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Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Bilancio delle competenze e psicologia del ruolo

I profili di competenze variano di ruolo in ruolo. Le macro-competenze riempiono di contenuti il ruolo professionale.

Per costruire un piano di sviluppo delle competenze, è necessario costruire una lista di competenze necessarie, avviare la loro valutazione e individuare delle criticità.

Per ciascun punto, viene svolta una valutazione approfondita a livello interpersonale con colloqui in profondità. Le tecniche possono inoltre comprendere l’autovalutazione, la valutazione da parte altrui, o la conduzione di veri e propri test comportamentali e di abilità per ogni area di macro competenza.

Una valutazione bassa deve far emergere immediatamente urgenza di intervenire, di training, di approfondimento.

Le possibili aree sulle quali approfondire la conoscenza sono una moltitudine, e per poter dare una priorità occorre una analisi congiunta che tenga conto del contesto in cui vive l’azienda e il mercato.

Nel caso in questione, si esemplifica il caso di un Direttore Generale che proviene dall’area della finanza, all’interno di un’azienda che affronta un processo di trasformazione da “orientamento alla produzione” ad “orientamento al marchio e al cliente”.

L’essenziale, per il coach o formatore che lo debba assistere, è costruire un piano “centrato sulla persona” e contemporaneamente “centrato sugli scenari”, capire verso quale sviluppo si dirige l’azienda, e le dinamiche del settore.

Definire il piano di sviluppo delle macro-skill è possibile solo analizzando in modo congiunto (1) i punti di forza e debolezza delle competenze attuali, e (2) il contesto nel quale le competenze devono essere spese ed utilizzate.

Nel caso evidenziato, emergono le priorità di concentrarsi innanzitutto sulle competenze di marketing e comunicazione aziendale (vettore di sviluppo 1), sulla leadership (vettore 2) e sulle sue capacità di coaching (vettore 3).

Per capire a fondo quali sono le traiettorie di cambiamento di un ruolo serve una grande dote di visione d’insieme. È inoltre indispensabile ragionare su quali sono i veri “centri di gravità” che danno spessore ad un ruolo, come questi cambiano nel tempo, e saper condurre stime sulle traiettorie future probabili.

Una delle aree più delicate di cui tenere conto è inoltre la psicologia del ruolo: quanta componente di un ruolo ha natura psicologica, quanta è invece la sua parte tecnica? E come varieranno queste in futuro?

La psicologia del ruolo è uno dei fattori più delicati in qualsiasi team che cerchi prestazioni e qualsiasi azienda, oltre che per l’individuo. Ad esempio, se una squadra di calcio vuole cambiare tattica di gioco e basarsi molto di più sugli schemi, e meno sui “colpi di genio” individuali, il ruolo psicologico di ciascuno cambia: da individualista a contributore, da lupo solitario a membro di un branco, da libero battitore a parte di un insieme. Il modo con cui si misurerà la qualità di gioco dovrà cambiare anch’esso coerentemente, non più solo ed unicamente sui “goal fatti” ma sul tipo di contributo dato alla squadra. Ogni tipo di “gioco” o “sfida” prevede una forte capacità di intervenire sulla psicologia del ruolo che ne permette il successo.

Principio 29 – Macro-competenze e metabolismo del cambiamento

Le performance vengono depotenziate o non si raggiungono quando:

  • il ruolo non è compreso e la psicologia del ruolo non è capita o accettata;
  • si sviluppano incoerenze significative tra competenza professionale individuale e il job profile (profilo di competenze della posizione professionale), in sé, o in uno o più membri del team o dell’organizzazione;
  • le job description (descrizione delle attività inerenti il ruolo) perdono di vista i veri tratti fondamentali o non comprendono i veri centri di gravità delle performance;
  • non sono chiare o vengono mal comunicate le attese dell’azienda rispetto al ruolo,  le attese di risultato;
  • non ci si è posti il problema delle attese di se stessi rispetto al sé professionale;
  • le sfide che l’ambiente e il lavoro pongono sul sistema di competenze personali sono superiori alle capacità e non esiste un piano serio per la crescita,
  • le direzioni del cambiamento negli scenari e negli ambienti esterni sono poco analizzate, incomprese o subite passivamente, aumenta l’entropia delle competenze, si genera stress continuativo o di picco legato al cambiamento continuo;
  • viene posto troppa enfasi sul training inteso come “copertura di falle”, e poca sulla bildung, l’acquisizione di spessore umano e culturale proattivo e di meta-competenze.

Le performance aumentano quando:

  • il ruolo è esaminato, compreso e accettato non solo in superficie (interiorizzazione del ruolo);
  • la psicologia del ruolo trova collimazioni importanti con la psicologia della personalità individuale, si creano match buoni tra psicologia del ruolo e psicologia individuale;
  • i diversi job profile (profili professionali) trovano buona coerenza e distribuzione nell’organigramma o nella struttura del team;
  • le job description (descrizione delle attività inerenti il ruolo) comprendono i veri tratti fondamentali e i veri centri di gravità delle performance;
  • le attese dell’azienda o dei leader e coach, rispetto al ruolo, e le attese di risultato, sono chiare o vengono chiaramente comunicate;
  • esiste collimazione tra (1) attese e aspettative individuali e (2) il sé professionale;
  • le direzioni e traiettorie del cambiamento negli scenari e negli ambienti esterni sono analizzate, capite, non subite, viene svolto un lavoro importante non solo di adeguamento ma per trovare spazi di espressione;
  • viene combattuta l’entropia delle competenze, lo stress continuativo o di picco legato al cambiamento continuo;
  • la formazione cambia registro e affianca al training inteso come “copertura di falle”, anche e soprattutto azioni di bildung, l’acquisizione di spessore umano, saggezza, capacità culturale, capacità di ampio respiro e meta-competenze, maggiormente resistenti al cambiamento delle singole micro-competenze.

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Le macro-competenze riguardano:

  • il ruolo e la psicologia del ruolo;
  • job profile (profilo della posizione professionale);
  • job description (descrizione delle attività inerenti il ruolo);
  • attese dell’azienda rispetto al ruolo, attese di risultato;
  • attese di se stessi rispetto al sé professionale;
  • sfide che l’ambiente e il lavoro pongono sul sistema di competenze;
  • direzioni del cambiamento nel ruolo e stress legati al cambiamento.

Il tema delle macro-competenze ci pone il problema della rigidità o flessibilità al cambiamento e degli spazi di arricchimento del proprio repertorio di competenze professionali.

Mai, in nessun momento, possiamo considerare che non vi sia spazio per crescere, sia esso uno spazio verticale (aumentare le conoscenze entro una disciplina) ma ancora maggiormente uno spazio orizzontale (allargare la conoscenza a campi laterali).

Esiste un grado di collimazione variabile tra il Self personale e il ruolo che si è chiamati (o si è deciso) di interpretare. Maggiore il grado di collimazione è maggiori sono le possibilità di espressione. Maggiore è lo spazio conoscitivo coperto, maggiori sono le opzioni di vita e professionali praticabili.

Figura 8 – Grado di collimazione tra Io e ruolo

Macro-Skill ed entropia delle competenze

Il fatto che il Self, il concetto di sé, cambi nel tempo, incide sulle proprie attese di ruolo. Ad esempio invecchiando si diventa, generalmente, un po’ più tradizionalisti, un po’ meno avventurosi, un po’ meno propensi al rischio, e se il ruolo richiede invece la stessa dinamica e condizione energetica si può creare un progressivo divario.

Un area manager – venditore internazionale che deve trascorrere all’es­t­e­ro svariati giorni al mese, per molti mesi all’anno – può trovarsi estremamente a suo agio negli anni iniziali (euforia del ruolo), per poi modificare drasticamente l’atteggiamento verso il ruolo nel momento in cui abbia una famiglia con figli, e desideri passare più tempo con loro e smettere di viaggiare in continuazione.

Ogni ruolo evolve nel tempo, nessun ruolo si può interpretare nello stesso modo per tutta una vita, anche per il semplice fatto che gli scenari cambiano.

Clienti, fornitori, concorrenti, colleghi, evolvono e creano un cambiamento di fatto nell’ambiente che ci circonda, creando di conseguenza una entropia delle competenze. L’entropia è un concetto della fisica che denota un au­mento dello stato di disordine o caos in un sistema, e ha molti risvolti interessanti per il sistema delle competenze e per la formazione.

La storia economica pone continuamente le persone di fronte ad un degrado sempre più rapido delle competenze acquisite. Negli anni ‘50 si poteva essere imprenditori di successo parlando solo il dialetto locale, ad esempio vendere mobili o artigianato solo in regione e parlare solo in dialetto, o avere solo un mercato locale in una regione, e conoscere solo il dialetto locale. Ora al massimo chi conosce solo un dialetto locale potrà essere rivenditore, ma non certo sperare di inserirsi nel mercato globale. E man mano che i dialetti si perdono, anche quest’ultima possibilità sparirà.

Man mano che il mercato diventa sempre più internazionale, cresce la necessità di muoversi almeno in un mercato interculturale. La globalizzazione impone alla stragrande maggioranza delle aziende di sapersi muovere su più fronti. Il ruolo imprenditoriale quindi non può essere condotto con la stessa efficacia perché l’ambiente cambia, e quindi è importante saper far evolvere il ruolo e le sue caratteristiche.

Lo stesso accade per un insegnante.Un Maestro classico doveva essere soprattutto preparato nella sua materia (es.: per un insegnante di matematica, sapere la matematica), mentre un insegnante moderno deve essere anche e soprattutto un comunicatore, un pedagogista, una persona in grado di trasmettere e coinvolgere, e nella pratica il suo essere un buon conoscitore di matematica non è più sufficiente.

Anche nello sport l’entropia è in agguato. Un allenatore sportivo di squadre giovanili, non può più essere solo un ex-calciatore che insegna a tirare calci al pallone, urlando insolenze a chi sbaglia. Le attese sono che sappia essere motivatore e coach, stratega e psicologo della squadra e del singolo.

Nessun genitore permette più a nessun allenatore di maltrattare i propri ragazzi. Il contesto è cambiato. Mentre prima poteva permettersi di essere solo un grande tecnico e magari un ex calciatore, oggi deve essere anche mentor e motivatore.

La situazione ottimale richiede una sovrabbondanza di competenze rispetto al ruolo. Il soggetto che possiede un bagaglio superiore rispetto al ruolo richiesto può esperire disagio, ma dall’altro lato è più flessibile rispetto a nuove esigenze o a spostamenti di ruolo, così come a mutamenti di scenario che pongano sfide nuove o superiori.

Al contrario, la persona che conosce solo il minimo indispensabile rispetto al ruolo odierno, andrà incontro presto ad invecchiamento professionale. Il soggetto non riuscirà presto a corrispondere alle aspettative dell’azienda, o degli scenari e sfide che è chiamato a fronteggiare.

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L’analisi delle micro-competenze riguarda anche il piano dell’esecuzione meccanica, dei comportamenti agiti fisicamente. Osserviamo i precetti di Musashi, rimanendo nella formazione dei Samurai, rispetto ad alcuni dettagli:

intendo affermare che non dovete allungare le braccia. Secondo questa tecnica dovete avvicinarvi all’avversario con rapidità, senza distendere i gomiti, così non gli sarà facile respingervi. Approfondite questa tecnica[1].

I dettagli di meccanica esecutiva sono isolabili solo all’interno della specifica performance. Ad esempio, come un calciatore può tirare una punizione con un effetto speciale nel pallone, come un pugile può fare una determinata finta o schivata, come un manager può gestire un’obiezione o una categoria di obiezioni, come un leader può aprire una riunione trimestrale con il suo team.

In ciascuna di queste azioni isolate è possibile utilizzare un grado di attenzione che porti a far emergere i dettagli esecutivi e migliorarli.

Il training per le micro-skill

Vale per l’amore ciò che vale per l’arte:

chi sa amare soltanto l’immenso è più povero e meschino

di chi sa entusiasmarsi per il minimo.

Herman Hesse (da Expressionismus in der Dichtung
L’espressionismo nella poesia)

Per fare training efficace a livello micro, le azioni devono essere il più possibile localizzate e distinte in fasi, es.: le micro-competenze di un medico eccellente durante la fase di analisi del paziente, durante le interazioni con altri medici, durante la decisione su quale terapia applicare, o le micro-competenze di un venditore eccellente in fase di chiusura, in fase di intervista, in fase di preparazione.

Possono essere coinvolte abilità relazionali e skill linguistiche, competenze motorie specifiche da acquisire o da affinare, per generare addestramento e formazione su micro-abilità motorie o mentali.

L’allenamento alle micro-competenze prevede la capacità di amare i momenti generativi di risultati e amare ciò che si fa anche nei dettagli. Un vero pittore ama mescolare i colori, non vuole solo un quadro finito. Un vero pescatore ama preparare le canne, gioisce anche di questi momenti. Un pugile riflette su di se anche mentre benda i polsi. Sono atti preparatori importanti e pieni di significato, atti dotati di una loro sacralità.

Il training per le micro-competenze si basa sul fatto di isolare i dettagli e prepararsi, gustarli e non sorvolarli.

Richiede quindi la volontà di cogliere dettagli inusuali e portarli allo stato del controllo inconsapevole (controllo automatizzato, immediato, acquisito, attuato senza bisogno di pensare).

In termini manageriali, possiamo condurre un allenamento volto a riconoscere la condizione bioenergetica e psicoenergetica (People Perception) nelle persone che incontriamo, osservando i tratti del volto, le espressioni facciali (stanchezza, disgusto, gioia), le movenze, le posture, gli accessori.

Si tratta di qualcosa che tutti facciamo inconsapevolmente ma senza tecnica specifica. Portare questo tratto a livello di training significa farlo emergere allo stato consapevole, lavorarvi sopra, darvi metodo, impararlo, per poi “dimenticare la tecnica” e usarla come normale acquisizione della propria vita quotidiana. Più in generale, i principi che aiutano ad individuare un lavoro corretto sulle micro competenze sono elencati di seguito.

Principio 28 – Microcompetenze, frames e centri di gravità per le performance

Le performance vengono depotenziate o non si raggiungono quando:

  • manca un lavoro adeguato di individuazione dei frames (momenti significativi) nei quali la performance stessa si divide e si articola;
  • manca l’individuazione dei dettagli in grado di fare la differenza, all’interno della performance stessa;
  • non vengono individuati i centri di gravità (CdG) della performance, attorno ai quali ruotano e da cui dipendono i risultati;
  • non viene allenato in modo attivo il repertorio di competenze e abilità che permettono di ottimizzare i diversi frames e i dettagli significativi;
  • l’analisi è incompleta o parziale, perdendo di vista frames e abilità di tipo: (1) comunicative e relazionali, (2) cognitive, abilità mentali, e (3) meccaniche, cinetiche, esecutive.

Le performance aumentano quando:

  • viene svolto un lavoro adeguato di individuazione dei frames (momenti significativi) inquadrando come si suddivide in fasi e sequenze una performance;
  • vengono individuati i dettagli in grado di fare la differenza, all’interno della performance stessa;
  • vengono individuati i centri di gravità (CdG) della performance, attorno ai quali ruotano e da cui dipendono i risultati;
  • viene allenato in modo attivo il repertorio di competenze e abilità che permettono di ottimizzare i diversi frames e i dettagli significativi della performance;
  • si praticano analisi complete e corrette per individuare frames e dettagli lavorabili nei diversi livelli di competenze: (1) comunicative e relazionali, (2) cognitive, abilità mentali, e (3) meccaniche, cinetiche, esecutive.

Dobbiamo ricordare che le micro-competenze non sono solo esecuzioni meccaniche ma possono riguardare decisamente anche il piano relazionale, come la leadership. All’interno di questo piano, dovremo localizzare tratti lavorabili, ad esempio la leadership conversazionale.

Allenare la leadership conversazionale richiede (1) l’individuare un caso, poniamo il ritardo di un collaboratore, (2) localizzare un obiettivo comportamentale allenabile: smettere di parlare del problema tecnico o manageriale e passare ad affrontare il vero problema, la chiarezza dei ruoli, chi decide cosa, chi comanda, (3) riconoscere le micro-competenze tecniche: topic-shift­ing (spostamento dell’argomentazione), ricentraggio conversazionale, doman­de, probing, metacomunicazione. Una volta individuati casi, obiettivi e tec­niche, sarà possibile passare al training e coaching attivo, centrati sul­l’ac­quisizione pratica e sperimentazione concreta delle competenze.

Anche il campo sportivo ci offre continuamente spunti determinanti per co­gliere a pieno il concetto delle micro-skill. I campioni, di qualsiasi specialità, sono tali perché riescono (con un vero piano strategico, o grazie ad un in­tuito raffinato) ad allenare delle micro-competenze che ad altri sfuggono.

Vediamo l’esempio del campione di calcio Ronaldinho, considerato tra i più forti giocatori della storia, ed il dettaglio del suo allenamento speciale sulla spiaggia per abituarsi a gestire rimbalzi anomali.

Questa testimonianza ci offre anche altri spunti che poi esamineremo:

Gli allenamenti di Ronaldinho sulla spiaggia di Castelldefels, una sorta di Rimini catalana 20 chilometri a sud di Barcellona, sono stati a lungo considerati una leggenda metropolitana, finché i giornali hanno ricevuto alcune fotografie scattate col telefono dai passanti eccitati. Allora Gonçalves, in una intervista alla «Folha di San Paulo», ha ammesso qualche tempo fa che il fuoriclasse brasiliano aggiunge spesso del lavoro sulla sabbia al quotidiano allenamento col Barça. L’abitudine, avviata quando doveva recuperare un infortunio, gli è rimasta: Ronaldinho sceglie sempre orari nei quali la spiaggia è vuota, il mattino presto oppure l’imbrunire. Oltre al jogging, ama palleggiare a piedi nudi in una zona in cui la sabbia è piena di gobbe, per abituarsi a controllare i rimbalzi irregolari, e quando ospita qualche amico brasiliano non di rado ne approfitta per scendere al mare, alzare una rete e giocare a futevolei, la pallavolo giocata con i piedi che spopola a Copacabana[1].

Vediamo gli spunti:

il lavoro sulla sabbia offre al calciatore un terreno di allenamento diverso dall’usuale, aumenta i gradi di difficoltà, prepara a gestire condizioni anomale;

notiamo che l’allenamento viene svolto in un timing psicologicamente favorevole alla concentrazione (all’alba o al tramonto) senza il disturbo di altre persone, per trovare uno stato mentale ottimale;

rileviamo inoltre che il campione pratica un’attività collaterale, una pallavolo giocata con i piedi, che permette di aumentare i gradi di difficoltà nella gestione del pallone, rendendo obbligatorio mantenere la palla in aria. Questo stimola le abilità acrobatiche e di controllo, rispetto all’al­lena­men­to di calcio standard, e offre spunti ulteriori.

Senza dubbio questi elementi di training (1) diverso/differenziato e (2) addizionale, contribuiscono ad affinare le micro-competenze che hanno reso Rondaldinho uno dei migliori giocatori della storia.

Non dobbiamo trascurare il fatto che le micro-competenze sono difficili da estrarre dalle normali competenze, e che allenarsi alle micro-competenze non è facile, finché esse non sono state “isolate”, identificate, e non è stato trovato un modo per allenarle. Il training sulle micro-competenze richiede quindi:

  • tecniche identificative: saper isolare le micro-competenze, estrapolarle dal normale flusso della performance o dell’azione, notarle, farle emergere;
  • tecniche formative speciali: trovare modalità diverse, addizionali, differenziali, per allenare i dettagli di esecuzione e performance in modo espe­­­­rienziale, non unicamente (a volte nemmeno necessariamente) sul pia­­­no teorico.

Come possiamo disaggregare le micro-competenze che fanno la differenza in una performance manageriale, o atletica, in un task specifico? Come possiamo allenarle? È questa la sfida posta dal micro-skills training.


[1] Condò, P. (2006), Com’è normale quel fenomeno. Le corse in spiaggia, il figlio, la famiglia. Viaggio (fuori dal campo) con Ronaldinho, La Gazzetta Sportiva, 16 aprile, p. 16.


[1] Ibidem.

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Esempio dell’addestramento dei Samurai

L’analisi degli atteggiamenti e comportamenti sul piano micro riguarda anche come il pensiero si formula prima e durante la prestazione.

Osserviamo alcune competenze proposte da Musashi nell’addestramento dei Samurai. Ciascuno di questi insegnamenti può essere disaggregato e trasformato in micro-competenza allenabile:

L’atteggiamento che si deve tenere nei confronti dell’Hejò (la via del Guerriero, n.d.a.) è lo stesso che si ha nella vita quotidiana, sia in tempo si pace che in guerra. Il vostro punto di vista deve essere il più vasto possibile quando esaminate la realtà intorno a voi. Siate sereni e non perdete le staffe. La mente deve mantenersi al centro e non fluttuare. Il vostro spirito deve essere saldo, non lasciatevi mai andare, neppure per un attimo. La vostra mente sia lucida, elastica, libera aperta.

Anche quando il vostro corpo riposa state sempre all’erta. Quando vi muovete rapidamente la mente deve rimanere distaccata, fredda, essa non deve essere soffocata dal corpo, né il corpo dalla mente. Affidatevi allo spirito e ignorate la materia.

[1] Musashi, Myamoto (1644), Il libro dei cinque anelli (Gorin No Sho), edizione italiana Mediterranee, Roma, 1985, ristampa 2005.

Ed ancora, in un passaggio successivo:

Colpire il nemico nella giusta frazione di tempo significa saper cogliere l’attimo in cui egli appare indeciso e sferrare il colpo senza muovere il vostro corpo, né alterare il vostro spirito.

Il momento esatto di colpire il nemico, prima che abbia deciso di indietreggiare, parare o assalire, è la “giusta frazione di tempo”.

Un vero professionista di coaching e formazione deve saper prendere questi temi e trasformali in training a livello micro, per poi ricomporre l’intero quadro e dare a tutte le fasi un senso d’insieme.

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Come gestire i doppi legami

Le micro-competenze riguardano ogni sfera, siano essi atti fisici o atti comunicativi. In campo comunicativo un esempio interessante è dato dalle situazioni di double-bind, o doppio legame, evidenziate da Bateson[1].

Il doppio legame indica una situazione in cui, tra due individui uniti da una relazione emotivamente rilevante, i messaggi dell’uno verso l’altro presentano una dose di incongruenza. Ad esempio, un genitore che dica ad un figlio “devi dire sempre quello che pensi” e poi lo punisca se a scuola o in casa lo fa.

L’incongruenza può riguardare due lati dello stesso messaggio, uno dei quali disconferma l’altro, o incoerenze tra il livello del discorso verbale (le parole), non verbale (modi, gesti, tempi, situazioni di contesto) e comportamenti reali.

Le incongruenze sono molto comuni, ma il tratto patologico avviene quando il ricevente non ha la possibilità di reagire, o non riesce a capire quale dei due livelli che si contraddicono sia quello vero, e nemmeno è nelle condizioni a far notare all’altro l’incongruenza.

Secondo Borsoni[2], le caratteristiche di una situazione di doppio legame, come individuate da Bateson, sono:

a) l’individuo è coinvolto in un rapporto intenso, un rapporto in cui egli sente che è d’importanza vitale saper distinguere con precisione il genere di messaggio che gli viene comunicato, in modo da poter rispondere in mo­do appropriato;

b) l’individuo si trova prigioniero in una situazione in cui l’altra persona che partecipa al rapporto emette, allo stesso tempo, messaggi di due ordini diversi, uno dei quali nega l’altro;

c) l’individuo è incapace di analizzare i messaggi al fine di migliorare la propria capacità di discriminare a quale ordine di messaggio debba rispondere, cioè egli non è in grado di produrre un enunciato metacomunicativo.

A queste riflessioni aggiungo un tratto importante: d) i tentativi di chiarificare la situazione, capire il senso reale, smontare i giochi in corso, sono impossibilitati, o dall’altra persona che non accetta o vuole la chiarezza, o dalla scarsa energia necessaria per farlo, scarsa assertività, scarsa autostima in grado di alimentare il bisogno di chiarezza, o scarse competenze comunicative.

Per smontare le situazioni comunicative di doppio legame serve una capacità che in altro campo (semiotica) viene chiamata di débrayage: capacità di smontare il testo, riconoscerne le diverse parti e loro interazioni, creare una distanza tra se stessi e il testo tale da poterla analizzare, o anche disinnescare.

Per fare débrayage comunicativo serve quindi una duplice competenza che viene sia dalle scienze della comunicazione che dalla psicologia, e non è per niente comune o scontato possederla.

È indispensabile quindi allenarsi a: (1) riconoscere, e (2) reagire a brani conversazionali che contengono doppi legami o contraddizioni subdole.

Riconoscere e gestire i doppi legami è un esempio di micro-competenza estremamente importante, in quanto i messaggi a doppio legame sono tra le fonti principali di disagio psichico e persino di patologia e sofferenza sia morale che fisica.

Questo viene sia dall’esposizione cronica a situazioni di messaggi a doppio legame in famiglia, che nei rapporti lavorativi in cui si subiscono continuamente comunicazioni imprecise e contraddittorie, da clienti o capi o colleghi, senza capacità di reagire.

Come abbiamo notato, le micro-competenze sono un tratto di apprendimento importante ma difficile, in quanto si producono in pochi istanti avvenimenti che hanno dietro di se una grande teoria e bisogno di analisi.

Questa analisi, tuttavia, è ciò che differenzia i principiati dai professionisti delle performance. Per ogni coach, è quindi importante capire se vogliamo essere professionisti o dilettanti, qualsiasi sia il campo di azione.


[1] Bateson, G. (1972), Steps to an Ecology of Mind: Collected Essays in Anthropology, Psychiatry, Evolution, and Epistemology, University Of Chicago Press, Chicago.

Bateson, G. (1979), Mind and Nature: A Necessary Unity (Advances in Systems Theory, Complexity, and the Human Sciences), Hampton Press, Cresskill, NJ.

[2] Borsoni, P. (2008), Metacomunicazione, disconferma, doppio legame, nelle teorie di Bateson, Laing, Watzlawick, tratto da www.paoloborsoni.net/bateson.htm – articolo originale in La Critica Sociologica, n. 90-91, Roma.

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Analizzare con il microcopio i frames

Attimo, sei bello.

Goethe, da “Faust”

Le performance sono azioni composte da somme di attimi. Su questi attimi dobbiamo riflettere. Attimi di pensiero, attimi di azione, attimi di inazione, attimi di pausa, da cui dipende molto, e la cui evoluzione ha precisi effetti.

Per un saltatore in alto, decidere l’istante esatto in cui dare il colpo di reni che permette di superare l’asta in volo, accade in un attimo. Per un lottatore, il momento in cui tentare una mossa dura frazioni di secondo. Sul piano mentale, per un manager, avviare un pensiero pessimista o ottimista è un attimo.

Sul piano dei comportamenti, il “microscopio comportamentale” consiste nell’esaminare i singoli attimi, spezzoni o brani di cui si compone una performance, per poi cercare il miglioramento su ogni singolo spezzone significativo, o sulle parti più strategiche (i centri di gravità delle performance).

Ad esempio, un calcio di rigore può essere esaminato come una sequenza di fasi o frames: poggiare la palla a terra, pensare a dove tirare, cercare lo sguardo del portiere o non farlo, decidere quanta forza imprimere, prendere la rincorsa, poggiare il piede, tirare. In ciascuno di questi frame qualcosa può andare storto, o invece tutto può seguire un corso ottimale. Migliorare il rigore significa localizzare i singoli frame e perfezionarli.

Per un corridore, ancora, può essere migliorata la modalità con cui si appoggia il piede a terra (frazioni di secondo), o per un manager il modo con cui usa la mimica facciale durante una riunione (frazioni di secondo), per dare un feedback non verbale ai partecipanti.

L’analisi può essere migliorata anche con l’utilizzo di videocamere e rallenty. Applicare un microscopio comportamentale significa vedere ciò che sfugge ai più.

Sul piano mentale, la tecnica della Mental Analysis ha la stessa filosofia di intervento: scoprire i pensieri mentre si formano, osservare come prendono piede alcuni modi di pensare (stati mentali) e come intervenire positivamente su di essi.

Ad esempio, osservare quando nasce una preoccupazione, quando aumenta di intensità, quando diventa paura e poi ansia.

O ancora, osservare, per un manager durante una negoziazione, quando i suoi pensieri si fanno negativi, quando il corpo si fa teso e il respiro si accorcia, per cogliere l’innesco di uno stato mentale negativo, osservarlo proprio mentre nasce ed entra in scena, e studiare come rimpiazzarlo con uno stato mentale più positivo e produttivo per la situazione.

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Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Macro-abilità e micro-abilità nel metodo HPM

Qualsiasi azione e prestazione richiede abilità.

Le abilità possono essere suddivise in trasversali (es.: abilità relazionali) e applicative (es.: conoscere un software specifico).

Anche in campo sportivo le abilità possono essere di tipo interdisciplinare, come le capacità di coordinamento psico-motorio, e specifiche, es.: sapersi coordinare durante un salto in alto.

Nel metodo HPM proponiamo un modo diverso e interessante per considerare le abilità. Un modo non alternativo o migliore, ma complementare, rispetto a quanto evidenziato. Si tratta di distinguere tra macro-abilità (o macro-competenze) e micro-abilità (o micro-competenze).

Le macro-abilità sono la gamma di skill che un certo ruolo richiede, es.: per un manager, essere orientato ai risultati, conoscere una certa lingua, avere doti di leadership, e altre capacità connesse al suo ruolo. Le macro-abilità sono collegate ad una specifica job-description (descrizione delle attività e del ruolo) e ad uno skills-profile (profilo di competenze).

Lo stesso si può dire per un atleta: un giocatore di calcio può essere valutato in termini di abilità e poteri quali: forza fisica, resistenza aerobica, senso tattico, spirito di squadra, e altri.

Le micro-abilità sono invece molto più difficili da inquadrare e racchiudere in uno schema. Comprendono aree del sapere e dell’azione di misura estremamente ridotta (micro nel tempo e nello spazio) ma così pervasive da condizionare nettamente lo sviluppo del potenziale – e divenire materia primaria di formazione e allenamento.

Ad esempio, un calciatore professionista prima di tirare un calcio di rigore cura persino su quale ciuffo d’erba piazzare la palla e la presenza di eventuali avvallamenti, un dettaglio che sfuggirebbe a qualsiasi dilettante. Un negoziatore abile sa cogliere da un cenno dei muscoli facciali qualsiasi stato di tensione latente. Ogni performance ha proprie aree di micro-capacità

Dobbiamo quindi inquadrare cosa differenzia una micro da una macro competenza.

Partiremo dall’esempio per poi giungere ad una formulazione generale. Il pu­gile, il kickboxer, il thayboxer, hanno propri repertori di macro-com­pe­ten­ze denominabili: il jab, il diretto, il gancio, il montante (per il pugile), il clinch (lavoro corpo a corpo), la ginocchiata, il colpo di gomito (per il thay­boxer).

Sia in queste azioni che nei momenti di guardia senza combattimento, però, notiamo una serie di micro-azioni non denominabili o difficilmente denominabili (dettagli) che incidono enormemente sulla performance complessiva: la modalità di respirare mentre si lancia un colpo, la modalità di appoggiare i piedi a terra e muoversi mantenendo una guardia, le micro-finte, le angolazioni dei gomiti o delle braccia, la distribuzione adeguata della forza nella fase di avvio o conclusiva di un colpo.

Man mano che procede l’analisi delle micro competenze, emergono altri det­tagli per il coaching: come produrre l’arresto del “trascinamento” della for­za oltre il punto zero (punto di massima potenza)? Come gestire l’e­qui­li­brio, come migliorare la gestione delle energie durante il combattimento e nel­le sue fasi?

Queste micro-competenze creano una enorme differenza tra atleta ed atleta, e – dopo una fase in cui la persona abbia appreso le tecniche principali (ma­cro-tecniche) – lo sviluppo del potenziale passa attraverso l’affinamento delle micro-competenze.

Simili dinamiche si ritrovano nella performance manageriale. Esempio ap­plicativo per la Direzione commerciale:

Competenze manageriali macro, tra cui:

  • creare un piano di sviluppo commerciale pluriennale,
  • definire un piano commerciale/marketing annuale,
  • sviluppare un piano di marketing territoriale (piano di sviluppo-paese),
  • definire i budget di vendita per i diversi canali e aree (obiettivi di vendita),
  • gestire le forze vendita interne ed esterne,
  • creare un piano di formazione e sviluppo formativo per il proprio personale,
  • organizzare una campagna di comunicazione, informazione o promozione,
  • organizzare una campagna di vendita,
  • realizzare una presentazione in pubblico per illustrare dati o progetti,
  • valutare l’affidabilità di un cliente,
  • definire le condizioni di consegna.

Competenze micro (ne elencheremo solo alcune a titolo esemplificativo):

  • gestire i turni conversazionali durante le riunioni con i clienti o con le forze di vendita (turn-taking, turn-management),
  • mantenere la conversazione con un cliente all’interno degli obiettivi (content management comunicativo),
  • utilizzare metafore e altri “dispositivi retorici” efficaci durante una presentazione,
  • utilizzare le tecniche di riformulazione e ricentraggio durante il colloquio con un cliente o collaboratore,
  • leggere le emozioni di un proprio collaboratore dal suo comportamento non verbale (emotional detection),
  • esprimere il proprio disaccordo su una condotta intrapresa da un proprio collaboratore e saperlo correggere (leadership assertiva),
  • capire quando una conversazione sta procedendo nei termini corretti (analisi della conversazione) e saperla ricondurre a stati positivi (leadership conversazionale),
  • aumentare l’enfasi su un argomento cui si vuole dare importanza, far salire i toni su un certo tema (up-keying) e ridurre o minimizzare un tema o un momento di interazione (down-keying);
  • far salire la tensione emotiva (tecniche di escalation) o far raffreddare la temperatura emotiva (tecniche di de-escalation);
  • costruire e condurre role-playing, come metodo di formazione attiva e coaching interno, con cui mostrare e far provare ad un proprio collaboratore una modalità di comportamento, o una diversa tecnica di trattativa o modo di comunicare.

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Analizzare i dettagli del frame per un migliore intervento

Anche in azienda è essenziale localizzare i vari frame, e in ogni performance dobbiamo capire dove intervenire e dove fare formazione

Come esempi possiamo individuare una performance di vendita, un obiettivo commerciale da raggiungere, ed esaminare quali sono i fattori che ci porteranno a quell’obiettivo, quali sono i frame significativi. Avremo quindi maggiore dettaglio per capire come intervenire. Esamineremo quindi:

Il frame della fissazione degli obiettivi di vendita: come vengono fissati, con che criteri? Che spazi di miglioramento abbiamo in questo frame?

Il frame della consegna degli obiettivi alle forze vendita o della suddivisione dell’obiettivo: sto tenendo conto delle competenze ed energie? Sto valorizzando le persone al massimo o sto sprecando competenze con una distribuzione sbagliata? Sto tenendo conto di fattori logistici e del territorio? I tempi sono coerenti? Sto valorizzando il momento stesso della consegna dell’obiettivo (strategia di up-keying) o lo sto svalutando e sminuendo (strategia di down-keying)?

I frame di progettualità: costruire progetti esecutivi articolandoli in specifiche campagne di vendita. L’obiettivo primario viene diviso in specifiche campagne commerciali, ciascuna di breve durata ed alto impatto, dove ogni campagna è mirata a target e segmenti di mercato precisi. In questo modo avremo più capacità di controllo e maggiore focalizzazione su target specifici, con incrementi generali di efficienza ed efficacia.

I frame di controllo e di leadership: chi tiene le fila? Quando? Come? Tramite riunioni, telefono, e-mail, cruscotti informatici? Come avvengono le comunicazioni centro-periferia, direzione e forze vendita, e tra le forze stesse, con che frequenza, con che qualità?

I frame motivazionali e di feedback: diamo gratificazione ai risultati anche in progress? Riusciamo a notare cali di motivazione e intervenire? Riusciamo a capirne la causa?

I frame formativi e di coaching: ogni obiettivo ha dietro di se necessità formative, di prodotto, o nelle capacità di vendita e negoziazione. Facciamo formazione prima, durante, dopo? Come la facciamo? Utilizziamo metodi attivi e partecipativi? Abbiamo una strategia di coaching e di affiancamento sul campo per osservare e ricentrare atteggiamenti e comportamenti?

Ogni obiettivo ha un proprio centro di gravità, o più di uno. Una campagna di vendite e marketing può individuare il Centro di Gravità comunicazionale “capacità di ascolto durante le fasi di vendita” (obiettivo: portare a casa più informazioni strategiche possibile in ogni colloquio e capire il più possibile dei bisogni del cliente) e il Centro di Gravità strategico “agire tramite campagne strutturate anziché con azioni spot” (obiettivo: evitare che i venditori agiscano in modo disorganizzato, evitare dispersività, sviluppare approccio tattico e concentrazione), e far ruotare tutta le performance attorno a questi due capisaldi.

Gli esempi sopra riportati possono essere estesi ad ogni settore aziendale: marketing, finanza, logistica, produzione, qualità, risorse umane: ogni settore ha propri frames e propri centri di gravità da curare.

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I dettagli che fanno la differenza nella performance

In una competizione sportiva (calcio, volley, basket, pallavolo, sport di combattimento, e ogni sport agonistico), possiamo isolare decine o centinaia di frame a seconda dell’ampiezza di analisi.

Tra i frame significativi possiamo localizzare il frame relazionale del pre-partita, e, entro questo, il momento specifico dei messaggi che il coach dà negli spogliatoi, per dare carica motivazionale o istruzioni. Migliorare questo frame e le competenze psicologiche in questa fase è determinante.

Possiamo considerare un frame cognitivo come modo psicologico. Questo mondo si attiva nell’entrare in campo (sicurezza di sé alta o bassa, soggezione dell’avversario, spirito di vittoria).

Possiamo esaminare quale sia l’atteggiamento mentale da tenere mentre si sta perdendo, mentre si sta vincendo, all’inizio, o alla fine di una gara.

Possiamo localizzare approcci tattici: un pugile costruisce una strategia mentale precisa, ad esempio attendista per il primo round, aggressivo nella chiusura della ripresa, e infinite altre varietà, che poi si traducono in azione.

Potremo anche isolare un dettaglio esecutivo, ad esempio, come vogliamo che venga svolto uno specifico schema di gioco, i passaggi o le alzate o i tiri a canestro o una sequenza specifica di combattimento (frame meccanico).

L’essenziale è localizzare i diversi centri di gravità delle performance. Per una squadra di calcio il CdG strategico può essere l’obiettivo di conseguire superiorità nel controllo di palla, la strategia di tenere poco la palla e passarla spesso, che si traduce in termini comportamentali (osservabili) in un controllo di palla tecnicamente denominato “di prima” o “di seconda” (non tenere la palla al piede).

Un combattente può lavorare sul CdG della posizione da tenere sul ring, cercando costantemente il centro, e sul CdG della sequenzialità, cioè portare colpi e tecniche in sequenza e non colpi isolati.

Ma questi sono solo casi, per trasferire i concetti di frame e di centri di gravità, e ogni tipo di performance ha le proprie analisi specifiche.

Le domande diventano: quali sono i frame significativi della mia disciplina sportiva? In quante e quali fasi le voglio disaggregare? Quali sono i dettagli in grado di fare la differenza? Quali sono i centri di gravità della performance?

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La suddivisione in frames per aumentare la performance

La frase memorabile di Clint Eastwood espone bene lo stato delle cose passato, e molto probabilmente futuro: chi ha le informazioni e le competenze dirige e decide, gli incompetenti o privi di accesso all’informazione subiscono.

I pochi protetti (incompetenti che decidono) si trovano in ogni paese non ancora sufficientemente meritocratico, ma il lungo corso della storia non lascia spazio, l’evoluzione darwininana non ha per loro parole molto tenere né futuro assicurato. Contro i parassiti la natura non è generosa o tenera.

In epoche globalizzate vince chi ha più abilità e preparazione, chi sa come procurarsi le informazioni utili, e soprattutto chi si impegna per farlo.

Acquisire e potenziare abilità richiede allenamento, e, soprattutto, grande umiltà di apprendimento. Mettersi al lavoro significa prima di tutto iniziare con una buon analisi delle performance.

Ogni performance può essere esaminata come somma e concatenazione di frames. I frames sono riquadri significativi, brani del flusso esperienziale o del flusso di azione che possono essere isolati e denominati.

L’analisi dei frame (frame analysis) è un concetto la cui elaborazione si deve a Goffman[1], concetto sviluppato dai suoi studi nel campo dell’analisi dell’interazione umana. Questo concetto viene portato avanti con molti frutti anche nella ricerca in psicoterapia[2], con molte applicazioni anche per le conversazioni strategiche (negoziazione, vendita, persuasione, gestione dei conflitti, teamworking, comunicazione nei team, comunicazione al cliente, gestione nei team ad alte prestazioni).


Cercare l’eccellenza entro i diversi frame è fondamentale per giungere a performance elevate. Entro ogni frame, inoltre, vanno individuati e allenati i dettagli in grado di fare la differenza.

Alcuni frame, rispetto ad altri, e alcuni dettagli, rispetto ad altri, hanno inoltre la funzione di “centri di gravità” delle performance (CdG), cioè hanno maggiore peso e importanza, essendo momenti attorno ai quali ruota larga parte del frame o da cui dipendono fortemente altri frame.

Possiamo distinguere (1) frame comunicativi e relazionali, (2) frame cognitivi o attività mentali, e (3) frame meccanici, cinetici, esecutivi.

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[1] Goffman, E. (1974), Frame Analysis, Harvard, Cambridge, MA.

[2] Un lavoro estremamente interessante di applicazione della Frame Analysis  e analisi del­la conversazione in terapia si trova in: Bercelli, F., Leonardi, P., Viaro, M. (1998), Cor­ni­ci terapeutiche. Applicazioni cliniche di analisi dell’interazione verbale, Cortina, Milano.