ovvia. Famiglie distrutte, traumi infantili, mancanza di genitorialità e molti altri fattori possono influenzare le connessioni nel cervello che una persona utilizza per prendere decisioni in futuro. [13] Secondo Martin Hoffman tutti sono nati con la capacità di provare empatia. [14]

Poiché l’empatia implica la comprensione degli stati emotivi delle altre persone, il modo in cui è caratterizzata deriva dal modo in cui sono caratterizzate le emozioni stesse. Se, ad esempio, si ritiene che le emozioni siano caratterizzate centralmente da sensazioni corporee, allora cogliere le sensazioni corporee di un altro sarà centrale per l’empatia. D’altra parte, se le emozioni sono caratterizzate più centralmente da una combinazione di credenze e desideri, allora cogliere queste credenze e desideri sarà più essenziale per l’empatia. La capacità di immaginare se stessi come un’altra persona è un sofisticato processo di immaginazione. Tuttavia, la capacità di base di riconoscere le emozioni è probabilmente innata [15] e può essere raggiunta inconsciamente. L’empatia può essere addestrata [16] e ottenuta con vari gradi di intensità o precisione.

L’empatia ha necessariamente una qualità “maggiore o minore”. Il caso paradigmatico di un’interazione empatica, tuttavia, coinvolge una persona che comunica un accurato riconoscimento del significato delle azioni intenzionali in corso di un’altra persona, degli stati emotivi associati e delle caratteristiche personali in un modo che la persona riconosciuta può tollerare. Riconoscimenti accurati e tollerabili sono caratteristiche centrali dell’empatia. [17] [18]

La capacità umana di riconoscere i sentimenti corporei di un altro è correlata alle proprie capacità imitative e sembra essere fondata su una capacità innata di associare i movimenti corporei e le espressioni facciali che si vedono in un altro con i sentimenti propriocettivi di produrre noi stessi quei movimenti o espressioni corrispondenti . [19] Gli esseri umani sembrano stabilire la stessa connessione immediata tra il tono della voce e altre espressioni vocali e sentimenti interiori.

Distinzioni tra empatia e concetti correlati

Compassione e simpatia sono termini associati all’empatia. Le definizioni variano, contribuendo alla sfida di definire l’empatia. La compassione è spesso definita come un’emozione che le persone provano quando gli altri hanno bisogno, il che motiva le persone ad aiutarli. La simpatia è un sentimento di cura e comprensione per qualcuno nel bisogno. Alcuni includono nella simpatia una preoccupazione empatica, un sentimento di preoccupazione per un altro, in cui alcuni studiosi includono il desiderio di vederli meglio o più felici. [20]

L’empatia è distinta anche dalla pietà e dal contagio emotivo . [20] La pietà è un sentimento che si prova nei confronti di altri che potrebbero essere in difficoltà o bisognosi di aiuto poiché non possono risolvere i loro problemi da soli, spesso descritti come “dispiacere” per qualcuno. Il contagio emotivo è quando una persona (specialmente un bambino o un membro di una folla ) imitativamente “cattura” le emozioni che gli altri stanno mostrando senza necessariamente riconoscere che ciò sta accadendo. [21]

L’alessitimia descrive una carenza nella comprensione, elaborazione o descrizione delle emozioni in se stessi, a differenza dell’empatia che riguarda qualcun altro. [22]

Classificazione delle tipologie di empatia

L’empatia è generalmente divisa in due componenti principali: [23]

Empatia affettiva

Empatia affettiva, chiamata anche empatia emotiva : [24] la capacità di rispondere con un’emozione appropriata agli stati mentali di un altro. [23] La nostra capacità di entrare in empatia emotivamente si basa sul contagio emotivo: [24] essere influenzati dallo stato emotivo o di eccitazione di un altro. [25]

L’empatia affettiva può essere suddivisa nelle seguenti scale: [23] [26]

  • Preoccupazione empatica : simpatia e compassione per gli altri in risposta alla loro sofferenza. [23] [27] [28]
  • Disagio personale : sentimenti egocentrici di disagio e ansia in risposta alla sofferenza di un altro. [23] [27] [28] Non c’è consenso riguardo al fatto che l’angoscia personale sia una forma base di empatia o invece non costituisca empatia. [27] Potrebbe esserci un aspetto evolutivo in questa suddivisione. I bambini rispondono all’angoscia degli altri diventando angosciati loro stessi; solo quando hanno 2 anni iniziano a rispondere in modi orientati verso l’altro, cercando di aiutare, confortare e condividere. [27]

Empatia cognitiva

Empatia cognitiva: la capacità di comprendere la prospettiva o lo stato mentale di un altro. [29] [23] [30] I termini empatia cognitiva , cognizione sociale e teoria della mente o mentalizzazione sono spesso usati come sinonimi, ma a causa della mancanza di studi che confrontino la teoria della mente con i tipi di empatia, non è chiaro se questi siano equivalenti. [31]

Sebbene la scienza non abbia ancora concordato una definizione precisa di questi costrutti, c’è consenso su questa distinzione. [32] [33] L’ empatia affettiva e cognitiva sono anche indipendenti l’una dall’altra; qualcuno che ha una forte empatia emotiva non è necessariamente bravo a comprendere la prospettiva di un altro. [34] [35]

L’empatia cognitiva può essere suddivisa nelle seguenti scale: [23] [26]

  • Presa di prospettiva : la tendenza ad adottare spontaneamente le prospettive psicologiche degli altri. [23]
  • Fantasy : la tendenza a identificarsi con personaggi di fantasia. [23]
  • Empatia tattica (o “strategica”) : l’uso deliberato della presa di prospettiva per raggiungere determinati fini desiderati. [36]

Sebbene le misure di empatia cognitiva includano questionari di auto-segnalazione e misure comportamentali, una meta analisi del 2019 [37] ha trovato solo un’associazione trascurabile tra auto-segnalazione e misure comportamentali, suggerendo che le persone generalmente non sono in grado di valutare con precisione le proprie capacità di empatia cognitiva.

Empatia Somatica

  • L’empatia somatica è una reazione fisica, probabilmente basata sullerisposte dei neuroni specchio, nel sistema nervoso somatico, tale da “far sentire” a livello corporeo quanto un altro essere vivente può stare sentendo. [2]

Empatia Interculturale

L’empatia interculturale rappresenta la capacità di percepire il mondo e gli eventi esperiti da una persona come esso viene percepito da una cultura diversa dalla propria. L’approccio all’empatia interculturale sviluppate nel campo della Negoziazione Interculturale dall’autore Daniele Trevisani, dal testo omonimo, individua quattro livelli di empatia che qualificano le dimensioni utili per applicare lo sviluppo dell’empatica sul piano della relazione con culture diverse:

  • Empatia comportamentale interculturale“: capire i comportamenti di una cultura diversa e le loro cause, capire il perché del comportamento e le catene di comportamenti correlati. Ad esempio, capire perché in una certa cultura un funerale viene celebrato come una festa con banchetti e danze.
  • Empatia emozionale interculturale“: riuscire a percepire le emozioni vissute dagli altri, anche in culture diverse dalle proprie, capire che emozioni prova il soggetto (quale emozione è in circolo), di quale intensità, quali mix emozionali vive l’interlocutore, come le emozioni si associano a persone, oggetti, fatti, situazioni interne o esterne che l’altro vive. Esempio: capire come vive emotivamente la propria religione d’origine una persona che abita in un paese a cultura religiosa dominante diversa.
  • Empatia relazionale interculturale“: capire la mappa delle relazioni del soggetto e le sue valenze affettive nella cultura di appartenenza, capire con chi il soggetto si rapporta volontariamente o per obbligo, con chi deve rapportarsi per decidere, lavorare o vivere, quale è la sua mappa degli “altri significativi”, dei referenti, degli interlocutori, degli “altri rilevanti” e influenzatori. Esempio: capire come un adolescente immigrato vive l’amicizia nei “gruppi di pari” e con amici della cultura ospitante, o, in campo aziendale, come un “area manager” (manager dell’export) percepisce e costruisce un tessuto relazionale nei paesi in cui opera.
  • Empatia cognitiva interculturale” (o dei prototipi cognitivi): capire i prototipi cognitivi attivi in un dato momento del tempo in una certa cultura, le credenze di cui si compone, i valori, le ideologie, le strutture mentali che il soggetto culturalmente diverso possiede e a cui si ancora”. Esempio: capire le diverse concezioni del senso del perdono in una persona di religione e cultura Buddhista e quello di religione e cultura Islamica, e come queste possono incidere sui comportamenti sociali e giuridici nel paese ospitante.

Ad esempio, per capire come relazionarsi in Giappone, occorre capire che il Bushido (l’arte del guerriero) si sia trasformato da devozione totale dei Samurai verso il loro padrone a devozione totale verso l’azienda per cui operano, e di come i nostri manager ne debbano assolutamente tenere conto. La devozione è un’emozione che assume toni sacri e se non ce ne rendiamo conto rischiamo di compiere gravi errori culturali.

Differenze individuali nell’empatia

L’empatia nel senso più ampio del termine si riferisce a una reazione di un individuo allo stato emotivo di un altro. Negli ultimi anni si è assistito a un aumento del movimento verso l’idea che l’empatia derivi dall’imitazione dei motoneuroni. Non si può dire che l’empatia sia un singolo costrutto unipolare ma piuttosto un insieme di costrutti. In sostanza, non tutti gli individui rispondono in modo uguale e uniforme alle varie circostanze.

La scala Empathic Concern valuta i sentimenti di simpatia e preoccupazione “orientati verso l’altro” e la scala Personal Distress misura i sentimenti “self-oriented” di ansia e disagio personali. La combinazione di queste scale aiuta a rivelare quelle che potrebbero non essere classificate come empatiche e amplia la definizione ristretta di empatia.Utilizzando questo approccio possiamo ampliare le basi di ciò che significa possedere qualità empatiche e creare una definizione multiforme.[60]

La ricerca comportamentale e di neuroimaging mostra che due aspetti sottostanti delle dimensioni della personalità Extraversion e Gradevolezza (il profilo di personalità Warmth-Altruistic) sono associati all’accuratezza empatica e all’aumento dell’attività cerebrale in due regioni cerebrali importanti per l’elaborazione empatica (corteccia prefrontale mediale e giunzione temporoparietale ). [61]

 

Ascolto attivo ed empatia, testo sulla comunicazione empatica, formazione per l’ascolto e l’empatia, estratto dal volume

Ascolto attivo ed empatia: I segreti di una comunicazione efficaceascolto attivo ed empatia libro di daniele trevisani edito da franco angeli milano

Libro edito da Franco Angeli, di Daniele Trevisani, articolo estratto dal libro, con integrazioni da voci Wikipedia

Ascolto attivo, empatia e leadership conversazionale

La gente non ascolta, aspetta solo il suo turno per parlare.
(Chuck Palahniuk)

Quando si parla di ascolto efficace, si intendono essenzialmente due cose: 1) l’ascolto è stato utile a raccogliere informazioni e comprendere meglio lo stato delle cose, dei fatti, e delle persone; 2) l’ascolto è stato un momento di relazione piacevole, accogliente, in cui si è riusciti a fare da contenitore emotivo alla persona.

Quando queste due situazioni accadono, siamo di fronte ad un ascolto efficace. Direi abbastanza raro. Nella vita la materia più rara e preziosa non è l’oro, è qualcuno che ti capisca.

Alcune domande possono esserci utili:

  • Hai mai avuto la sensazione che una persona non ti stia ascoltando?
  • Che voglia non ascoltarti, o che non ci riesca proprio?
  • Oppure hai mai percepito che mentre parlate, l’altra persona stia dicendo le cose a metà, non dica tutto, trattenga qualcosa? Per volontà, a volte, o per incapacità, o per paura, chissà?
  • Hai mai avuto la vaga impressione che la persona con cui parli stia cercando di proiettare di sè un’immagine magari poco veritiera, praticando qualche forma di “Impressions Management”[1] (letteralmente “Gestione dell’Impressione”, creare di sè un’immagine artificiosa)?
  • Ti è mai capitata l’intenzione di parlare con qualcuno per approfondire un certo tema o situazione, mentre invece la persona continua a sfuggire, scappare, evitare?
  • Hai mai sentito la presenza di un “nucleo” dietro al parlare di una persona, del contenuto – idee, opinioni, progetti – che si osserva solo in trasparenza, ma non emerge, per quanti sforzi la persona faccia per spiegarsi?

Se ti sei trovato anche solo in una di queste situazioni, hai praticato un “ascolto oltre le parole”, una “percezione aumentata” e ti sei avvicinato o avvicinata ai temi dell’ascolto attivo e dell’empatia.

Tra l’altro, se c’erano interessi in gioco, hai toccato con mano quanto possa essere importante la Leadership Conversazionale e la capacità di dirigere gli andamenti di una conversazione.

Ascolto attivo ed empatia, anche in azienda

Nelle aziende sapersi ascoltare vale oro. L’ascolto attivo e l’empatia aumentano la produttività manageriale e hanno ripercussioni sul capitale psicologico d’impresa (PsyCap). Hai anche visto, nella tua vita, quanto sia raro l’ascolto attivo, e che essere ascoltati è abbastanza raro, rispetto alla vita normale dove tutto corre e nessuno ha mai il tempo per nulla.

Bene, piuttosto che recriminare gli altri per ciò che fanno o non fanno, questo libro vuole offrire strumenti per chi vuole migliorare il proprio ascolto, per lavoro o nella vita di tutti i giorni, per praticare un ascolto di qualità, un ascolto attivo, e un ascolto empatico.

Lo spirito delle parole di Virgilio, il suo invito a cercare sempre di capire, è il fondamento che scorre lungo tutto questo volume. È il valore di fondo che ci ispira a praticare un ascolto attivo.

Si può essere stanchi di tutto, ma non di capire.

 (Virgilio)

L’ascolto attivo è percezione, e percepire per noi è normale, fisiologico, ma non lo facciamo spesso davvero attivamente, molto spesso il nostro ascolto è passivo, non acuto, non come dovrebbe essere.

Lo hai fatto centinaia e migliaia di volte, anche solo osservando le persone nel come sono vestite o come camminano. Inevitabilmente. Lo hai fatto, che volessi o meno. Il problema è che la percezione è diventata superficiale, molto superficiale, e l’ascolto altrettanto. E questo è un peccato, perché una percezione acuta, è una via privilegiata verso la verità.

La leadership conversazionale è la capacità di ridare forza all’ascolto, dirigere la conversazione sui temi che ci interessano, o sui formati che vogliamo strategicamente attivare (e l’ascolto, è uno di questi).

Perché serve leadership per poter ascoltare? Perché la leadership è un atto volontario, e in questo volume trattiamo proprio l’ascolto come atto volontario, deciso da chi ascolta, non come un atto casuale che può capitare a chiunque senza prestarvi attenzione.

Gli esseri umani sono dotati di capacità di ascolto, naturali, utilizzano l’udito per capire suoni e parole, perché questo è vitale per la loro sopravvivenza. Se non sapessimo ascoltare, né i suoni, né le intenzioni (es, aggressive, ostili, o amichevoli), ci saremmo già estinti.

Si dice spesso che occorre il coraggio di alzarsi in piedi e parlare, dire la propria. Beh, molto spesso serve anche il coraggio di portare la mente li, dove siamo ora, per ascoltare e guardare dentro all’anima e alla mente di una persona.

Esiste coraggio anche nell’ascoltare.

Il coraggio è quello che ci vuole per alzarsi e parlare; il coraggio è anche quello che ci vuole per sedersi ed ascoltare.
(Sir Winston Churchill)

Ascolto attivo, empatia ed emozioni. Ascoltare le Emozioni

Emozioni e comunicazione sono fortemente correlate.

Quando comunichiamo, oltre ai dati verbali (oggetti, soggetti, verbi, aggettivi e altri elementi del discorso) possiamo sempre notare un sottofondo emotivo (la parte esterna della ruota di Plutchick sotto presentata). A volte questo sottofondo si fa più intenso, e quasi arriviamo a “sentire” o “percepire” più lo sfondo emotivo delle stesse parole (area delle emozioni intermedie). Quando si entra nelle emozioni estreme, quelle intense, rappresentate al centro, le parole diventano quasi inutili, perché veniamo inondati dall’emozione che ci arriva dall’altro, e questa finisce per sopraffare qualsiasi contenuto.

Il “solido di Plutchik” o “Ruota delle Emozioni di Plutchik”[2] rappresenta una delle migliori visualizzazioni su come funzionano le emozioni.

Dobbiamo tenere a mente che anche noi siamo soggetti comunicatori, per cui quanto sopra evidenziato, vale anche per quando siamo noi a parlare.

Figura 1 – Ruota degli stati emotivi (Plutchik)

Emozioni Plutchick Ascoltare le emozioni ascolto attivo ed ascolto empatico

(grafica adattata dal modello originale, con riferimento in bibliografia, Plutchik 1980)

Inevitabilmente, in uno scambio comunicativo, abbiamo sempre un sottostante scambio di emozioni.

Alcune persone sono bravissime e rapidissime nel cogliere le proprie emozioni interne, dirigerle, dominarle, farne l’uso che vogliono. Ad esempio, parlare in pubblico davanti a migliaia di persone senza provare il minimo di ansia.

Altre persone invece sono vittime delle emozioni, possono diventare vittime di un amore cieco e sordo ad ogni diniego, e perseverare nell’amare una persona che non le ama, o non ha nemmeno mai dato segni di amore. Possono provare paura persino del pensiero di parlare in pubblico, e temerlo come il peggiore dei veleni. L’ascolto attivo richiede un’animo disponibile all’altro.

Ogni situazione comunicativa (COMSIT) può avere specifici significati e sottofondi emotivi. Le COMSIT sono specifici frames o momenti comunicativi che possono essere distinti gli uni dagli altri, come il dialogo tra amici, o il litigio, o il dare spiegazioni stradali, e mille altre possibilità date dalla vita di relazione. In ciascuna COMSIT, si presentano gradi diversi di incomunicabilità e diversi tipi di emozioni.[3]

Ma allora cosa fare. La strada, l’unica vera strada, è “allenarsi alle emozioni”. E detta così sembra come “allenarsi a vivere”, qualcosa di intangibile. Ed è proprio quell’allenare l’intangibile che fa dell’”allenamento alle emozioni” un esercizio di grande intelligenza emotiva. E una raffinata palestra di Coaching Esperienziale, per chi progetta esercizi di formazione attiva sulle emozioni.

Si tratta di fronteggiare le emozioni in un “laboratorio emotivo” dove queste possano essere sperimentate e poi “sbobinate” con il supporto di un formatore, coach, Counselor o psicologo, in funzione del tipo di intervento.

Quando si lavora su gruppi aziendali e non su situazioni di patologia clinica, certamente la figura del formatore e del Counselor possono essere il riferimento. Questi “laboratori sulle emozioni” devono essere formulati ingegneristicamente, possono utilizzare video, immagini, lettere, dialoghi a tema, ed ogni tipo di esercizio che coinvolga le emozioni.

Come ci dice Howell[4] parlando delle nostre “incompetenze emotive inconsapevoli”, all’inizio troveremo il tutto un pò stupido o saremo “imbranati”, ma poi “scaleremo” questa vetta, passo dopo passo, sino a giungere ad una forte competenza emotiva. Questo vale anche per l’ascolto attivo e l’empatia.

E del resto, questa è necessaria tanto più è elevata la posizione di carriera. Si pensi alle necessità di equilibrio emotivo di un Giudice, o di un Chirurgo, o di un operatore delle Forze dell’Ordine, o in situazioni specifiche come tirare un rigore, o in sport difficili ed estremi dove le emozioni sono tutto, o quasi tutto.

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[1] Schlenker, Barry R. (1980). Impression Management: The Self-Concept, Social Identity, and Interpersonal Relations. Monterey, California: Brooks/Cole.

[2] Plutchik, Robert (1980), Emotion: Theory, research, and experience: Vol. 1. Theories of emotion, 1, New York: Academic

Plutchik, Robert (2002), Emotions and Life: Perspectives from Psychology, Biology, and Evolution, Washington, DC: American Psychological Association

Plutchik, Robert; R. Conte., Hope (1997), Circumplex Models of Personality and Emotions, Washington, DC: American Psychological Association

[3] Trevisani, Daniele (1992). A Semiotic Models Approach to the Analysis of International/Intercultural Communication; published in “Proceedings of the International and Intercultural Communication Conference”, University of Miami, FL., USA, 19 – 21 May 1992.

[4] Howell, William S. (1982). The empathic communicator. University of Minnesota: Wadsworth Publishing Company

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Approfondimenti di ascolto attivo ed empatia da Wikipedia

L’ascolto è l’atto dell’ascoltare. È l’arte dello stare a sentire attentamente, del prestare orecchio. Ascoltatore è chi ascolta; ascoltare la lezione, un oratore; ascoltare con interesse tutto ciò che il professore dice. Non trattasi di atto superficiale.

In psicologia ascolto è uno strumento dei nostri cinque sensi per apprendere, conoscere il tempo e lo spazio che ci circonda e comunicare con noi stessi e il mondo circostante. L’ascolto è un processo psicologico e fisico del nostro corpo per comunicare ai nostri neuroni, al cervello che li traduce in emozioni e nozioni

Etimologia

Dalla radice Auris “Orecchio”, latino parlato, Ascoltare è verbo transitivo. La parola ascolto nasce in italiano come derivato del verbo ascoltare, che proviene a sua volta dal latino “auscultare”, cioè sentire con l’orecchio. Il significato tradizionale del termine ascolto è appunto quello che indica in genere l’azione e il risultato dell’ascoltare ed è fortemente legato al concetto di attenzione.

Come noi ascoltiamo

Nell’ascolto attivo c’è la componente fisica, tra orecchio e neuroni di come noi assimiliamo stimoli acustici e la componente psicologica, che è l’apprendimento attraverso i cinque sensi.

Una delle cose che facciamo con l’ascolto è l’apprendimento del linguaggio. Due teorici come Burrhus Skinner e Orval Hobart Mowrer, ritengono che il nostro apprendimento si realizzi attraverso le interazioni con l’ambiente. Prima si apprendono le parole e più tardi si uniscono. Per fare questo si deve ascoltare attivamente con la vista e con l’udito. Per imparare la parola mamma, il bambino sente il suono mamma, per esempio “vieni dalla mamma”. Usando sempre questa frase, vede il movimento delle labbra e l’oggetto in quel caso la mamma. Lui non ha associato subito il significato di mamma, ma è stata la ripetizione degli eventi. Questo procedimento vale in generale. Sempre con l’ascolto il bambino piccolo dice la parola mamma, perché fa delle prove vocali. Per esempio dice: “aaaa” “ma ma ma”… Fa tanti versi il neonato, e attraverso l’ascolto e la ripetizione: capisce, impara a dire, prova emozione. L’ascolto attivo non è solo udito, ma tutto quello che noi riusciamo ad apprendere o assimilare attraverso i nostri sensi.

Usi della parola “ascolto”

La fortuna della parola ascolto è cresciuta a dismisura negli ultimi trent’anni. Fino a qualche decennio fa, infatti, la voce ascolto non si usava quasi mai autonomamente, ma serviva soprattutto per formare locuzioni con valore di avverbi come essere in ascoltorimanere in ascolto, o con valore verbale, come dare ascoltoprestare ascolto nel senso di fare attenzione. Al massimo, la funzione dell’ascoltatore poteva interessare i linguisti, i quali distinguono l’analisi del parlare, cioè della produzione dei testi di una lingua, da quella della loro comprensione.

Empatia

L’empatia è la capacità che va persino oltre l’ascolto attivo e include la capacità di comprendere appieno lo stato d’animo altrui, le sue emozioni, sia che si tratti di gioia, che di dolore. Il significato etimologico del termine è “sentire dentro[1], ad esempio “mettersi nei panni dell’altro“, ed è una capacità che fa parte dell’esperienza umana ed animale.

Il concetto in campo medico è sempre stato ritenuto di carattere esclusivamente psicologico fino a quando un’equipe dell’Università di Parma ha scoperto l’esistenza dei neuroni specchio presenti nel cervello dell’uomo ed altri animali, che funzionano da organo biologico di funzioni empatiche.

Origini del termine

La parola deriva dal greco antico “εμπάθεια” (empátheia), a sua volta composta da en-, “dentro”, e pathos, “sofferenza o sentimento”),[2] che veniva usata per indicare il rapporto emozionale di partecipazione che legava l’autore-cantore al suo pubblico.

Il termine empatia è stato coniato da Robert Vischer, studioso di arti figurative e di problematiche estetiche, alla fine dell’Ottocento. Tale termine nasce perciò all’interno di un contesto legato alla riflessione estetica, ove con empatia s’intende la capacità della fantasia umana di cogliere il valore simbolico della natura[3]. Vischer concepì questo termine come capacità di sentir dentro e di con-sentire[4], ossia di percepire la natura esterna, come interna, appartenente al nostro stesso corpo. Rappresenta quindi la capacità di proiettare i sentimenti da noi agli altri e alle cose, che percepiamo.

Il termine empatia verrà utilizzato da Theodor Lipps, il quale lo porrà al centro della sua concezione estetica e filosofica, considerandolo quale attitudine al sentirsi in armonia con l’altro, cogliendone i sentimenti, le emozioni e gli stati d’animo, e quindi in piena sintonia con ciò che egli stesso vive e sente.

Concetto

Il termine “empatia” è stato equiparato a quello tedesco Einfühlung,[5] coniato, quest’ultimo, dal filosofo Robert Vischer (1847-1933) e, solo più tardi, tradotto in inglese come empathy. Vischer ne ha anche definito per la prima volta il significato specifico di simpatia estetica. In pratica il sentimento, non altrimenti definibile, che si prova di fronte ad un’opera d’arte. Già suo padre Friedrich Theodor Vischer aveva usato il termine evocativo einfühlen per lo studio dell’architettura applicato secondo i principi dell’Idealismo.[6]

Nelle scienze umane, l’empatia designa un atteggiamento verso gli altri caratterizzato da un impegno di comprensione dell’altro, escludendo ogni attitudine affettiva personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale. Fondamentali, in questo contesto, sia gli studi pionieristici di Darwin sulle emozioni e sulla comunicazione mimica delle emozioni, sia gli studi recenti sui neuroni specchio scoperti da Giacomo Rizzolatti, che confermano che l’empatia non nasce da uno sforzo intellettuale, è bensì parte del corredo genetico della specie. Si vedano al proposito anche gli studi di Daniel Stern.

Nell’uso comune, empatia è l’attitudine a offrire la propria attenzione per un’altra persona, mettendo da parte le preoccupazioni e i pensieri personali. La qualità della relazione si basa sull’ascolto non valutativo e si concentra sulla comprensione dei sentimenti e bisogni fondamentali dell’altro.

Il contrario di ’empatia’ è ‘dispatia’ ovvero l’incapacità o il rifiuto di condividere i sentimenti o le sofferenze altrui[7]

In medicina l’empatia è considerata un elemento fondamentale della relazione di cura (ad esempio la relazione medico-paziente) e viene talvolta contrapposta alla simpatia: quest’ultima sarebbe un autentico sentimento doloroso, di sofferenza insieme (da syn- “insieme” e pathos “sofferenza o sentimento”) al paziente e sarebbe quindi un ostacolo ad un giudizio clinico efficace; al contrario l’empatia permetterebbe al curante di comprendere i sentimenti e le sofferenze del paziente, incorporandoli nella costruzione del rapporto di cura ma senza esserne sopraffatto (questo tipo di distinzione non è condiviso da tutti, vedi alla voce simpatia). Sono state anche messe a punto delle scale per la misurazione dell’empatia nella relazione di cura, come la Jefferson Scale of Physician Empathy. L’empatia nella relazione di cura è stata messa in relazione a migliori risultati terapeutici (outcome), migliore soddisfazione del paziente e a minori contenziosi medico-legali tra medici e pazienti.[8]

La nozione di empatia è stata oggetto di numerose riflessioni da parte di intellettuali come Edith SteinAntoine ChesìMax SchelerSigmund Freud o Carl Rogers.

Il merito dell’introduzione del principio di empatia in psicoanalisi è principalmente dovuto a Heinz Kohut[9]. Il suo principio è applicabile al metodo di raccolta del materiale inconscio[10]. Anche l’alternativa all’applicazione del principio rientra nelle possibilità di cura, quando è ineludibile la necessità di fare i conti con un altro principio, quello di realtà.

Per le sue origini l’empatia ha ragione di essere nell’arte e nelle sue applicazioni. In maniera particolare quando l’arte utilizza le parole per la narrazione. In questo caso non solo è mantenuto il rapporto con la psicologia, ma si ampliano le sue possibilità di intervento. Non tutti possono scolpire o dipingere, ma parlando se non scrivendo qualcosa lo possono raccontare molti. Allora la produzione si sviluppa nel verso artista-psicologo-individuo. Non sono escluse possibilità per i disabili, privilegiando la relazione artista-individuo con la mediazione più cauta dello psicologo. Quest’ultimo non può suggerire all’individuo un percorso di emulazione. Il che non impedisce che l’individuo disabile possa diventare artista a sua volta. A cambiare è la posizione dello psicologo che deve solo rendere possibile la fusione dei vissuti dell’artista con quelli dell’individuo. Di certo lo psicologo dovrebbe mantenere entro limiti accettabili la complessità dell’intervento. Senza che per questo il disabile o l’arte abbiano a soffrirne, anzi si potrebbe dire il contrario.

Il libro di Geoffrey Miller The mating mind difende il punto di vista secondo il quale

«l’empatia si sarebbe sviluppata perché mettersi nei panni dell’altro per sapere cosa pensa e come reagirebbe costituisce un importante fattore di sopravvivenza in un mondo in cui l’uomo è in continua competizione con gli altri uomini.»

L’autore spiega inoltre che la selezione naturale non ha potuto che rinforzarla, poiché influiva sulla sopravvivenza e che alla fine si è sviluppato un sentimento umano che attribuiva una personalità praticamente a tutto ciò che la circondava. Si vede in questo un’origine probabile dell’animismo e più tardi del panteismo.

L’empatia è anche il cuore del processo di comunicazione non violenta secondo Marshall Rosenberg, allievo di Carl Rogers.

Grande interesse è stato posto nella ricerca di corrispondenze biologiche per l’empatia[11]. Sono stati valutati allo scopo i cosiddetti “neuroni-specchio”, attraverso diagnostica per immagini del tipo fRMN[12]. Queste cellule si attivano sia quando un’azione viene effettuata da un individuo sia quando questo stesso individuo osserva la stessa azione effettuata da un altro individuo; questo fenomeno è stato in particolare osservato in alcuni primati[13] Analogamente negli uomini si attiva la medesima area cerebrale nel corso di un’emozione e osservando altre persone nel medesimo stato emozionale[14]. Vi sono altre segnalazioni analoghe[15], anche in psicopatologia[16].

Molti si aspettano dalla biologia una spiegazione definitiva di questa materia. Creature differenti sembrano possedere lo stesso numero di geni. Il genere umano è tuttavia peculiare nel mondo vivente. Sappiamo che la funzione del RNA non consiste solo nella produzione di proteine sotto la guida del DNA. L’RNA ha proprietà di regolazione e programmazione su crescita e funzione cellulare. Il complicato meccanismo d’azione non è del tutto noto e potrebbe spiegare la differente complessità degli esseri viventi. Al riguardo l’impressione è che la biologia sia ancora priva di conoscenze complete.[17] L’empatia in questione coinvolge troppo ampiamente sviluppo e funzione psichica perché questo orientamento di ricerca trovi una conferma in esclusiva. Alternativamente si può fare conto su conoscenze disponibili in altre discipline.

Distinzione tra empatia positiva ed empatia negativa

Con empatia positiva si intende la capacità del soggetto di partecipare pienamente alla gioia altrui; si tratta di un con-gioire e di un saper perciò cogliere la gioia altrui, avendo coscienza della felicità da lui provata. In questo senso l’empatia in termini positivi può essere collegata, in generale a simpatia. La gioia colta attraverso la simpatia è però diversa, rispetto al contenuto, dalla gioia colta tramite l’empatia. Nel primo caso, infatti sarà una gioia non-originaria e quindi meno intensa e durevole rispetto a colui che si presenta più prossimo a questa gioia; mentre nel secondo caso, la gioia colta tramite l’empatia sarà di tipo originario, in quanto il contenuto di ciò che viene provato empatizzando con l’altro avrà lo stesso contenuto, anche se solo un altro modo di datità[18].

Con empatia negativa si concepisce l’esperienza di colui che non riesce a empatizzare rispetto alla gioia altrui, trasferendo nel proprio vissuto originario le sue emozioni. Ciò accade in quanto qualcosa in lui si oppone; un’esperienza presente o passata o la stessa personalità della persona fungono, infatti, da barriera alla sua capacità di cogliere la gioia altrui. L’esempio potrebbe essere quello della perdita di una persona cara, che impedisce all’individuo di far emergere una simpatia verso la gioia dell’altro e quindi di condividerla. In questo caso, infatti, il triste evento e i sentimenti di altrettanto tipo che ne derivano fanno sorgere un conflitto, in quanto l’io si sente diviso tra due parti: vivere della gioia altrui o rimanere nella tristezza che quanto accaduto determina[18].

I diversi approcci

Approccio cognitivo e affettivo

Secondo un approccio prettamente affettivo, l’empatia sarebbe un evento di partecipazione/condivisione del vissuto emotivo dell’altro, seppure in modo vicario.

Psicoterapeuti, e psicoanalisti già dall’inizio del secolo scorso, avevano dato maggiore rilievo al ruolo che l’empatia gioca nelle relazioni interpersonali. In particolare, per chi per primo si è avventurato nello studio dell’empatia, inserendola nell’ambito della psicologia sociale, essa è imitazione spontanea di gesti e posture osservate negli altri, e quindi condivisione dei loro vissuti; d’altro canto per alcuni psicoanalisti, empatizzare significa provare quello che prova l’altro, dando motivo al soggetto di capire ciò che prova egli stesso. Secondo invece la natura di tipo cognitivo l’empatia è considerata la capacità di comprendere il punto di vista dell’altro. Per i cognitivisti, a partire dagli anni ’60, empatizzare con qualcuno significa comprendere i suoi pensieri, le sue intenzioni, riconoscere le sue emozioni in modo accurato e riuscire a vedere la situazione che sta vivendo dalla sua prospettiva[19], pur non negando che vi sia anche una piccola partecipazione dell’emotività che entra in gioco, ma considerandola come un epifenomeno cognitivo.

Dagli anni ’80, empatizzare significa provare un’esperienza di condivisione emotiva e di comprensione dell’esperienza dell’altro, dando quindi spazio ad una componente affettiva ed una cognitiva, in modo tale che esse possano coesistere nel processo empatico. Questa nuova idea di vedere il fenomeno, fa riferimento ai modelli multifattoriali (o multidimensionali) dell’empatia. Malgrado alcuni distinguano due tipi diversi di empatia (cognitiva e emozionale), come A. Mehrabian (1997), vi sono altri studiosi, come N.D. Feshbach, la quale considera l’empatia come un costrutto multicomponenziale. In essa vi è un incontro affettivo (affect match), in cui però si prova certezza nel fatto che ciò che si prova è ciò che prova anche l’altro (condivisione vicaria). Vi è quindi un’integrazione delle due componenti affettiva e cognitiva.

Approccio psicoanalitico

Secondo Nancy Mc Williams l’empatia è uno strumento non solo utile, ma necessario allo psicoanalista di professione per percepire ciò che il paziente prova dal punto di vista emotivo. Capita spesso infatti, che vi siano molti terapeuti che si lamentino di essere poco empatici nei confronti dei propri pazienti, ma in realtà questa loro insicurezza, paura e spesso ostilità verso la clientela, è provocata da affetti poco positivi, che scaturiscono proprio dal loro elevato livello di empatia, il quale permette di entrare talmente nello stato del paziente, da sentirne i sentimenti, a tal punto da confondere i propri con quelli degli altri. Gli affetti dei pazienti quindi, molte volte causano una sofferenza talmente grande allo stesso terapeuta, che a lui risulta difficile indurre negli stessi risposte di uguale intensità. Tutto ciò in realtà è molto positivo, perché in questo modo l’infelicità del paziente diventa percepita in maniera sincera e genuina. Non è quindi frutto di un meccanismo dettato dalla mera compassione professionale, ma tenendo conto dell’unicità della persona si entra autenticamente a far parte del suo vissuto emotivo.

Educazione

Genitori e attaccamento

Già M. L. Hoffman dà rilievo all’empatia, come qualcosa che compare nella consapevolezza del bambino fin dai primi anni di vita. Madre e padre dovrebbero imparare anch’essi ad essere soggetti empatici, soprattutto tramite la sensibilità e non la punizione. Dovrebbero quindi educare ai valori dell’altruismo, dell’apertura verso il prossimo, in modo tale che il figlio impari a capire e condividere il punto di vista degli altri.

In generale, secondo John Bowlby, esiste la cosiddetta teoria dell’attaccamento, per la quale il legame relazionale che si crea tra il bimbo e le figure adulte (caregivers), che si prendono cura di lui, è innato. Inoltre tale legame può essere spiegato ricorrendo alla teoria evoluzionistica, secondo la quale il piccolo può sopravvivere più facilmente se vicino ha qualcuno che lo protegge dai pericoli e gli è vicino nei momenti felici e in quelli di difficoltà.

Secondo J. ElickerM.Englund e L. A. Stroufe, le figure adulte di attaccamento, non solo favoriscono al bambino aspettative sociali positive, ma inoltre fa sì che si rinforzi l’autostima del bambino assieme all’immagine che egli ha di sé.

Ascolto attivo ed empatia nella scuola

Presupposto essenziale dell’educazione è la trasmissione di un messaggio dal contenuto relazionale-affettivo, perché solo con un clima positivo e di fiducia reciproca c’è un incremento dell’apprendimento negli allievi. Per questo l’insegnante stesso, per essere un buon insegnante deve ricorrere al raggiungimento di un buon livello di empatia con la sua classe.

Cooper ha voluto indagare quale sia il legame fra empatia-insegnante-alunni, e ha notato, che a livello morale, il livello di empatia dell’insegnante influenza enormemente la condivisione di affetti, sentimenti e conoscenze a livello interclasse. È insomma, egli stesso un esempio, una guida, una sorta di catalizzatore dell’apprendimento. L’importante per lui, è tenere conto individualmente di ciascun alunno, ma senza perdere di vista l’insieme, affinché questa sorta di partecipazione influisca anche sugli alunni più bravi, in modo che lo supportino nel suo obiettivo.

Fortuna e Tiberio (1999) hanno determinato dei criteri per stabilire quanto un insegnante sia più empatico di un altro. Nel caso sia più empatico, il docente è contraddistinto da una maggiore propensione a elogiare e premiare gli studenti che se lo meritano, più che a denigrare o svalutare coloro che non riescono a portare a termine un risultato. Inoltre sanno accogliere e guidare gli studenti che esprimono liberamente i propri sentimenti, incentivando le discussioni condivise in aula. Tali maestri non ricorrono all’atteggiamento autoritario, ma sono capaci di valorizzare i propri alunni, facendo emergere la loro creatività. Molto importante è il fatto che gli alunni che collaborano con insegnanti empatici abbiano un livello di autostima più alto e un concetto di sé sociale più positivo, senza contare che anche a livello sociale gli alunni si prestano molto più ad essere collaborativi, perché capiscono qual è il comportamento più rispettoso da tenere all’interno di un gruppo. L’empatia non è presente però in tutti gli insegnanti, essi stessi infatti ritengono che essa sia una sorta di caratteristica individuale più o meno esercitata nel tempo. Essa emerge soprattutto all’interno delle classi poco numerose. Condizione necessaria è che si instauri tra insegnante e alunni un rapporto di fiducia, positivo, cooperativo e volto all’ascolto reciproco.

Empatia nelle relazioni d’amore

L’empatia è un fattore fondamentale nelle relazioni di coppia. Nelle relazioni amorose l’essere umano non dà cose materiali, ma se stesso in sostanza; dunque le persone che amano si sentono vive. C’è un desiderio di fondersi con l’altro essere, comprendendolo pienamente, che è proprio una dimensione dell’empatia stessa; pertanto l’empatia facilita il coinvolgimento della crescita all’interno della coppia.

L’empatia può produrre effetti positivi e negativi nella coppia. Nel primo caso può essere utilizzata per risolvere incomprensioni e litigi futili; nel secondo caso invece può danneggiarla evidenziando le differenze che minacciano la continuità della relazione. Infatti l’empatia prolunga l’amore quando non vi è una disparità tra i partner nella comprensione reciproca e nella capacità di sentirsi vicendevolmente.

La misurazione dell’empatia

Poiché non esiste una definizione condivisa di empatia, risulta particolarmente difficile definire quali sono i metodi e gli strumenti maggiormente idonei a misurarla. Alcuni studiosi, infatti, privilegiano l’approccio cognitivo e altri quello affettivo.

È quindi possibile distinguere diverse tecniche di misurazione dell’empatia facendo riferimento agli aspetti che esse considerano: cognitiviaffettivi o multidimensionali.

Strumenti basati su aspetti cognitivi

Tra di essi si possono distinguere due sottocategorie.

  • I test di predizione sociale, che identificano l’empatia come la capacità della persona di fare una stima di ciò che gli altri provano (emozioni e pensieri). Due famosi test di questo tipo sono quello di R. F. Dymond e quello di W. A. Kerr e B. J. Speroff.
  • I test di role taking affettivo, che identificano l’empatia come l’abilità dell’individuo di comprendere la prospettiva dell’altro in una determinata situazione. L’esempio più noto è il Test di Percezione Interpersonale (Interpersonal Perception Test) di H. Borke.

Strumenti basati su aspetti affettivi

In questo caso si possono individuare tre tipologie.

  • Resoconti verbali, cioè risposte che gli individui danno a situazioni stimolo come storie figurate, interviste e questionari.
  • Indici somatici, cioè posture, gesti, sguardi, vocalizzi ed espressioni facciali[20] che le persone assumono nel momento in cui si trovano esposte a situazioni significative dal punto di vista emotivo.
  • Indici psicofisiologici, cioè risposte del sistema nervoso autonomo come, ad esempio, la sudorazione, la vasocostrizione, il battito cardiaco, la temperatura e la conduttanza della pelle[21].

Strumenti basati su aspetti multidimensionali

Secondo alcuni autori non è sufficiente limitarsi a considerare solamente o l’aspetto cognitivo o quello affettivo, ma è necessario utilizzare strumenti più complessi che fanno riferimento ad entrambi. Due esempi significativi sono il Sistema di Punteggio Continuo (Empathy Continuum Scoring System) di Janet Stayer e l’Indice di Reattività Interpersonale (Interpersonal Reactivity Index) di M. H. Davis. Un terzo esempio riguarda la Scala di Empatia Esperienziale (Empathic Experience Scale) che offre una misura bidimensionale dell’empatia in termini di comprensione intersoggettiva [22]; la scala distingue tra la propensione all’esperienza vicaria e alla comprensione intuitiva degli stati emotivi altrui.

Disturbi

Alcuni disturbi e malattie mentali (es. disturbo antisociale di personalitàdisturbo narcisistico di personalità) presentano come sintomi anche carenza di empatia. Mentre in questi tale caratteristica è solo conseguente o parallela ad altre caratteristiche disturbanti, esiste un disturbo comprendente a volte deficit di empatia cognitiva, la sindrome di Asperger; in questa, tale deficit non deve essere interpretato come negativo, ma neutro, in quanto se nei pazienti mancano i risvolti “positivi” dell’empatia, mancano anche quelli “negativi” (schadenfreude, acredine).

La civiltà dell’empatia di Jeremy Rifkin

Secondo i concetti esposti dall’economista e saggista statunitense Jeremy Rifkin in un saggio del 2010 intitolato La civiltà dell’empatia, l’uomo moderno è naturalmente predisposto all’empatia, intesa come capacità di immedesimarsi negli altri – uomini o animali – attraverso i cosiddetti neuroni specchio, così da sentirne le sofferenze, le gioie, le fatiche ecc. Secondo Rifkin «sono circa 20.000 anni che non siamo più homo sapiens sapiens, ma homo empathicus. Leghiamo tra di noi, socializziamo, ci occupiamo l’uno dell’altro, siamo cooperativi […] Ci basiamo su tre colonne portanti per il nostro benessere: la socializzazione, la salute (igiene e sanità, nutrizione), e la creatività. Quando una di queste tre colonne o l’empatia viene a mancare o repressa, vengono fuori i nostri alter-eghi, da cui la violenza, l’egoismo, il narcisismo ecc. […] Poi però, ci pentiamo di aver fatto del male, perché non è proprio nella nostra natura.[23]

La comunicazione empatica di Marshall Rosenberg

Lo psicologo Marshall Rosenberg ha fondato diverse scuole nel mondo per diffondere la sua teoria di comunicazione empatica o comunicazione nonviolenta, che si basa su un approccio empatico nelle relazioni efficace nel risolvere i conflitti sia a livelli personali che a livello di gruppi.

Note

  1. ^ Fortuna F., Tiberio A., Il mondo dell’empatia. Campi di applicazione, Franco Angeli 1999, p. 11.
  2. ^ Cf. empatia in Enciclopedia Treccani online.
  3. ^ Giusti E., Locatelli M., Empatia integrata. Analisi umanistica del comportamento, Sovera edizioni. 2007, p. 13.
  4. ^ Giusti E., Locatelli M., Empatia integrata. Analisi umanistica del comportamento, Sovera edizioni. 2007, p. 12.
  5. ^ Cf. Einfühlung in Enciclopedia Treccani online.
  6. ^ Mallgrave and Ikonomou, Introduction, in Empathy, Form and Space. Problems in German Aesthetics, 1873-1893, Santa Monica, 1994, pp. 1-85.
  7. ^ Grazia Mannozzi, Giovanni Angelo Lodigiani, “La Giustizia riparativa: Formanti, parole e metodi” isbn=8892105191 2017, 128
  8. ^ Hojat M. “Empathy in patient care”, Springer 2007, Storia, sviluppo, misurazione ed esito dell’uso dell’empatia nella cura dei pazienti.
  9. ^ Kohut H., “How does analysis cure?” The University of Chigago Press (Chicago, 1984), 82
  10. ^ Galotti A., “Profili: Heinz Kohut” in “Individuazione” anno 11° nº 42 (Genova, dicembre 2002), 4.
  11. ^ Preston e de Waal, 2002
  12. ^ Decety e Jackson, Decety e Lamm, de Vignemont e Singer; 2006
  13. ^ ‘Empathy – Neurological basis’ English www.wikipedia.org
  14. ^ Wicker et al., 2003. Keysers et al., Morrison et al., 2004. Singer et al., 2004 e 2006. Jackson et al., 2005 e 2006. Lamm et al., 2007
  15. ^ Bower; Nakahara e Miyashita; 2005
  16. ^ Tunstall, Fahy e McGuire, 2003. Dapretto et al., 2006
  17. ^ Biology’s Big Bang – Unravelling the Secrets of RNA The Economist June 16th, 2007.
  18. ^ Salta a:a b Stein E., L’empatia, Franco Angeli, 1986, pp. 68-70
  19. ^ Albiero P., Matricardi G., Che cos’è l’empatia, Carocci, 2006, p.11
  20. ^ Bonino S., Lo Coco A., Tani F., Empatia. I processi di condivisione delle emozioni, Giunti Editore, 2010, p. 82
  21. ^ Albiero P., Matricardi G., Che cos’è l’empatia, Carocci, 2006, p.70
  22. ^ (EN) Marco Innamorati, Sjoerd J. H. Ebisch, Vittorio Gallese e Aristide Saggino, A bidimensional measure of empathy: Empathic Experience Scale, in PLOS ONE, vol. 14, n. 4, 29 aprile 2019, pp. e0216164, DOI:10.1371/journal.pone.0216164. URL consultato il 6 maggio 2019.
  23. ^ Jeremy Rifkin, La civiltà dell’empatia, Milano, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., 2010. 
  24. Bibliografia

  1. Trevisani, Daniele. Ascolto attivo ed empatia, Milano, Franco Angeli, 2019 https://amzn.to/3qFPgZc
  2. Douglas Chismar, “Empathy and sympathy: The important difference”, The Journal of Value Inquiry, 22 1988, pp. 257-266.
  3. Mallgrave and Ikonomou, “Introduction”, in “Empathy, Form and Space: Problems in German Aesthetics, 1873-1893” (Santa Monica, 1994), 1-85.
  4. Kohut H., “How does analysis cure?” The University of Chicago Press (Chicago, 1984), 82.
  5. Fogliani T. M., “Empatia ed emozioni”, C.U.E.C.M. (Catania, 2003)
  6. Galotti A., “Profili: Heinz Kohut”, in “Individuazione” anno 11° nº42 (Genova, dicembre 2002), 4.
  7. “Empathy – Neurological basis”, in English www.wikipedia.org
  8. “Biology’s Big Bang – Unravelling the Secrets of RNA”, The Economist June 16th, 2007.
  9. Hojat M. “Empathy in Patient care – Antecedents, Development, Measurement and outcomes”, 2007 Springer Science.
  10. Håkansson Eklund, J., & Summer Meranius, M. (2020). Toward a consensus on the nature of empathy: A review of reviews.
  11. Jeremy Rifkin, La civiltà dell’empatia, Milano, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., 2010. ISBN 978-88-04-59548-9.
  12. M. Scheler, Essenza e forme della simpatia, FrancoAngeli, Milano 2010
  13. A. Pinotti, Empatia. Storia di un’idea da Platone al postumano, Laterza (Roma-Bari) 2011.
  14. Capurso M., Relazioni educative e apprendimento. Modelli e strumenti per una didattica significativa, Centro Studi Erickson, 2004
  15. Fortuna F., Tiberio A., Il mondo dell’empatia. Campi di applicazione, Franco Angeli 1999
  16. Stein E., L’empatia, Franco Angeli, 1986
  17. Giusti E., Locatelli M., Empatia integrata. Analisi umanistica del comportamento, Sovera edizioni. 2007
  18. Mc Williams N., La diagnosi psicoanalitica. Struttura della personalità e processo clinico, Astrolabio Ubaldini, Roma, 1999
  19. Albiero P., Matricardi G., Che cos’è l’empatia, Carocci, 2006
  20. Bonino S., Lo Coco A., Tani F., Empatia. I processi di condivisione delle emozioni, Giunti Editore, 2010
  21. Gandolfi G., Il processo di selezione. Strumenti e tecniche (colloquio, test, assessment di selezione). Manuale pratico applicativo con test ed esercitazioni, Franco Angeli, 2004
  22. Bolognini S. ,L’empatia psicoanalitica, Bollati Boringhieri, 2002
  23. Håkansson Eklund. Exploring the phenomenon of empathy Stoccolma, 2003

Altri approfondimenti di ascolto attivo ed empatia dal testo “Ascolto Attivo ed Empatia” edito da Franco Angeli, di Daniele Trevisan

Saper “leggere” le persone. Un ritorno alle nostre sensibilità ancestrali

Nel nostro DNA è intrinseca una parte di noi che s’interessa a quanto gli altri dicono. Fosse anche solo per interesse personale.

Una delle nostre principali preoccupazioni ancestrali è capire se una persona sia o meno pericolosa per noi, in base ai segnali comunicativi che riceviamo. Altra preoccupazione molto concreta e di natura più quotidiana è capire se una persona sia o meno credibile, se possiamo dargli credito o meno, in base a come comunica, ai canali comunicativi che usa, ai segni e segnali che emette[1].

Saper leggere una persona in un istante significa cogliere quello che, in quel “frame” di tempo, un secondo, o pochi minuti, la persona sta “emettendo” di sè. E quindi potremo cogliere parole, ma anche e soprattutto stati emotivi, stati d’animo, leggendo i volti, leggendo il corpo, ascoltando la non-voce, il timbro, la vocalità, prima ancora delle parole.

Persino da una foto si capisce qualcosa. Si può “ascoltare” anche una foto, ebbene si. O un dipinto, o un brano di musica, o un paesaggio.

Di una persona, sul lavoro, potremmo fidarci di quanto scritto sul biglietto da visita, ma insistiamo nel guardare anche alla sua postura, alla schiena dritta o curva, al suo mento e agli occhi tristi od orgogliosi, per capire se è fiero di quel biglietto mentre te lo porge, o se per lui/lei è un peso.

Diciamo pure che siamo curiosi per natura, perché la sopravvivenza richiede il sapere le cose, il capire chi ti è ostile o amico, e saperlo fare in una frazione di secondo, come i veri cacciatori/raccoglitori che eravamo, con lo sguardo, osservando occhi, movimenti, intenzioni.

Annusando istintivamente le situazioni prima ancora che “comprenderle razionalmente”.

Questo fa parte di quell’Intelligenza Inconscia, una forma di intelligenza che in questo volume andiamo ad aggiungere alle tante Intelligenze Multiple di cui disponiamo, risorse mentali e corporee così ben esposte da Howard Gardner[2].

Dell’intelligenza inconscia parla giù Freud (definendola „Unbewussten Verständnis“, o „comprensione inconscia) ma senza evidenziarla come risorsa a disposizione di tutti noi, e ancora prima ne parla il filosofo Schelling (1775 –1854)[3] individuandola come una “intelligenza della natura”, ma ancora una volta senza considerarla per ciò che può essere, una nostra preziosissima risorsa. Noi, invece, vogliamo farlo. Gardner ha dimostrato come il fenomeno “intelligenza” possa essere scomposto in una serie variegata di abilità umane distinte, quindi di diverse intelligenze: linguistica, musicale, logico-matematica, spaziale, corporeo-cinestetica, personale e Interpersonale[4], aggiungendo in seguito, quella Intra-personale legata al conoscere se stessi.

Vicina all’intelligenza Inter-personale, aggiungiamo in questo volume la categoria dell’Intelligenza Inconscia, che qui consideriamo una vera e propria skill, una competenza allenabile per l’ascolto attivo, che deriva da una connessione e da un allenamento più forte nel far dialogare la Neocorteccia (parte recente nello sviluppo del cervello), e altre aree antiche come il cervello rettile e il cervello pre-mammifero, aree abilissime a cogliere informazioni sottili ed istintive.

E qui siamo: sulla parte animale dell’uomo, sul suo “leggere lo sguardo”, sul suo “ascoltare anche il non detto”.

Saper leggere le persone, le loro finalità, richiede un ritorno a capacità ancestrali, quando l’attrazione era segnalata con gli occhi verso altri occhi, e non con un profilo social. Ora, più che mai, è tempo di imparare di nuovo a leggere le persone. Perché da un lato stiamo perdendo la capacità di riconoscere i “cattivi” o nemici, dall’altro lato facciamo di tutta l’erba un fascio e magari diciamo NO a qualcuno che non ci può fare alcun danno e anzi magari ci può portare valore.

Ascolto attivo significa saper cogliere segnali

Per praticare ascolto attivo ed empatia urge un ritorno alle nostre sensibilità ancestrali. Urge ripristinare la capacità di percepire correttamente, prima ancora che di valutare logicamente i soli dati. Per farlo, dobbiamo saper usare in modo speciale l’ascolto, facendolo diventare una “percezione aumentata” di qualsiasi segnale entra nella nostra sfera:

  1. Segnali uditivi verbali. cos’ha appena detto Tizio all’altro tavolo?
  2. Segnali uditivi paralinguistici. Riesco a sentire lo stress vocale di una persona?
  3. Segnali tattili-aptici (in questa seggiola si è appena seduto qualcuno? È calda?), o “cosa mi dice questa stretta di mano su di te?”
  4. Segnali cinestesici-visivi: come sta oggi la squadra? Capirlo dalla falcata, dalla postura. Capirlo persino negli spogliatoi. Sembrano tranquilli o agitati? Demotivati o motivati?
  5. Segnali Olfattivi: Che cos’è questo odore di nuovo che sento nell’auto appena comprata, ci ho mai fatto caso? Sono consapevole che è un odore ingegnerizzato o penso sia frutto del caso?
  6. Segnali emotivi: come sto in questo momento, come sta la mia ansia, la mia gioia, il mio cuore, il mio sognare, il mio vivere in relazione con altri e con me stesso? E… Come sta la persona di fronte a me? Come sta respirando, cosa sta sentendo?
  7. Segnali corporali: che mestiere potrebbe fare il secondo da destra su quel tavolo, in base alla tipologia di muscolatura e come è vestito e ai segni che noto sulla pelle?
  8. Segnali olistici: chi è la persona più pericolosa o dissonante in questa carrozza di treno o in questo bar, c’è qualcuno che potrebbe essere pericoloso? In base a cosa lo noto?

I segnali sono tanti. Segnali d’amore, segnali di odio, di indifferenza, di paura, di disgusto, di amicizia. Se solo sapessimo coglierli tutti…

Ma appena cogliamo che il discorso non tocca i nostri interessi vitali, facciamo dietrofront e continuiamo nel nostro fare distratto.

La distrazione è un male dell’epoca.

La “furia dei tempi” e la fretta hanno portato l’ascolto ai livelli minimi assoluti nella storia della civiltà occidentale.

Smartphone e altri dispositivi elettronici hanno sostituito le persone, e siamo quindi diventati bravi ad “ascoltare” i segnali dei dispositivi elettronici, riconoscere un bip da un beeep, a manipolare un telefono o uno schermo touch, ma meno bravi a guardare negli occhi una persona che ci parla dal vivo e coglierne le sfumature, il tono di voce, lo sguardo, i cenni del capo, e capire cosa prova, e se mente o meno.

Nel corso del libro ci saranno decine e decine di strumenti utili per re-imparare l’arte e tecnica del “leggere le persone” – che significa praticare un “ascolto oltre le parole”. L’importante è che si accenda in noi la scintilla. La scintilla del DNA ancestrale. La scintilla della curiosità.

La furia dei tempi ha abituato gli studenti a fare quiz, test a risposta multipla, esami informatizzati, e l’esame orale va sparendo lentamente dal panorama della formazione accademica, perché “richiede troppo tempo”. Così, non impariamo più a “sintonizzarci sul Prof. e sui suoi interessi che magari abbiamo sentito a lezione”, perché è diventato inutile.

Anche nei gruppi di ragazzi e ragazze, seduti a tavola in una pizzeria, si può notare un continuo “fare”, ma con il proprio smartphone, e una assenza quasi fisica del luogo in cui le persone sono veramente, con rare, rarissime conversazioni tra i partecipanti, spesso superficiali.

Non è mai facile ascoltare. A volte è più comodo comportarsi da sordi, accendere il walkman e isolarsi da tutti. È così semplice sostituire l’ascolto con le e-mail, i messaggi e le chat, e in questo modo priviamo noi stessi di volti, sguardi e abbracci.
(Papa Francesco)

Dal pressing verso l’essere persuasivi alla riscoperta dell’ascolto attivo di qualità e della comunicazione empatica (empatia nella comunicazione, non solo persuasione)

Nella nostra società, rimane sempre forte e pulsante una sorta di “pressing” verso l’essere iper-comunicativi e persuasivi, veloci-rapidi-vincenti, ma mai verso l’ascolto attivo e l’empatia. Svanisce il tempo per rallentare al fine di ragionare, riflettere, il tempo che serve per generare la qualità e non solo la quantità. Eppure paradossalmente, anche in azienda – dove la qualità viene giustamente idolatrata e premiata – nonostante questo, le persone tra di loro non si ascoltano mai veramente e a fondo, a volte persino in una riunione. Per non parlare dei colloqui tra capi e collaboratori. Siamo tutti invitati a “parlare bene”, ma meno ad “ascoltare bene”. L’ascolto comprende anche “l’ascolto delle cose”. I ponti parlano, le navi parlano, le auto parlano, se solo ne sai ascoltare i linguaggi, se solo sai dove e cosa osservare, se solo passi con un occhio, orecchio, e mani, allenati a cogliere emergenze, dissonanze e problemi.

E se hai voglia di farlo.

 

– Ascolta la nave.

– Che c’è da ascoltare?

– Ascoltala e basta.

dal film “Pandorum – L’Universo Parallelo”

 

Siamo spinti ad essere incisivi, ad esempio per passare un colloquio di lavoro, oppure in un corso di public speaking dove si studiano i meccanismi per strappare un applauso, o in pubblicità, le strategie per comunicare verso i target e persuadere. Ma è sempre comunicazione “ad una via”. Non è mai ascolto vero.

L’ascolto è un processo olistico. Puoi ascoltare una persona, puoi ascoltare una cascata, puoi ascoltare un fiume. E questo ha a che fare con temi fondamentali come la sicurezza. Mai e poi mai, qualcuno penserebbe di “ascoltare un ponte”, o una nave, o un aereo.

L’altra faccia della medaglia comunicativa, il saper ascoltare, il saper percepire, è sparita. Inglobata da un mondo che “va troppo veloce” per potersi permettere il lusso di fermarsi ad ascoltare. Eppure, senza ascolto si muore. Non si colgono i segnali di pericolo, non si coglie la natura dei messaggi sottili.

Prima di morire o cedere, una struttura dà tantissimi segnali, il caso dei 300 metri di viadotto caduto a Genova[5] ne è un esempio.

In un periodo della mia vita di alcuni anni, in cui ero incaricato di svolgere coaching rivolto a Comandanti di Navi da Crociera, con 5.000 persone a bordo, e un fardello di responsabilità sulla schiena impressionante, facevo compiere ai comandanti e vice-comandanti un esercizio speciale, dicevo “Adesso stenditi a terra e ascolta la nave“. “Chiudi gli occhi. Ascolta la nave“. All’inizio sbalorditi, poi pian piano emergevano dopo pochi minuti un’enormità di segnali, la percezione si faceva più acuta, dalle vibrazioni note a quelle mai ascoltate, dal rumore di una pompa che non avevano mai udito (eppure era sempre stata li), alla capacità di fare un “ascolto olistico” della nave, rollio, beccheggio, inclusi gli uomini, gli equipaggi, le loro vere conversazioni e stati emotivi in manovra.

La parte del “ascoltare la macchina” si chiama nel mio metodo “Ascolto Strutturale”, la parte “uomo” si chiama “Ascolto dei Climi Emotivi, o “Ascolto degli Acquari Emotivi” quando applicata alle situazioni di Team Leadership.

È tempo di ridare dignità e metodo alla “parte nascosta della comunicazione” che è appunto l’ascolto, che si tratti di ascoltare attivamente una struttura, o in modo empatico un familiare, un lavoratore, un fornitore, o di capire meglio i dati di un progetto di lavoro, connettersi meglio alle emozioni altrui, capire il proprio equipaggio e team in che condizione emozionale è, saper intervenire quando necessario.

L’ascolto oltre le parole. Vie per l’ascolto empatico

Una cosa è conoscere il sentiero giusto, un’altra è imboccarlo.

Morpheus (Lawrence Fishburne)

dal film “Matrix” di Andy Wachowski

Tutti sappiamo che ascoltare è importante, ma pochi lo fanno, e di quei pochi, ancora meno sono quelli allenati all’empatia, il che significa “formati” a sviluppare tecnicamente empatia e ascolto empatico. A volte serve saperlo fare con metodo, e non solo per attitudine naturale.

Se ti capita che una persona ti stia “sentendo a pelle”, e tu “senti a pelle” che sta capendo, stai vivendo un momento di ascolto oltre le parole. Momenti magici. L’ascolto va assolutamente oltre le parole. L’ascolto è tutto ciò che entra in noi e a cui attribuiamo significato. L’ascolto quindi, diventa percezione, e può diventare “percezione aumentata” se lo potenziamo. Possiamo persino arrivare a capire di una persona più di quanto essa stessa capisca di sè, in quanto l’ascolto, praticato da fuori, riesce a cogliere elementi che una persona vive costantemente, ma di cui non è consapevole.

È come girare tutta la vita con un cartello dietro la schiena. Tutti lo vedono, tranne tu. La personalità è come quel cartello.

Altrettanto nascoste sono le convinzioni più profonde. Per quelle periferiche, le preferenze, ciò che piace o meno, si possono cogliere da dettagli, con una semplice osservazione dell’alzarsi dei muscoli del naso (come quando si odora qualcosa di sgradito), e raramente vengono verbalizzate in pubblico. Eppure, un ascolto non verbale accurato, le saprà cogliere.

Quando noi osserviamo tutto questo e non solo le parole, stiamo praticando un “ascolto oltre le parole”, una percezione aumentata.

Fare percezione aumentata significa “saper leggere la gente”, saper cogliere segnali, parole, frasi non dette, gesti, simboli, cenni.

Sapeva ascoltare, e sapeva leggere.

Non i libri, quelli sono buoni tutti, sapeva leggere la gente.

 (Alessandro Baricco)

La percezione aumentata può persino arrivare a potenziare i sistemi sensoriali stessi, rendendo una persona allenata capace di ascoltare le variazioni dello stress vocale (segnalatore di bugie o di imbarazzo), qualcosa che in genere solo un software specifico riesce a fare.

La percezione aumentata può portarti a cogliere microespressioni facciali della durata inferiore ad 1/10 di secondo, così brevi, eppure così significative, come l’alzarsi del muscolo di un sopracciglio, o di un muscolo labiale, indicatore di interesse, o di sorpresa, o di allarme. E non vi è dubbio che quando siamo più acuti nel cogliere, nel percepire, nell’ascoltare, diventiamo persone diverse, noi stessi. Cambiamo dentro.

L’ascolto può poi arrivare a definirsi “empatico” quando davvero siamo riusciti ad “entrare nella testa di una persona”, capire come la pensa, capire come ragiona, coglierne le sfumature del pensiero, e capire perché la pensa così, “da dentro” il suo sistema di credenze, di convinzioni e di emozioni.

Questo riguarda non solo le questioni semplici, ma anche qualcosa che ci appare molto strano, qualcosa di arcano che con l’ascolto empatico possiamo capire, perché siamo riusciti a cogliere le logiche interne che la persona sta usando.

L’ascolto è una delle fasi di una “conversazione”, di un dialogo, di un rapporto. Spesso, la più importante. E la più trascurata. L’ascolto è un atto di dono, capire una persona è una forma di dono, e può trasformarsi in atto strategico (ad esempio in un negoziato) ma di base e nella vita quotidiana, può essere considerato un grande dono.

Io chiamo religioso colui che comprende la sofferenza degli altri.

 (Mahatma Gandhi)

L’ascolto non si limita assolutamente a voler capire la sofferenza altrui (tema che tocca la psicoterapia, il counseling, le relazioni d’aiuto), ma può anche entrare nel far aumentare le performance di atleti, sportivi, manager, imprese e team, quando l’ascolto viene usato come arma primaria in un buon coaching sulle performance.

L’empatia, quindi, diventa anche una potente arma per vincere le sfide più grandi della nostra vita, o di un cliente.

Il potere dell’ascolto

Il potere dell’ascolto, lo diremo subito, è soprattutto la capacità di vedere oltre le parole. Vedere le carte dell’altro, per poter giocare meglio e non al buio. L’ascolto, quello vero, quello che “apre a metà” la comunicazione e il comunicatore per guardarci dentro, è un’arma potentissima. Smaschera bugie e falsità, impedisce alla nebbia mentale di entrare nelle conversazioni, perché la sa riconoscere.

È così facile raccontare bugie a chi non sa ascoltare bene, a chi si lascia trasportare da retorica e status, e non entra nel profondo del messaggio per coglierne la verità.

L’ascolto attento è arma anti-persuasiva per eccellenza, così come l’ascolto distratto è succube di status e ruoli, ed è via maestra per farti entrare nella testa messaggi subliminali che ti persuadono senza che te ne accorgi. L’ascolto subentra nelle fasi di negoziazione con clienti interni ed esterni, con stakeholders (i vari portatori d’interessi che ruotano attorno alla vita di una persona o di un’azienda), si manifesta in famiglia, tra coppie, tra genitori e figli, tra amici, con persone della stessa cultura e di culture diverse.

Il potere dell’ascolto è pari a quello che si ha nel giocare a carte potendo vedere le carte dell’avversario. Leggiamo le persone meglio, leggiamo le situazioni meglio. Vediamo meglio.

Può essere usato per curare (Carl Rogers, nella Terapia Centrata sul Cliente, ne fa lo strumento centrale per la guarigione psicoterapeutica[6]) o per persuadere (studio di un target audience ed empatia strategica), per progettare, come nel project management, per comprendere a fondo i desideri e obiettivi di una persona e “cosa ha in testa”, e per prendere più saggiamente decisioni di gruppo senza che nessuno si senta escluso o non ascoltato.

Anche decisioni difficili e in condizioni di crisi, si avvalgono del potere dell’ascolto. Perché l’ascolto, tranne che in un interrogatorio, è uno stato d’animo di spaziosità per le parole altrui, per le emozioni altrui, per le storie altrui.

La rabbia e l’intolleranza sono i nemici della corretta comprensione.

 (Mahatma Gandhi)

Di sicuro, possiamo affermare che le persone che sanno ascoltare hanno un vantaggio competitivo sugli altri. Sanno cogliere più informazioni, sanno percepire di più, sanno entrare in connessione neurale con altre menti, possono avere l’opzione di ascoltare o no, a loro piacimento, mentre chi non sa ascoltare ha una sola opzione: non ascoltare, o ascoltare malissimo, e come ha specificato Malcom X, “coloro che non ascoltano niente cadranno per qualsiasi cosa.”

In ogni conversazione, avviene una fase di ascolto, esiste sempre uno “strato” di noi che ascolta, che ne siamo consapevoli o meno, ed avvengono “manovre” implicite.

Chi parla per primo? Chi ascolta chi? Per quanto? Con che scopi? Scopi impliciti? Scopi espliciti? E quali percezioni avrà l’altro? Che formati ha questa conversazione, al di la delle singole parole? È una “supplica”, è una “autocelebrazione”, è un “attacco al mondo crudele”?

Cosa capiamo di una persona quando l’abbiamo ascoltata bene? Capiamo come la pensa e il suo stato d’animo, sino ad arrivare alla sua personalità. E capiti quelli, abbiamo colto il 90% della persona.

Saper cogliere le risonanze emotive, verso l’”ascolto sensibile”

Le risonanze emotive sono degli “eco delle emozioni” che giungono apparentemente da lontano, ma riportano nuovo contenuto su un piano diverso e arricchiscono l’ascolto. Ci sono almeno dieci modi di dire “va tutto bene” di fronte alla domanda “Come va oggi?”, e quelle dieci diverse sfumature provengono dalle risonanze emotive che riverberano nella persona e si associano alle parole. Provare per credere. È possibile esercitarsi a “sentire” le risonanze emotive, per arrivare più vicini possibile alla verità delle cose. Mentre l’ascolto tradizionale si concentra sulla parola, l’ascolto empatico si concentra più sul cogliere le emozioni. Le emozioni dell’altro hanno una vibrazione, un riverbero, le nostre anche, e si crea un vero e proprio momento di risonanza.

Quando io capisco che stanno risonando emozioni nell’altra persona, siamo nell’ascolto sensibile. Quando io inizio ad interessarmi, a cercare di capire che tipo di emozioni stiano risonando, stiamo entrando nell’ascolto empatico.

Ciascuna delle principali pubblicazioni che ho scritto[7], ciascuna riga, contiene possibili mondi interpretativi. Sentire che esiste un flusso, decidere di voler decodificare un testo, una parola, una frase, una conversazione, è saper ascoltare con il cuore e non solo con la mente.

In fisica, questo fenomeno viene chiamato “modello di interferenza tra due fonti singolari”, e quella che i fisici chiamano interferenza, per noi può essere invece ricchezza e sensibilità. Nelle arti, il modello è chiamato vesica piscis o mandorla, un simbolo di forma ogivale ottenuto da due cerchi dello stesso raggio, intersecanti in modo tale che il centro di ogni cerchio si trova sulla circonferenza dell’altro.

Il nome significa letteralmente vescica di pesce in latino. Per noi diventa importante in quanto rappresenta l”ingresso” nella porta delle emozioni altrui, base di ogni ascolto empatico. L’ascolto empatico riguarda infatti:

  • La natura delle emozioni (Quale emozione sento nell’ascolto?);
  • la molteplicità delle emozioni (Quante emozioni sento? Quali sono compresenti?);
  • la forza delle emozioni (Quanto sono forti le emozioni che sento nell’altro: periferiche, intermedie, centrali?), e
  • cosa le muove (Cosa potrebbe essere la ragione dello stato emotivo che sento nell’altro?).

Questo è solo un inizio di ascolto empatico, che possiamo chiamare un “ascolto sensibile”. Passare all’ascolto empatico richiede poi specifiche domande, specifiche riformulazioni, e un contesto adeguato. Ma stiamo sull’ascolto sensibile.

Un familiare ci dice “vorrei cambiare lavoro”. Ma non ce lo dice con slancio, cogliamo una risonanza emotiva di tristezza, malinconia.

Se siamo in fase empatica, faremo domande, cercheremo di capire, ad esempio, se questa ricerca è mossa da insoddisfazione per il lavoro attuale, e se sì, cosa la causa.

Arriveremo anche a capire cosa cerca la persona in un nuovo lavoro, se vuole o meno viaggiare, che caratteristiche dovrebbe avere il suo lavoro ideale, e se la persona si sente mentalmente all’altezza – come potere personale (autoefficacia) – di avviare un vero percorso di ricerca di lavoro. Avremo, in sostanza, aiutato quella persona, partendo da una risonanza emotiva.

La nostra consapevolezza su come funziona un ascolto di qualità, la capacità di attivare un ascolto attivo, e soprattutto la coscienza piena di tutte le sue enormi sfumature e variabili emotive, influirà sulla nostra vita. L’ascolto incide già oggi, su ogni negoziazione e sulle nostre vite professionali, e persino nella nostra esistenza in senso ampio, come esseri umani, dalla nascita sino all’ultimo respiro. L’ascolto è con noi, sempre. Che lo vogliamo o meno. Ascoltiamo le nostre risonanze emotive mentre parliamo. Faremo grandi scoperte.

L’ascolto entra anche nelle aziende, nelle relazioni di vendita consulenziale. Una relazione d’aiuto forte, centrata sull’ascolto verso il cliente, è la base di ogni metodologia di vendita consulenziale onesta, autentica, sincera, professionale. Non ci meravigliamo se, mancando la capacità di ascolto, tante situazioni di vendita sono descrivibili come il “mettere sù il brano memorizzato” e parlare sopra la testa del cliente, incuranti di ciò che gli serva veramente.

Al centro di ogni processo di vera consulenza, medica, professionale, tecnica, umana, c’è l’ascolto, la capacità di far emergere dati e situazioni che aiutano a realizzare una proposta utile, contributiva, efficace.

Quando udiamo o percepiamo qualcosa che risuona in noi, abbiamo ascoltato.

Se ciò che io dico risuona in te, è semplicemente perché siamo entrambi rami di uno stesso albero.

 (William Butler Yeats)

Cercare risonanza e ascolto vale anche nelle professionisti strategiche. Nel caso della vendita, la tecnica di ascolto si trasforma in un vero e proprio coaching del cliente, che viene aiutato a fare passi avanti e miglioramenti grazie alle nostre azioni di ascolto attivo. L’ascolto attivo fa sempre da “madre di ogni riflessione”. Non cambia molto se ci spostiamo verso l’esame delle capacità di ascolto di un medico verso il paziente.

Quante volte vi siete sentiti ascoltati pienamente, a fondo, e senza fretta di arrivare a conclusioni?

I tempi tecnici della sanità non lo rendono sempre possibile, ma il problema è che – se anche vi fosse il tempo – i medici non “Sanno Fare”, non sono dotati, né sono stati formati nel corso dei loro studi, ad una capacità di ascolto in profondità che invece servirebbe. E lo posso dire avendo insegnato Comunicazione Medico-Paziente in numerosissimi Master per medici[8]. La loro prima scoperta, con esercizi pratici di ascolto, sul fatto di non saper ascoltare, li ha spesso sconvolti.

Le aziende, invece, spesso pensano di “ascoltarci” facendoci compilare questionari o tramite risponditori automatici, il che non aiuta certo a creare un legame empatico con il cliente.

Con questionari e form online, così distanti, così freddi, difficilmente si creerà quella risonanza emotiva che solo un ascolto attivo sa creare.

L’ascolto entra anche nella leadership, perché un conto è dare ordini a persone senza sapere che impatto e adesione troveremo, e altro è dare disposizioni, consegne o deleghe avendo un quadro chiarissimo su come le persone la pensino e cosa possano o meno accettare o vedere fattibile.

Se l’ascolto fosse un fiume, avremo un ascolto semplice, che si limita a guardare l’acqua passivamente e distrattamente, e un ascolto empatico “oltre le parole”, che va ad osservare con attenzione anche i diversi colori e sfumature del flusso d’acqua, le rive, le insenature, la vegetazione che lo contorna, i sottili mulinelli dell’acqua, una barca, un tronco trasportato, e la velocità della corrente, e tutto quanto il flusso possibile di segnali che scorgiamo nell’ambiente.

Per offrire un primo contributo di metodo, esaminiamo ora una prima scala visuale dei livelli di ascolto, utile per fissare alcuni punti sin dall’inizio. Una scala per i livelli di ascolto è per forza di cose una riduzione, rispetto alla complessità di un fenomeno così vasto ed enorme. Eppure, se questa riduzione ci aiuta nel fare passi avanti nella formazione, allora ben venga. Questa scala può aiutarci a difenderci da un ascolto aggressivo, o attivare un ascolto empatico. Starà a noi la scelta.

L’articolo prosegue nel testo originale

Ascolto attivo ed empatia: I segreti di una comunicazione efficace


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[1] Weigold, Michael & Trevisani, Daniele (1993). Mass Media, image and persuasion: The indirect effect of communication channels on source credibility and message acceptance. Paper presented at the Annual meeting of the Association For Education In Journalism And Mass Communication, Kansas City, MO, USA, (1993, August).

[2] Howard Gardner (1983), Frames of Mind: The Theory of Multiple Intelligences, Edition Hachette UK, 2011.

[3] Friedrich Schelling, Vom Ich als Prinzip der Philosophie oder über das Unbedingte im menschlichen Wissen (L’io come principio della Filosofia o sul fondamento della conoscenza umana), 1795

Friedrich Schelling, Ideen zu einer Philosophie der Natur (Idee per una filosofia della natura), 1797

[4] Howard Gardner (2010), Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza. Feltrinelli, Milano.

[5] Data accadimento 14/08/2018

[6] Carl R. Rogers (2013), La terapia centrata-sul-cliente. Firenze, Giunti Editore. Edizione originale: Rogers, Carl. (1951). Client-Centered Therapy: Its Current Practice, Implications and Theory. London: Constable. ISBN 1-84119-840-4.

[7] Trevisani Daniele. (1992), A Semiotic Models Approach to the Analysis of International/Intercultural Communication, in Proceedings of the 9th International and Intercultural Communication Conference, University of Miami, 19-21 May.

Trevisani Daniele (2000), Competitività aziendale, personale, organizzativa. Strumenti di sviluppo e creazione del valore. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2001), Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2003),  Comportamento d’Acquisto e Comunicazione Strategica. Dall’analisi del Consumer Behavior alla progettazione comunicativa. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2005), Negoziazione interculturale. Comunicazione oltre le barriere culturali. Dalle relazioni interne sino alle trattative internazionali. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2007), Regie di Cambiamento. Approcci integrati alle risorse umane, allo sviluppo personale e organizzativo, e al Coaching. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2009), Il potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2011), Strategic Selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2014),  Self-Power. Psicologia della motivazione e della performance. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2014),   Il Coraggio delle Emozioni. Energie per la vita, la comunicazione e la crescita personale. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2016), Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team, Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2017), Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva. Milano, Franco Angeli.

Trevisani Daniele (2018), Psicologia della libertà. Liberare le potenzialità delle persone. Roma, Mediterranee.

[8] Prevalentemente presso il Master in Economia e Management dei Sistemi Sanitari, Facoltà di Economia, Università degli Studi di Ferrara

 

Programma Base Corso L’Ascolto in Azienda: Ascolto Attivo ed Empatia by Studio Trevisani Academy (Copyright Dott. Daniele Trevisani)

Intelligenza Conversazionale e ascolto in azienda

Ogni giorno siamo immersi in azienda in decine e centinaia di conversazioni. Il modulo verte sulla dinamica delle conversazioni e in particolare sulle fasi di ascolto. Capire le loro dinamiche nascoste ci aiuta ad ascoltare meglio, intervenire meglio, pensare con una qualità personale superiore ed essere manager più efficaci

9-13

  • La “scala dei Livelli di ascolto”
  • Intelligenza Conversazionale come “skill” allenabile
  • Strati di ascolto
  • Il modello 4 Ears 4 Mouth
  • Il 4 Distances Model per l’ascolto
  • Le strategie di acquisizione delle abilità di ascolto

Pausa caffè h 10.30-10.45

  • Contatto emotivo, osservazione, rilevazione, comunicazione
    Le emozioni nelle situazioni di ascolto (Communication Situations – Comsits)
    Ascolto, Emozioni e Neuroscienze. Capire le basi per apprendere il “fare” operativo
    Psicologia della comunicazione interpersonale
    Analisi della conversazione e competenze di conversation analysis
    Conversation management e leadership conversazionale
    Percezione Efficace e Ascolto

Il modulo verte sulla percezione, sui meccanismi mentali che avvengono in presenza di qualsiasi stimolo, sul pensiero che si innesca, sulla qualità di questo pensiero, sulla modalità di osservazione di segnali deboli, sulle relazioni interpersonali, sviluppando le capacità di ascolto

h 14-18

L’ascolto oltre la percezione. Modello Stimolo – Pensiero – Qualità del Pensiero – Risposta
Dalla percezione vaga e confusa (entropia informativa) al “focusing”
Percezione ristretta e percezione aumentata
Ascolto sul piano verbale
Ascolto paraverbale
Ascolto non verbale e FACS
Ascolto oltre le parole: ascolto di Cultura, Personalità, Umore, Emozioni, Credenze
Tunnel sensoriale

Pausa caffè h 15.30-15.45

Tecniche di approccio
Tecniche di intervista e colloquio strategico
Canali empatici e empatia
Tecniche di ascolto attivo e ascolto avanzato multilivello
Lie detection (riconoscimento delle dissonanze)
Ascolto dell’attivazione emotiva
Videomicroanalisi
Reality checks, i “test di realtà”
Recap, sintesi, next steps

Modalità didattica corso “Ascolto Attivo ed Empatia in Azienda”: di tipo prevalentemente esperienziale, con brevi fasi concettuali seguite da esercizi di coppia, di gruppo e in sottogruppo, in applicazione dei concetti stessi.

Attenzione. I corsi di Formazione e Coaching sull’Ascolto Attivo ed Empatia sono realizzati solo sulla base di una analisi approfondita delle esigenze del cliente. Questo è solo un programma esemplificativo

Programma Copyright dott. Daniele Trevisani www.studiotrevisani.it

Corso empatia e pillole di formazione per l’empatia – Dal libro Ascolto Attivo ed Empatia, di Daniele Trevisani

corso empatia crescita personale libri ascolto attivo ed empatia

L’ascolto e l’empatia riescono a portare “fuori” quel mondo enorme di pensieri e sentimenti che siamo, e che abbiamo dentro. Chiarificarli, farli emergere, significa comunicare in profondità, e possiamo dire che questo tempo dedicato alla comunicazione profonda è un tempo speciale, un tempo sacro, un dono per chi lo riceve, e un momento vita importante per chi lo pratica.

Daniele Trevisani

Elementi positivi e distruttivi dell’empatia

Quando si viene ascoltati ed intesi, situazioni confuse che sembravano irrimediabili si trasformano in ruscelli

che scorrono relativamente limpidi.

Carl Rogers

L’empatia viene distrutta o favorita da specifici comportamenti comunicativi e atteggiamenti.

Favorisce l’empatia Distrugge l’empatia
Curiosità, passione, motivazione all’ascolto Disinteresse, ascoltare per obbligo, per dovere; scarsa motivazione
Partecipazione reale all’ascolto, non finzione Fingere un ruolo di ascolto solo per dovere professionale
Atteggiamento dello “scopritore”, del cercatore di tartufi o cercatore di pietre preziose. Vediamo cosa salterà fuori oggi! Atteggiamento burocratico, ingessato. Anche oggi, proprio adesso, un altro incontro, che noia
Riformulazione dei contenuti

Recap – ricapitolazione delle “storie” e dei “temi” che emergono

Giudizio sui contenuti, commenti

Flusso ininterrotto senza mai accertarsi di avere capito di cosa si parla e del senso delle cose

Pluralità di approcci di domanda (domande aperte, chiuse, di precisazione, di focalizzazione, di generalizzazione)

Flessibilità delle domande in funzione di come varia una sessione e il suo contesto

Monotonia nel tipo di domande, staticità delle domande,  domande troppo ancorate a uno schema o scuola dogmatica
Centratura sul vissuto emotivo, ascolto emozionale Centratura esclusiva sui fatti, ascolto robotizzato
Segnali verbali e non verbali di attenzione, segnali “fàtici” (segnali di contatto) es, uhm, ah, ok, ho capito… Body Language che esprime disinteresse o noia, apatia, voler essere altrove
Segnali paralinguistici di attenzione, incoraggiamento ad esprimersi, segnali “fàtici” (segnali che esprimono il fatto di essere presenti e attenti) Scarsa dimostrazione di interesse e attenzione al flusso di pensiero

Assenza o scarsità di segnali “fàtici” e di contatto mentale


“L’empatia fra le persone è come l’acqua nel deserto: si incontra di rado,

ma quando capita di trovarla ti calma e ti rigenera.”

Emanuela Breda

Corso di Empatia e Ascolto Empatico. “Esserci” nella relazione: separare l’ascolto dalle attività di “espressione” e generare il “flusso empatico”

Poche delizie possono eguagliare la semplice presenza

di colui di cui ci fidiamo totalmente.

 (George MacDonald)

Nell’empatia, “esserci”, è importante. Per “esserci” è essenziale non confondere i piani, l’ascolto, e l’espressione. La comunicazione d’ascolto, e la qualità dell’ascolto, comprendono la necessità di separare nettamente, e prima di tutto mentalmente, le attività di attenzione alla comunicazione altrui, la sua comprensione (comunicazione in ingresso) dalle attività di espressione di nostri messaggi (comunicazione in uscita).

Possiamo parlare veramente di un “flusso”, un flusso empatico, un flusso bidirezionale che scorre tra due persone durante una comunicazione empatica. Un flusso che, a volte, ha qualcosa di magico. Attenzione: chiaramente il contenuto di questo flusso in termini di parole, frasi, espressioni del volto e ogni altro “contenuto comunicativo” viene espresso da chi parla, ma chi ascolta esprime un flusso altrettanto potente, persino ancora più potente, il flusso dell’attenzione e della presenza mentale. Due flussi di apertura, di accettazione, che creano un momento di condivisione umana unica e speciale. Se ti accade di sentirti dire “non mi sono mai sentito così capito come in questa conversazione, grazie davvero” è probabile che il tuo tasso di empatia sia stato alto.

Figura 9 – Separazione del flusso di espressione dal flusso empatico

i due flussi della comunicazione. empatia e ascolto vs. proposizione e dire

Quando sapremo separare bene questi due flussi, prima di tutto a livello mentale, poi sul piano fisico e comportamentale, sapremo come dare presenza, evitando di intromettere il flusso empatico con comunicazioni non appropriate. Quando sarà “il nostro turno”, saremo sempre e comunque empatici, “collegati” e pertinenti.

Ci sono persone che lasciano la loro presenza in un luogo anche quando non ci sono più.

 (Andy Goldsworthy)

Il Decalogo per un ascolto empatico di qualità. Dieci regole da applicare sempre

La maggior parte delle liti amplifica un malinteso.

 (Andre Gide)

Durante le fasi di ascolto empatico è necessario:

  1. non interrompere l’altro;
  2. non giudicarlo prematuramente; non esprimere giudizi che possano bloccare il flusso espressivo altrui;
  3. ricapitolare di tanto in tanto quanto si è capito (quindi se ho capito bene, è successo che…), riformulare i punti critici (ok, non ti risponde subito al telefono, e tu ci rimani molto male, capito), fare parafrasi (quindi, se capisco bene è come se….?)
  4. non distrarsi, non pensare ad altro, non fare altre attività mentre si ascolta (tranne prendere eventuali appunti), usare il pensiero per ascoltare, non vagare;
  5. non correggere l’altro mentre afferma, anche quando non si è d’accordo, rimanere in ascolto;
  6. non cercare di sopraffarlo;
  7. non cercare di dominarlo;
  8. non cercare di insegnargli o impartire verità, trattenere la tentazione di immettersi nel flusso espressivo per correggere qualcosa che non si ritiene corretto;
  9. non parlare di sé;
  10. testimoniare interesse e partecipazione attraverso i segnali verbali e il linguaggio del corpo;

Di particolare interesse risultano gli atteggiamenti di:

  • interesse genuino e curiosità verso la controparte: il desiderio di conoscere ed esplorare la mente di un’altra persona, attivare la curiosità umana e professionale;
  • silenzio interiore: creare uno stato di quiete emozionale (liberarsi da emozioni negative e pregiudizi) per ascoltare l’altro e rispettarne i ritmi;
  • predisporsi mentalmente al “tutto”: riuscire a fare posto anche a materiali psichici “pesanti” (paure, traumi, drammi, tragedie personali, sogni, stati d’animo turbati) che l’altra persona esprime, o quando emergono nel processo, saperli esplorare rimanendo “centrati”, in equilibrio mentale ed emozionale, non sopraffatti da quanto si ascolta (tecnica di Distanziamento Emotivo Controllato – DEC).

È importante ricorrere alle parole di Carl Rogers, psicologo e fondatore del Counseling, la persona che ha più influito sul concetto stesso di empatia:

“La nostra prima reazione di fronte all’affermazione di un altro è una valutazione o un giudizio, anziché uno sforzo di comprensione. Quando qualcuno esprime un sentimento o un atteggiamento o un’opinione tendiamo subito a pensare ‘è ingiusto’, ’è stupido’, ‘è anormale’, ‘è irragionevole’, ‘è scorretto’, ‘non è gentile’. Molto di rado ci permettiamo di ‘capire’ esattamente quale sia per lui il significato dell’affermazione.”

Carl Rogers

Cosa sia per lui il significato dell’affermazione” è il vero senso di qualsiasi operazione di empatia, capire la connessione emotiva, il movente visto da dentro. Si tratta di una tecnica. Poi poco importa che tale tecnica sia applicata verso un criminale per capire quali prossimi gesti possa compiere, o verso una persona che soffre di ansia, o per aiutare un giovane a trovare la sua strada nel futuro, uno sportivo a vincere la sua prossima gara, o una squadra nella quale stiamo cercando di produrre lo stato di “flow per le massime performance.

Empatia e ascolto fanno bene, a chi li pratica, e a chi ne riceve: Alcune evidenze dalla ricerca

Regala la tua assenza a chi non da valore alla tua presenza.
(Oscar Wilde)

L’empatia è un valore e genera valore. Per questo è bene osservare cosa dicono alcune indicazioni in merito provenienti dal mondo della ricerca. L’empatia, il fatto di praticarla bene, richiede una mente che funzioni bene[1]. Questo significa per noi, che il comunicatore empatico deve prendere cura di se stesso, della sua salute, dello stato della sua mente, esempio essere riposato, non abusare di sostanze, nutrirsi e fare attività fisica, insomma, siamo di fronte a degli atleti della comunicazione e a degli atleti della mente.

Certo, si potrà obiettare che alcuni psicoterapeuti riescono ad essere estremamente abili nell’ascolto attivo ed empatici anche a 80 anni, o con il fisico malato, ma non dimentichiamo quanta esperienza li stia sorreggendo, e quindi, facciamo i nostri compiti personali con diligenza per trovare il nostro migliore stato di forma ed avere un corpo-mente che ci sorregga, che ci sia di aiuto, che ci supporti.

Prendersi cura di sè aiuta l’empatia. Avere energie personali, fisiche, corporee, mentali, motivazionali, aiuta l’empatia. Se non hai energie, non ascolterai mai nessuno davvero in profondità.

Altra evidenza: quando il tema dell’ascolto attivo ed empatico è una sofferenza (distress)[2], avere alle spalle una scuola metodologica, ad esempio la psicologia umanistica, il Counseling Bioenergetico, o altre, è un fattore di aiuto, perché non si è più soli nell’ascoltare, si è soli solo fisicamente, ma la presenza della “scuola” aiuta a procedere comunque bene. Per quanta buona volontà tu abbia, avere alle spalle una scuola che dà struttura, aiuta, sorregge moralmente.

La “scuola” può essere anche un’associazione, circolo o gruppo di persone dove ci si ritrova, e nelle quali si discute del metodo e del lavoro, di casi o di modelli, e questa discussione è di enorme arricchimento professionale. Che si tratti di un circolo di leader, di un circolo di Counselor, di una scuola formativa, i momenti di “sbobinatura e riallineamento” come quelli di supervisione sono fondamentali, anche nel contesto non clinico. Anzi, si pensi a quanto in azienda possa essere migliorativo fare colloqui con i collaboratori da parte di un leader, sapendo di avere un Mentor e poterli poi discutere con un supervisore, piuttosto che lasciarli nel nulla.

In ultimo, una riflessione importante. L’empatia è un concetto che viene interpretato, in letteratura, in molti modi a volte anche non compatibili tra di loro[3].

La distinzione sostanziale è tra due estremi, un tipo di empatia emozionale, che sia soprattutto centrata sul vissuto, cioè basata sul sentire e riflettere i sentimenti di chi parla, e un tipo di empatia cognitiva, basata sul riflettere e comprendere i ragionamenti di chi parla.

La nostra visione è che l’empatia sia una forma concreta di presenza mentale nella comunicazione, un colloquio nel quale si vuole ottenere l’End State (punto di arrivo) di comprendere una persona nel pieno delle sue sfumature fisico-corporee, intellettuali ed emozionali.

Nel nostro metodo, quindi, l’empatia deve essere sia emozionale, che cognitiva. Significa poter capire una situazione o brano di vita secondo il punto di vista di chi lo vive, e questo richiede fare luce sia su componenti emozionali (capire le emozioni e le loro sfumature), sia sui ragionamenti (capire i valori, le convinzioni, le azioni, i pensieri strutturati). Solo l’unione tra le due componenti può portare a vera empatia, almeno per quanto riguarda l’ascolto empatico.

Diverso discorso si può fare per un “modo di essere” empatico, che significa vivere costantemente con l’attenzione e la sensibilità alle emozioni altrui, ma questo fuoriesce dal tema della tecnica di ascolto attivo ed empatico, non è certamente da condannare, ma nemmeno da forzare.

Credo sia giusto lasciare al libero arbitrio di ciascuno, come condurre la propria vita. Di certo, però, quando entriamo in una sessione di ascolto attivo o empatico, saper attingere a questa sensibilità, serve.

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[1] Neumann D1, Zupan B. Empathic Responses to Affective Film Clips Following Brain Injury and the Association with Emotion Recognition Accuracy. In:  Arch Phys Med Rehabil. 2018 Aug 21. pii: S0003-9993(18)30938-9. doi: 10.1016/j.apmr.2018.07.431.

[2] Guan K, Kim RE, Rodas NV, Brown TE, Gamarra JM, Krull JL, Chorpita BF,. Emergent Life Events: An In-Depth Investigation of Characteristics and Provider Responses during Youth Evidence-Based Treatment. In: J Clin Child Adolesc Psychol. 2018 Aug 24:1-16. doi: 10.1080/15374416.2018.1496441.

[3] Dohrenwend AM. Defining Empathy to Better Teach, Measure, and Understand its Impact. In: Acad Med. 2018 Aug 21. doi: 10.1097/ACM.0000000000002427.

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Copyright, dal testo “Ascolto Attivo ed Empatia” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano.

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Empatia (Wikipedia)

L’empatia è la capacità di comprendere a pieno lo stato d’animo altrui, sia che si tratti di gioia, che di dolore. Il significato etimologico del termine è “sentire dentro[1], ad esempio “mettersi nei panni dell’altro“, ed è una capacità che fa parte dell’esperienza umana ed animale.

Origini del termine

La parola deriva dal greco “εμπαθεία” (empatéia, a sua volta composta da en-, “dentro”, e pathos, “sofferenza o sentimento”),[2] che veniva usata per indicare il rapporto emozionale di partecipazione che legava l’autore-cantore al suo pubblico.

Il termine empatia è stato coniato da Robert Vischer, studioso di arti figurative e di problematiche estetiche, alla fine dell’Ottocento. Tale termine nasce perciò all’interno di un contesto legato alla riflessione estetica, ove con empatia s’intende la capacità della fantasia umana di cogliere il valore simbolico della natura[3]. Vischer concepì questo termine come capacità di sentir dentro e di con-sentire[4], ossia di percepire la natura esterna, come interna, appartenente al nostro stesso corpo. Rappresenta quindi la capacità di proiettare i sentimenti da noi agli altri e alle cose, che percepiamo.

Il termine empatia verrà utilizzato da Theodor Lipps, il quale lo porrà al centro della sua concezione estetica e filosofica, considerandolo quale attitudine al sentirsi in armonia con l’altro, cogliendone i sentimenti, le emozioni e gli stati d’animo, e quindi in piena sintonia con ciò che egli stesso vive e sente.

Concetto

Il termine “empatia” è stato equiparato a quello tedesco Einfühlung,[5] coniato, quest’ultimo, dal filosofo Robert Vischer (18471933) e, solo più tardi, tradotto in inglese come empathy. Vischer ne ha anche definito per la prima volta il significato specifico di simpatia estetica. In pratica il sentimento, non altrimenti definibile, che si prova di fronte ad un’opera d’arte. Già suo padre Friedrich Theodor Vischer aveva usato il termine evocativo einfühlen per lo studio dell’architettura applicato secondo i principi dell’Idealismo.[6]

Nelle scienze umane, l’empatia designa un atteggiamento verso gli altri caratterizzato da un impegno di comprensione dell’altro, escludendo ogni attitudine affettiva personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale. Fondamentali, in questo contesto, sia gli studi pionieristici di Darwin sulle emozioni e sulla comunicazione mimica delle emozioni, sia gli studi recenti sui neuroni specchio scoperti da Giacomo Rizzolatti, che confermano che l’empatia non nasce da uno sforzo intellettuale, è bensì parte del corredo genetico della specie. Si vedano al proposito anche gli studi di Daniel Stern.

Nell’uso comune, empatia è l’attitudine a offrire la propria attenzione per un’altra persona, mettendo da parte le preoccupazioni e i pensieri personali. La qualità della relazione si basa sull’ascolto non valutativo e si concentra sulla comprensione dei sentimenti e bisogni fondamentali dell’altro.

Il contrario di ’empatia’ è ‘dispatia’ ovvero l’incapacità o il rifiuto di condividere i sentimenti o le sofferenze altrui[7]

In medicina l’empatia è considerata un elemento fondamentale della relazione di cura (ad esempio la relazione medico-paziente) e viene talvolta contrapposta alla simpatia: quest’ultima sarebbe un autentico sentimento doloroso, di sofferenza insieme (da syn- “insieme” e pathos “sofferenza o sentimento”) al paziente e sarebbe quindi un ostacolo ad un giudizio clinico efficace; al contrario l’empatia permetterebbe al curante di comprendere i sentimenti e le sofferenze del paziente, incorporandoli nella costruzione del rapporto di cura ma senza esserne sopraffatto (questo tipo di distinzione non è condiviso da tutti, vedi alla voce simpatia). Sono state anche messe a punto delle scale per la misurazione dell’empatia nella relazione di cura, come la Jefferson Scale of Physician Empathy. L’empatia nella relazione di cura è stata messa in relazione a migliori risultati terapeutici (outcome), migliore soddisfazione del paziente e a minori contenziosi medico-legali tra medici e pazienti.[8]

La nozione di empatia è stata oggetto di numerose riflessioni da parte di intellettuali come Edith SteinAntoine ChesìMax SchelerSigmund Freud o Carl Rogers.

Il merito dell’introduzione del principio di empatia in psicoanalisi è principalmente dovuto a Heinz Kohut[9]. Il suo principio è applicabile al metodo di raccolta del materiale inconscio[10]. Anche l’alternativa all’applicazione del principio rientra nelle possibilità di cura, quando è ineludibile la necessità di fare i conti con un altro principio, quello di realtà.

Per le sue origini l’empatia ha ragione di essere nell’arte e nelle sue applicazioni. In maniera particolare quando l’arte utilizza le parole per la narrazione. In questo caso non solo è mantenuto il rapporto con la psicologia, ma si ampliano le sue possibilità di intervento. Non tutti possono scolpire o dipingere, ma parlando se non scrivendo qualcosa lo possono raccontare molti. Allora la produzione si sviluppa nel verso artista-psicologo-individuo. Non sono escluse possibilità per i disabili, privilegiando la relazione artista-individuo con la mediazione più cauta dello psicologo. Quest’ultimo non può suggerire all’individuo un percorso di emulazione. Il che non impedisce che l’individuo disabile possa diventare artista a sua volta. A cambiare è la posizione dello psicologo che deve solo rendere possibile la fusione dei vissuti dell’artista con quelli dell’individuo. Di certo lo psicologo dovrebbe mantenere entro limiti accettabili la complessità dell’intervento. Senza che per questo il disabile o l’arte abbiano a soffrirne, anzi si potrebbe dire il contrario.

Il libro di Geoffrey Miller The mating mind difende il punto di vista secondo il quale

« l’empatia si sarebbe sviluppata perché mettersi nei panni dell’altro per sapere cosa pensa e come reagirebbe costituisce un importante fattore di sopravvivenza in un mondo in cui l’uomo è in continua competizione con gli altri uomini. »

L’autore spiega inoltre che la selezione naturale non ha potuto che rinforzarla, poiché influiva sulla sopravvivenza e che alla fine si è sviluppato un sentimento umano che attribuiva una personalità praticamente a tutto ciò che la circondava. Si vede in questo un’origine probabile dell’animismo e più tardi del panteismo.

L’empatia è anche il cuore del processo di comunicazione non violenta secondo Marshall Rosenberg, allievo di Carl Rogers.

Grande interesse è stato posto nella ricerca di corrispondenze biologiche per l’empatia[11]. Sono stati valutati allo scopo i cosiddetti “neuroni-specchio”, attraverso diagnostica per immagini del tipo fRMN[12]. Queste cellule si attivano sia quando un’azione viene effettuata da un individuo sia quando questo stesso individuo osserva la stessa azione effettuata da un altro individuo; questo fenomeno è stato in particolare osservato in alcuni primati[13] Analogamente negli uomini si attiva la medesima area cerebrale nel corso di un’emozione e osservando altre persone nel medesimo stato emozionale[14]. Vi sono altre segnalazioni analoghe[15], anche in psicopatologia[16].

Molti si aspettano dalla biologia una spiegazione definitiva di questa materia. Creature differenti sembrano possedere lo stesso numero di geni. Il genere umano è tuttavia peculiare nel mondo vivente. Sappiamo che la funzione del RNA non consiste solo nella produzione di proteine sotto la guida del DNA. L’RNA ha proprietà di regolazione e programmazione su crescita e funzione cellulare. Il complicato meccanismo d’azione non è del tutto noto e potrebbe spiegare la differente complessità degli esseri viventi. Al riguardo l’impressione è che la biologia sia ancora priva di conoscenze complete.[17] L’empatia in questione coinvolge troppo ampiamente sviluppo e funzione psichica perché questo orientamento di ricerca trovi una conferma in esclusiva. Alternativamente si può fare conto su conoscenze disponibili in altre discipline.

Distinzione tra empatia positiva ed empatia negativa

Con empatia positiva si intende la capacità del soggetto di partecipare pienamente alla gioia altrui; si tratta di un con-gioire e di un saper perciò cogliere la gioia altrui, avendo coscienza della felicità da lui provata. In questo senso l’empatia in termini positivi può essere collegata, in generale a simpatia. La gioia colta attraverso la simpatia è però diversa, rispetto al contenuto, dalla gioia colta tramite l’empatia. Nel primo caso, infatti sarà una gioia non-originaria e quindi meno intensa e durevole rispetto a colui che si presenta più prossimo a questa gioia; mentre nel secondo caso, la gioia colta tramite l’empatia sarà di tipo originario, in quanto il contenuto di ciò che viene provato empatizzando con l’altro avrà lo stesso contenuto, anche se solo un altro modo di datità[18].

Con empatia negativa si concepisce l’esperienza di colui che non riesce a empatizzare rispetto alla gioia altrui, trasferendo nel proprio vissuto originario le sue emozioni. Ciò accade in quanto qualcosa in lui si oppone; un’esperienza presente o passata o la stessa personalità della persona fungono, infatti,da barriera alla sua capacità di cogliere la gioia altrui. L’esempio potrebbe essere quello della perdita di una persona cara, che impedisce all’individuo di far emergere una simpatia verso la gioia dell’altro e quindi di condividerla. In questo caso, infatti, il triste evento e i sentimenti di altrettanto tipo che ne derivano fanno sorgere un conflitto, in quanto l’io si sente diviso tra due parti: vivere della gioia altrui o rimanere nella tristezza che quanto accaduto determina[19].

I diversi approcci

Approccio cognitivo e affettivo

Secondo un approccio prettamente affettivo, l’empatia sarebbe un evento di partecipazione/condivisione del vissuto emotivo dell’altro, seppure in modo vicario.

Psicoterapeuti, e psicoanalisti già dall’inizio del secolo scorso, avevano dato maggiore rilievo al ruolo che l’empatia gioca nelle relazioni interpersonali. In particolare, per chi per primo si è avventurato nello studio dell’empatia, inserendola nell’ambito della psicologia sociale, essa è imitazione spontanea di gesti e posture osservate negli altri, e quindi condivisione dei loro vissuti; d’altro canto per alcuni psicoanalisti, empatizzare significa provare quello che prova l’altro, dando motivo al soggetto di capire ciò che prova egli stesso. Secondo invece la natura di tipo cognitivo l’empatia è considerata la capacità di comprendere il punto di vista dell’altro. Per i cognitivisti, a partire dagli anni ’60, empatizzare con qualcuno significa comprendere i suoi pensieri, le sue intenzioni, riconoscere le sue emozioni in modo accurato e riuscire a vedere la situazione che sta vivendo dalla sua prospettiva[20], pur non negando che vi sia anche una piccola partecipazione dell’emotività che entra in gioco, ma considerandola come un epifenomeno cognitivo.

Dagli anni ’80, empatizzare significa provare un’esperienza di condivisione emotiva e di comprensione dell’esperienza dell’altro, dando quindi spazio ad una componente affettiva ed una cognitiva, in modo tale che esse possano coesistere nel processo empatico. Questa nuova idea di vedere il fenomeno, fa riferimento ai modelli multifattoriali (o multidimensionali) dell’empatia. Malgrado alcuni distinguano due tipi diversi di empatia (cognitiva e emozionale), come A. Mehrabian (1997), vi sono altri studiosi, come N.D. Feshbach, la quale considera l’empatia come un costrutto multicomponenziale. In essa vi è un incontro affettivo (affect match), in cui però si prova certezza nel fatto che ciò che si prova è ciò che prova anche l’altro (condivisione vicaria). Vi è quindi un’integrazione delle due componenti affettiva e cognitiva.

Approccio psicoanalitico

Secondo Nancy Mc Williams l’empatia è uno strumento non solo utile, ma necessario allo psicoanalista di professione per percepire ciò che il paziente prova dal punto di vista emotivo. Capita spesso infatti, che vi siano molti terapeuti che si lamentino di essere poco empatici nei confronti dei propri pazienti, ma in realtà questa loro insicurezza, paura e spesso ostilità verso la clientela, è provocata da affetti poco positivi, che scaturiscono proprio dal loro elevato livello di empatia, il quale permette di entrare talmente nello stato del paziente, da sentirne i sentimenti, a tal punto da confondere i propri con quelli degli altri. Gli affetti dei pazienti quindi, molte volte causano una sofferenza talmente grande allo stesso terapeuta, che a lui risulta difficile indurre negli stessi risposte di uguale intensità. Tutto ciò in realtà è molto positivo, perché in questo modo l’infelicità del paziente diventa percepita in maniera sincera e genuina. Non è quindi frutto di un meccanismo dettato dalla mera compassione professionale, ma tenendo conto dell’unicità della persona si entra autenticamente a far parte del suo vissuto emotivo.

Approccio interculturale

L’empatia interculturale, nelle ricerche sviluppate nel campo della negoziazione interculturale dall’autore Daniele Trevisani (2005), rappresenta la capacità di percepire il mondo e gli eventi esperiti da una persona come esso viene percepito da una cultura diversa dalla propria. L’approccio all’empatia interculturale individua quattro livelli di empatia che qualificano le dimensioni utili per applicare lo sviluppo dell’empatica sul piano della relazione con culture diverse:

  • Empatia comportamentale“: capire i comportamenti di una cultura diversa e le loro cause, capire il perché del comportamento e le catene di comportamenti correlati. Ad esempio, capire perché in una certa cultura un funerale viene celebrato come una festa con banchetti e danze.
  • Empatia emozionale“: riuscire a percepire le emozioni vissute dagli altri, anche in culture diverse dalle proprie, capire che emozioni prova il soggetto (quale emozione è in circolo), di quale intensità, quali mix emozionali vive l’interlocutore, come le emozioni si associano a persone, oggetti, fatti, situazioni interne o esterne che l’altro vive. Esempio: capire come vive emotivamente la propria religione d’origine una persona che abita in un paese a cultura religiosa dominante diversa.
  • Empatia relazionale“: capire la mappa delle relazioni del soggetto e le sue valenze affettive nella cultura di appartenenza, capire con chi il soggetto si rapporta volontariamente o per obbligo, con chi deve rapportarsi per decidere, lavorare o vivere, quale è la sua mappa degli “altri significativi”, dei referenti, degli interlocutori, degli “altri rilevanti” e influenzatori. Esempio: capire come un adolescente immigrato vive l’amicizia nei “gruppi di pari” e con amici della cultura ospitante, o, in campo aziendale, come un “area manager” (manager dell’export) percepisce e costruisce un tessuto relazionale nei paesi in cui opera.
  • Empatia cognitiva” (o dei prototipi cognitivi): capire i prototipi cognitivi attivi in un dato momento del tempo in una certa cultura, le credenze di cui si compone, i valori, le ideologie, le strutture mentali che il soggetto culturalmente diverso possiede e a cui si ancora”. Esempio: capire le diverse concezioni del senso del perdono in una persona di religione e cultura Buddhista e quello di religione e cultura Islamica, e come queste possono incidere sui comportamenti sociali e giuridici nel paese ospitante.[21]

Educazione

Genitori e attaccamento

Già M. L. Hoffman dà rilievo all’empatia, come qualcosa che compare nella consapevolezza del bambino fin dai primi anni di vita. Madre e padre dovrebbero imparare anch’essi ad essere soggetti empatici, soprattutto tramite la sensibilità e non la punizione. Dovrebbero quindi educare ai valori dell’altruismo, dell’apertura verso il prossimo, in modo tale che il figlio impari a capire e condividere il punto di vista degli altri.

In generale, secondo John Bowlby, esiste la cosiddetta teoria dell’attaccamento, per la quale il legame relazionale che si crea tra il bimbo e le figure adulte (caregivers), che si prendono cura di lui, è innato. Inoltre tale legame può essere spiegato ricorrendo alla teoria evoluzionistica, secondo la quale il piccolo può sopravvivere più facilmente se vicino ha qualcuno che lo protegge dai pericoli e gli è vicino nei momenti felici e in quelli di difficoltà.

Secondo J. ElickerM.Englund e L. A. Stroufe, le figure adulte di attaccamento, non solo favoriscono al bambino aspettative sociali positive, ma inoltre fa sì che si rinforzi l’autostima del bambino assieme all’immagine che egli ha di sé.

A scuola

Presupposto essenziale dell’educazione è la trasmissione di un messaggio dal contenuto relazionale-affettivo, perché solo con un clima positivo e di fiducia reciproca c’è un incremento dell’apprendimento negli allievi. Per questo l’insegnante stesso, per essere un buon insegnante deve ricorrere al raggiungimento di un buon livello di empatia con la sua classe.

Cooper ha voluto indagare quale sia il legame fra empatia-insegnante-alunni, e ha notato, che a livello morale, il livello di empatia dell’insegnante influenza enormemente la condivisione di affetti, sentimenti e conoscenze a livello interclasse. È insomma, egli stesso un esempio, una guida, una sorta di catalizzatore dell’apprendimento. L’importante per lui, è tenere conto individualmente di ciascun alunno, ma senza perdere di vista l’insieme, affinché questa sorta di partecipazione influisca anche sugli alunni più bravi, in modo che lo supportino nel suo obiettivo.

Fortuna e Tiberio (1999) hanno determinato dei criteri per stabilire quanto un insegnante sia più empatico di un altro. Nel caso sia più empatico, il docente è contraddistinto da una maggiore propensione a elogiare e premiare gli studenti che se lo meritano, più che a denigrare o svalutare coloro che non riescono a portare a termine un risultato. Inoltre sanno accogliere e guidare gli studenti che esprimono liberamente i propri sentimenti, incentivando le discussioni condivise in aula. Tali maestri non ricorrono all’atteggiamento autoritario, ma sono capaci di valorizzare i propri alunni, facendo emergere la loro creatività. Molto importante è il fatto che gli alunni che collaborano con insegnanti empatici abbiano un livello di autostima più alto e un concetto di sé sociale più positivo, senza contare che anche a livello sociale gli alunni si prestano molto più ad essere collaborativi, perché capiscono qual è il comportamento più rispettoso da tenere all’interno di un gruppo. L’empatia non è presente però in tutti gli insegnanti, essi stessi infatti ritengono che essa sia una sorta di caratteristica individuale più o meno esercitata nel tempo. Essa emerge soprattutto all’interno delle classi poco numerose. Condizione necessaria è che si instauri tra insegnante e alunni un rapporto di fiducia, positivo, cooperativo e volto all’ascolto reciproco.

Empatia nelle relazioni d’amore

L’empatia è un fattore fondamentale nelle relazioni di coppia. Nelle relazioni amorose l’uomo non dà cose materiali, ma se stesso in sostanza; dunque le persone che amano si sentono vive. C’è un desiderio di fondersi con l’altro essere, comprendendolo pienamente, che è proprio una dimensione dell’empatia stessa; pertanto l’empatia facilita il coinvolgimento della crescita all’interno della coppia.

L’empatia può produrre effetti positivi e negativi nella coppia. Nel primo caso può essere utilizzata per risolvere incomprensioni e litigi futili; nel secondo caso invece può danneggiarla evidenziando le differenze che minacciano la continuità della relazione. Infatti l’empatia prolunga l’amore quando non vi è una disparità tra i partner nella comprensione reciproca e nella capacità di sentirsi vicendevolmente.

La misurazione dell’empatia

Poiché non esiste una definizione condivisa di empatia, risulta particolarmente difficile definire quali sono i metodi e gli strumenti maggiormente idonei a misurarla. Alcuni studiosi, infatti, privilegiano l’approccio cognitivo e altri quello affettivo.

È quindi possibile distinguere diverse tecniche di misurazione dell’empatia facendo riferimento agli aspetti che esse considerano: cognitiviaffettivi o multidimensionali.

Strumenti basati su aspetti cognitivi

Tra di essi si possono distinguere due sottocategorie.

  • I test di predizione sociale, che identificano l’empatia come la capacità della persona di fare una stima di ciò che gli altri provano (emozioni e pensieri). Due famosi test di questo tipo sono quello di R. F. Dymond e quello di W. A. Kerr e B. J. Speroff.
  • I test di role taking affettivo, che identificano l’empatia come l’abilità dell’individuo di comprendere la prospettiva dell’altro in una determinata situazione. L’esempio più noto è il Test di Percezione Interpersonale (Interpersonal Perception Test) di H. Borke.

Strumenti basati su aspetti affettivi

In questo caso si possono individuare tre tipologie.

  • Resoconti verbali, cioè risposte che gli individui danno a situazioni stimolo come storie figurate, interviste e questionari.
  • Indici somatici, cioè posture, gesti, sguardi, vocalizzi ed espressioni facciali[22] che le persone assumono nel momento in cui si trovano esposte a situazioni significative dal punto di vista emotivo.
  • Indici psicofisiologici, cioè risposte del sistema nervoso autonomo come, ad esempio, la sudorazione, la vasocostrizione, il battito cardiaco, la temperatura e la conduttanza della pelle[23].

Strumenti basati su aspetti multidimensionali

Secondo alcuni autori non è sufficiente limitarsi a considerare solamente o l’aspetto cognitivo o quello affettivo, ma è necessario utilizzare strumenti più complessi che fanno riferimento ad entrambi. Due esempi significativi sono il Sistema di Punteggio Continuo (Empathy Continuum Scoring System) di Janet Stayer e l’Indice di Reattività Interpersonale (Interpersonal Reactivity Index) di M. H. Davis.

Disturbi

Alcuni disturbi e malattie mentali (es. disturbo antisociale di personalitàdisturbo narcisistico di personalità) presentano come sintomi anche carenza di empatia. Mentre in questi tale caratteristica è solo conseguente o parallela ad altre caratteristiche disturbanti, esiste un disturbo comprendente a volte deficit di empatia cognitiva, la sindrome di Asperger; in questa, tale deficit non deve essere interpretato come negativo, ma neutro, in quanto se nei pazienti mancano i risvolti “positivi” dell’empatia, mancano anche quelli “negativi” (schadenfreude, acredine).

La civiltà dell’empatia di Jeremy Rifkin

Secondo i concetti esposti dall’economista e saggista statunitense Jeremy Rifkin in un saggio del 2010 intitolato La civiltà dell’empatia, l’uomo moderno è naturalmente predisposto all’empatia, intesa come capacità di immedesimarsi negli altri – uomini o animali – attraverso i cosiddetti neuroni specchio, così da sentirne le sofferenze, le gioie, le fatiche ecc. Secondo Rifkin «sono circa 20.000 anni che non siamo più homo sapiens sapiens, ma homo empathicus. Leghiamo tra di noi, socializziamo, ci occupiamo l’uno dell’altro, siamo cooperativi […] Ci basiamo su tre colonne portanti per il nostro benessere: la socializzazione, la salute (igiene e sanità, nutrizione), e la creatività. Quando una di queste tre colonne o l’empatia viene a mancare o repressa, vengono fuori i nostri alter-eghi, da cui la violenza, l’egoismo, il narcisismo ecc. […] Poi però, ci pentiamo di aver fatto del male, perché non è proprio nella nostra natura.[24]

Note

  1. ^ Fortuna F., Tiberio A., Il mondo dell’empatia. Campi di applicazione, Franco Angeli 1999, p. 11.
  2. ^ Cf. empatia in Enciclopedia Treccani online.
  3. ^ Giusti E., Locatelli M., Empatia integrata. Analisi umanistica del comportamento, Sovera edizioni. 2007, p. 13.
  4. ^ Giusti E., Locatelli M., Empatia integrata. Analisi umanistica del comportamento, Sovera edizioni. 2007, p. 12.
  5. ^ Cf. Einfühlung in Enciclopedia Treccani online.
  6. ^ Mallgrave and Ikonomou, Introduction, in Empathy, Form and Space. Problems in German Aesthetics, 1873-1893, Santa Monica, 1994, pp. 1-85.
  7. ^ Grazia Mannozzi,Giovanni Angelo Lodigiani, “La Giustizia riparativa: Formanti, parole e metodi” isbn=8892105191 2017, 128
  8. ^ Hojat M. “Empathy in patient care”, Springer 2007, Storia, sviluppo, misurazione ed esito dell’uso dell’empatia nella cura dei pazienti.
  9. ^ Kohut H., “How does analysis cure?” The University of Chigago Press (Chicago, 1984), 82
  10. ^ Galotti A., “Profili: Heinz Kohut” in “Individuazione” anno 11° nº 42 (Genova, dicembre 2002), 4.
  11. ^ Preston e de Waal, 2002
  12. ^ Decety e Jackson, Decety e Lamm, de Vignemont e Singer; 2006
  13. ^ ‘Empathy – Neurological basis’ English www.wikipedia.org
  14. ^ Wicker et al., 2003. Keysers et al., Morrison et al., 2004. Singer et al., 2004 e 2006. Jackson et al., 2005 e 2006. Lamm et al., 2007
  15. ^ Bower; Nakahara e Miyashita; 2005
  16. ^ Tunstall, Fahy e McGuire, 2003. Dapretto et al., 2006
  17. ^ Biology’s Big Bang – Unravelling the Secrets of RNA The Economist June 16th, 2007.
  18. ^ Stein E., L’empatia, Franco Angeli, 1986, pp. 68-70
  19. ^ Stein E., L’empatia, Franco Angeli, 1986, pp. 68-70.
  20. ^ Albiero P., Matricardi G., Che cos’è l’empatia, Carocci, 2006, p.11
  21. ^ Trevisani, Daniele (2004). Negoziazione interculturale. Comunicazione oltre le barriere culturali, Milano, Franco Angeli. ISBN: 9788846466006
  22. ^ Bonino S., Lo Coco A., Tani F., Empatia. I processi di condivisione delle emozioni, Giunti Editore, 2010, p. 82
  23. ^ Albiero P., Matricardi G., Che cos’è l’empatia, Carocci, 2006, p.70
  24. ^ Jeremy Rifkin, La civiltà dell’empatia, Milano, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., 2010. ISBN 978-88-04-59548-9

Bibliografia

Voci correlate

Altri progetti

 

http://www.youtube.com/watch?v=nCFP43Ni0Ls

Il coaching ad indirizzo corporeo e il counseling ad indirizzo corporeo lavorano intensamente sulla competenza del Focusing corporeo ed emotivo (focalizzazione degli stati corporei e coscienza corporea, emozioni e coscienza degli stati emotivi) e sulla comunicazione degli stati corporei ed emozionali.

La tecnica del coaching comunicazionale corporeo trova applicazione in ogni forma di comunicazione, come la comunicazione medico-paziente, la comunicazione terapeutica, la comunicazione in stato di crisi, la comunicazione umana più in generale.

Il caso esposto riguarda l’incidente occorso a Luca Parmitano, Astronauta ESA, durante la EVA (attività extraveicolare) sulla Stazione Spaziale Internazionale, in particolare l’ingresso completamente inatteso di acqua nel casco, la difficoltà a quantificare la portata dell’evento da parte della torre di controllo e i conseguenti ritardi comunicativi, sino al rientro in condizioni critiche (si parla in questo caso di un near-death accident, incidente prossimo alla morte).

Le competenze comunicative e il coaching non servono quindi solo per migliorare lo swing del golf, anzi, servono per proteggere la vita, e le emozioni compresa la comunicazione delle emozioni non sono fatti accessori, ma centrali, per tutto il fattore umano.

dott. Daniele Trevisani www.studiotrevisani.it

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© Fonte: Estratto dal libro Negoziazione interculturale. Comunicare oltre le barriere culturali.

Empatia e tecniche di ascolto empatico. Verso l’ascolto aumentato.

L’ascolto è una delle abilità più critiche delle competenze umane e lo vediamo negli ambiti della negoziazione e della vendita. Lo stereotipo classico del venditore intento a “parlare sull’altro”, a “vincere nella conversazione”, ad avere sempre l’ultima parola, è sbagliato.

L’approccio empatico prevede una concezione opposta: ascoltare in profondità per capire la mappa mentale del nostro interlocutore, il suo sistema di credenze (belief system), e trovare gli spazi psicologici per l’inserimento di una proposta.

Nel metodo ALM distinguiamo alcuni tipi principali di empatia:

In base agli angoli di osservazione:

  1. Empatia comportamentale: capire i comportamenti e le loro cause, capire il perché del comportamento e le catene di comportamenti correlati.
  2. Empatia emozionale: riuscire a percepire le emozioni vissute dagli altri, capire che emozioni prova il soggetto (quale emozione è in circolo), di quale intensità, quali mix emozionali vive l’interlocutore, come le emozioni si associano a persone, oggetti, fatti, situazioni interne o esterne che l’altro vive.
  3. Empatia relazionale: capire la mappa delle relazioni del soggetto e le sue valenze affettive, capire con chi il soggetto si rapporta volontariamente o per obbligo, con chi deve rapportarsi per decidere, lavorare o vivere, quale è la sua mappa degli “altri significativi”, dei referenti, degli interlocutori, degli “altri rilevanti” e influenzatori che incidono sulle sue decisioni, con chi va d’accordo e chi no, chi incide sulla sua vita professionale (e in alcuni casi personale).
  4. Empatia cognitiva (o dei prototipi cognitivi): capire i prototipi cognitivi attivi in un dato momento del tempo, le credenze, i valori, le ideologie, le strutture mentali che il soggetto possiede e a cui si ancora.

Fig. 20 – Tipologie di empatia nel metodo ALM

empatia

© Modello Copyright dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Consulting, Estratto dal libro Negoziazione interculturale. Comunicare oltre le barriere culturali.

Impact Factor: Risonanza e applicazioni internazionali del modello di Empatia a 4 Livelli di Trevisani.

Wikipedia in Inlese. Il modello è stato citato nella voce “Empatia” di wikipedia in lingua inglese, con la creazione di un apposito capitolo “Intercultural Empathy”. Di seguito la citazione della voce

Empathy (Intercultural)

Intercultural empathy is the ability to perceive the world as it is perceived by a culture different from the subject’s own. Empathy interculturally regards a variety of issues, such as the approach to time perception (deadlines, temporal precision, perspective time), how to negotiate with people from different cultures and organizations, and be able to integrate all possible difference of communication styles due to differences in culture. The literature distinguishes four levels of empathy, identified by the Italian researcher Daniele Trevisani (2005) that examines the dimensions useful for applying empathic component on the intercultural setting:

  1. Behavioral empathy: understanding the behavior of a different culture and its causes, the ability to understand why the behavior is adopted and the chains of related behaviors.
  2. Emotional empathy: being able to feel the emotions experienced by others, even in cultures different from one’s own, to understand what emotions the culturally different person feels (which emotion is flowing), of which intensity, which are the emotional lives, how emotions are associated to people, objects, events, situations, in private or public aspects of different cultures.
  3. Relational empathy: understanding the map of the relations of the subject and its affective value in the culture of belonging, to understand with whom the subject relates whether voluntarily or compulsorily, who has to deal with that subject in order to decide, in work or life, what is his map of “significant others “, the referents, the interlocutors, “other relevant “and influencers affecting their decisions, who are enemies and friends, who can affects his/her professional and life decisions.
  4. Cognitive empathy (understanding of different cognitive or prototypes): understanding the cognitive prototypes active in a given moment of time in a certain culture in a single person, the beliefs that generate the visible values, ideologies underlying behaviors, identifying the mental structures that the individuals own and which parts are culturally-depending” (Trevisani, 2005).[164]

Altri utilizzi:

The concept of “Intercultural Empathy” has been advanced as a specific subset of Intercultural Communication Competence by the Italian researcher Daniele Trevisani, who proposes four specific dimensions, that allow the specific Intercultural Competence Empathy Traits to be used in Intercultural Training Projects:. Intercultural empathy is the ability to perceive the world as it is perceived by a culture different from the subject’s own. The dimension identified by Trevisani are:

  1. Behavioral empathy (IBE – Intercultural Behaviors Empathy): understanding the behavior of a different culture and their causes, the ability to understand why the behavior is adopted and the chains of related behaviors.
  2. Emotional empathy (IEE – Intercultural Emotions Empathy): being able to feel the emotions experienced by others, even in cultures different from their own, understand what emotions feels the culturally different person (which emotion is flowing), of which intensity, which are the emotional lives, how emotions are associated to people, objects, events, situations, in private or public aspects of different cultures.
  3. Relational empathy (IRE – Intercultural Relationship Empathy): understanding the map of the relations of the subject and its affective value in the culture of belonging, to understand with whom the subject relates whether voluntarily or compulsorily, who has to deal with that subject in order to decide, in work or life, what is his map of “significant others “, the referents, the interlocutors, “other relevant “and influencers affecting their decisions, who are enemies and friends, who can affects his/her professional and life decisions.
  4. Cognitive empathy (ICE – Intercultural Cognitions Empathy): understanding of different cognitive structures, understanding the cognitive prototypes and archetypes active in a given moment of time in a certain culture in a single person, the beliefs that generate the visible values, ideologies underlying behaviors, identifying the mental structures that the individuals own and which parts are culturally-depending” (Daniele Trevisani, 2005).”

Citazione nella voce italiana “Empatia” in Wikipedia, sezione Approccio Interculturale

Empatia

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

L’empatia è la capacità di comprendere a pieno lo stato d’animo altrui, sia che si tratti di gioia, che di dolore. Empatia significa “sentire dentro”[1], ad esempio “mettersi nei panni dell’altro”, ed è una capacità che fa parte dell’esperienza umana ed animale.

Origini del termine

La parola deriva dal greco “εμπαθεία” (empatéia, a sua volta composta da en-, “dentro”, e pathos, “sofferenza o sentimento”),[2] che veniva usata per indicare il rapporto emozionale di partecipazione che legava l’autore-cantore al suo pubblico.

Il termine empatia è stato coniato da Robert Vischer, studioso di arti figurative e di problematiche estetiche, alla fine dell’Ottocento. Tale termine nasce perciò all’interno di un contesto legato alla riflessione estetica, ove con empatia s’intende la capacità della fantasia umana di cogliere il valore simbolico della natura[3]. Vischer concepì questo termine come capacità di sentir dentro e di con-sentire[4], ossia di percepire la natura esterna, come interna, appartenente al nostro stesso corpo. Rappresenta quindi la capacità di proiettare i sentimenti da noi agli altri e alle cose, che percepiamo.

Il termine empatia verrà utilizzato da Theodor Lipps, il quale lo porrà al centro della sua concezione estetica e filosofica, considerandolo quale attitudine al sentirsi in armonia con l’altro, cogliendone i sentimenti, le emozioni e gli stati d’animo, e quindi in piena sintonia con ciò che egli stesso vive e sente.

Concetto

Il termine “empatia” è stato equiparato a quello tedesco Einfühlung.[5] Coniato, quest’ultimo, dal filosofo Robert Vischer (18471933) e, solo più tardi, tradotto in inglese come empathy. Vischer ne ha anche definito per la prima volta il significato specifico di simpatia estetica. In pratica il sentimento, non altrimenti definibile, che si prova di fronte ad un’opera d’arte. Già suo padre Friedrich Theodor Vischer aveva usato il termine evocativo einfühlen per lo studio dell’architettura applicato secondo i principi dell’Idealismo.[6]

Nelle scienze umane, l’empatia designa un atteggiamento verso gli altri caratterizzato da un impegno di comprensione dell’altro, escludendo ogni attitudine affettiva personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale. Fondamentali, in questo contesto, sia gli studi pionieristici di Darwin sulle emozioni e sulla comunicazione mimica delle emozioni, sia gli studi recenti sui neuroni specchio scoperti da Giacomo Rizzolatti, che confermano che l’empatia non nasce da uno sforzo intellettuale, è bensì parte del corredo genetico della specie. Si vedano al proposito anche gli studi di Daniel Stern.

Nell’uso comune, empatia è l’attitudine a offrire la propria attenzione per un’altra persona, mettendo da parte le preoccupazioni e i pensieri personali. La qualità della relazione si basa sull’ascolto non valutativo e si concentra sulla comprensione dei sentimenti e bisogni fondamentali dell’altro.

Il contrario di ’empatia’ è ‘dispatia’ ovvero l’incapacità o il rifiuto di condividere i sentimenti o le sofferenze altrui; il vocabolo ‘dispatia’ non è inserito nei comuni vocabolari ma è utilizzato nei testi di alcuni autori. [senza fonte] In medicina l’empatia è considerata un elemento fondamentale della relazione di cura (ad esempio la relazione medico-paziente) e viene talvolta contrapposta alla simpatia: quest’ultima sarebbe un autentico sentimento doloroso, di sofferenza insieme (da syn- “insieme” e pathos “sofferenza o sentimento”) al paziente e sarebbe quindi un ostacolo ad un giudizio clinico efficace; al contrario l’empatia permetterebbe al curante di comprendere i sentimenti e le sofferenze del paziente, incorporandoli nella costruzione del rapporto di cura ma senza esserne sopraffatto (questo tipo di distinzione non è condiviso da tutti, vedi alla voce simpatia). Sono state anche messe a punto delle scale per la misurazione dell’empatia nella relazione di cura, come la Jefferson Scale of Physician Empathy. L’empatia nella relazione di cura è stata messa in relazione a migliori risultati terapeutici (outcome), migliore soddisfazione del paziente e a minori contenziosi medico-legali tra medici e pazienti.[7]

La nozione di empatia è stata oggetto di numerose riflessioni da parte di intellettuali come Edith Stein, Antoine Chesì, Max Scheler, Sigmund Freud o Carl Rogers.

Il merito dell’introduzione del principio di empatia in psicoanalisi è principalmente dovuto a Heinz Kohut[8]. Il suo principio è applicabile al metodo di raccolta del materiale inconscio[9]. Anche l’alternativa all’applicazione del principio rientra nelle possibilità di cura, quando è ineludibile la necessità di fare i conti con un altro principio, quello di realtà.

Per le sue origini l’empatia ha ragione di essere nell’arte e nelle sue applicazioni. In maniera particolare quando l’arte utilizza le parole per la narrazione. In questo caso non solo è mantenuto il rapporto con la psicologia, ma si ampliano le sue possibilità di intervento. Non tutti possono scolpire o dipingere, ma parlando se non scrivendo qualcosa lo possono raccontare molti. Allora la produzione si sviluppa nel verso artista-psicologo-individuo. Non sono escluse possibilità per i disabili, privilegiando la relazione artista-individuo con la mediazione più cauta dello psicologo. Quest’ultimo non può suggerire all’individuo un percorso di emulazione. Il che non impedisce che l’individuo disabile possa diventare artista a sua volta. A cambiare è la posizione dello psicologo che deve solo rendere possibile la fusione dei vissuti dell’artista con quelli dell’individuo. Di certo lo psicologo dovrebbe mantenere entro limiti accettabili la complessità dell’intervento. Senza che per questo il disabile o l’arte abbiano a soffrirne, anzi si potrebbe dire il contrario.

Il libro di Geoffrey Miller The mating mind difende il punto di vista secondo il quale

« l’empatia si sarebbe sviluppata perché mettersi nei panni dell’altro per sapere cosa pensa e come reagirebbe costituisce un importante fattore di sopravvivenza in un mondo in cui l’uomo è in continua competizione con gli altri uomini. »

L’autore spiega inoltre che la selezione naturale non ha potuto che rinforzarla, poiché influiva sulla sopravvivenza e che alla fine si è sviluppato un sentimento umano che attribuiva una personalità praticamente a tutto ciò che la circondava. Si vede in questo un’origine probabile dell’animismo e più tardi del panteismo.

L’empatia è anche il cuore del processo di comunicazione non violenta secondo Marshall Rosenberg, allievo di Carl Rogers.

Grande interesse è stato posto nella ricerca di corrispondenze biologiche per l’empatia[10]. Sono stati valutati allo scopo i cosiddetti “neuroni-specchio”, attraverso diagnostica per immagini del tipo fRMN[11]. Queste cellule si attivano sia quando un’azione viene effettuata da un individuo sia quando questo stesso individuo osserva la stessa azione effettuata da un altro individuo; questo fenomeno è stato in particolare osservato in alcuni primati[12] Analogamente negli uomini si attiva la medesima area cerebrale nel corso di un’emozione e osservando altre persone nel medesimo stato emozionale[13]. Vi sono altre segnalazioni analoghe[14], anche in psicopatologia[15].

Molti si aspettano dalla biologia una spiegazione definitiva di questa materia. Creature differenti sembrano possedere lo stesso numero di geni. Il genere umano è tuttavia peculiare nel mondo vivente. Sappiamo che la funzione del RNA non consiste solo nella produzione di proteine sotto la guida del DNA. L’RNA ha proprietà di regolazione e programmazione su crescita e funzione cellulare. Il complicato meccanismo d’azione non è del tutto noto e potrebbe spiegare la differente complessità degli esseri viventi. Al riguardo l’impressione è che la biologia sia ancora priva di conoscenze complete.[16] L’empatia in questione coinvolge troppo ampiamente sviluppo e funzione psichica perché questo orientamento di ricerca trovi una conferma in esclusiva. Alternativamente si può fare conto su conoscenze disponibili in altre discipline.

Distinzione tra empatia positiva ed empatia negativa

Con empatia positiva si intende la capacità del soggetto di partecipare pienamente alla gioia altrui; si tratta di un con-gioire e di un saper perciò cogliere la gioia altrui, avendo coscienza della felicità da lui provata. In questo senso l’empatia in termini positivi può essere collegata, in generale a simpatia. La gioia colta attraverso la simpatia è però diversa, rispetto al contenuto, dalla gioia colta tramite l’empatia. Nel primo caso, infatti sarà una gioia non-originaria e quindi meno intensa e durevole rispetto a colui che si presenta più prossimo a questa gioia; mentre nel secondo caso, la gioia colta tramite l’empatia sarà di tipo originario, in quanto il contenuto di ciò che viene provato empatizzando con l’altro avrà lo stesso contenuto, anche se solo un altro modo di datità[17].

Con empatia negativa si concepisce l’esperienza di colui che non riesce a empatizzare rispetto alla gioia altrui, trasferendo nel proprio vissuto originario le sue emozioni. Ciò accade in quanto qualcosa in lui si oppone; un’esperienza presente o passata o la stessa personalità della persona fungono, infatti,da barriera alla sua capacità di cogliere la gioia altrui. L’esempio potrebbe essere quello della perdita di una persona cara, che impedisce all’individuo di far emergere una simpatia verso la gioia dell’altro e quindi di condividerla. In questo caso, infatti, il triste evento e i sentimenti di altrettanto tipo che ne derivano fanno sorgere un conflitto, in quanto l’io si sente diviso tra due parti: vivere della gioia altrui o rimanere nella tristezza che quanto accaduto determina[18].

I diversi approcci

Approccio cognitivo e affettivo

Secondo un approccio prettamente affettivo, l’empatia sarebbe un evento di partecipazione/condivisione del vissuto emotivo dell’altro, seppure in modo vicario.

Psicoterapeuti, e psicoanalisti già dall’inizio del secolo scorso, avevano dato maggiore rilievo al ruolo che l’empatia gioca nelle relazioni interpersonali. In particolare, per chi per primo si è avventurato nello studio dell’empatia, inserendola nell’ambito della psicologia sociale, essa è imitazione spontanea di gesti e posture osservate negli altri, e quindi condivisione dei loro vissuti; d’altro canto per alcuni psicoanalisti, empatizzare significa provare quello che prova l’altro, dando motivo al soggetto di capire ciò che prova egli stesso. Secondo invece la natura di tipo cognitivo l’empatia è considerata la capacità di comprendere il punto di vista dell’altro. Per i cognitivisti, a partire dagli anni ’60, empatizzare con qualcuno significa comprendere i suoi pensieri, le sue intenzioni, riconoscere le sue emozioni in modo accurato e riuscire a vedere la situazione che sta vivendo dalla sua prospettiva[19], pur non negando che vi sia anche una piccola partecipazione dell’emotività che entra in gioco, ma considerandola come un epifenomeno cognitivo.

Dagli anni ’80, empatizzare significa provare un’esperienza di condivisione emotiva e di comprensione dell’esperienza dell’altro, dando quindi spazio ad una componente affettiva ed una cognitiva, in modo tale che esse possano coesistere nel processo empatico. Questa nuova idea di vedere il fenomeno, fa riferimento ai modelli multifattoriali (o multidimensionali) dell’empatia. Malgrado alcuni distinguano due tipi diversi di empatia (cognitiva e emozionale), come A. Mehrabian (1997), vi sono altri studiosi, come N.D. Feshbach, la quale considera l’empatia come un costrutto multicomponenziale. In essa vi è un incontro affettivo (affect match), in cui però si prova certezza nel fatto che ciò che si prova è ciò che prova anche l’altro (condivisione vicaria). Vi è quindi un’integrazione delle due componenti affettiva e cognitiva.

Approccio psicoanalitico

Secondo Nancy Mc Williams l’empatia è uno strumento non solo utile, ma necessario allo psicoanalista di professione per percepire ciò che il paziente prova dal punto di vista emotivo. Capita spesso infatti, che vi siano molti terapeuti che si lamentino di essere poco empatici nei confronti dei propri pazienti, ma in realtà questa loro insicurezza, paura e spesso ostilità verso la clientela, è provocata da affetti poco positivi, che scaturiscono proprio dal loro elevato livello di empatia, il quale permette di entrare talmente nello stato del paziente, da sentirne i sentimenti, a tal punto da confondere i propri con quelli degli altri. Gli affetti dei pazienti quindi, molte volte causano una sofferenza talmente grande allo stesso terapeuta, che a lui risulta difficile indurre negli stessi risposte di uguale intensità. Tutto ciò in realtà è molto positivo, perché in questo modo l’infelicità del paziente diventa percepita in maniera sincera e genuina. Non è quindi frutto di una meccanismo dettato dalla mera compassione professionale, ma tenendo conto dell’unicità della persona si entra autenticamente a far parte del suo vissuto emotivo.

Approccio interculturale ed empatia interculturale

L’empatia interculturale rappresenta la capacità di percepire il mondo come esso viene percepito da una cultura diversa dalla propria. Ad esempio, quale sia la diversa concezione della morte nella cultura Italiana rispetto a quella Indiana (utile per capire come essa generi diversi rituali e comportamenti che altrimenti non troverebbero spiegazione), quale sia l’approccio verso il tempo (scadenze, precisione temporale, prospettiva temporale) in una cultura Nord- Europea o Latina (e quindi come regolarsi nei casi di comunicazione interculturale, mantenendo efficacia anche all’interno di una cultura diversa), come negoziare con persone e organizzazione di culture diverse, e essere capaci di integrare ogni possibile differenza nella propria strategia comunicativa. La letteratura in materia distingue quattro livelli di empatia (Trevisani, 2005) che qualificano le dimensioni utili per applicare una componente empatica sul piano interculturale:

  • Empatia comportamentale: capire i comportamenti di una cultura diversa e le loro cause, capire il perché del comportamento e le catene di comportamenti correlati.
  • Empatia emozionale: riuscire a percepire le emozioni vissute dagli altri, anche in culture diverse dalle proprie, capire che emozioni prova il soggetto (quale emozione è in circolo), di quale intensità, quali mix emozionali vive l’interlocutore, come le emozioni si associano a persone, oggetti, fatti, situazioni interne o esterne che l’altro vive.
  • Empatia relazionale: capire la mappa delle relazioni del soggetto e le sue valenze affettive nella cultura di appartenenza, capire con chi il soggetto si rapporta volontariamente o per obbligo, con chi deve rapportarsi per decidere, lavorare o vivere, quale è la sua mappa degli “altri significativi”, dei referenti, degli interlocutori, degli “altri rilevanti” e influenzatori che incidono sulle sue decisioni, con chi va d’accordo e chi no, chi incide sulla sua vita professionale (e in alcuni casi personale).
  • Empatia cognitiva (o dei prototipi cognitivi): capire i prototipi cognitivi attivi in un dato momento del tempo in una certa cultura, le credenze di cui si compone, i valori, le ideologie, le strutture mentali che il soggetto culturalmente diverso possiede e a cui si ancora” (Trevisani, 2005)

Educazione

Genitori e attaccamento

Già M. L. Hoffman dà rilievo all’empatia, come qualcosa che compare nella consapevolezza del bambino fin dai primi anni di vita. Madre e padre dovrebbero imparare anch’essi ad essere soggetti empatici, soprattutto tramite la sensibilità e non la punizione. Dovrebbero quindi educare ai valori dell’altruismo, dell’apertura verso il prossimo, in modo tale che il figlio impari a capire e condividere il punto di vista degli altri.

In generale, secondo John Bowlby, esiste la cosiddetta teoria dell’attaccamento, per la quale il legame relazionale che si crea tra il bimbo e le figure adulte (caregivers), che si prendono cura di lui, è innato. Inoltre tale legame può essere spiegato ricorrendo alla teoria evoluzionistica, secondo la quale il piccolo può sopravvivere più facilmente se vicino a qualcuno che lo protegge dai pericoli e gli è vicino nei momenti felici e in quelli di difficoltà.

Secondo J. Elicker, M.Englund e L. A. Stroufe, le figure adulte di attaccamento, non solo favoriscono al bambino aspettative sociali positive, ma inoltre fa sì che si rinforzi l’autostima del bambino assieme all’immagine che egli ha di sé.

A scuola

Presupposto essenziale dell’educazione è la trasmissione di un messaggio dal contenuto relazionale-affettivo, perché solo con un clima positivo e di fiducia reciproca c’è un incremento dell’apprendimento negli allievi. Per questo l’insegnante stesso, per essere un buon insegnante deve ricorrere al raggiungimento di un buon livello di empatia con la sua classe.

Cooper ha voluto indagare quale sia il legame fra empatia-insegnante-alunni, e ha notato, che a livello morale, il livello di empatia dell’insegnante influenza enormemente la condivisione di affetti, sentimenti e conoscenze a livello interclasse. È insomma, egli stesso un esempio, una guida, una sorta di catalizzatore dell’apprendimento. L’importante per lui, è tenere conto individualmente di ciascun alunno, ma senza perdere di vista l’insieme, affinché questa sorta di partecipazione influisca anche sugli alunni più bravi, in modo che lo supportino nel suo obiettivo.

Fortuna e Tiberio (1999) hanno determinato dei criteri per stabilire quanto un insegnante sia più empatico di un altro. Nel caso sia più empatico, il docente è contraddistinto da una maggiore propensione a elogiare e premiare gli studenti che se lo meritano, più che a denigrare o svalutare coloro che non riescono a portare a termine un risultato. Inoltre sanno accogliere e guidare gli studenti che esprimono liberamente i propri sentimenti, incentivando le discussioni condivise in aula. Tali maestri non ricorrono all’atteggiamento autoritario, ma sono capaci di valorizzare i propri alunni, facendo emergere la loro creatività. Molto importante è il fatto che gli alunni che collaborano con insegnanti empatici abbiano un livello di autostima più alto e un concetto di sé sociale più positivo, senza contare che anche a livello sociale gli alunni si prestano molto più ad essere collaborativi, perché capiscono qual è il comportamento più rispettoso da tenere all’interno di un gruppo. L’empatia non è presente però in tutti gli insegnanti, essi stessi infatti ritengono che essa sia una sorta di caratteristica individuale più o meno esercitata nel tempo. Essa emerge soprattutto all’interno delle classi poco numerose. Condizione necessaria è che si instauri tra insegnante e alunni un rapporto di fiducia, positivo, cooperativo e volto all’ascolto reciproco.

Empatia nelle relazioni d’amore

L’empatia è un fattore fondamentale nelle relazioni di coppia. Nelle relazioni amorose l’uomo non dà cose materiali, ma se stesso in sostanza; dunque le persone che amano si sentono vive. C’è un desiderio di fondersi con l’altro essere, comprendendolo pienamente, che è proprio una dimensione dell’empatia stessa; pertanto l’empatia facilita il coinvolgimento della crescita all’interno della coppia.

L’empatia può produrre effetti positivi e negativi nella coppia. Nel primo caso può essere utilizzata per risolvere incomprensioni e litigi futili; nel secondo caso invece può danneggiarla evidenziando le differenze che minacciano la continuità della relazione. Infatti l’empatia prolunga l’amore quando non vi è una disparità tra i partner nella comprensione reciproca e nella capacità di sentirsi vicendevolmente.

La misurazione dell’empatia

Poiché non esiste una definizione condivisa di empatia, risulta particolarmente difficile definire quali sono i metodi e gli strumenti maggiormente idonei a misurarla. Alcuni studiosi, infatti, privilegiano l’approccio cognitivo e altri quello affettivo.

È quindi possibile distinguere diverse tecniche di misurazione dell’empatia facendo riferimento agli aspetti che esse considerano: cognitivi, affettivi o multidimensionali.

Strumenti basati su aspetti cognitivi

Tra di essi si possono distinguere due sottocategorie:

  • I test di predizione sociale, che identificano l’empatia come la capacità della persona di fare una stima di ciò che gli altri provano (emozioni e pensieri). Due famosi test di questo tipo sono quello di R. F. Dymond e quello di W. A. Kerr e B. J. Speroff.
  • I test di role taking affettivo, che identificano l’empatia come l’abilità dell’individuo di comprendere la prospettiva dell’altro in una determinata situazione. L’esempio più noto è il Test di Percezione Interpersonale (Interpersonal Perception Test) di H. Borke.

Strumenti basati su aspetti affettivi

In questo caso si possono individuare tre tipologie:

  • Resoconti verbali, cioè risposte che gli individui danno a situazioni stimolo come storie figurate, interviste e questionari.
  • Indici somatici, cioè posture, gesti, sguardi, vocalizzi ed espressioni facciali[20] che le persone assumono nel momento in cui si trovano esposte a situazioni significative dal punto di vista emotivo.
  • Indici psicofisiologici, cioè risposte del sistema nervoso autonomo come, ad esempio, la sudorazione, la vasocostrizione, il battito cardiaco, la temperatura e la conduttanza della pelle[21].

Strumenti basati su aspetti multidimensionali

Secondo alcuni autori non è sufficiente limitarsi a considerare solamente o l’aspetto cognitivo o quello affettivo, ma è necessario utilizzare strumenti più complessi che fanno riferimento ad entrambi. Due esempi significativi sono il Sistema di Punteggio Continuo (Empathy Continuum Scoring System) di Janet Stayer e l’Indice di Reattività Interpersonale (Interpersonal Reactivity Index) di M. H. Davis.

Disturbi

Alcuni disturbi e malattie mentali presentano come sintomi anche carenza di empatia. Mentre in questi tale caratteristica è solo conseguente o parallela ad altre caratteristiche disturbanti, esiste un disturbo comprendente a volte deficit di empatia cognitiva, la sindrome di Asperger; in questa, tale deficit non deve essere interpretato come negativo, ma neutro, in quanto se nei pazienti mancano i risvolti “positivi” dell’empatia, mancano anche quelli “negativi” (schadenfreude, acredine).

La civiltà dell’empatia di Jeremy Rifkin

Secondo i concetti esposti dall’economista e saggista statunitense Jeremy Rifkin in un saggio del 2010 intitolato La civiltà dell’empatia, l’uomo moderno è naturalmente predisposto all’empatia, intesa come capacità di immedesimarsi negli altri – uomini o animali – attraverso i cosiddetti neuroni specchio, così da sentirne le sofferenze, le gioie, le fatiche ecc. Secondo Rifkin «sono circa 20.000 anni che non siamo più homo sapiens sapiens, ma homo empathicus. Leghiamo tra di noi, socializziamo, ci occupiamo l’uno dell’altro, siamo cooperativi […] Ci basiamo su tre colonne portanti per il nostro benessere: la socializzazione, la salute (igiene e sanità, nutrizione), e la creatività. Quando una di queste tre colonne o l’empatia viene a mancare o repressa, vengono fuori i nostri alter-eghi, da cui la violenza, l’egoismo, il narcisismo ecc. […] Poi però, ci pentiamo di aver fatto del male, perché non è proprio nella nostra natura.[22]

Note

  1. ^ Fortuna F., Tiberio A., Il mondo dell’empatia. Campi di applicazione, Franco Angeli 1999, p. 11.
  2. ^ Cf. empatia in Enciclopedia Treccani online.
  3. ^ Giusti E., Locatelli M., Empatia integrata. Analisi umanistica del comportamento, Sovera edizioni. 2007, p. 13.
  4. ^ Giusti E., Locatelli M., Empatia integrata. Analisi umanistica del comportamento, Sovera edizioni. 2007, p. 12.
  5. ^ Cf. Einfühlung in Enciclopedia Treccani online.
  6. ^ Mallgrave and Ikonomou, Introduction, in Empathy, Form and Space. Problems in German Aesthetics, 1873-1893, Santa Monica, 1994, pp. 1-85.
  7. ^ Hojat M. “Empathy in patient care”, Springer 2007, Storia, sviluppo, misurazione ed esito dell’uso dell’empatia nella cura dei pazienti.
  8. ^ Kohut H., “How does analysis cure?” The University of Chigago Press (Chicago, 1984), 82
  9. ^ Galotti A., “Profili: Heinz Kohut” in “Individuazione” anno 11° nº 42 (Genova, dicembre 2002), 4.
  10. ^ Preston e de Waal, 2002
  11. ^ Decety e Jackson, Decety e Lamm, de Vignemont e Singer; 2006
  12. ^ ‘Empathy – Neurological basis’ English www.wikipedia.org
  13. ^ Wicker et al., 2003. Keysers et al., Morrison et al., 2004. Singer et al., 2004 e 2006. Jackson et al., 2005 e 2006. Lamm et al., 2007
  14. ^ Bower; Nakahara e Miyashita; 2005
  15. ^ Tunstall, Fahy e McGuire, 2003. Dapretto et al., 2006
  16. ^ Biology’s Big Bang – Unravelling the Secrets of RNA The Economist June 16th, 2007.
  17. ^ Stein E., L’empatia, Franco Angeli, 1986, pp. 68-70
  18. ^ Stein E., L’empatia, Franco Angeli, 1986, pp. 68-70.
  19. ^ Albiero P., Matricardi G., Che cos’è l’empatia, Carocci, 2006, p.11
  20. ^ Bonino S., Lo Coco A., Tani F., Empatia. I processi di condivisione delle emozioni, Giunti Editore, 2010, p. 82
  21. ^ Albiero P., Matricardi G., Che cos’è l’empatia, Carocci, 2006, p.70
  22. ^ Jeremy Rifkin, La civiltà dell’empatia, Milano, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., 2010. ISBN 978-88-04-59548-9

Bibliografia

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