© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

L’ascolto in azienda come risorsa pregiata

L’ascolto in azienda tocca un’enorme quantità di situazioni. Ecco un decalogo di casistiche reali e concrete:

  1. ascoltare un collega che ci espone un problema e capirlo fino in fondo;
  2. ascoltare un cliente per capirne le esigenze, far emergere ciò che è veramente meglio per lui, fare un lavoro consulenziale;
  3. ascoltare più persone, più ruoli aziendali, mentre si è da un cliente in una riunione o meeting, o mentre il cliente è da noi, per capire un quadro di esigenze variegato e complesso dove subentrano più decisori, non sempre in accordo tra loro;
  4. ascoltare un collaboratore che ci espone un problema, o vuole un consiglio da noi, ed evitare di cadere nel tranello del “consiglio rapido” ma ascoltarlo per bene prima di esprimersi;
  5. ascoltare un collega che ci espone un progetto, e farlo senza preconcetti e preclusioni;
  6. ascoltare un “capo”, capirne gli input, chiarificarli se necessario;
  7. ascoltare i climi aziendali, capire “che aria tira” in un certo reparto o nell’intera azienda;
  8. ascoltare in una riunione, essere presenti mentalmente, notare cosa accade “oltre le parole”;
  9. ascoltare il “word of mouth” (passaparola) e lo “small talk” (il chiacchiericcio), le conversazioni informali che si creano alla macchina del caffè piuttosto che nei corridoi, spesso portatrici di informazioni molto preziose che non entrano nei tavoli ufficiali di discussione;
  10. saper ascoltare noi stessi, il nostro corpo, la nostra mente, come stiamo, come è il nostro umore.

Per ciascuna di queste aree, l’ascolto è fondamentale.

E come vediamo, lo diventa anche quando vogliamo ascoltare noi stessi a fondo. Buhler ci offre una serie di ottime domande:

“Che cosa ti rende prezioso per le altre persone? Sono forse le tue esperienze, il tuo sapere, la fiducia che tu ispiri, la comprensione che tu dimostri? Quali sono le qualità che apprezzi di più in te stesso? Quali sono le esperienze da te già vissute che possono ritornare utili, a te e forse ad altre persone?”

In un’azienda dove non si ascolta si commettono errori, si creano climi tossici, si sbagliano progetti. In un’azienda dove si ascolta, regna un clima collaborativo e le procedure funzionano, i progetti avanzano, i clienti sono soddisfatti.

L’ascolto non è mai vago ma si concentra in un campo situazionale della persona, ovvero il panorama psicologico del cliente/interlocutore, sia esso persona individuale, o individuo che ricopre un ruolo all’interno di un’organizzazione.

Il campo situazionale è l’insieme degli oggetti mentali cui stiamo prestando attenzione in un determinato momento.

Ogni persona è contornata da una moltitudine di situazioni, di messaggi e stimoli, ma solo pochi di questi entrano nel sistema percettivo, nella sua attenzione consapevole.

Nel caso sopra visualizzato, solo gli elementi E ed F sono percepiti chiaramente dal cliente, mentre gli altri rimangono latenti, come invisibili – seppur presenti.

Bene, l’ascolto è una pratica dalla potenza tale, da far spostare il campo situazionale, portando l’attenzione verso altre zone, con domande giuste e pertinenti.

Capire il panorama psicologico di una persona, il “sistema cliente” che un ascoltatore si trova a fronteggiare, cosa vi è incluso, cosa il cliente pensa, cosa non pensa, è uno dei compiti più impegnativi.

La riflessione aiutata da un ascoltatore professionale ha effetti positivi sul campo psicologico:

  1. capire meglio chi siamo e dove vogliamo arrivare,
  2. esplorare e costruire il proprio futuro,
  3. costruire attivamente i propri obiettivi,
  4. identificare nel campo psicologico i veri problemi,
  5. eliminare dal proprio orizzonte le soluzioni/spazzatura, saperle finalmente riconoscere,
  6. ridurre l’ansietà ed il senso di smarrimento che qualsiasi persona oggi manifesta data l’enormità delle opzioni e alternative esistenti.

In questo capitolo, evidenzieremo quindi come esista una continuità tra (a) relazione professionale che utilizza il modello T-Chart, (b) consulenza basata sull’ascolto e (c) coaching e/o counseling.

L’operatore professionale che utilizza il T-Chart è tale se riesce a capire, costruire o ricostruire l’orizzonte psicologico del soggetto, se è in grado di aiutare il cliente o collaboratore a ridurre le proprie tensioni, le proprie ansie o persino a ri-orientare e ri-centrare il campo psicologico in una direzione più produttiva e pulita.

Nel caso sopra evidenziato, il professionista riesce

1 – ad eliminare il focus (l’attenzione del cliente) da elementi inutili o controproducenti che ingombravano il campo (E ed F);

2 – a spostare l’attenzione verso nuovi elementi, A, B, D, che erano presenti ma scarsamente percepiti o non percepiti del tutto, creando nuove priorità.

Per farlo, deve porre “domande potenti”, domande che inneschino una forte dose di introspezione.

E non pensiamo che spostare l’attenzione di qualcuno sia semplice, non lo è affatto, ma se esiste uno strumento, questo è dato dalle domande potenti.

Le domande devono interessarsi profondamente ai problemi del cliente, in un rapporto che diventa consulenziale. L’effetto collaterale, indiretto e positivo, delle attività di problemsolving che utilizzano il metodo T-Chart è dato dal potere terapeutico di cui esso dispone

La chiarificazione del quadro psicologico, il reperimento di soluzioni efficaci, generano l’effetto di ridurre la tensione e lo stato di dissonanza cognitiva del cliente o collaboratore.

Il T-Chart si basa su tecniche di intervista che sollecitano e fanno emergere i bisogni. Esponiamo un primo caso di studio (semplificato) che evidenzia la valenza della tecnica di intervista. Nel caso esposto di seguito, vengono utilizzate solo alcune piccole porzioni della tecnica T-Chart, in quanto il bagaglio della tecnica è in realtà molto più complesso. Tuttavia, riteniamo utile esporre un primo brano di esperienza per poi arricchirlo lungo il percorso del capitolo.

Caso di studio: “domande potenti

Un avvocato interpella un consulente informatico per aumentare la capacità di memoria del PC. L’opinione dell’avvocato è che così facendo il computer avrà maggiori prestazioni.

Il consulente informatico ritiene necessario svolgere un’analisi del sistema software e hardware del cliente. Grazie alla sua esperienza nell’analisi emerge un altro problema molto forte: la sicurezza dei dati. I backup sono su un solo disco supplementare situato sempre all’interno dello studio. Alcune domande di stimolazione: Che dati ha nel computer? Sono importanti? Quanto tempo di produzione le hanno richiesto?

Il consulente informatico sposta l’attenzione al nuovo campo situazionale con domande indirizzanti: Dove altro sono presenti i suoi files al di fuori di questo locale? Cosa rischiamo se perdiamo questi dati? Quanto tempo occorrerebbe per ricostruirli?

La riflessione guidata sposta l’attenzione dell’avvocato sul nuovo campo situazionale: la perdita dei dati, e la convinzione che i dati ora non siano affatto sicuri. Un incendio nello studio dell’avvocato potrebbe determinare la perdita del lavoro di una vita.

La soluzione finale proposta (upgrade del computer + creazione di un sistema di backup professionale su server esterni) riduce l’ansia latente del cliente, producendo effetti positivi immediati. “Perdere tutto il lavoro di una vita. Come ho fatto finora a convivere con questa possibilità?” – si chiede ora l’avvocato.

Il consulente ha quindi risposto all’esigenza di migliorare le prestazioni (velocità) ma si è posto un problema molto maggiore: Cosa serve davvero al mio cliente, di cui egli ora non si rende nemmeno conto? Perché preoccuparsi solo di velocità del PC se poi i documenti sono alla mercé di qualsiasi hacker o di un incendio?

La relazione consulenziale ha risposto ad esigenze importanti, eticamente ineccepibili, ma per farlo il consulente informatico ha dovuto esplorare, ha dovuto fare “domande potenti”, non si è limitato a fornire “memoria per il PC” come richiesto inizialmente dal cliente.

L’esperienza di acquisto tramite il metodo T-Chart è per il cliente un momento di riorganizzazione della realtà, la presa di possesso del proprio orizzonte psicologico che a volte è smarrito o offuscato dalle preoccupazioni quotidiane, dall’ansia, o semplicemente dalla carenza di informazioni.

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Formatore e Coach su temi di Sviluppo del Potenziale Personale, Comunicazione Interculturale e Negoziazione Internazionale, Psicologia Umanistica. Senior Expert in HR, Human Factor, Psicologia delle Performance, Comunicazione e Management, Metodologie Attive di Formazione e Coaching.

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