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mancanza di energia fisica e mentale

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Articolo estratto dal testo “Il potenziale umano – Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

La memoria è la capacità di immagazzinare informazione, fissare il flusso esperienziale e i dati, e avere accesso ad entrambi. La memoria è centrale per lo svolgimento della performance, in quanto, come evidenzia Baddeley:

senza la memoria saremmo incapaci di vedere, di udire o di pensare. Non avremmo un linguaggio per esprimere la nostra situazione, e di fatto neppure un senso della nostra identità personale. In breve, senza memoria saremmo dei vegetali, intellettualmente morti[1].

Vi sono migliaia di pubblicazioni e ricerche sulla memoria, un materiale sterminato impossibile da trattare in questa sede. Per i nostri fini vogliamo evidenziare alcuni tipi di memoria rilevanti per la performance e lo sviluppo delle energie mentali, sottolineando che non esiste una memoria singola ma molte tipologie di memoria.

  • Memoria a breve temine: mantenimento dell’informazione per pochi secondi dal suo ingresso.
  • Memoria a lungo termine: la funzione di immagazzinamento delle informazioni, superata la memoria a breve termine.
  • Memoria episodica: capacità di ricordare i dettagli di un evento, il ricordo di fatti particolari, come ciò che abbiamo mangiato a colazione il giorno precedente, o i dettagli di un evento anche remoto.
  • Memoria associativa: es.: ricordare i nomi delle persone vedendone il volto, associare un rumore ad una precisa auto.
  • Memoria semantica: creazione di significati associati a eventi o input. Fa parte della memoria semantica ad esempio la capacità di ricordare un certo odore e capire che si tratta di gomma bruciata.
Memoria e memorizzazione selettiva


Il movente scatenante energie mentali può essere associato alla memoria negativa o alla memoria positiva. 

La memoria negativa riguarda eventi passati negativi e il tentativo di far si che non si ripetano, mentre la memoria positiva riguarda il ricordo di eventi positivi e il tentativo di far riaccadere quelle sensazioni.

Notiamo da questo passaggio, dal film: “Proposta Indecente” di Adrian Lyne, un esempio di associazione che crea movente per un comportamento:

Ricordo una volta quando ero giovane, e stavo tornando da non so dove, un cinema o forse qualcos’altro… c’era una ragazza che era seduta di fronte a me, indossava un vestito che era abbottonato quasi fin quassù… “era la cosa più bella che avessi mai visto”…Allora ero timido, così quando lei mi guardava abbassavo gli occhi… poi dopo, quando ero io a guardarla li abbassava lei… 

Arrivai dove dovevo scendere, e scesi, le porte si chiusero, e quando il treno stava ripartendo lei mi guardò negli occhi e mi fece un incredibile sorriso… fu terribile… volevo aprire per forza le porte… tornai ogni sera alla stessa ora… per 2 settimane… ma non l’ho più vista… Questo è stato 30 anni fa… e non credo che passi giorno senza che io non rivolga un pensiero a lei… 

Non voglio che succeda di nuovo!

Dal film: “Proposta Indecente”, frase recitata dall’attore Robert Redford

La memoria di lavoro (buffer mnemonico) consente il mantenimento di uno stimolo in ingresso per pochi secondi, necessari alla elaborazione mentale (cognitiva) dello stimolo stesso. È la memoria necessaria a ricordare un informazione per il tempo necessario allo svolgimento di un compito, per poi disfarsene poiché inutile. Tutti gli “scarti di lavorazione” della memoria (i vari sottoprodotti) verranno abbandonati e dispersi.

Lavorare sulla memoria è quindi importante non tanto per aumentarne la capacità, stiparla di informazioni come un magazzino sovraccarico, ma soprattutto per aiutare a consolidare i passaggi di vita, episodi positivi e negativi, da cui si può ricavare apprendimento.

La mente non è un vaso da riempire
ma un legno da far ardere perché s’infuochi
il gusto della ricerca e l’amore della verità.

Plutarco

Uno dei problemi della psicoenergetica è la perdita di focus su quali siano le informazioni utili e quali invece trattenere. Se sbagliamo, non presteremo attenzione a dati di reale utilità, trattati come rifiuti o sottoprodotti, e ci concentreremo invece su ciò che non serve. Ad esempio, in una negoziazione sarà indispensabile cogliere anche singole parole, memorizzarle e compararle ad altre emissioni verbali dette in seguito dalla persona, per far emergere eventuali dissonanze, e usarle nella nostra strategia.

Un altro aspetto mnemonico interessante è la capacità di ricordo dei sogni, che se recuperati ed analizzati consentono di avere accesso ad una preziosissima fonte di rappresentazioni delle paure (blocchi, ansie, timori, preoccupazioni) e desideri inconsci dell’individuo. 

È stato evidenziato da ricerche sulla comunicazione interculturale che il difficile ricordo del sogno è un problema di comunicazione tra stati di coscienza. Lo stato della vigilanza parla un linguaggio diverso rispetto allo stato del sonno, e i due non possono comunicare bene tra di loro. La memoria dei sogni richiede l’acquisizione di uno stato intermedio (una sorta di terza lingua) tra lo stato di coscienza del sonno e lo stato della veglia. 

Nel metodo HPM si utilizzano tecniche di meditazione consapevole praticate in fasi specifiche del training, ma anche immediatamente dopo il risveglio, per poter portare allo stato cognitivo lucido aspetti del sogno e dell’inconscio che andrebbero altrimenti dispersi (tecniche ReMeA: recupero e metabolizzazione in stato alfagenico). Lo stato alfagenico è uno stato di rilassamento nel quale l’individuo produce onde cerebrali alfa, è tranquillo e rilassato, ed è in grado di generare un pensiero più libero, creativo e associativo.

Tra le tecniche alfageniche si colloca anche la pratica di generare ricordi guidati di eventi positivi, anche durante la giornata, riservandosi spazi appositi (tecniche RSP: Training Mentale di Ricordo Selettivo Positivo). 

Queste tecniche sono l’esatto contrario dei tentativi di fuga dai ricordi spiacevoli, o dello scorrere sopra gli eventi positivi anziché sentirli a fondo. Occorre la consapevolezza che non serve a nulla fuggire da un ricordo finché non lo si è capito e accettato. Allo stesso tempo, serve capacità per cogliere gli aspetti positivi della vita, che altrimenti ci scorrono accanto inosservati, poco gustati o assaporati. A forza di non notare ciò che di positivo ci accade o esiste, le nostre capacità di atrofizzano, e il pensiero di chiude.

Le tecniche si prefiggono di analizzare i vissuti quotidiani, i problemi occorsi in passato, i momenti positivi, e metabolizzarli in una condizione alfagenica (di rilassamento), nella quale essi possano esprimersi meglio, essere affrontati, elaborati, assaporati, metabolizzati, e portati a livello cosciente.

In questo modo i problemi non verranno lasciati alla sola metabolizzazione notturna, riducendo il carico di lavoro mentale e liberando il sonno da una dose di affanno elaborativo. Allo stesso tempo, l’individuo apprende a gustare eventi che altrimenti rischiano di andare persi e dimenticati per sempre.

Le tecniche possono andare anche verso la rivisitazione degli eventi positivi della giornata o di un periodo specifico, es., la settimana, per consolidare elementi del vissuto positivo che altrimenti verrebbero dispersi, ridotti, dati per scontati (tecniche di concentrazione sugli eventi positivi e consolidamento mnemonico di episodi positivi).

Oltre a questo beneficio, le tecniche di Training Mentale consentono di entrare nell’esperienza passata con un maggiore grado di introspezione assimilandone aspetti più profondi.

Un ulteriore problema di psicoenergetica è la connessione tra flusso di esperienza e memorizzazione selettiva. Possiamo ricordare – di una esperienza di lavoro o di vita – solamente alcuni episodi caratterizzati da fatti curiosi, oppure possiamo cercare di far uscire dalla memoria i nostri errori (ricerca selettiva), ed ancora far uscire dalla memoria, estrapolare, i comportamenti e atteggiamenti che sono stati produttivi e positivi. 

Senza questa attività di ricerca, elaborazione e fissazione, il flusso di esperienza ha valore minore e diventa meno utile per l’apprendimento.
Sempre rispetto alla memorizzazione selettiva, notiamo che essa può travalicare il punto della semplice selezione e giungere alla distorsione (immettere infor­ma­zioni che non c’erano) nel quadro memonico. 

Questo avviene soprattutto come meccanismo di auto-protezione dalla dissonanza (“devo aver fatto questo, altrimenti non sarei stato io”, “mi avrà certamente detto così, altrimenti non avrei reagito in quel modo”, e altre distorsioni di questo tipo). Le persone arrivano tranquillamente ad inventare aspetti dell’esperienza inesistenti e distorcere involontariamente (senza coscienza di farlo) interi brani di realtà, pur di mantenere in piedi i castelli di carta mentali che le sorreggono.

Un coaching finalizzato a lavorare sul funzionamento della memoria emotiva dovrà utilizzare tecniche particolari di allenamento di componenti specifiche della memoria stessa. 

Memoria e memorizzazione selettiva

Ad esempio, un “diario delle positività” aiuterà la persona a fissare quali aspetti della giornata, anche minimi, sono degni di maggiore attenzione e possono diventare qualcosa da apprezzare, piuttosto che materiale mnemonico da non trattenere o al quale non prestare nemmeno attenzione.

L’esperienzialità (experiencing) va catturata, in caso contrario la vita rischia di scorrerci via senza sentirla a pieno in noi.

Per scopi di approfondimento, è possibile ricorrere alle tecniche di focusing sviluppate da Gendlin, centrate sull’elaborazione della “sensazione sentita” soprattutto sul piano fisico, sino a sviscerarla completamente in ogni sua sfumatura. 

Il lavoro di Gendlin sul focusing e sull’experiencing (esperienzialità) è decisamente importante è ha una nutrita letteratura[2]. Ricordiamo tuttavia che queste tecniche partono da una scuola e volontà psicoterapeutica, mentre nel nostro caso le tecniche di training mentale ed esperienziale hanno volontà di crescita del potenziale umano in senso ampio, e non sono centrate solo su aspetti terapeutici. Non occorre stare male per forza per praticare focusing ed experiencing, anzi, ne avremo un beneficio anche partendo da condizioni di benessere o medianità e in azioni quotidiane, non solo competitive o manageriali. Le competenze psicologiche esistenziali devono diventare competenze sociali diffuse in tutte le persone, perché ogni persona merita di vivere a pieno e fino in fondo. Quale che sia la condizione di partenza, nello spirito del metodo HPM ogni piccolo passo ha senso. La stasi, invece, uccide.


[1] Baddeley, A. (1990), La memoria, Laterza, Bari.

[2] Tra le opere, la pubblicazione divulgativa più nota è edita solo nel 2001: Gendlin, E.T (2001), Focusing. Interrogare il corpo per cambiare la psiche, Astrolabio, Roma. Le pubblicazioni  in lingua inglese del metodo del focusing sono invece sintetizzabili nelle seguenti: 
– Gendlin, E.T. (2007). Focusing. [Reissue, with new introduction]. New York: Bantam Books. 
– Gendlin, E.T. (1997). Language beyond postmodernism: Saying and thinking in Gendlin’s philosophy. Edited by David Michael Levin. Evanston: Northwestern University Press. 
– Gendlin, E.T. (1997). A process model. New York: The Focusing Institute. 
– Gendlin, E.T. (1996). Focusing-oriented psychotherapy. A manual of the experiential method. New York: Guilford. 
– Gendlin, E.T. (1991). Thinking beyond patterns: Body, language and situations. In B. den Ouden & M. Moen (Eds.), The presence of feeling in thought, pp. 21-151. New York: Peter Lang. 
– Gendlin, E.T. (1986). Let your body interpret your dreams. Wilmette, IL: Chiron. 
– Gendlin, E.T. (1962). Experiencing and the creation of meaning. A philosophical and psychological approach to the subjective. New York: Free Press of Glencoe. Reprinted by Macmillan, 1970.

Per approfondimenti vedi:

Cristina Turconi
Executive & Business Coach ICF | Formatrice Aziendale | Facilitatrice Lavoro di Gruppo | Master Practitioner in HPM™ Human Potential Modeling | Consulente e Innovation Manager MISE 

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Potenziale Umano. Nel Metodo HPM sul Potenziale Umano (Human Performance Modeling) si distinguono 6 diverse aree di lavoro, che vanno dalle energie fisiche e mentali, alle competenze, sino alla progettualità e spiritualità. Vediamole di seguito.

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal libro “Il Potenziale Umano. Metodi e tecniche di coaching per lo sviluppo delle Performance”. Milano, Franco Angeli editore

Lavorare sul potenziale individuale, dei team, delle imprese: il metodo HPM (Human Performance & Potential Modeling)

Le persone viaggiano per stupirsi delle montagne, dei mari,

dei fiumi, delle stelle e passano a fianco a se stesse

senza meravigliarsi

(Sant’Agostino)

Concetti fondamentali del Potenziale Umano: la visione della persona come sistema energetico

(Se vuoi approfondire il tema del Tuo Potenziale Umano e Potenziale Personale, guarda la pagina del Master Metodo HPM sul Potenziale Umano a questo link)

Il metodo HPM deriva la propria sigla dal suo obiettivo primario, il Modeling, o “dare forma”, generare impulso, contributo e stimolo alla crescita della persona, dei team e delle organizzazioni.

Il metodo ha due distinte sfere di applicazione, tra di loro collegate:

  • crescita del potenziale umano: Human Potential Modeling, e
  • sviluppo delle prestazioni: Human Performance Modeling.

Il metodo contiene una concezione dell’uomo come articolazione di energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni.

Il metodo individua sei specifiche “celle di lavoro”, sulle quali ciascuno di noi, indipendente dalla sua condizione di partenza, può fare progressi, piccoli o grandi che siano. E, per ogni piccola conquista, si aprono nuovi orizzonti che ci invitano ad andare avanti, in una continua esplorazione di ciò che significa progredire, nel suo senso più profondo.

“Entrare” in queste sei celle ci permette di costruire progetti di crescita seri ed efficaci, siano essi la “liberazione” da ciò che ci frena, o l’aumento delle nostre risorse personali.

L’amplificazione delle energie e abilità di un individuo o di un intero gruppo o impresa, può proiettarci verso nuovi traguardi, e nuovi modi di essere. Prendere piena coscienza dei propri potenziali e lottare per raggiungerli è un’operazione che ha una propria sacralità, al di la del risultato numerico o professionale che ne può derivare.

Capire questo è essenziale oggi per fare del training aziendale serio, essere ricercatori o insegnanti degni di questo nome, ma anche nel coaching, nel focusing (focalizzazione dei fabbisogni di sviluppo), nella consulenza, nei progetti di crescita personale, quando si esamina una persona o un’organizzazione, intesa come complesso di energie circolanti, il suo lato umano, il suo spirito vitale.

Il metodo HPM raggruppa tutti i fattori evidenziati in un modello piramidale (energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni) e li considera aspetti allenabili, aumentabili, su cui si può agire.

A questo modello quindi ci apprestiamo a lavorare.

Ne esponiamo di seguito un’anteprima grafica, nella quale si evidenziano le sei specifiche aree di lavoro, ciascuna delle quali viene approfondita, ma sicuramente non esaurita.

Esaurire ogni singola area sarebbe una pretesa troppo grande, mentre aprirvi una discussione e offrire su ciascuna contributi, strumenti utili e operativi, è invece già possibile.

Figura 1 – Esposizione grafica del modello HPM del Potenziale Umano

Potenziale Umano Metodo HPM

 

Potenziale umano e prestazioni umane sono due aree di studio diverse ma strettamente collegate, così come lo sono le fondamenta di un edificio e i suoi piani superiori.

Nessuno costruirebbe, con un minimo di buon senso, un grattacielo su fondamenta instabili. Il lavoro sul potenziale è, come metafora, simile al lavoro di costruzione di fondamenta solide, mentre le performance ci restituiscono un senso di altezza, di quanto in alto possiamo spingerci.

Ognuno di noi sente il bisogno, prima o poi, di sviluppare il suo potenziale, ma anche di accedere a piani esistenziali superiori, ricercare, crescere.

Possiamo soffocare questa pulsione umana naturale, ma è come cercare di non respirare, prima o poi il bisogno viene fuori, ed è bene ascoltarlo.

Il modello HPM analizza l’essere umano come sistema energetico, una sinergia di forze (fisiche e mentali), la cui amplificazione può aumentare il grado di felicità, successo e potenzialità realizzativa.

Questo sistema complesso è composto da sottosistemi, che possono disporre di uno stato di carica variabile, e funzionare bene o male, con gradazioni intermedie di efficienza ed efficacia.

Per analizzare il potenziale globale della persona, non solo sul piano fisico o intellettuale, ma come essere umano nel suo complesso, abbiamo bisogno di localizzare quali sono i micro e macro-distretti su cui si può agire e come questi interagiscono tra di loro.

Dobbiamo anche saper muovere lo zoom di analisi dal micro al macro, dal particolare al generale, e viceversa.

Esponiamo di seguito una breve sintesi di quali sono i contenuti principali delle sei “celle” di lavoro:

  • il substrato psicoenergetico e le energie mentali: riguarda le energie psicologiche, le forze motivazionali, lo stato di forma mentale necessario per affrontare sfide, progetti, traguardi (goal) e obiettivi. Si prefigge di analizzare ed intervenire sulle capacità mentali, come concentrazione, lucidità tattica, abilità strategiche, capacità di percezione, utilizzo della memoria, amplificazione sensoriale, sino alle capacità di vivere le passioni, rivedere il nostro modo di essere, riprendere in mano il proprio ruolo nella vita con maggiore assertività, ripensarsi, creare motivazione in sè e nel team, sviluppare coraggio e perseveranza, utilizzare uno stile di pensiero produttivo e positivo;
  • il substrato bioenergetico e le energie fisiche: inquadra la parte biologica dell’essere umano: il corpo e le energie fisiche, lo stato di forma organis­mico e biologico che sorregge le energie individuali; comprende l’analisi delle energie corporee e il funzionamento dell’organismo, come esso possa essere riparato o “potenziato”, gli effetti dello stile di vita e l’approccio olistico al corpo, l’attenzione alle economie locali (di specifici distretti fisici) e alle energie generali;
  • le micro-competenze: i micro-dettagli che danno spessore al potenziale, le micro-abilità psicologiche e psicomotorie che fanno la differenza in una prestazione manageriale o sportiva, le micro abilità-cognitive (di ragionamento), che creano differenza tra un’esecuzione mediocre, media o invece eccellente, le micro-abilità relazionali e comunicazionali da cui dipende un lavoro di qualità;
  • le macro-competenze personali e professionali: i grandi strumenti (competenze, skills, capacità) che compongono il profilo di un ruolo; le traiettorie di cambiamento che subisce lo scenario che ci circonda, come rimanerne coscienti e in pieno controllo; la gamma delle abilità o portfolio di competenze di un individuo o di un team, e come questo deve essere rivisitato, riqualificato, formato, per essere all’altezza degli obiettivi che ognuno di noi si pone e delle sfide che vuole cogliere;
  • goal e progettualità: la strutturazione dello sforzo per qualcosa o contro qualcosa di concreto (un ideale trasformato in progetto); la capacità di sviluppare un obiettivo in azione, il focus di applicazione delle energie e competenze, la loro traduzione in specifici piani operativi e risultati attesi;
  • visione, principi e valori, missione: ideali, principi morali, sogni, aspirazioni, i motori profondi che dirigono le priorità personali, gli ancoraggi di senso e significato che connettono i progetti ad un piano più profondo, le scelte personali, il senso di missione. Riguarda inoltre lo sfondo primordiale di desideri e pulsioni che spingono il nostro fare ed agire, il senso di causa e – non ultimo – il nostro vissuto spirituale ed esistenziale.

Ognuno di questi stati o “celle” può avere un certo livello di “carica”, trovarsi “pieno”, “abbondante”, ben coltivato, ben esercitato, o essere invece “scarico”, deprivato, depotenziato, impoverito, o persino trascurato e maltrattato, denutrito, abbandonato.

Al crescere della carica nei diversi sistemi aumenta l’energia complessiva della persona, dei team, e delle organizzazioni da loro composte, con effetti molto tangibili: risultati, prestazioni, capacità di decidere, di incidere e produrre cambiamento positivo. Questi risultati dipendono dallo stato dei diversi sistemi, dalla capacità di coltivarli e nutrirli.

La loro condizione locale e l’interazione tra le diverse “celle” può produrre il massimo del potenziale o presentare sinergie negative, o danni e malfunzionamenti che impediscono all’essere umano di esprimersi.

Le risorse personali e il potenziale individuale possono essere “lette” ma soprattutto amplificate attraverso un lavoro serio sulle sei aree.

Sul piano manageriale e sportivo, nei team e nelle aziende, le implicazioni sono altrettanto evidenti: lo stato di forma mentale e fisico delle persone, la loro carica motivazionale, le loro competenze, la loro progettualità, il loro spessore morale, fanno la differenza tra persone o team spenti, e persone, team o organizzazioni capaci, forti, motivate, piene di energia ed entusiasmo, desiderose di affrontare sfide e dare contributi veri.

Un modello efficace per il lavoro sul potenziale umano

Chiedersi qual è il proprio potenziale e quanto di esso abbiamo esplorato o raggiunto non è una domanda banale.

Questo accade in alcuni particolari momenti della vita in cui diventa importante per noi realizzare qualcosa, migliorare, ed esprimerci.

Quando questo accade, un sentimento dentro di noi cambia. Dalla realtà esterna iniziamo a spostare l’attenzione verso la realtà interna.

Ci poniamo domande, alcune di queste possono fare male, altre aprire nuovi orizzonti, ma non importa, poiché esse ci mettono positivamente in discussione. Nessuna domanda è inutile quando ragioniamo sul senso e sul significato di chi siamo e cosa vogliamo, quando ci chiediamo se e come vorremmo costruire qualcosa di cui essere fieri (una prestazione, o un contributo agli altri o ad una causa), o semplicemente essere diversi o migliori.

Per molti l’esito di una maggiore attenzione al potenziale personale è il desiderio di esplorarlo, o lasciare un segno, iniziare progetti, potersi guardare alle spalle ed essere fieri di come abbiamo vissuto, di quello che siamo e siamo stati, e dare un messaggio positivo a chi ci seguirà nel viaggio della vita. Per altri invece tutto rimane bloccato in una ruminazione mentale ininterrotta e auto-distruttiva. Le energie bloccate corrodono e distruggono anziché produrre e generare benessere, forza vitale, amore e passione.

La differenza tra i due risultati (crescita e sviluppo vs. ruminazione mentale negativa) sta nell’avere un modello e un supporto che aiuti a individuare meglio i traguardi, e i percorsi da intraprendere per arrivarci.

Insuccessi, cadute, blocchi, errori, fanno parte integrante di questo viaggio, ma il loro accadere non ne sposta minimamente il valore.

Ciò che differenzia un uomo da un sasso è che lo “stare compressi”, sepolti, essere trasportati senza chiedersi dove, o rimanere pressati e immobili, è accettabile per il secondo ma non per il primo.

L’uomo ha un bisogno intrinseco di “volare”, di esprimersi, di “ricercare”, di dare senso alla propria vita, e persino ad ogni propria singola giornata o azione.

Chi nega questo bisogno di espressione e crescita applica uno dei meccanismi psicologici più autodistruttivi che esistono, individuato in letteratura come self-silencing: autosilenziarsi, uccidere le proprie aspirazioni, mettere il tappo ai propri sogni, smettere di credere in qualcosa, pensare che tutto sia inutile, che non valga la pena, che le difficoltà sono troppe, o il mondo in fin dei conti sia sempre andato così.

Bugie. Bugie che ci raccontiamo per non entrare (giusto per usare un altro termine tecnico) in “dissonanza cognitiva”, la condizione di disagio che incontriamo quando ci rendiamo conto che qualcosa nella nostra vita non sta andando come vorremmo, o che potremmo essere migliori o semplicemente diversi. Coltivare il potenziale umano è invece un momento di liberazione.

Esistono implicazioni anche sul piano medico: quando una persona è priva di energie mentali, o non ha più alcun valore o ideale a sorreggerlo, o mancano le competenze per far fronte alla vita, il corpo soffre e può arrivare ad ammalarsi[1].

Desiderare di progredire, porsi domande, “chi, cosa, dove, con chi, perché”, è un obiettivo o passaggio inevitabile per ogni anima sensibile.

Dare impulso al viaggio della vita ha sempre senso. Ne può avere sia che si desideri unicamente una propria evoluzione personale, o che invece il percorso sia finalizzato al percorso professionale e aziendale.

Entrambi i viaggi hanno spessore e valore. Ambedue sono degni di attenzione e di supporto, perché una persona ferma e spenta non è utile a nessuno, così come non è utile avere imprese e team incapaci e demotivati.

I team più forti del mondo, e i più grandi campioni di tutti i tempi in ogni disciplina, o i più grandi pensatori della storia, sono tali perchè continuano a porsi domande e non sfuggire” il richiamo della natura”, la pulsione ancestrale che ci parla di evoluzione, che ci spinge a progredire, ad essere migliori.

Senza un modello che ci aiuti a trovare le direzioni di crescita, il nostro sforzo può risultare nobile ma vano. Si corre, ci si affanna, si investono tempi ed energie,  ma spesso senza una buon mappa di orientamento. Il risultato è un’enorme dispersione.

Un buon modello, invece, aiuta a trovare più rapidamente la strada. Se un modello non offre stimoli, indirizzi e orientamenti, risulta completamente inutile, come orientarsi in una mappa sbagliata o capovolta.

Un modello del potenziale umano, inoltre, può essere utilizzato in progetti concreti di business coaching, di consulenza, di training aziendale, di coaching sportivo, ma anche nel counseling, nei corsi di leadership, nella formazione.

Da quando esiste, l’uomo si sforza di costruire mappe per orientarsi e non perdersi. Abbiamo mappe degli strati più profondi della terra, dei mari, del cosmo, ma – stranamente – non ci vengono fornite mappe efficaci per orientarci nel nostro sviluppo personale o nei territori inesplorati del potenziale umano. Accompagnare le persone in questo viaggio è, per me, un onore.

[1] Una logica conseguenza che non possiamo nascondere è che la  medicina dovrebbe quindi occuparsi anche di questi fenomeni, unendosi alla psicologia e ad altre scienze, in un unica disciplina del funzionamento complessivo dell’essere umano.

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© Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal libro “Il Potenziale Umano. Metodi e tecniche di coaching per lo sviluppo delle Performance”. Milano, Franco Angeli editore

Il Potenziale Umano

Altri materiali sul Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

 

Articolo estratto dal testo “Il potenziale umano – Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

A volte per ottenere il meglio da se stessi è necessario staccare.
Il professionista Martinez così racconta la sua preparazione:

A luglio 2005, l’atleta trentenne ha lasciato l’isola frenetica e soffocata dal traffico di Manhattan per trasferirsi temporaneamente nel distretto si South Street di Philadelphia. Nella sua nuova città, si è buttato anima e corpo nella preparazione per l’Olympia, camminando per le strade di Philadelphia come un novello Rocky intento a prepararsi per il match decisivo della sua carriera agonistica. “Le mie giornate – spiega – erano dedicate soltanto all’allenamento e alla preparazione. Niente attività extracurricolari”[1].

Rompere con l’ambiente circostante di sempre, cambiando il frame spazio-temporale abitudinario, è una tecnica usata nello sport e nell’impresa, quando si vuole ottenere massima dedizione e concentrazione. La tecnica del cambiare città temporaneamente o del cambiare stile di vita, o del cambiare palestra, o luogo di lavoro, o del “ritiro”, è una pratica vincente per molti professionisti sportivi e team, ma anche di artisti e pensatori che cercano di ottenere uno stacco totale dallo stile di vita o da aspetti particolari dell’am­bien­te precedente (fisico e sociale), per trovare nuova linfa e concentrazione. 

Il monotasking, il “ritiro spirituale” o “ritiro di concentrazione” per la ricerca delle performance – rompere con gli schemi e cambiare registro

Ciò che rimane nel non detto, è da cosa esattamente si stia sfuggendo. Spesso si tratta di una coltre di nebbia mentale, di uno smog psicologico non ben definito, di abitudini o climi psicologici che è persino difficile identificare. Quello che conta è che la tecnica del ritiro e/o del cambiamento di ambiente funzioni, e che possa essere utilizzata per ottenere nuova linfa vitale e nuova concentrazione rompendo con gli schemi precedenti.

La concentrazione, lo stacco dagli schemi abitudinari della vita quotidiana, la separazione mentale delle attività, sono forti strumenti per la ricarica delle energie psicologiche. Nel caso precedente abbiamo visto l’esempio di uno stacco estremo, cambiare città, ma in molti altri casi lo stacco può essere ottenuto anche durante la giornata. 

Vediamo questa testimonianza in ambito sportivo, su come nelle arti marziali (quando condotte da maestri preparati, non da dilettanti) si vada alla ricerca di quella condizione interiore che permette al partecipante di “cambiare registro” ed entrare in una dimensione più profonda:

Spesso la meditazione ha luogo alla fine e all’inizio delle lezioni. Tuttavia il fatto stesso di arrivare al Dojo, di liberarsi degli indumenti quotidiani per indossare il nostro Gi, Dobok o quello che è, metterci la nostra cintura, è in se un atto di preparazione per adattare la nostra mente all’altro spazio-tempo che compone la nostra pratica nel Do-jo (il posto del risveglio).

La meditazione ed i saluti iniziali sono un passo in più nel già citato processo. Persino nella loro pratica esclusivamente formale tali cerimonie facilitano il transito dalla stressante quotidianità, fino ad un atteggiamento diverso, dove i valori, i tempi e persino la misura del nostro sforzo sono molto differenti. Qui il denaro non comanda, comanda il Maestro; il nostro tempo non ci appartiene, è gestito dal Maestro e dalla dinamica del gruppo; il corpo, spesso trascurato nel nostro quotidiano, acquisisce ora un protagonismo distinto, diventa presente e richiama la mente e le emozioni a condividere lo sforzo. Uno sforzo che non si realizza per ottenere denaro, oggetti o sesso, uno sforzo che ci porterà un unico regalo, l’autosuperamento[2].

Se esiste una capacità dimenticata oggi in azienda è la presenza mentale, la concentrazione strategica.

Principio 10 – Energie mentali, presenza mentale e mono-tasking

Le energie mentali diminuiscono o si esauriscono quando:

  • le risorse attentive non sono pienamente presenti e concentrate;
  • l’individuo utilizza le proprie energie attentive (cognitive) ed emotive su più fronti contemporanei (multitasking);
  • l’individuo sottostima il grado di difficoltà insito nel compiere bene un’azione o affrontare un problema;
  • l’individuo non riesce ad isolare le attività prioritarie, o a rinunciare alla dedizione verso tempi estranei al goal, durante il tentativo di perseguire il goal stesso;
  • viene utilizzato uno stile di pensiero errato rispetto al compito.

Le energie mentali aumentano quando:

  • vengono allenate le capacità di concentrazione e presenza mentale;
  • vengono praticate attività atte a favorire la lucidità mentale (rilassamento, meditazione, tecniche di training mentale condotte da professionisti);
  • l’individuo concentra le attenzioni ed energie su un problema o progetto, evitando la dispersione (rimozione del multitasking);
  • l’individuo apprende a svolgere stime corrette rispetto al dispendio di energie mentali di attenzione e concentrazione necessarie, senza sopravvalutarle (ingigantimento della sfida) o sottovalutarle (sottostima);
  • l’individuo apprende a compiere azioni sfidanti con maggiore efficienza mentale, utilizzando stili di pensiero (stili cognitivi) postivi e risolutivi.

[1] Berg, M. (2006), La svolta di Victor, Flex, n. 4, pp. 70-79. Rif., p. 75.

[2] Tucci, A. (2005), Concentrazione e meditazione nelle arti marziali, Budo International, settembre, p. 62.

Per approfondimenti vedi:

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L’ansia, uno dei mali più drammatici della società contemporanea, è stret­tamente correlata allo stress. 

L’ansia è – nella nostra visione – il prodotto di un incremento di attivazione mentale (arousal) mixato ad emozioni negative (paura, angoscia, timore, apprensione). La sola attivazione mentale, di per se positiva, acquisisce nell’ansia sfumature negative e innesca un dialogo interiore tutto centrato sugli eventi negativi, producendo un “sequestro emotivo” della persona.

L’ansia può essere uno stato permanente o prodursi in relazione ad alcuni eventi scatenanti o trigger (eventi che l’individuo vede come problematici, es, parlare in pubblico, stare in situazioni pubbliche, o prendere un aereo, una galleria, o in ambiti sociali e nella vita di relazione).

Alcuni autori erroneamente espongono il concetto di “ansia positiva”, intesa come fonte di energie. In realtà è corretto trattare come fenomeno ipoteticamente positivo unicamente l’arousal (aumento dell’attivazione mentale), mentre l’ansia – espressa come un correlato tra attivazione ed emozioni negative – porta con sé numerosi rischi dal punto di vista psicoenergetico.

Capacità di gestione dell’ansia

Si distingue nella letteratura tra:

  • ansia di stato (collegata ed eventi specifici, es., prendere l’ascensore), e
  • ansia di tratto (componente ansiosa più permanente, insita nella personalità dell’individuo, con componenti che possono essere sia di derivazione genetica che apprese durante la vita).

Il training psicoenergetico adeguato consiste in diverse linee di attacco:

  • eliminare l’arousal connesso agli eventi scatenanti o trigger, tramite tecniche di rilassamento, refraiming cognitivo o ristrutturazione cognitiva; eliminare l’ansia situazionale nei contesti precisi in cui si presenta (es., prima di una lezione, prima di un discorso pubblico);
  • associare gli eventi scatenanti o trigger ad emozioni positive, con una ristrutturazione cognitiva profonda, es. trasformare l’ansia da lezione in gioia per l’essere protagonista di una relazione d’aiuto, gioia del dare e dell’aiutare il prossimo a capire o a crescere; questo richiede smontare la componente competitiva insita nella prestazione didattica (io contro loro) e sostituirla con la componente della relazione di aiuto (io per loro);
  • affrontare la componente ansiosa della personalità e quella appresa (ansia di tratto). Questo può richiedere di andare alla ricerca del disagio trans-generazionale (assorbimento di ansia dai genitori e altri referenti importanti nel passato della persona) e degli schemi mentali appresi che la producono e mantengono in vita. Quando sono stati appresi? Da chi? Come rimangono attivi? Quali relazioni personali e culturali la mantengono elevata? Quali abitudini dobbiamo sradicare? Quali inserire? Un lavoro profondo richiede anche la ricerca dei messaggi genitoriali o sociali assimilati che la alimentano (es.: devi riuscire a qualsiasi costo), delle credenze disfunzionali che vivono nella mente dell’individuo, e come virus mentali la danneggiano, dei prototipi cognitivi personali (relazioni tra valori, credenze, atteggiamenti) che la nutrono (es.: devi sempre essere perfetto altrimenti non vali).

Principio 4 – Ansia ed energie mentali

Le energie mentali diminuiscono o si esauriscono quando:

  • si innesca nell’individuo attivazione (arousal) associata ad emozioni negative, rispetto a compiti, situazioni, aspetti della vita o dell’esperienza;
  • l’individuo possiede una componente elevata di ansia di tratto (ansia caratteriale) assimilata durante la crescita o alimentata da prototipi di pensiero e credenze disfunzionali,  da modelli di pensiero assorbiti dai genitori o dalla società non localizzati e schermati;
  • l’individuo subisce ansia situazionale, e non pratica attività di riduzione localizzata tramite tecniche di rilassamento o altre forme di training;
  • l’individuo non affronta il fenomeno della propria ansia di derivazione trans-generazionale (trasmissione del disagio psichico) in modo sistematico;
  • l’individuo non ricerca ed affronta i propri prototipi cognitivi disfunzionali (sistemi di pensiero) produttori di ansia e gli stili di vita che la alimentano.

Le energie mentali aumentano quando:

  • l’attivazione (arousal) per azioni o eventi viene ripulita dalle componenti emotive negative;
  • l’individuo riesce a localizzare e ridurre l’ansia di stato (ansia legata a task specifici e situazioni specifiche);
  • vengono svolti con successo interventi di riduzione dell’ansia di tratto (elemento ansioso della personalità, ansia caratteriale);
  • vengono localizzati e riconfigurati i prototipi di pensiero che alimentano l’ansia e il disagio psichico, anche di fonte traumatica, transgenerazionale o culturale;
  • vengono praticate attività costanti e programmatiche di riduzione dell’ansia, con un programma specifico seguito professionalmente, volto anche alla rivisitazione dello stile di vita.

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Più le persone si sentono sicure e protette nel loro nucleo, più saranno in grado di esplorare i territori sconosciuti che devono affrontare.

Comprendere l’atmosfera generale che regna all’interno di un gruppo di lavoro è di vitale importanza. All’interno del gruppo le persone possono trovarsi in un momento culmine di attacco-difesa, attacco-fuga, eccitazione-apatia o depressione. Quel sentire interiore va accolto, esplorato e governato in modo da riuscire a ricreare un contesto lavorativo sicuro.

Il contagio emotivo all'interno dei gruppi di lavoro

In un gruppo le emozioni hanno la grande peculiarità di potersi amplificare.
Si tratta di un vero e proprio “contagio emotivo” un fenomeno ben documentato [1].
E’ facile che le emozioni si propaghino da persona a persona, anche quando quell’emozione non sia stata direttamente generata dalla persona stessa. Rabbia, paura, depressione sono tra le emozioni più dilaganti; ma anche la gioia, la risata, l’entusiasmo possono diventare emozioni contagiose. Questo succede quando qualcuno sperimenta un’emozione molto forte, che sia di gioia e ilarità o paura e ansia, o dubbio e rabbia; quello stato emotivo così intenso, può diffondersi agli altri in una modalità che è simile a quella di un virus infettivo.

Ti è mai successo di avere un collega che ti suscita tensione senza un motivo ben preciso? Puoi percepire l’atmosfera così tesa tanto che questa sgradevole sensazione potrebbe incidere sul tuo umore, ostacolando le tue prestazioni.

Perché succede questo? Come funziona? In virtù della presenza dei neuroni specchio nel nostro cervello. Grazie a questi neuroni, quando qualcuno si muove, agisce o si emoziona, la nostra neurologia ci prepara letteralmente a imitare quelle stesse emozioni che ci permettono poi di “farci sentire” proprio come loro. I neuroni specchio sono infatti quelle aree cerebrali che ci consentono di ricevere e sentire emozioni vissute da altri esseri viventi [2]. Tutto ciò è funzionale quando le emozioni vissute e condivise all’interno del gruppo sono quelle di cura, compassione o entusiasmo gioioso, ma può rivelarsi una sfida per l’efficacia del gruppo stesso, quando le emozioni vissute e condivise sono quelle di paura, ansia, dubbio, rabbia, risentimento, odio, etc.

Gestire le emozioni del gruppo in condizioni di: complessità (dove possono prevalere sensazioni di confusione, tensione e agitazione), imprevedibilità (che trascina con sé sentimenti di insicurezza, paura della perdita di controllo e apprensione) e turbolenza (collegata a stress, ansia generalizzata, paura, delusione e depressione), diventa un compito primario per ogni organizzazione, che deve viaggiare in parallelo alle attività da svolgere quotidianamente e ai risultati da perseguire [3].

I problemi causati da questi processi emotivi nascosti, invisibili e intangibili come pure le invidie, i pregiudizi e le ferite del passato, non possono essere risolti in modo lineare, razionale e strutturato se prima non si è lavorato per esplorare i “disturbi” dell’atmosfera emotiva della squadra [4].

Qual è l’atmosfera emotiva
che si percepisce nel tuo gruppo?

Sei in grado di descriverla?

Vivere emozionalmente la leadership significa essere pienamente consapevoli degli stati emotivi soggettivi, degli stati altrui, e degli scambi emozionali che avvengono nel gruppo [5].

Coltivare l’empatia, diventare più sensibili nei confronti degli altri, rimanere centrati nei momenti più tempestosi per riuscire a trasmettere un senso di sicurezza, è una delle prerogative indispensabili per chiunque si appresti a gestire e guidare i gruppi di lavoro in un momento storico così particolare. La formazione e la facilitazione esperta possono rivelarsi una valida risposta per portare nuova luce nelle organizzazioni e attivare dinamiche più ecologiche e rispettose dell’essere umano che partecipa alla vita di un gruppo.

[1] Darwin, C. (1872). L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali. Newton Compton 2006.

[2] Cattaneo, L. e Rizzolatti, G. (2009). The Mirror Neuron System. Archives of Neurology.

[3] L. Michael Hall, Ph.D. (2013). Group and Team Coaching. Expect emotional contagion in the group. 

[4] Arnold Mindell. (2011). Essere nel fuoco. Process Work – Lavorare con il campo. AnimaMundi e Terra Nuova Edizioni.

[5] Dr. Daniele Trevisani (2016). Team leadership e comunicazione operativa. Attivazione di osmosi energetiche ed emotive, assorbimento ambientale. FrancoAngeli.

Articolo a cura di:

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Articolo estratto dal testo “Il potenziale umano – Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

Energie e capacità mettono le persone in grado di dirigersi verso i propri obiettivi o scopi, siano essi già inquadrati come progetti con un output preciso, o semplici idee ispiratrici, ancora non definite o ben focalizzate.

I tre grandi piani di lavoro (energie personali, competenze, obiettivi), sono variabili tecniche, ma dietro ad esse si trova uno sfondo umanistico enorme, dalle grandi implicazioni, che vogliamo esaminare. Ottenere risultati e tagliare i propri traguardi è un tema importante per l’individuo, per un gruppo (team sportivo, team aziendale), e per un’intera organizzazione o azienda, persino per una nazione o l’intera umanità.

La quantità di implicazioni psicologiche che si ritrovano dietro ai risultati, tuttavia, è impressionante. Solo chi li ha faticati in prima persona è consapevole dello sforzo, delle energie mentali e motivazionali spese per attività che apparivano, a prima vista, banali o puramente tecniche.
A volte non sono gli obiettivi ad essere difficili, ma le persone.

Ad esempio, la prestazione in un esame dipende sia dalla conoscenza della materia (aspetto tecnico) ma anche dalla capacità di gestire emozioni, ansia e attesa, essere comunicativi e mentalmente presenti (componente psicologica), e questa è ben più difficile da affrontare che non lo studio di una materia.

Anche nello sport, vincere una partita prevede la capacità di creare un team vincente, lavorare ai climi psicologici del gruppo, sostenere le individualità, creare uno spirito di squadra. Chi dimentica questo perde. Lo sanno bene le nazionali forti che possono subire sconfitte pesanti e umilianti anche da squadre di paesi semisconosciuti, se affrontano l’impe­gno con “sufficienza”, o si trovano nella condizione psicologica sbagliata, mentre gli avversari sono iper-motivati e affamati di vittoria.

Anche in azienda il fuoco della motivazione e della passione, e le qualità mentali, fanno la differenza: un progetto davvero innovativo prima si pensa, poi vi si investe. La qualità del pensiero viene prima. 

Raggiungere obiettivi

Una distinzione fondamentale consiste nel riconoscere che esiste una matrice di obiettivi, e questa parte da risultati molto focalizzati (micro-goal, come rimanere positivi nei vari momenti di un’attività, anche se impegnativa), passa per obiettivi più ampi (es.: gestire bene un progetto cui teniamo), sino a salire agli obiettivi esistenziali (Life Objectives), come il bisogno di vivere a pieno la vita, e la ricerca della felicità. In ciascuno di questi stadi vi sono catene da spezzare e cose da imparare.

Secondo questa visione, vivere pienamente significa ben più che esistere
Questo ha ripercussioni non piccole sul concetto stesso di performance e di potenziale umano. Come sostiene Oscar Wilde:

La cosa più difficile a questo mondo?
Vivere! Molta gente esiste, ecco tutto. 

– oscar wilde –

Quindi, fissiamo immediatamente un concetto: si possono ottenere performance senza lavorare sul potenziale umano seriamente (es.: doping, o comprare un risultato) ma questo non ci interessa, non è il nostro fine. Anzi, questi pseudo-risultati sono il polo negativo, il male, le bugie, le false promesse, ciò da cui vogliamo stare lontani. 

Il lavoro che ci apprestiamo a fare infatti è quello allenante, preparatorio, formativo, costruttivo, il dare forma (Modeling) al potenziale e alle prestazioni tramite un lavoro serio, fatto di continuità, tecnica, strategia, sudore.

Due elementi fondamentali di una prestazione umana sono: (1) gli scopi (obiettivi) e (2) il loro grado di raggiungimento (nullo, intermedio, totale). 

Rispetto agli scopi, ci concentriamo soprattutto su quelle prestazioni o performance che hanno un senso di contributo, diliberazione, di espressione, di emancipazione. In altre parole, le prestazioni non solo meccaniche.

Rispetto al grado di raggiungimento, consideriamo che esso sia una funzione strettamente dipendente dal tipo di potenziale raggiunto (dalla persona, dal team, dall’organizzazione), e che per l’eccellenza bisogna lavorare sulla crescita strutturale più che sui risultati immediati. È la nostra visione.

È più importante insegnare ad un atleta a gestirsi, a non bruciarsi, ad avere una carriera e una vita, a trovare equilibri, che non spremerlo e gettarlo per una singola gara o stagione. 

Lo stesso per avere manager e professionisti preparati in azienda: stiamo o no creando un sistema che li formi, una palestra di formazione aziendale? Se non abbiamo un programma serio in merito, non lamentiamoci se dovremo richiamare i pensionati. In ogni squadra seria si coltiva un vivaio e un settore giovanile, e questo vale anche in azienda. Molti vogliono risultati senza investire, e spremono l’azienda, ma non fanno crescere le persone.

Ancora una volta, vogliamo lavorare alle condizioni che permettono di ottenere i risultati quando li desideriamo, senza attendere manna dal cielo o la fortuna. Il nostro approccio considera le performance vere non solo come atti tecnici, ma espressioni di libertà, applicazioni di una volontà emancipata di andare oltre, di scegliere (Free Will), un concetto che sta entrando finalmente nella letteratura anche manageriale:

La libera volontà è l’abilità di un agente di selezionare un’opzione (comportamento, oggetto, etc.) da una serie di alternative[1]. Lo spirito di fondo è sempre quello di un messaggio positivo, ciò che un padre vuole trasmettere ad una figlia, o figlio, o al prossimo, rispetto alle energie e alla vita: ogni volta che ti svegli, pensa positivamente a cosa fare di buono oggi. Ogni volta che vai a dormire, rivedi le cose buone accadute, sensazioni positive che avresti dato per scontato. Poi, pensa a cosa ti piacerebbe fare di buono domani, cosa ti renderà felice, che contributo puoi dare a te e agli altri, in cosa puoi applicarti bene. Fai cose che ti daranno energie, riduci quelle che ti impoveriranno spiritualmente e fisicamente. 

Non lasciarti spegnere. Ogni volta che sei triste chiediti se la tristezza ti merita o se puoi dirottare le tue energie verso qualcosa di positivo. 
Ogni volta che guardi avanti cerca il bene, e quando ti guarderai indietro sarai orgogliosa di te. Questo è rendere omaggio al dono di esistere. 

Agire, provarci, in modo da potersi guardare indietro con senso dell’onore, è luce, un bisogno che traspare in ogni storia vera, in ogni cultura umanistica e spirituale, come si intravede bene in questa testimonianza dagli Indiani d’America:

“Oh Grande Spirito, la cui voce ascolto nel vento,
il cui respiro dà vita a tutte le cose.
Ascoltami; io ho bisogno della tua forza e della tua saggezza,
lasciami camminare nella bellezza,
e fa che i miei occhi sempre guardino il rosso e purpureo tramonto.
Fa che le mie mani rispettino la natura in ogni sua forma 
e che le mie orecchie rapidamente ascoltino la tua voce.
Fa che sia saggio e che possa capire le cose che hai pensato per il mio popolo.
Aiutami a rimanere calmo e forte di fronte a tutti quelli che verranno contro di me.
Lasciami imparare le lezioni che hai nascosto in ogni foglia ed in ogni roccia.
Aiutami a trovare azioni e pensieri puri per poter aiutare gli altri.
Aiutami a trovare la compassione 
senza la opprimente contemplazione di me stesso.
Io cerco la forza, non per essere più grande del mio fratello,
ma per combattere il mio più grande nemico: Me stesso. 
Fammi sempre essere pronto a venire da te con mani pulite e sguardo alto.
Così quando la vita appassisce, come appassisce il tramonto,
il mio spirito possa venire a te senza vergogna”.

Preghiera per il Grande Spirito, 
Tatanka Mani (Bisonte che Cammina) (1871-1967)


[1] Mick, D. Glen (2008), Degrees of Freedom of Will: An Essential Endless Question in Consumer BehaviorJournal of Consumer Psychology, 18 (1), 17-21.

Per approfondimenti vedi:

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La fragilità emotiva viene individuata nei test specifici di Caprara, Perugini, Barbaranelli e Pastorelli come congiunzione di due tratti: 

la scala risulta dall‘integrazione di due scale, quella di Suscettibilità Emotiva, che misura la propensione dell’individuo a porsi in una posizione di difesa, a sperimentare stati di disagio, di inadeguatezza e di vulnerabilità in situazioni, presunte o reali, di pericolo, di offesa e di attacco, e quella di Persecutorietà, che osserva la tendenza dell’individuo a sperimentare sentimenti vissuti di persecuzione e tensione, legati all’anticipazione o alla paura di una punizione incombente[1].

Altri studiosi danno della fragilità emotiva visioni diverse e utilizzano scale e costrutti diversi per misurarla. 

Per noi, ciò che conta è riuscire a toccare con mano il problema, aiutare con un coaching professionale le persone a superare le proprie fragilità emotive e andare verso il loro futuro con maggiore serenità e gioia. 

Fragilità emotiva e stress emotivo

Stare lontani dalle proprie paure è inizialmente saggio ma riduce progressivamente il proprio territorio di vita. Nel lungo periodo non è sostenibile. 

Correre incontro alle proprie paure è invece un atteggiamento stupendo, un’acquisizione esistenziale, un traguardo in sè, un atteggiamento che può essere conquistato con un training e supporto adeguato. Ma non nascondiamo la realtà: è più facile da dire che da fare. Verissimo. Sacrosanto. Ma non sufficiente a fermarci.

Correre verso le nostre paure non è impossibile. Milioni di persone riescono a superare le proprie paure e fragilità e chiunque di noi ha il potenziale per farlo. Occorre solo farlo emergere, trovare un supporto, avere un metodo, e con impegno e dedizione diventa fattibile.


[1] Caprara, G. V., Perugini, M., Barbaranelli, C., Pastorelli, C. (2008), Scala per la misura della Fragilità Emotiva, Giunti O.S., Firenze.

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Un giorno ti accorgi di avere una brutta crepa sul muro. 
Ti preoccupi? Cerchi di realizzare l’entità del danno e capire di cosa si tratta veramente? 

A prima vista potrebbe sembrarti che un piccolo intervento risolverà il problema per poi trovarti a scoprire che si tratta di qualcosa di più profondo, magari dovuto a un cedimento strutturale. Sottostimarne la pericolosità perché ci sono cose più urgenti da sistemare in questo momento di pandemia, potrebbe non rivelarsi la risposta più corretta.

Anche nei team si possono formare delle piccole crepe;
riguardano il modo in cui le persone lavorano,
si relazionano e si comportano tra loro.

L’allontanamento sociale e le misure di contenimento non hanno impattato solo sulle operazioni e i processi di business, ma anche sulle dinamiche di relazione all’interno delle organizzazioni stesse, questo perché le persone operano in ambienti completamente diversi; ognuno nel proprio spazio emotivo dove ciascuno affronta la situazione a modo suo. 

In tempi incerti, le “piccole crepe” possono facilmente trasformarsi in “grandi crepe”. 

Quando ci si trova ad affrontare una situazione di incertezza è impossibile tenere a bada non solo un contesto che sfugge al controllo, ma anche i pensieri stessi.
Tutto ciò provoca irritazione e disagio. La paura, l’angoscia e i rapidi cambiamenti possono notevolmente acuire i problemi esistenti. 

Ci sono “crepe” nel tuo gruppo di lavoro?

Fino a quando non si riesce a riportare il gruppo a uno stato di calma relazionale e ascolto, l’agilità e le strategie per gestire il cambiamento, così come le performance e la collaborazione, non possono svilupparsi efficacemente [1]. 

Per questo motivo, è vitale per i leader e le organizzazioni concentrarsi sulle relazioni di squadra in maniera efficace.  Questo è ancora più importante durante un periodo di crisi, quando la gente ha bisogno di maggiore comunicazione e trasparenza su quali passi l’organizzazione sta facendo per affrontare la situazione contingente.  

Gli interventi di team, facilitati da abili Team Coach (anche in modalità virtuale), possono aiutare a limitare le “crepe”, assicurando che i team rimangano allineati e impegnati.  Questo tipo di interventi sono focalizzati a sviluppare nuove intuizioni e abilità in uno spazio sicuro che permetta alle persone di sentirsi più sicure e supportate.  Così facendo si sviluppano nuovi modi di interagire e lavorare insieme, che serviranno loro sia ora che dopo questo periodo di emergenza [2].

In periodi di grandi sconvolgimenti, l’ansia si propaga velocemente e l’istinto di tenere sotto controllo il mondo per come lo si conosce, spinge ad accantonare tutto ciò che riguarda l’apprendimento e lo sviluppo delle persone, in quanto impegnati a gestire le urgenze e a portare a termine le attività basilari. L’errore più comune è quello di mettere da parte la formazione delle persone.

I Team sono la spina dorsale di ogni azienda; se si sgretolano, l’organizzazione rischia di precipitare. È importante diventarne consapevoli e responsabilizzarsi nel mantenerli vivi, motivati, connessi e resilienti, ora e per il futuro periodo post-Covid che arriverà. 

Ci sono “corde invisibili” tra i membri di un Team che sono estremamente vulnerabili [3].
Se le relazioni sono sane, c’è chiarezza e fiducia tra i tutti i membri del gruppo, si parla di un “sistema” coeso e resiliente. Per ottenere questo risultato serve lavorare intensamente sullo stato emotivo delle persone, serve accogliere e prendersi cura delle “nature variabili” che influenzano le dinamiche di relazione all’interno dei gruppi, in modo tale da poter far fiorire quello “spirito di gruppo” che sta alla base di ogni condivisione umana profonda [4].

  • [1] SW (2011). The Polyvagal Theory: Neurophysiological Foundations of Emotions, Attachment, Communication, and Self-regulation. New York: WW Norton.
  • [2] Virtual Team Coaching Can Help Your Organization to Thrive in the Covid-19 Era – Elisabeth Muller.
  • [3] HBR – Keep Your People Learning When You Go Virtual – Annie Peshkam & Gianpiero Petriglieri.
  • [4] “Razionalità di squadra” We-rationality – Martin Hollis (Wikipedia).

Progetto a cura di:

Cristina Turconi
Executive & Business Coach ICF | Formatrice Aziendale | Facilitatrice Lavoro di Gruppo | Master Practitioner in HPM™ Human Potential Modeling | Consulente e Innovation Manager MISE 

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Questo articolo parla dell’amore e della passione.
L’amore e la passione sono strettamente collegati a quella voce che risiede dentro ognuno di noi, che ci sussurra di trovare il nostro scopo, che ci indirizza in qualche modo verso la nostra chiamata di auto-realizzazione.

E’ quel qualcosa che ci spinge a vivere la nostra vita quotidiana con entusiasmo, che ci fa navigare attraverso ogni difficoltà, che ci motiva a pensare, a immaginare, a fare, a creare, permettendoci di entrare in quello spazio in cui possiamo condividere chi siamo e ciò che abbiamo. Quando ci muoviamo da quello spazio qualsiasi evento acquista ai nostri occhi un valore inestimabile e riusciamo a sentirci incredibilmente “vivi”.

Riflessioni sul Metodo di Coaching HPM, dal testo Psicologia della libertà” Copyright Edizioni Mediterranee e Dott. Daniele Trevisani

L’amore e la passione
sono i motori più forti della vita.

Quando sei giù, se guardi bene, c’è qualcosa che ha a che fare con una perdita di passione.
La passione può toccare qualsiasi cosa: una persona, un ideale, un progetto, persino un oggetto, come una moto, o un fatto, o un’attività come il dipingere o suonare o fare sport. Quando qualcosa ti appassiona veramente, senti di essere vivo e nulla pare remare contro. Anche le performance più profonde e i progetti richiedono amore e passione.

Per amore si intende un sentimento forte e universale di unione, che può toccare il vissuto sentimentale di un uomo o di una donna, ma anche il rapporto genitore e figlio, amicizie fortissime, e persino un ideale, un oggetto o una produzione, o la natura. Esempio: l’amore per un paesaggio e l’estasi che produce. Il senso di connessione profonda che riesci a provare ti fa vedere la vita in chiave positiva. Questo è il sentimento di essere parte di qualcosa di più grande e di più importante della tua persona. Qualsiasi forma di intelligenza, prima o poi, per essere viva, deve sviluppare la capacità di provare sentimenti.

Amore per...


Esiste una sterminata e interessantissima letteratura su ogni tipo di sfera inerente la psicologia dell’amore: ad esempio, cosa significa per una persona il primo amore e quando avviene nel tempo e in diverse culture. [1]

L’approccio allo studio dell’amore avviene in numerose discipline: si studia l’amore come fenomeno in psicologia, sociologia, antropologia, zoologia, religione, letteratura. Nelle scienze della comunicazione viene studiato il linguaggio dell’amore o la comunicazione seduttiva. In chimica, biologia, in campo medico e neurologico, l’amore viene addirittura analizzato per scoprire i meccanismi biochimici ed elettrici che avvengono nel “cervello che ama”.

In sede di Coaching analitico non sono tanto i meccanismi chimici a interessare l’impostazione del lavoro, quanto i meccanismi affettivi, il loro risveglio, la loro canalizzazione verso obiettivi importanti. Obiettivi che accendono la passione delle persone e le riempiono la vita.
Se non si ama ciò che si fa, le performance non accadono, o se avvengono, non sono atti di espressione, ma costrizioni, risultati destinati a durare poco.

Individuare concetti da amare, risultati da ottenere, localizzarli bene, significa iniziare a dare forma a vaghe rappresentazioni mentali.
Localizzare per cosa vivere è uno dei lavori di coaching e di formazione più importanti: far scoprire concetti, amarli e farli scoprire agli altri.

Questo può significare fare scouting (scovare nuovi orizzonti per il e con il soggetto, accompagnarlo in questa delicata operazione), ma anche fare archeologia umanistica, andare a trovare ciò che la persona era, riscoprire passioni, ambizioni, aspirazioni, amori per… progetti abbandonati, sogni giovanili o di altri stadi di vita, qualcosa che è stato sepolto dal self-silencing (il meccanismo, che si estende a ogni ambito della vita dell’individuo, di auto-silenziamento dei propri bisogni profondi e delle proprie aspirazioni.

Questi dati a volte confusi sono localizzati nel passato del soggetto, e questo è un altro forte motivo per non fuggire all’analisi del passato in operazioni di coaching analitico.
Uno dei meccanismi più forti notati nella psicologia dell’amore è proprio il self-silencing, mettere il silenziatore alle proprie passioni. E’ un fenomeno esaminato nel campo delle relazioni amorose romantiche, ma la sua validità, come variabile da analizzare, si estende in ogni ambito umano, soprattutto alle ambizioni personali che la persona ha “silenziato”.

Nell’HPM [1] si pratica una tecnica specifica denominata Scouting affettivo, per indicare l’attività di scavo alla ricerca di quel “fuoco” che alimenta le passioni di un individuo.
Quali sono ora? Quali erano in passato? Quanto sono sopite o attive? Quanto la persona è “spenta” o “accesa”, morta o attiva, sul piano delle passioni? A quante passioni, idee e aspirazioni è stato messo il silenziatore, e cosa ne è rimasto? E, soprattutto, cosa può produrre passione per il futuro?

Il senso di un coaching è produrre e alimentare amore verso… amore per… amore per se stessi, per un’azione terapeutica di autostima, amore verso una causa, amore verso un progetto.

[1] Vedi Diederik F. Janssen, “First Love: A Case Study in Quantitative Appropriation of Social Concepts”, in Qualitative Report, v. 13, n. 2, June 2008, p. 178-203.

[2] Il Metodo HPM™ (Human Performance & Potential Modeling) – vedi “Il Potenziale Umano: Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance” del Dott. Daniele Trevisani – Ed. FrancoAngeli.

Per approfondimenti vedi:

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Articolo estratto dal testo “Il potenziale umano – Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

Esiste un momento sacro nella vita, in cui una persona decide se vuole o meno correre, o stare sul divano, o magari alternare le due cose, e se corre, vuole imparare ad accorgersi se ha o meno uno zaino sulle spalle, decide di guardarvi dentro. Può fare male, ma è un dolore che produce crescita.

Chi lo fa, si impegna per individuare i sassi e zavorre e distinguerli dalle cose buone, e lavora per iniziare a buttare fuori sassolini e macigni, liberarsi dalle zavorre, alleggerirsi, e correre più libero. 
Questo momento è sacro, ma ad oggi nessuna istituzione lo promuove, anzi, è decisamente temuto. I liberi pensatori hanno sempre fatto paura.
Le performance sono forme di pensiero pratico e voglia di vivere in azione.

Esiste una vera sacralità dell’esistenza,
come recita un capo Indiano:
Nascere uomo su questa terra è un incarico sacro.
Abbiamo una responsabilità sacra,
dovuta a questo dono eccezionale che ci è stato fatto,
ben al di sopra del dono meraviglioso
che è la vita delle piante, dei pesci, dei boschi, 
degli uccelli e di tutte le creature che vivono sulla terra…

(Shenandoah Onondag)[1]

Ognuno di noi ha ricevuto un’eredità mentale e genetica da chi lo ha preceduto, un patrimonio di risorse, per alcuni ricco e pieno di frutti, per altri disastrato e pieno di debiti non pagati, con la quale fare i conti. Di questo non abbiamo né colpe né meriti, è il nostro punto di partenza.

Da questo punto in avanti, tuttavia, si avvia la responsabilità della persona nel compiere suoi progressi, tentativi anche piccoli, una responsabilità potente e individuale del volere realizzare se stessi, provare a farlo, o progredire per quanto sia possibile, senza accettare la stasi o la passività (passività da non confondere invece con capacità di rilassamento, un tratto invece positivo). 

E quando parliamo di potenziale umano o espressività, non esiste punto di arrivo o traguardo finale. Si tratta di un atteggiamento costante di amore per la vita e per la ricerca. La scienza è un’amica importante, perché dimostra che esistono possibilità enormi di emancipazione umana e crescita del potenziale personale. Una grande quantità di studi provano che è possibile mettere mano attivamente alla propria espressività e alle abilità, sia generali che specifiche. Ma per farlo occorre volontà e lavoro allenante. 

Sacralità e tecnica dell’emancipazione: togliere i sassi dallo zaino

Lo studio autonomo o di gruppo, la crescita voluta, le esperienze, ma anche il lavoro allenante, formativo, di coaching, di counseling, di training, sono forme per alimentare le nostre ali per volare. Amplificare il potenziale umano significa dare ali a chi non le ha, e aiutare le persone che già volano a volare ancora più in alto.
Con le tecniche giuste, anche persone con handicap hanno potuto amplificare la propria espressività, nel caso specifico l’espressività comunicativa, grazie al ricorso a training particolari basati su tecniche efficaci. 

Ad esempio, se parliamo di comunicazione verbale, il prosodic modeling[3] – tecnica che allena la persona a gestire meglio il parlato, il ritmo e intonazione, la buona scansione delle sillabe – migliora la capacità di esprimersi bene, di generare frasi compiute e comprensibili, e ha prodotto effetti scientificamente dimostrati. Il miglioramento è un fatto concreto e possibile. 

Ed ancora, è scientificamente dimostrato che le tecniche teatrali nelle loro varie forme (incluso il role-playing, lo psicodrammale simulazioni) possono essere usate con successo nella formazione in azienda, e anche per aumentare l’espressività di ragazzi con problemi, con risultati tangibili, reali, forti. 

Gli studi dimostrano efficacia su variabili determinanti dell’espressività, quali listening skills (capacità di ascolto), eye contact(gestione del contatto visivo), body awareness (consapevolezza corporea), coordinamento fisico, espressività facciale e verbale, focalizzazione e concentrazione, flessibilità mentale e problem solving skills, capacità di interazione sociale, ma anche tratti psicologici quali la self esteem (autostima)[3].
Sono ambiti localizzati, dettagli di un puzzle di crescita, ma sono avanzamenti possibili e mostrano una via, una possibilità reale.

Questo per noi significa tanto: le persone possono andare oltre la posizione di partenza ereditata e oltre lo stato in cui si trovano, qualsiasi esso sia:
(1) problematico o patologico,
(2) normale o mediano,
(3) eccellente o agonistico.

Sicuramente chi si impegna in programmi di sviluppo, su qualsiasi stadio di partenza, sta facendo uno sforzo intenzionale per andare oltre l’eredità ricevuta, e ha un merito. Lo ha anche chi li supporta, i coach, trainer o terapeuti che vi si impegnano. Lo hanno anche i leader se e quando nelle imprese fanno crescere le persone. I leader sono coloro che sviluppano le persone e non solo risultati. Espressività è liberazione di sé, energia, possibilità di emancipazione, dare aiuto e contributi agli altri e ai loro sogni, così come ai nostri. 

Le performance e l’apprendimento sono atti di espressività che non arrivano ad un punto per poi fermarsi, sono piuttosto momenti di azione, seguiti da altri di riflessione, ricarica, e poi ancora ricerca di altre zone di espressività e altre crescite, altri progetti positivi, e ancora riposo, contributi, espressione, in un susseguirsi di “respiro vitale”, un battito di vita profondo e potente.

Ci si può esprimere in una poesia, in una corsa, in un progetto aziendale. Ci si può esprimere aiutando il prossimo, nel volontariato, o in una ricerca spirituale.Ci si può esprimere nel raccontare con vividezza un racconto o una favola ad un bambino. Non è necessario far soldi o vincere le olimpiadi per esprimersi.
Ci si può esprimere nelle professioni, nel lavoro, nell’impresa, ma diventare ricchi non è sempre sintomo di successo vero, anzi, persone che hanno raggiunto obiettivi spirituali, come Gesù, San Francesco, i monaci buddisti, e altri illuminati, hanno deciso che il loro metro di misura fosse altro

È questa la vera emancipazione: decidere quale sia il nostro metro di misura senza ingoiarlo a forza da altri, non assorbirlo passivamente e impregnarsi da quanto certa società vorrebbe a forza, il consumismo, l’esaspe­razione, il comportamento “produci-consuma-muori”.

Ma, quello che conta ai fini formativi, è che – qualsiasi sia il target o l’obiettivo – l’espressività sia percepita come fattore altamente “lavorabile”, così come lo è, più in generale, ogni ambito della crescita e del potenziale umano.


[1] Audrey Shenandoah (1995), Nascere uomo, in Il Grande Spirito parla al nostro cuore, Red Edizioni, Milano.

[2] Young, Arlene R.  et al. (1996), Effects of Prosodic Modeling and Repeated Reading on Poor Readers’ Fluency and Comprehension, Applied Psycholinguistics, v. 17, n. 1, pp. 59-84, Mar.

[3] Bailey, S.D. (1993), Wings To Fly: Bringing Theatre Arts to Students with Special Needs, Woodbine House, Rockville.


Per approfondimenti vedi:

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