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analisi della conversazione

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Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team

Gestione strategica della conversazione

Se è vero che la leadership non è un “certificato burocratico” che si possa acquistare, ma si guadagna sul campo, è altrettanto evidente che la leadership reale richiede modalità di comunicazione interpersonale specifiche. La comunicazione interpersonale deve concretizzare il carisma, la capacità di motivare e guidare, monitorare e dare feedback, in ogni singola conversazione.

leadership

La psicolinguistica studia l’acquisizione del linguaggio nel­l’uomo e l’uso che egli ne fa nelle relazioni interpersonali. Una psicolinguistica della leadership dovrà quindi analizzare come il leader acquisisce il “linguaggio da leader”, lo studio del­l’acquisizione del linguaggio, il suo uso in relazione alle variabili psicologiche ed emotive che si connettono al­l’“essere leader”.

Uno degli effetti più concreti della teoria è la sua capacità di mettere in luce la necessità di un training adeguato dei leader e dei manager (di qualsiasi essere umano intento a raggiungere obiettivi) sul­l’allargamento dei propri repertori di stile comunicativo, riconoscimento degli stati conversazionali in corso e sulla capacità di gestione strategica degli stili conversazionali.

Un secondo effetto concreto è lo spostamento del problema della leadership da una “generica strategia leadership” a una “strategia di comunicazione per la leadership”, attenta al funzionamento delle comunicazioni quotidiane, giornaliere, sino ai singoli brani e spezzoni di interazione (attenzione al livello micro della leadership).

Senza attenzione agli stati conversazionali, qualsiasi riunione, meeting, discussione o incontro di direzione, qualsiasi interazione interpersonale in azienda rischia di disperdere le proprie energie lungo rivoli improduttivi anziché canalizzarsi nella risoluzione di problemi o nella progettualità.

Lo stesso vale per ciò che accade durante un pranzo o cena al­l’interno di una famiglia. Quali modelli di conversazione prendono piede inconsapevolmente durante una cena? Quali sono positivi per il clima? Quali negativi?

La teoria degli stati conversazionali ci aiuta anche a prendere consapevolezza dei rapporti tra conversazione e contesto della comunicazione.

Nel setting della “famiglia a tavola”, la presenza di una televisione accesa facilita o inibisce lo stato conversazionale desiderato? È accesa forse proprio per evitare di avviare conversazioni più profonde? È forse solo un’abitudine?

Qualsiasi sia la risposta, il problema non è la scelta (chiunque può scegliere di tenere o meno accesa una televisione a tavola) ma la consapevolezza di che cosa la scelta produce, che cosa genera, quali sono gli effetti di un elemento di setting sul­l’esito della conversazione.

Creare conversazioni strategiche significa costruire attivamente il setting. Quanto incide la presenza altrui in un chiarimento tra persone? Quanto i rumori di fondo, il momento della giornata, e ogni altra variabile di contesto?

Ecologia della conversazione

La teoria è sviluppata nel metodo HPM come contaminazione tra (1) gli studi di microsociologia del­l’interazione (soprattutto la Frame Analysis di Goffman) e (2) l’analisi degli stili comunicativi (codici e sottocodici), con riferimento principale alla scienza semiotica. Sullo sfondo di questa teoria si collocano (3) i contributi derivanti dagli studi sul­l’analisi della conversazione, che vedono tra i protagonisti Bercelli (per il contesto italiano) e altri autori nel contesto internazionale (Antaki 1998; Bazzanella 2002; Bercelli, Leonardi e Viaro 1999; Drew ed Heritage 1992; Fasulo e Pontecorvo 1999; Galatolo e Pallotti 1999; Goffman 1987 [1981]; Mizzau 2002; Ochs e Capps 2001).

La teoria del­l’ecologia della comunicazione intende far riflettere sul­l’effetto che assumono gli stati conversazionali al­l’interno dei climi dei gruppi, producendo emozioni positive o negative, vissuti sereni o ambienti avvelenati.

L’ecologia studia il grado di salubrità degli ambienti nei quali vive l’uomo, inclusa la presenza di agenti inquinanti e altri elementi che danneggiano la salute o il benessere. Il tema del­l’ecologia della comunicazione evidenzia come tra gli agenti esterni si debbano considerare i messaggi che il soggetto riceve, minuto dopo minuto, ora dopo ora, giorno dopo giorno.

La sommatoria e stratificazione di messaggi, input comunicativi ricevuti e scambi determina per la persona un progressivo avvelenamento o (sul fronte opposto) una progressiva depurazione del­l’organismo inteso come sistema corpo-mente.

Le implicazioni pratiche per la direzione d’impresa vanno diritto al cuore del­l’azienda. Prestando attenzione al­l’ecologia della comunicazione aziendale possiamo intervenire sul­l’“aria che si respira in azienda”, sulla produttività dei gruppi, possiamo limitare la fuga dei cervelli aziendali e avvicinare le migliori menti. Sempre che le si cerchi veramente.

L’azienda come luogo nel quale si possa vivere ed esprimersi creativamente, e per il quale vale la pena di sforzarsi e impegnarsi, non è solo immagine pubblicitaria, può diventare concreta realtà.

Le implicazioni sulla famiglia sono altrettanto forti: disagio, fuga, abbandono, separazione vs. amore, unità, serenità, piacere del vivere assieme.

Senza attenzione a questi elementi i climi aziendali possono sfuggire di mano, il tempo del personale diventa sempre meno produttivo e sempre più dedicato al conflitto interno, e si attivano i meccanismi di fuga o conflitto.

Ci sembra che queste tematiche richiedano una certa attenzione.

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Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team

Analizzare una conversazione

Se analizziamo una conversazione tra persone, possiamo notare alcune caratteristiche della loro comunicazione, così come se analizziamo una riunione o un dialogo di gruppo.

Leadership conversazionale

Estendendo queste analisi alle comunicazioni dei team possiamo fare interessanti scoperte.

Innanzitutto la prima cosa che si può osservare è chi prende per primo il turno di parola. Chi inizia a parlare per primo si assume, si autoassegna, una leadership conversazionale, e diventa protagonista della gestione delle forme e dei contenuti.

Può accadere poi che un altro soggetto si appropri del turno, autoassumendosi sia la leadership che il ruolo di mediatore del gruppo. Per esempio, uno degli amici, rivolgendosi a ognuno degli altri, chiede: “Voi dove vorreste andare? A te, per esempio, dove piacerebbe andare?”.

Chiedere a tutti a turno “a te dove piacerebbe andare” è una precisa mossa conversazionale, che denota e precisa il ruolo di conduttore.

Altra caratteristica della leadership conversazionale riguarda la modalità della conversazione, la capacità del soggetto di toccare specifici problemi o passare ai metaproblemi.

I “problemi” trattano specificamente l’argomento della conversazione, nel­l’esempio della ricerca di una destinazione comune: il periodo, la meta, la durata ecc., quindi il “viaggio”.

I “metaproblemi” invece osservano il gruppo stesso, il loro funzionamento, lo analizzano dal­l’alto. Si trattano argomenti magari non direttamente collegati al tema della conversazione, per esempio i valori che fanno da collante al gruppo.

Nell’analisi della conversazione viene prestata attenzione primaria alle mosse conversazionali. Possiamo iniziare a sensibilizzarci al valore relazionale delle mosse, distinguendo le mosse di avvicinamento da quelle di allontanamento. La prima si ha quando un soggetto, attraverso il contenuto delle sue parole e soprattutto il tono, crea e rafforza un legame tra se stesso e gli altri soggetti. Al contrario una mossa di allontanamento crea o aumenta una distanza relazionale. Questo atto ha solitamente una connotazione negativa, ma nella gestione dei team vincenti sono necessarie entrambe.

Un’ulteriore capacità indispensabile è la comprensione delle linee di conversazione e della gestione dei turni (vedi a riguardo Goffman 1959). Quando due persone stanno parlando tra loro, sono unite da una linea immaginaria, che può essere verbale, paraverbale o visiva.

Se una terza persona cerca di immettersi nella conversazione, interrompendo tale connessione, si ha un ingresso o tentativo di ingresso, che può essere più o meno appropriato, più o meno aggressivo, più o meno opportuno. Un ingresso rappresenta esso stesso una mossa conversazionale.

Dal­l’attento ascolto di una conversazione emergono non solo le caratteristiche appena descritte, ma anche la personalità dei soggetti. Infatti, da ciò che uno dice e dal modo in cui si esprime si può dedurre se il soggetto è aperto o chiuso, introverso o estroverso, se ha un atteggiamento verso la vita positivo o negativo.

Questa considerazione introduce un altro importante concetto delle ricerche sulla leadership nel metodo HPM (Human Potential Modeling), i prototipi cognitivi, o “modelli dominanti di pensiero”. Essi sono una sommatoria di variabili psicologiche tra cui credenze, atteggiamenti e valori. Permettono di creare delle “etichette”, o punti di osservazione, attraverso i quali è più facile identificare le caratteristiche del soggetto. Un’“etichetta” molto usata è la “visione del mondo”, che trasuda dal modo di esprimersi e dal contenuto di ciò che il soggetto afferma.

Utilizzando i prototipi cognitivi è possibile avvicinarsi al mondo soggettivo, decodificare le mappe mentali del soggetto e stimolare l’empatia, che è la capacità di intuire che cosa si muove nel­l’universo mentale dell’interlocutore, come si senta in una situazione e che cosa realmente provi al di là di quello che esprime verbalmente.

Le persone durante una conversazione possono attuare giochi di faccia, così definiti da Goffman, e cioè giochi sulla propria immagine o su quella di altri (Goffman 1969).

Per esempio, il leader della conversazione, rivolgendosi a uno dei presenti, chiede: “Tu, avventuroso come sei (detto in modo ironico), dove vorresti andare in vacanza?”.

In questo modo il leader attribuisce l’aggettivo ironicamente “avven­turoso” al­l’amico, lo etichetta e lo definisce in termini di immagine sociale in pratica come un codardo, e questo può rappresentare un grave attacco alla faccia sociale.

Tali giochi di faccia possono essere utilizzati anche per intervenire a favore o a sfavore di qualcuno o per proteggergli la “faccia”.

Guardando alla conversazione come a un gioco di stimoli e risposte, si possono identificare diverse modalità con cui il soggetto stimolato può rispondere agli input. Le ALC (Action Lines Conversazionali) definite dal metodo HPM sono scelte tattiche rispetto a una gamma di opzioni.

Si posso avere risposte di tipo:

•     accondiscendenza (dimostrarsi d’accordo);

•     negazione (dimostrarsi in disaccordo);

•     up-keying (drammatizzare ciò che è stato detto);

•     down-keying (sdrammatizzare ciò che è stato detto);

•     depistaggio conversazionale (cambiare discorso evitando di rispondere, distogliere la conversazione dal tema);

•     ricentraggio conversazionale.

Nella scelta della risposta a uno stimolo si può anche mettere in pratica la cultura dei confini (altro tema di ricerca peculiare del nostro approccio), cioè la capacità di tenere a distanza l’interlocutore o decidere le distanze relazionali adeguate entro le quali far girare il rapporto.

Per esempio esplicitare in modo diretto o indiretto al proprio partner occasionale o professionale che non si desiderano ingerenze riguardo alla vita privata, o il modo di educare i figli, è un modo di fissare la dinamica del rapporto, di decidere e dire “fino a qui puoi entrare, oltre no”.

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  • Dow- keying
  • Depistaggio conversazionale
  • Ricentraggio conversazionale
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Comunicazione efficace

Una delle questioni più critiche nella creazione e gestione di gruppi vincenti è l’incomunicabilità. Non capirsi, andare in direzioni diverse, non parlarsi, litigare, rimanere a un livello di coscienza e conoscenza solo superficiale sono solo alcuni sintomi.

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Mancano modelli specifici che ne indagano le possibili cause, e lo sforzo di ricerca che sto portando avanti si è concentrato da decenni nella ricerca delle leve su cui agire per arrivare alla risoluzione del problema “inco­municabilità”, cercando l’efficacia resa possibile solo da una comunicazione profonda e di alto livello. L’incomunicabilità è spesso identificata come contrario di empatia, o capacità profonda di capire l’altro. In questo nostro approccio vogliamo invece opporla al suo vero rivale: l’efficacia. Incomunicabilità ed empatia affondano le proprie radici nella conversazione, la quale è oggetto di una scienza specifica (analisi della conversazione) che ne analizza le caratteristiche. L’analisi della conversazione può avere una forte implicazione sia sul piano terapeutico che all’interno delle organizzazioni.

La coscienza della realtà e la presa d’atto della realtà da parte di un gruppo: Shared Situational Awareness (SSA)

Una delle sfide che attende un gruppo ad alta efficacia e che opera in condizioni difficili o estreme è la grande capacità di distinguere il vero dal falso, le opinioni dai dati, la percezione falsata da una buona percezione.

Oltre a questo, sarà anche necessario imparare a condividere, a scambiare, a ricercare una percezione condivisa, ove le percezioni individuali siano diverse.

Senza questa capacità, al posto di un team avremmo un insieme di cani randagi, al posto di un branco di lupi un insieme di individui sconnessi.

Vediamo come viene definito il concetto da fonti militari.

Shared Situational Awareness (SSA)

La situational awareness (conoscenza, consapevolezza della situazione) indica il grado di precisione con cui la percezione di una situazione da parte di un individuo corrisponde alla realtà effettiva.

Quando la conoscenza della situazione è patrimonio comune di un insieme di attori (nel caso specifico, sensori, decisori e attuatori), si parla di “conoscenza condivisa” (shared).

I fattori che possono ridurre la consapevolezza della situazione sono fatica, stress, sovraccarico di lavoro, insufficienza della comunicazione, degrado del­l’ambiente operativo; fra quelli che al contrario contribuiscono a migliorarla vi è in primo luogo un efficiente networking della forza, che abilita la distribuzione tempestiva e capillare di informazioni precise, aggiornate e affidabili (Ministero della Difesa 2012).

Ogni singola riga di questa definizione merita grande approfondimento. In particolare:

•     il tema della precisione con cui la percezione individuale di una situazione corrisponde alla realtà effettiva;

•     i fattori di stress che contribuiscono a degradare la capacità di percezione;

•     la distribuzione delle informazioni e la condivisione.

Per compiere tutto questo, un team deve essere in grado di comunicare bene al suo interno.

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  • Percezione individuale
  • Percezione condivisa
  • Coscienza della realtà
  • Capacità di percezione

 

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Negoziazione interculturale. Comunicare oltre le barriere culturali. Dalle relazioni interne sino alle trattative internazionali”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

Analisi della Conversazione. Distinguere le fasi della negoziazione

Per avviare una analisi seria e produttiva della negoziazione, dobbiamo innanzitutto distinguere almeno tre fasi diverse[1]:

  • fase di preparazione alla negoziazione: briefing, raccolta di dati, analisi degli interlocutori e delle posizioni, preparazione di una piattaforma negoziale da discutere, preparazione dell’elenco delle argomentazioni e ordini del giorno, role-playing di preparazione negoziale, sviluppo e test delle action-lines (linee d’azione);
  • fasi di negoziazione comunicativa e front-line: la fase del contatto face-to-face; lo scambio di informative e messaggi mediati (email, corrispondenze), contatti diretti telefonici o videoconferenze, incontri personali;
  • fasi di analisi e debriefing: analisi degli esiti della negoziazione preparazione alle fasi successive.

La fase di preparazione richiede lo studio del numero più ampio possibile di informazioni affinché sia possibile entrare nella fase di contatto con cognizione di causa (consapevolezza situazionale) e conoscenza degli elementi culturali di base (consapevolezza culturale).

La fase di negoziazione, soprattutto nel face-to-face, rappresenta il terreno negoziale, il “momento della verità” in cui avvengono le azioni più significative, e poiché avvengono “durante” la conversazione, irreversibili. 

Mentre è possibile ritardare una risposta ad una email per riflettere, ciò che avviene “durante” la negoziazione frontale è sempre nel “qui ed ora”.

La fase di debriefing serve per metabolizzare le informazioni e comprende (almeno) 

  • un debriefing comportamentale: cosa è accaduto là, analisi dei propri comportamenti, ricerca degli errori, analisi dei comportamenti altrui, e 
  • un debriefing strategico: implicazioni pratiche, analisi degli esiti, preparazione delle prossime mosse. 

La negoziazione in genere richiede diversi cicli di praparazione-contatto-debriefing, per cui possiamo assimilarla ad un processo ciclico.

Tutte le fasi evidenziate sono critiche, e per ciascuna esistono strumenti e metodologie appropriate. In questo volume dedichiamo la nostra attenzione alla fase di contatto front-line, utilizzando soprattutto alcuni spunti metodologici offerti dalla Conversation Analysis (CA), o Analisi della conversazione (AC). 

L’AC è una delle discipline utilizzate nelle scienze della comunicazione per comprendere come le persone interagiscono nei rapporti faccia-a-faccia.

Dal punto di vista linguistico, utilizzando alcuni prestiti dalla AC e numerose addizioni originali, nel metodo ALM cerchiamo di “smontare” la conversazione analizzandola come un insieme di atti conversazionali, per studiarne la struttura e applicarla ai problemi concreti delle aziende e organizzazioni che devono negoziare efficacemente.

Dal punto di vista semiotico, possiamo chiederci

  1. quali siano i significati e interpretazioni di senso che ciascun attore attribuisce alle singole mosse, sul piano della relazione (semantica relazionale), e
  2. quali sono gli effetti pratici sulla relazione stessa (pragmatica relazionale). 

Dall’analisi delle mosse conversazionali sino ad interi brani di interazione, è possibile sviluppare le capacità dei manager e negoziatori nella decodifica della conversazione, e nell’acquisizione di maggiori capacità conversazionali. Inoltre, possiamo formare e acculturare i negoziatori a produrre una strategia conversazionale più efficiente e consapevole anche all’interno della propria cultura di partenza.

Analisi della conversazione. Le Mosse conversazionali

Le mosse conversazionali rappresentano specifiche azioni o “emissioni” poste in essere da un interlocutore. 

Il senso di “mossa” – assimilabile alla mossa nel gioco degli scacchi – rende bene il concetto strategico che si ritrova in ogni azione comunicativa.

Alcune mosse conversazionali (non definite in questi termini nei lavori di AC, ma da una nostra interpretazione estensiva) sono:

  • affermare,
  • anticipare,
  • attaccare,
  • cedere il turno,
  • chiedere una precisazione, fare domande di puntualizzazione,
  • chiedere per ampliare, fare domande di apertura,
  • conquistare o prendere il turno,
  • decentrare l’argomento della conversazione,
  • difendere altri,
  • difendersi,
  • negare,
  • non riconoscere l’altro o una sua emissione/messaggio (disconferma relazionale),
  • precisare,
  • ricentrare la conversazione su un argomento,
  • riconoscere l’affermazione dell’altro (conferma relazionale),
  • riparare (un errore, un fraintendimento, una mossa precedente),
  • ritrattare,
  • rivedere quanto detto (aggiustare il tiro),
  • scusarsi,
  • sollevare dubbi,
  • spostare l’argomento della conversazione (topic-shifting),
  • tirare le somme.

La negoziazione può essere vista, sotto questo profilo, come un insieme di mosse. Ogni cultura fa propri alcuni di questi repertori e li amplia, rigettandone altri, o relegandoli a pochi ambiti comunicativi. 

Nella cultura giapponese, ad esempio, dire un “no” secco è considerato un atto più scortese di quanto non sia nella cultura americana, ma questo non significa che anche un manager giapponese non metta in pratica, o possa apprendere, l’azione del dire “no” secchi. Basarsi su semplici stereotipi e prenderli come certezze è un errore.

Ogni mossa è correlata sia alle mosse precedenti del soggetto, che alle mosse altrui.

Nel campo intra-culturale esistono specifici repertori e regole conversazionali generalmente condivise, mentre in campo interculturale aumenta la diversità anche per via delle diverse modalità con cui in ogni cultura vengono gestite le mosse conversazionali.

Ad esempio in una conversazione tra adolescenti italiani può essere estremamente normale e corretto sovrapporre il parlato, stare sul parlato altrui, mentre in una conversazione tra gentlemen anglosassoni in un ricevimento diplomatico la sovrapposizione sul parlato altrui è negativa, e se fatta richiede comunque la messa in scena di mosse di riparazione.

In termini negoziali, a seconda della valenza relazionale, possiamo prestare attenzione soprattutto a:

  • mosse di avvicinamento (segnali di simpatia, amicizia, affetto, volontà di collaborare, segnali di unione), e
  • mosse di allontanamento (distacco, antipatia, rifiuto, volontà di tenere le distanze).

Sotto il profilo dei contenuti della conversazione negoziale, invece, è importante distinguere tra:

  • mosse di apertura (esplorazione informativa, allargamento, ampliamento del campo conversazionale), e
  • mosse di chiusura (tentativo di conclusione, di concretizzazione);

ed ancora tra:

  • mosse di ascolto (empatia, domande, raccolta di informazioni), e
  • mosse di proposizione (affermazioni, posizioni, richieste).

Analisi della conversazione. Deferenza, contegno, cortesia

La comunicazione interculturale, sia sul piano diplomatico che di business, richiede una particolare attenzione alle regole di cortesia, al rispetto dei ruoli, al riconoscimento delle identità altrui. 

Dal punto di vista scientifico, le ricerche di Goffman sulle regole di cortesia hanno evidenziato che esistono precisi rituali e comportamenti in ogni cultura tali da far ritenere una persona cortese e affidabile, oppure, in caso di scarsa cortesia, inaffidabile e quindi pericolosa.

Le culture occidentali urbane tendono a “ridurre le distanze” sul piano interpersonale, a “dare del tu”, a trattare le persone da eguali. Sotto il profilo antropologico, tali culture sono definite a basso contesto – low context cultures.

In molte culture di business e diplomatiche, invece, così come in molte nazioni, o nelle culture generazionali precedenti, la cultura è generalmente ad alto contesto (high-context culture); è importante il rispetto delle distanze e dei ruoli, o il mantenimento di confini finché la controparte non offra il permesso di passare ad un livello più amicale, meno formale[2].

Nelle culture ad alto contesto, inoltre, si dà più spazio all’allusione, piuttosto che alle affermazioni dirette come avviene nelle culture a basso contesto, più informali. Inoltre, le culture ad alto contesto utilizzano maggiormente parabole, proverbi, understatements (affermazioni di tono basso, poco “urlate” o “blatanti”) e antifrasi (affermazioni in negativo).

Le culture a basso contesto invece privilegiano modalità di rapporto più dirette (dirsi le cose in faccia, essere espliciti), sono prevalentemente “loud” (toni alti, overstatement), privilegiano frasi positive. 

Cortesia e rispetto sono parametri altamente dipendenti dalle regole culturali e dalle prassi locali, e generano regole a volte incomprensibili dall’interno della propria visione culturale.

Non è praticamente possibile fornire regole certe per ogni cultura con la quale si entra in contatto, anche perché le culture variano oggi molto più rapidamente grazie ai media globali, e non si può dare per scontato che un soggetto adotti esso stesso le regole del sistema del quale è parte.

Alcune regole generali della negoziazione interculturale pertanto sono dettate dal semplice buon senso, mentre altre devono essere acquisite da soggetti informati sulla cultura locale. Le regole minime di cortesia sono:

  • chiedere a soggetti informati come le persone desiderano essere chiamate (es: dottore, professore, ingegnere, presidente, ed altri titoli, oppure se amano un rapporto basato sul tu);
  • chiedere direttamente alle persone come desiderano essere chiamate, in mancanza di informatori;
  • non abbreviare il nome (non usare nomignoli) o usare il nome di battesimo senza il permesso diretto del soggetto;
  • usare titoli quali “Mr.” o “Miss.”, o altri titoli di cortesia, specialmente con interlocutori più anziani;
  • rispettare i ruoli (es: Presidente, Direttore) anche con persone più giovani che ricoprono ruoli istituzionali;
  • evitare di interrompere.

Le regole di deferenza e contegno si esprimono sia sul piano verbale, che con la comunicazione non verbale, ad esempio con un accenno di inchino nell’atto della stretta di mano, evitando generalmente manifestazioni smodate e pacchiane, ma soprattutto informandosi su quali comportamenti risultano normali o invece offensivi nelle culture altrui.

Prendere per scontati i precetti culturali senza saper capire il contesto rischia di produrre errori.

Analisi della conversazione. Le linee di conversazione

Le linee di conversazione rappresentano gli assi ideali che congiungono due soggetti impegnati nella conversazione. 

  • Interrompere due persone che parlano significa rompere la loro immaginaria linea di conversazione. 
  • Dare il turno ad una persona significa stabilire una linea di conversazione tra se stessi e un altro soggetto. 
  • Invitare due persone a confrontare un punto significa stabilire una linea di conversazione tra i due soggetti.

Le linee di conversazione possono essere sia manifeste ed evidenti (tramite il sistema verbale) che sotterrane e sottilmente mascherate (tramite il sistema non verbale, segnali, gesti, cenni). Anche il solo fatto di fare un cenno di assenso o diniego verso una persona presente all’interazione significa stabilire – anche se per brevi istanti, frazioni di secondo – una linea di conversazione, attuata in questo caso come dialogo non verbale.

Analisi della conversazione . a gestione dei turni di parola

I meccanismi di gestione dei turni di parola sono estremamente complessi, sebbene praticati da ciascuno di noi ogni giorno. Uno dei principali obiettivi del training negoziale nel metodo ALM è quello di stimolare il negoziatore ad ascoltare, a non interrompere o farlo il meno possibile e solo per motivi estremamente seri e consapevoli. 

Il flusso informativo che proviene dagli interlocutori è estremamente prezioso, e richiede l’abbandono di una “strategia di inondamento informativo” tipica della vendita aggressiva, verso una strategia dell’ascolto.

Il training alla gestione dei turni sviluppa le capacità del negoziatore nel:

  • riconoscere i meccanismi di gestione dei turni negoziali;
  • saper come entrare nella conversazione rispettando le regole;
  • identificare i momenti e strategie di ingresso e di uscita dalla conversazione;
  • creare le mosse di riparazione adeguate (repair) a fronte di mosse che possono essere percepite come offensive;
  • applicare una leadership conversazionale, consistente nel prendere le redini dei turni e divenire gestore di turni.

Analisi della conversazione. La gestione dei contenuti conversazionali

Mentre il problema dei turni riguarda soprattutto il “chi parla”, la gestione dei contenuti riguarda soprattutto il “di cosa si parla”.

Distinguiamo innanzitutto le capacità di topic setting (fissare gli argomenti conversazionali), da quelle di topic shifting(letteralmente, “slittare di argomento”, “spostare l’argomento”).

Entrambe le strategie si inseriscono in una più generale abilità di “gestione dei contenuti” (content management) della conversazione :

  • la capacità di riconoscere “di cosa stiamo parlando”: dettagli, visioni, aspirazioni, richieste, offerte, dati, emozioni. Ogni elemento conversazionale ha una connotazione. Capire “cosa abbiamo sul tavolo” in un certo momento della conversazione, “cosa sta accadendo” è uno dei principi di base della competenza comunicativa;
  • la capacità di generare fasi diverse della conversazione, ad esempio saper produrre un adeguato small talk (chiacchiere su argomenti di interesse vario, convenevoli) per riscaldare il clima conversazionale, capire se e quando ricorrere allo small talk o quando entrare direttamente sul merito; saper distinguere le fasi di apertura e raccolta informativa dalle fasi di chiusura e concretizzazione;
  • la capacità di far procedere la negoziazione lungo assi di contenuto desiderati o prefissati, seguire un ordine del giorno o uno schema mentale;
  • la capacità di modificare i contenuti della conversazione direttamente sulla base di quanto emerge durante l’interazione (modifiche contestuali, adattamenti situazionali, on-the-fly).

La negoziazione è un processo che ha tempi ristretti – quantomeno non tendenti all’infinito come nella conversazione poetica o amorosa – e i costi della comunicazione sono elevati. Ogni incontro negoziale si carica di costi precedenti (viaggi, appuntamenti, costi organizzativi e di struttura, costi delle risorse umane), di costi  cognitivi e di attenzione, e pertanto il tempo negoziale è prezioso.

Analisi della conversazione. Ricentraggio della conversazione

Il ricentraggio della conversazione è una variante “dura” delle tecniche di content management e topic-shifting. Il ricentraggio consiste nel riportare la conversazione su punti che le controparti non stanno considerando, o dai quali vogliono sfuggire, o che semplicemente non riescono a cogliere[3].

Il ricentraggio può essere preceduto e seguito da adeguate mosse di repair (riparazione, scuse, anticipazione). Nei casi estremi il ricentraggio può anche avvenire senza far ricorso a repair, generando in questo modo una situazione pre-conflittuale che obbliga la controparte a scegliere se accettare un ruolo di sottomissione conversazionale o non accettarlo e porsi in conflitto aperto.

Analisi della conversazione aziendale.

Mosse conversazionali e difficoltà nel dialogo tra aziende

La difficoltà comunicativa esiste quotidianamente nel dialogo tra aziende.

Ad esempio, in una trascrizione – non riportando la sovrapposizione del parlato, o ancora le esitazioni di chi parla[4] e le espressioni facciali che accompagnano la voce – tutto sembra ridursi ad un semplice ping-pong comunicativo mentre la realtà di una conversazione è più complessa e ricca.

Ogni mossa porta con se un’enorme mole di significati e di sistemi di significazione (sistemi culturali sottostanti).

Ogni mossa ha una valenza specifica, può essere o meno collaborativa, più o meno strategica, ma assume comunque importanza.

Proseguendo, le divergenze culturali di fondo emergeranno con ancora maggiore forza, sino alla possibile conclusione, che sarà un conflitto aperto di culture, un nulla di fatto, o un accordo.

Tuttavia, senza “smontare” la comunicazione (in questo caso, riconoscere la valenza culturale e strategica delle mosse) l’esito sarà un probabile fallimento.

La negoziazione interculturale richiede quindi una grande attenzione alle mosse conversazionali, prima ancora che a grandi strategie negoziali che possono fallire se male applicate sul campo. 

La negoziazione tra aziende si misura nel teatro vero della comunicazione che è la conversazione negoziale.

Principio – Gestione delle mosse conversazionali

Il successo della comunicazione interculturale dipende dalle competenze comunicative di:

  • gestione strategica delle proprie mosse conversazionali;
  • riconoscimento delle mosse conversazionali altrui e del loro intento strategico sottostante;
  • smontaggio ed esplicitazione (immissione aperta sul tavolo negoziale) dei sistemi di significazione della controparte.

Ogni mossa ha il suo peso.

Ancora una volta sottolineiamo come il successo nella negoziazione, o meglio la probabilità di successo, possa essere accresciuta solo da un’adeguata preparazione sulle communication skills interculturali, che comprenda sia l’analisi dei meccanismi della comunicazione efficace (elemento trasversale ad ogni negoziazione), che il suo adattamento cross-culturale (specifico rispetto alla cultura con la quale si deve interagire). 

Esistono numerosi strumenti seri per la formazione alla negoziazione interculturale[5], nei quali si apprende ad interagire con consapevolezza. Tuttavia, nelle aziende – in nome della costante mancanza di tempo – si materializza la ricerca della scorciatoia, il ricorso a regolette semplici con cui inquadrare un campo che nulla ha di semplice, un approccio da “one minute management” di assoluta superficialità, per trattare problemi che richiedono invece estrema dedizione.

Una regola va adattata al contesto in cui si applica (spazio, tempo, luogo, situazione, persone) e da cui è scaturita. I mutamenti culturali oggi sono così rapidi che la reale nuova competenza non è quella derivante da regolette comportamentali dell’ultimo minuto, ma da una competenza aumentata e allargata a tutto il processo comunicativo e dalla capacità di adattare le proprie risorse caso per caso.

Analisi della conversazione. Le difficoltà nel dialogo interpersonale

La negoziazione interpersonale è un fenomeno pervasivo e quotidiano.

Spesso ci troviamo a dover lavorare sul proprio rapporto e apprendere ad utilizzare una modalità conversazionale più consapevole: come e dove trattare certi argomenti, come accorgersi che sta nascendo il conflitto, come disinnescarlo e affrontare i problemi con reale efficacia. 

Tra persone, così come in azienda, esiste una dimensione negoziale apparente, formalizzata, ritualizzato, e una latente, pervasiva, onnipresente, sottile. Per una coppia, ad esempio, quando questa dimensione latente non viene colta, i due possono ritrovarsi dopo diversi anni in un clima d’inferno, e lanciarsi in una sequenza di accuse reciproche sull’essere – ciascuno per l’altro – la fonte della propria infelicità.

Principio – Riconoscimento della negoziazione latente

Il successo della comunicazione negoziale dipende:

  • dal riconoscimento della dimensione negoziale (riconoscere che – di fatto – stiamo negoziando);
  • dalla volontà di riappropriarsi della scelta di momento e luogo (setting) della negoziazione, decidere il setting più appropriato (locus-of-control del setting negoziale).

[1] Capitolo a cura di Daniele Trevisani, con il contributo di Fabrizio Bercelli (Scienze della Comunicazione, Università di Bologna) sul tema della Analisi della Conversazione.

[2] La distinzione tra culture high-context e culture low-context, sviluppata da Edward Hall, viene illustrata dall’autore in modo diverso, e seppure criticata perché troppo generalista, può essere comunque utile per caratterizzare diversi tratti culturali.

[3] Antonio Greci, uno dei principali cultori italiani di “ricentraggio della conversazione”,  identifica il ricentraggio come una delle principali aree di contaminazione tra conversazione terapeutica direttiva e conversazione negoziale.

[4] Vedi Yotsukura (2003), p. 49

[5] Vedi ad esempio il modello ICNS, in Samp, Jennifer (1995). The Intercultural Communication Negotiation Simulation: An Instructional Model for Teaching/Training Intercultural Communication Skills. Paper presented at the Annual Meeting of the International Communication Association (45th, Albuquerque, NM, May 25-29, 1995).

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Siti in sviluppo

Le parole chiave di questo articolo L’analisi della conversazione nella negoziazione sono :

  • Analisi della conversazione
  • Capacità conversazionali
  • Communication skills interculturali
  • Content management
  • Contenuti conversazionali
  • Decodifica della conversazione
  • Fase di negoziazione 
  • Fase di preparazione
  • Fese di analisi e debriefing
  • Linea di conversazione
  • Mosse conversazionali
  • Mosse di riparazione
  • Negoziazione interpersonale
  • Regole di cortesia e rispetto
  • Regole di deferenza e contegno
  • Ricentraggio della conversazione
  • Strategia conversazionale
  • Strategia dell’ascolto
  • Strategia di inondamento informativo
  • Topic setting
  • Topic-Shifting 
  • Turni di parola

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Analisi del processo di marketing per la vendita

Possiamo distinguere le fasi principali in tre livelli sequenziali:

  • fase della strategia di marketing;
  • fase della strategia di contatto (personal selling); 
  • fase della strategia di fidelizzazione e sviluppo della relazione.

Le tre fasi sono accompagnate da momenti trasversali quali:

  • attività di fissazione e sviluppo della leadership e people management;
  • attività di training e coaching per lo sviluppo del venditore consulenziale;
  • attività di monitoraggio dei risultati, dei comportamenti ed atteggiamenti.

I punti salienti del piano di sviluppo-cliente sono : 

Fase di pre-contatto – Strategie di Marketing :

  • la segmentazione del mercato (capire gli “strati” e tipologie di clienti esistenti),
  • la scelta dei segmenti di mercato su cui operare,
  • la selezione di specifici prospects (clienti ad alto tasso di interesse),
  • lo scouting di tali clienti (ricercare, identificare),
  • l’analisi del tipo di priorità da dare ai diversi prospects.

Fase di contatto e vendita:

  • i primi contatti personali o mediati, nei quali superare le barriere in ingresso e iniziare a costruire la fiducia, sia interpersonale che aziendale;
  • le fasi empatiche, di analisi e ascolto della situazione del cliente,
  • lo sviluppo di una attività consulenziale e migliorativa dal punto di vista delle forniture di cui dispone,
  • la ricerca di soluzioni (Solutions Selling) su cui chiudere e concludere una trattativa.

Fase di post-vendita – Sviluppo personale :

  • il consolidamento del cliente,
  • il cross-selling (ampliamento del tipo di prodotti),
  • assicurarsi che sia soddisfatto, sino a portarlo ad essere un nostro sostenitore e partner vero.

La vendita consulenziale si differenzia dalla vendita tradizionale per l’alto grado di valore aggiunto generato dal venditore stesso. 

Il valore aggiunto consiste soprattutto:

  • nella localizzazione dei segmenti di mercato su cui agire;
  • nelle scelte di posizionamento: come vogliamo posizionarci e differenziarci rispetto ai tanti competitor?
  • nella capacità di ascolto praticato dal venditore nei riguardi del cliente, 
  • nella ricerca di soluzioni personalizzate, frutto di negoziazione;
  • nella consulenza d’acquisto;
  • nel contributo culturale che si porta al cliente;
  • nel problem-solving e post-vendita, in grado di portare il cliente dallo stato di cliente occasionale a cliente fidelizzato e sostenitore.

Il consulente offre al cliente aiuto con la propria attenzione focalizzata

La vendita consulenziale parte dalla volontà del venditore di divenire partecipe di un processo evolutivo del cliente, configurandosi quindi come una forma di consulenza di processo.

La vendita consulenziale si inserisce all’interno di una filosofia di marketing aziendale “centrata sul cliente”.

Come evidenzia Kotler:

Il concetto di marketing è emerso a metà degli anni ’50 e ha messo a dura prova i concetti precedenti. Invece di adottare una filosofia centrata sul prodotto, “produci-e-vendi”, si adotta una filosofia centrata sul cliente, “ascolta-e-rispondi”.[1]

Per poter dare concretezza a questa filosofia servono però venditori consulenziali all’altezza del compito e leader preparati.

I principi del CVBU : Caratteristiche, Vantaggi, Benefici, Unicità

I principi di marketing per la vendita consulenziale:

  1. dare priorità alla ricerca di una soluzione efficace e positiva per il cliente (vendita consulenziale);
  2. costruire piani di vendita strutturata anziché azioni di vendita “alla giornata”;
  3. agire tramite campagne anziché con azioni spot;
  4. formare i venditori e sviluppare il loro potenziale;
  5. assicurarsi che i venditori dispongano di una conoscenza perfetta delle reali motivazioni di valore su ogni elemento del value mix: quali sono le caratteristiche, i vantaggi, i benefici, le eventuali unicità (CVBU), della nostra offerta e come queste si declinano per il singolo cliente.

L’analisi CVBU si applica non solo al prodotto ma all’intero marketing mix, includendo almeno CVBU del prodotto/servizio, del pricing, della distribuzione e della comunicazione/informazione.

Al centro di ogni analisi CVBU si colloca il potenziale cliente. Nessun ciclo CVBU può svolgersi in astratto: la percezione di valore ha luogo solamente nella mente del cliente.

I cinque punti primari per inquadrare le attività di vendita

Secondo la metodologia dell’Action Line Management (ALM) va posta attenzione:

  1. agli scenari: cosa succede nella domanda, nella concorrenza, nelle tecnologie, in che ambiente mi muovo?
  2. alla missione e alla consapevolezza dei suoi confini (analisi esistenziale, domande esistenziali): a chi diamo risposte, chi siamo, cosa facciamo realmente, cosa un cliente deve sapere di noi, perché non serviamo alcuni clienti, chi serviamo e chi no, dove si collocano esattamente i confini della nostra missione; all’organizzazione: come ci organizziamo per dare corpo alla missione e alla nostra visione/aspirazioni;
  3. al marketing mix / value mix: consapevolezze dei prodotti/servizi, delle loro caratteristiche, e del valore intrinseco posseduto;
  4. alle linee di azione e tattiche personalizzate: come declinare la strategia cliente per cliente, quali “strategie di interazione” adottare;
  5. al front-line, ai momenti di contatto di ogni natura, ogni momento della verità in cui il sistema azienda impatta il cliente (e non solo il cliente, anche fornitori e altri portatori di interessi);

La visita mirata all’interno di un’azione commerciale

Una visita mirata si differenzia da una visita generica in base al grado di preparazione precedente la visita stessa. 

In una visita mirata, sono stati già esplorati a priori i possibili problemi, le possibili obiezioni primarie, gli ostacoli prevalenti alla conclusione di vendita. 

In una visita mirata, il venditore è pienamente consapevole del “cosa sto entrando a fare”, distinguendo tra:

  • valutare se esistono spazi per…
  • valutare se esistono le condizioni per…
  • approfondire la situazione del cliente riguardo ….
  • concludere una negoziazione avviata entro …
  • capire la serietà del cliente e le intenzioni reali di acquisto, offrendo le seguenti alternative e scadenze…

Una visita mirata si prefigge di comprendere lo scenario del cliente aggiungendo dati e informazioni a quelle già disponibili, per poi poter puntare ad una conclusione consulenziale favorevole, che riduca i costi psicologici di acquisto e faccia leva sugli aspetti motivazionali del bisogno sottostante del cliente.

Rendere mirata una visita significa quindi:

  • anticipare gli scenari aziendali e psicologici che possiamo fronteggiare: studiare il sistema-cliente prima di entrare, sulla base dei dati disponibili;
  • chiedersi quali dati servono ancora per poter offrire una soluzione realmente consulenziale (Information Gap Analysis), e preparare una scaletta di informazioni e punti di interesse da approfondire con il cliente stesso;
  • anticipare i livelli di possibile bisogno;
  • posizionare una tipologia di fornitura desiderata (target negoziale strategico): es: distinguere tra diventare fornitori ufficiali, fare un ordinativo di prova, e altri tipi di relazioni commerciali;
  • dare ampio spazio ai momenti di ascolto del cliente;
  • entrare soprattutto per ascoltare, dare enfasi alla fase di analisi ed ascolto.
  • concludere su ipotesi di possibile interesse e soppesare con il cliente valore differenziale di ciascuna;
  • porre il cliente di fronte alla responsabilità di prendere una decisione.

La partnership strategica e il comakership (fare assieme)

Lo sforzo consulenziale viene premiato non tanto da una singola vendita ma soprattutto dalla capacità di ingresso nel sistema cliente.

Una partnership strategica è l’obiettivo sottostante la vendita consulenziale.

La partnership strategica è caratterizzata da:

  • rapporto intenso,
  • co-progettazione,
  • ricerca e sviluppo svolta su ambiti di interesse comune (Joint Research & Development),
  • contatti frequenti,
  • studi congiunti sul mercato di destinazione.

La forza contrattuale e negoziale

La negoziazione competitiva richiede la creazione di forza contrattuale. 

La forza contrattuale dipende dal livello di unicità dell’offerta (o dalla mancanza di alternative valide o succedanee) e dal livello di bisogno esistente nella controparte, mediati dalle abilità comunicative.

Le competenze negoziali competitive richiedono training alla negoziazione e alla gestione delle mosse strategiche dell’interazione. 

In particolare, il training deve focalizzarsi :

  • sulla capacità di analisi dei segnali non verbali,
  • sul controllo dei propri segnali,
  • sugli stili comunicativi verbali,
  • sull’analisi transazionale del dialogo (AT),
  • sulle tecniche di convergenza verso il risultato e di gestione strategica dell’obiezione. 

Le tecniche negoziale divengono ancora più complesse quando le trattative avvengono tra gruppi (es.: gruppi di acquisto contro gruppi di vendita) poiché la dimensione comunicativa si allarga, richiedendo competenze nell’affiatamento tra i partner e coordinamento nelle mosse dell’interazione tra i membri dell’equipe[2]. Gestire la trattativa richiede preparazione e role-playing. Una singola parola può rovinare un incontro.

Principio 2 – Del potere contrattuale e negoziale

Il vantaggio competitivo dipende dalla forza contrattuale nella trattativa.

Per il venditore o proponente, la forza dipende:

  1. dall’unicità dell’offerta: un’offerta non comparabile con altre offerte ha più valore;
  2. dalla mancanza di alternative presenti o creabili : l’impossibilità di trovare con ragionevole sforzo soddisfazione altrove;
  3. dalla mancanza di beni succedanei (beni diversi che possono svolgere una funzione simile, es: treno al posto dell’aereo);
  4. dall’impellenza del bisogno nel destinatario: un bisogno importante genera minori freni e incertezze;
  5. dal prestigio di cui gode il proponente: un proponente credibile e prestigioso crea minori barriere legate alla valutazione a priori del partner;
  6. dalla forza dei fattori oggettivi dell’offerta: le caratteristiche della prestazione – la sua tecnologia, il servizio reale.

Ciascuna di queste leve anche se presente in misura elevata non si dispiega automaticamente ma richiede abilità di valorizzazione e comunicazione.

Il dispiego ottimale della forza contrattuale (per chi offre) si correla positivamente con il livello di competenze comunicative specifiche del negoziatore (abilità negoziale del venditore) e negativamente con le competenze dell’acquirente (abilità del buyer).

Possiamo riassumere i punti salienti di una strategia negoziale individuando tre specifiche Macro-fasi:

Fase di preparazione : Briefing, analisi a priori Role-playing, preparazione delle action lines

Fase di contatto : Ricerca dei canali di ingresso, Face-to-face, Mediato

Fase di debriefing : Debriefing osservazionale (dati+emozioni), Debriefing strategico

Tutte le fasi evidenziate sono critiche, e per ciascuna esistono strumenti e metodologie appropriate. 

La nostra attenzione sarà dedicata alla fase di contatto front-line, utilizzando soprattutto alcuni spunti metodologici offerti dalla Conversation Analysis (CA), o Analisi della conversazione (AC). 

Al centro di tutto, nel contatto umano, si colloca la capacità di ascolto, senza la quali gli sforzi precedenti per “entrare” in un sistema cliente diventerebbero vani.


[1] Kotler. Dal cap. 1 “La comprensione del processo di marketing management”, in “Il marketing secondo Kotler”

[2]  Vedi Goffman (1959) per l’analisi dei comportamenti pubblici delle equipe.

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Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Stili di comunicazione e relazione

Ognuno di noi comunica con un certo stile. È importante:

  • riconoscere con quale stile comunichiamo;
  • saper flessibilizzare lo stile per potersi relazionare ad interlocutori diversificati

Esempi di stili comunicativi, con parole tipiche dello stile:

  • Intellettuale – parallelismo, canovaccio, piattaforma progettuale.
  • Dinamico – veloce, rapido, risultato, obiettivi, vincere.
  • Aggressivo – ha capito? Non so se sono stato chiaro? Mi sta seguendo? Qui c’è troppa gente che cazzeggia, non abbiamo tempo da perdere. È ora di concludere, adesso!
  • Sottomesso – se lei vuole, se preferisce, come lei desidera, se non disturbo, facciamo quello che vuole lei, non c’è problema, siamo molto flessibili su tutto.
  • Rustico/volgare – ma và, non rompere i coglioni,  sono tutte seghe, ve la tirate troppo, è ora che ci diamo una mossa.
  • Politicante – bisogna valutare, si tratta di ricercare un compromesso, dobbiamo trovare delle sinergie, serve una piattaforma programmatica, è necessario un confronto di visioni.
  • Anglo-manageriale – il breakeven point, il marketing mix, la supply chain, la customer loyalty, è una questione di customer satisfaction, dobbiamo fare qualcosina sul cross-selling, anche in relazione alla gantizzazione del progetto.
  • Ottimista – è una bella opportunità, ci sono forti possibilità, è un progetto bellissimo, sento che le cose andranno veramente bene, sono sicuro che ce la faremo. 
  • Pessimista – non si può fare, è difficile, non ce la possiamo fare, ci sono troppe incognite, è un mondo difficile, non lo hanno mai fatto altri, è troppo nuovo, non lo conosco, non mi fido.
  • Concreto: scadenze, fissare, concludere, concretizzare, definire, inquadrare, arrivare a stringere, non perdere tempo, non perdiamo tempo, andiamo al sodo, badiamo ai risultati.

…ogni altro stile identificabile nel panorama sociale circostante.

Ognuno di noi comunica con un certo stile. È importante per la vendita consulenziale e la negoziazione saper riconoscere gli stili altrui e capire con quale stile rispondere.

Caratteristiche

Conoscere bene le caratteristiche dei prodotti e dei servizi, conoscerle a fondo e nei dettagli.

La conoscenza delle caratteristiche di prodotto, o delle caratteristiche del progetto che stiamo esaminando, è conseguibile attraverso lo studio, il confronto con esperti, e soprattutto attraverso metodi che permettano di metterla alla prova, come il role-playing.

Sessioni di domanda-risposta possono aiutare molto a mettere alla prova la conoscenza del prodotto.

Per una società di formazione, il direttore potrebbe dire ai propri consulenti: fammi vedere come spieghi ad un cliente la differenza tra coaching, training, counseling, e un workshop. Fammi vedere cosa risponderesti se un cliente ti chiede che differenza c’è.

Vantaggi

Conoscere i vantaggi competitivi significa sapere quali plus abbiamo rispetto alla concorrenza, e come questi vantaggi diventano utili, si trasformano in benefici tangibili o percepibili per un cliente o utilizzatore.

I vantaggi possono essere sia competitivi (riferiti a possibili alternative della concorrenza: in cosa siamo migliori rispetto ad altri) o vantaggi assoluti, riferiti al beneficio che ne può trarre il fruitore (che aiuto e vantaggi hanno le nostre proposte o soluzioni).

Benefici e relazione tra benefici ipotizzati e bisogni reali

Che benefici può trarre un cliente dalle nostre caratteristiche, dai nostri vantaggi competitivi?

I benefici riguardano una molteplice sfera di bisogni, sui quali dovremmo fare grande chiarezza. Spesso i benefici ipotizzati sono altamente distanti dai bisogni reali, che possono riguardare aree come:

  • il bisogno di risparmiare e liberare risorse per altri progetti;
  • il bisogno di sicurezza, garanzie, affidabilità;
  • il bisogno di efficienza, e di strumenti che la rendono possibile;
  • il bisogno di immagine, la necessità di poter esibire qualcosa ai propri interlocutori esterni, clienti o referenti politici;
  • il bisogno di azione, la necessità di poter dire ai propri interlocutori esterni, clienti o referenti politici, che si sta facendo qualcosa;
  • il bisogno autorealizzativo, diventare il massimo di ciò che si può essere, raggiungere il proprio potenziale, o un proprio sogno, sviluppare un proprio ideale.

I benefici non si collegano automaticamente alle caratteristiche dei prodotti, servizi o idee, ma diventano tali solo quando si realizza una connessione mentale tra caratteristica e bisogno.

Unicità e distintività

In quali elementi di prodotto o di servizio riusciamo ad essere unici, ineguagliabili? In quali punti di forza si concentra la nostra unicità? Cosa possiamo fare solo noi così, avere solo noi, o “essere” solo noi?

In cosa si caratterizza la nostra distintività? Nella certezza della parola data? Nei tempi di consegna? In qualche brevetto? Nelle relazioni umane? Nella capacità di analisi? Nella capacità di vendere fiducia? Nell’essere i leader di mercato per ricerca e sviluppo? O nell’essere i leader di costo? O di convenienza? O in quali altri campi? 

In altre parole, in cosa vogliamo essere percepiti come “diversi” per uscire dalla massa indistinta dei possibili fornitori?

Il nostro valore, il valore reale e il valore percettivo

Da dove deriva il nostro valore? Essenzialmente, dalla capacità di offrire benefici, soluzioni, e dare risposte ad esigenze sentite. Il valore può provenire anche dall’insieme delle caratteristiche di credibilità personale, di credibilità aziendale, sommato alle caratteristiche, vantaggi, benefici e unicità del mix di offerta aziendale, dei suoi prodotti/servizi, sistemi di prezzo, logistica, distribuzione, informazione, e customer care

Il valore reale (osservato dal punto di vista del venditore) è spesso diverso dal valore percettivo visto dal cliente. Il cliente può solo intuire e cogliere solo in parte, da pochi elementi di contatto, una realtà complessa. 

Il valore può essere amplificato o invece “ucciso” da poche informazioni o da dettagli apparentemente insignificanti che distruggono la fiducia (distrust signals, segnali di sfiducia). 

Una delle missioni fondamentali del venditore e del negoziatore è far emergere il valore e costruire il clima di fiducia ed emettere i segnali generatori di fiducia (trust signals) che permettono alla relazione di avanzare.

Trasmettere il concetto di cui si è portatori, e interessarsi al processo del cliente

Ogni venditore porta con sè stesso un’immagine di sè (self image) e una immagine della propria azienda (corporate image). Queste realtà percettive emergono in ogni interazione, che egli ne sia consapevole o meno. 

Egli porta con sè anche l’immagine che possiede della propria azienda, i suoi limiti, i suoi punti di forza, ne definisce una immagine mentale: “azienda tradizionalista” “azienda tecnologica” “boutique”, oppure “discount” – non importa di quale settore merceologico si stia parlando.

Vendere i prodotti di un’impresa non significa esporre semplicemente il suo catalogo prodotti. Significa soprattutto vendere il “concetto” che l’azienda rappresenta. 

Ad esempio, un venditore BMW dovrebbe sapere che in qualsiasi trattativa di vendita sta rappresentando non solo un insieme di bulloni, ruote e lamiere, ma soprattutto il concetto di un’auto prestigiosa, tedesca, solida, sportiva, un punto di arrivo

Sulla negoziazione politica o progettuale, troviamo un parallelo. Avere come partner un paese come la Germania in un progetto significa far entrare nel progetto un senso di “ordine” e di “tecnologia”, avere l’Italia può significare far entrare il concetto di “creatività”, ma anche connotazioni negative come “confusione” per l’Italia, o “rigidità” per la Germania.

Ogni negoziatore deve sapere quali immagini mentali porta con sè e quali sono associate al proprio sistema di appartenenza.

Identificarsi come un “punto di arrivo”

Chi entra in negoziazione vedendosi come una “seconda scelta” inevitabilmente trasmette questo concetto alla controparte. 

Identificarsi come un punto di arrivo è importante per creare un senso di autostima e sicurezza che emergerà nella trattativa. Questo è reso possibile solo da un grande lavoro sulla consapevolezza di sè e dei punti di forza aziendali.

Vendere un “punto di arrivo” è ben diverso dal vendere un insieme di parti meccaniche o pezzi di servizio.

La scena si complica se consideriamo che il cliente ha una propria percezione di cosa sia un “punto di arrivo” e questa può essere diversa dalla nostra.

Entra qui in scena la “psicologia della comprensione del cliente”, il desiderio forte di entrare nel suo mondo, alimentato da curiosità, volontà di capire, desiderio di non fermarsi alla superficie.

Per vendere un concetto assimilabile ad un “punto di arrivo” bisogna sapere quale è il punto di partenza, cioè da quale situazione parte il cliente, e perché egli aspira ad un diverso punto di arrivo. 

Dobbiamo chiederci se e perché il cliente è contento della situazione che in quel momento ha o vive, cosa desidera cambiare, in quali termini desidera evolvere, e cosa lo frena. In altre parole, dobbiamo interessarci del processo del cliente (entrare nei processi). Solo in questo modo la vendita potrà diventare consulenziale e trovare le migliori opzioni che permettono di concretizzare un risultato aziendale. 

Fare questo, significa applicare alla vendita i metodi della “Consulenza di Processo”, ovvero far convergere vendita e consulenza in un unico metodo di vendita consulenziale.

Passare dall’interesse generico alle pratiche conversazionali che lo rendono concreto

Tutti condividono a parole e in teoria un generico senso di “attenzione verso il cliente” ma pochi lo sanno tradurre in pratiche conversazionali e azione. 

Nei “momenti della verità”, in una vera negoziazione di vendita con un vero cliente, possiamo osservare e misurare se i concetti diventano realtà conversazionale, se cioè il venditore riesce a tradurre i concetti di “centratura sul cliente” in vere domande, in riformulazioni, in esplorazione, ricentraggio degli argomenti di conversazione. 

Dobbiamo analizzare se egli sa cogliere i depistaggi, o i tentativi di esproprialo del suo ruolo consulenziale. Dobbiamo accorgerci, se siamo Direttori Vendite o coach di vendita, se il venditore ha vere capacità di fare domande centrali e fare analisi – o se invece si disinteressa del processo del cliente, non pone domande, non cerca di capirlo veramente, non esplora il suo “mondo” e le sue evoluzioni, e lascia che sia il cliente a decidere quale ruolo egli deve giocare.

Un altro esempio sul tema del “vendere un concetto” prima ancora di un prodotto. L’esempio questa volta è semi-autobiografico, poiché tratta di un mercato, quello della formazione e del coaching, nel quale viviamo ogni giorno. 

Chi opera con o per il nostro Studio, ad esempio, deve essere ben consapevole del fatto che fare consulenza e formazione significa applicare dei modelli scientifici e non essere dei ciarlatani improvvisati. Un consulente o formatore può essere interprete, anche ottimo, di teorie e modelli elaborati da altri autori, oppure può diventare contemporaneamente autore e ricercatore se ha adeguate capacità. 

Nel nostro studio abbiamo svolto un grande sforzo di ricerca per produrre (generare, creare) numerosi modelli proprietari, prodotti formativi e consulenziali nuovi, integrandoli in paradigmi evoluti per lo sviluppo personale e organizzativo. Tra questi modelli troviamo il Metodo Action Line Management (ALM) ™, le Regie di Cambiamento™ per la formazione avanzata, il Deep Coaching Protocol™ per lo sviluppo personale, e creando inoltre il metodo HPM™ (Human Performance Modeling) per lo sviluppo del potenziale personale.

Chi opera con il nostro Studio deve quindi sapere che per i suoi servizi di formazione il cliente troverà un mondo di unicità, di modelli proprietari che altri non hanno. Questo permette al cliente di ottenere formazione consulenziale con tecniche nuove e proprietarie, anticipare di anni quello che uscirà sul mercato “per tutti” ed avere un vantaggio competitivo, scoprire tecniche uniche create dalla ricerca attuata direttamente dallo Studio, avere a disposizione modelli non reperibili altrove. 

Una consulenza o training centrata sul cliente e sul suo processo deve essere distanziata dal concetto di “corsificio” e questo significa saperlo comunicare, per chi opera dal lato dello Studio. 

Lo stesso problema e obiettivo, capire le unicità, vale per ogni azienda di prodotti o servizi.

La conoscenza che deve possedere chi opera per un’impresa non può essere superficiale. In generale, chi rappresenta una realtà deve essere consapevole di quale realtà rappresenta, quali potenziali porta con se.

Una rappresentazione di sè distorta, o lacunosa, emerge inevitabilmente in ogni “momento della verità” e in ogni vendita che aspira ad essere consulenziale. 

Le tecniche conversazionali

Cosa significa “tecnica conversazionale”? Dobbiamo innanzitutto capire che una interazione di vendita e una negoziazione sono basate – nel face to face – su specifici meccanismi della conversazione. Tra questi:

  • la gestione dei turni di conversazione (turn management)
  • il ricentraggio degli argomenti di conversazione
  • le tecniche di “ammorbidimento” delle relazioni (repair)
  • la produzione di domande (dare ascolto), opposta alla produzione di emissioni persuasive o informative (ottenere ascolto).

Riuscire a bilanciare il flusso che esiste tra dare ascolto e ottenere ascolto (balancing) è una precisa tecnica conversazionale.

Nella vendita classica il conflitto è “per parlare” e lo scopo è parlare più dell’altro o sovrastarlo con le proprie argomentazioni. 

Nella vendita consulenziale troviamo il gioco opposto, il gioco diventa “chi fa parlare di più l’altro”, e lo scopo strategico è indurre il cliente in uno stato di “apertura” per poter ottenere le informazioni indispensabili a costruire un pacchetto consulenziale o di offerta. 

Ottenere uno stato di apertura significa aprire sempre più il “flusso empatico” – il flusso di attenzione verso l’interlocutore che lo porta a fare delle aperture (disclosure), a dischiudere le proprie informazioni o posizioni. Tale tecnica è denominata nel nostro metodo Info-Bleeding (trasudazione informativa) e permette di ottenere informazioni indispensabili a rifinire la strategia e formularla.

Questo risultato richiede precise tecniche conversazionali, che nel nostro metodo assorbiamo dalle scienze di Analisi della Conversazione (Conversation Analysis), dalle tecniche di intervista degli informatori (Humint), dalle tecniche di intervista clinica in psicoterapia, e da altre fonti scientifiche, non ultime le tecniche utilizzate nelle investigazioni, opportunamente adattate al fatto di non volere in nessun modo creare una sensazione di “interrogatorio”.

Dietro ad ogni incontro tra realtà personali (incontro tra persone) e tra realtà aziendali (incontro tra aziende) esistono enormi potenziali da esplorare e questa consapevolezza alimenta chiunque non si accontenta della superficie, in ogni manifestazione dell’essere umano e della conoscenza umana.

La consapevolezza di sè (self-awareness) include il “come io comunico”, l’analisi di “qual è il mio stile conversazionale in una negoziazione”, ed è il tratto più importante della capacità di vendita, poiché in ogni vendita una persona porta con sè “se stesso”, i propri limiti, i propri principi morali e le sue esperienze ed abilità pratiche.

Le caratteristiche dell’azienda cliente e del sistema cliente – in senso più generale – sono estremamente importanti, ma (senza sminuirle) di minore importanza strategica rispetto alla costruzione di una buona conoscenza di sè e della propria azienda, poiché questo “lavoro” viene riutilizzato in ogni relazione di vendita, mentre lo studio di un cliente specifico è un investimento essenziale ma che trova rientro in una sola ed unica relazione di vendita. 

La consapevolezza dell’istituzione che rappresentiamo, delle sue persone, dei suoi confini, delle sue forze e debolezze, è un anello forte della vendita consulenziale che ci accompagna in ogni trattativa, ma esso non verrà mai valorizzato se non è sostenuto dallo sviluppo delle proprie competenze comunicative.


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Altre risorse online

Copyright. Articolo estratto dal libro “Direzione Vendite e Leadership. Coordinare e formare i propri venditori per creare un team efficace” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Solution Selling. Un modo di vendere

Se il Solutions Selling riguarda il “come” vendere, rimane un grande interrogativo, il “come” esercitare la leadership. La risposta si trova in un metodo molto importante, il “Leading by Coaching”, che significa guidare la squadra essendone il coach, né più né meno come un Coach sportivo guiderebbe le proprie persone, allenandole, aiutandole a scendere in campo preparate, motivate e con gli strumenti giusti per vincere.Si tratta, in altre parole, di applicare la leadership attraverso la gestione delle persone (People Management), sia come team, che con interventi uno-ad-uno.

Per quanto riguarda la componente primaria del People Management (la gestione delle persone), la Leadership di Vendita si basa prevalentemente:

  • sulle tecniche di coaching umanistico (crescita personale e professionale del venditore, formazione dei venditori);
  • sull’Analisi della Conversazione come strumento per guidare il dialogo e creare attivamente un clima di comunicazione di qualità, interno al gruppo, e tra venditori e clienti;
  • sulle dinamiche di Leadership Emozionale, per intervenire con successo sulle situazioni sia positive che negative, insite nella leadership stessa e nei suoi momenti di vita professionale, gestire le gratificazioni, dare voce ai successi, ma anche intervenire nei momenti difficili che la vita professionale di direzione vendite comporta.

I valori e le competenze da instillare tramite il coaching alla propria squadra sono proprio quelli del Solutions Selling.Il cliente moderno è più esperto e competente che mai. Adottando un approccio collaborativo con l’acquirente e sviluppando soluzioni, anziché fare affidamento su tattiche di vendita manipolatorie, i venditori professionisti possono creare valore reale per i clienti e successivamente concludere più affari. Il metodo di “vendita della soluzione” (Solution Selling) sposta l’enfasi dalle caratteristiche del prodotto al valore che riusciamo a creare per il cliente. Questo significa aiutare il cliente a raggiungere i suoi obiettivi, non i nostri, e risolvere i suoi problemi, non i nostri. 

Ecco alcuni elementi fondamentali che un buon coaching deve trasferire.

Capire gli obiettivi del cliente

Riconoscere il fatto di essere portatori di valore

Portare la relazione su un livello di parità

Trasformare le conversazioni in ascolto attivo del cliente

Scalare le gerarchie aziendali e arrivare a parlare con chi decide veramente

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Articolo estratto dal testo “Negoziazione Interculturale. Comunicazione oltre le barriere culturali“, copyright FrancoAngeli Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Di seguito introduciamo gli strumenti e i metodi per l’analisi della conversazione, studio fondamentale per capire come migliorare la negoziazione.

Per avviare una analisi seria e produttiva della negoziazione, dobbiamo innanzitutto distinguere almeno tre fasi diverse:

  • fase di preparazione alla negoziazione: briefing, raccolta di dati, analisi degli interlocutori e delle posizioni, preparazione di una piattaforma negoziale da discutere, preparazione dell’elenco delle argomentazioni e ordini del giorno, role-playing di preparazione negoziale, sviluppo e test delle action-lines (linee d’azione);
  • fasi di negoziazione comunicativa e front-line: la fase del contatto face-to-face;
  • fasi di analisi e debriefing: analisi degli esiti della negoziazione preparazione alle fasi successive.

La fase di preparazione richiede lo studio del numero più ampio possibile di informazioni affinché sia possibile entrare nella fase di contatto con cognizione di causa (consapevolezza situazionale) e conoscenza degli elementi culturali di base (consapevolezza culturale).

La fase di negoziazione, soprattutto nel face-to-face, rappresenta il terreno negoziale, il “momento della verità” in cui avvengono le azioni più significative, e poiché avvengono “durante” la conversazione, irreversibili.

La fase di debriefing serve per metabolizzare le informazioni e comprende (almeno)

  • un debriefing comportamentale: cosa è accaduto là, analisi dei propri comportamenti, ricerca degli errori, analisi dei comportamenti altrui, e
  • un debriefing strategico: implicazioni pratiche, analisi degli esiti, preparazione delle prossime mosse.

La negoziazione in genere richiede diversi cicli di preparazione-contatto-debriefing, per cui possiamo assimilarla ad un processo ciclico.

La Conversation Analysis (Analisi della conversazione) è una delle discipline utilizzate nelle scienze della comunicazione per comprendere come le persone interagiscono nei rapporti faccia-a-faccia.

Dal punto di vista scientifico si occupa di analizzare come le persone gestiscono i turni conversazionali, come cercano di interagire conversando, ma dal punto di vista pratico le applicazioni in azienda della AC sono estremamente rare, e praticamente assenti sono le “implicazioni pratiche”, il suggerimento sul “cosa fare” per negoziare, e ancora meno su come farlo a livello interculturale.

L’AC è stata rivolta soprattutto alle interazioni sociali o personali e molto meno ai dialoghi tra aziende.

Dal punto di vista linguistico, utilizzando alcuni prestiti dalla AC e numerose addizioni originali, nel metodo ALM cerchiamo di “smontare” la conversazione analizzandola come un insieme di atti conversazionali, per studiarne la struttura e applicarla ai problemi concreti delle aziende e organizzazioni che devono negoziare efficacemente.

Dal punto di vista semiotico, possiamo chiederci (1) quali siano i significati e interpretazioni di senso che ciascun attore attribuisce alle singole mosse, sul piano della relazione (semantica relazionale), e (2) quali sono gli effetti pratici sulla relazione stessa (pragmatica relazionale).

Dall’analisi delle mosse conversazionali sino ad interi brani di interazione, è possibile sviluppare le capacità dei manager e negoziatori (1) nella decodifica della conversazione, e (2) nell’acquisizione di maggiori capacità conversazionali. Inoltre, possiamo formare e acculturare i negoziatori a produrre una strategia conversazionale più efficiente e consapevole anche all’interno della propria cultura di partenza.

Le mosse conversazionali rappresentano specifiche azioni o “emissioni” poste in essere da un interlocutore.

Alcune mosse conversazionali (non definite in questi termini nei lavori di AC, ma da una nostra interpretazione estensiva) sono, per esempio:

  • affermare,
  • anticipare,
  • attaccare,
  • cedere il turno,
  • chiedere una precisazione, fare domande di puntualizzazione,
  • chiedere per ampliare, fare domande di apertura
  • ecc..

Ogni cultura fa propri alcuni di questi repertori e li amplia, rigettandone altri, o relegandoli a pochi ambiti comunicativi.

Ogni mossa è correlata sia alle mosse precedenti del soggetto, che alle mosse altrui.

Nel campo intra-culturale esistono specifici repertori e regole conversazionali generalmente condivise, mentre in campo interculturale aumenta la diversità anche per via delle diverse modalità con cui in ogni cultura vengono gestite le mosse conversazionali.

In termini negoziali, a seconda della valenza relazionale, possiamo prestare attenzione soprattutto a:

  • mosse di avvicinamento (segnali di simpatia, amicizia, affetto, volontà di collaborare, segnali di unione), e
  • mosse di allontanamento (distacco, antipatia, rifiuto, volontà di tenere le distanze).

Sotto il profilo dei contenuti della conversazione negoziale, invece, è importante distinguere tra:

  • mosse di apertura (esplorazione informativa, allargamento, ampliamento del campo conversazionale), e
  • mosse di chiusura (tentativo di conclusione, di concretizzazione);

ed ancora tra:

  • mosse di ascolto (empatia, domande, raccolta di informazioni), e
  • mosse di proposizione (affermazioni, posizioni, richieste).
libro "Negoziazione Interculturale" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi:

corso di vendita solution selling© Daniele Trevisani. Materiale dal libro Corso di Vendita “Solution Selling”: La Vendita centrata sul Cliente

Le competenze conversazionali della vendita

Ogni incontro di vendita deve avere il tono della conversazione, e utilizzare domande senza scivolare nell’interrogatorio, per cui è bene sviluppare una forte capacità di comunicazione empatica nei riguardi del cliente.

Al contrario di quanto molti pensano, nella vendita consulenziale vince chi parla meno. La leadership conversazionale richiesta al venditore consulenziale è quella di far parlare il cliente il più possibile, senza scadere in un comportamento di autocelebrazione e spiegazione di tutte le caratteristiche di tutti i prodotti e servizi.

Le spiegazioni e il tempo di parlare del venditore deve attestarsi attorno al 25% del totale della conversazione, lasciando al cliente almeno il 75% del tempo totale di conversazione.

Oltre a questo, consideriamo che nel Solution Selling una larga parte del valore erogato viene proprio dal lavoro di consulenza che il venditore attua, e questa consulenza è un valore aggiunto del Fattore Umano, solo apparentemente intangibile, ma in realtà così concreta da cambiare le carte in tavola.

Alcune competenze chiave:

  1. volere fortemente essere d’aiuto alla persona e all’azienda con cui stiamo conversando; focalizzare la conversazione sui bisogni del cliente; resistere alla tentazione di offrire soluzioni immediate appena si è colto un problema, e vedere se ci sono altri possibili problemi che emergeranno nella conversazione;
  2. aiutare il cliente a vedere problemi esistenti ma anche latenti, problemi che prima non erano nemmeno percepiti, ed emergono attraverso il dialogo, attraverso domande centrate sui bisogni; es. potrebbe dirmi qualcosa di più sulle sue priorità di questo periodo? Quali miglioramenti vede necessari in questo stadio della vita dell’azienda? Ci sono altri goal importanti per lei in questo momento? In una giornata perfetta, come funzionerebbero le cose?
  3. capacità di ricapitolare interi brani, e riformulare singole affermazioni, per cogliere sia dettagli che il quadro complessivo del cliente. Riformulare specifiche affermazioni o parafrasarle è una tecnica molto efficace per dimostrare che stiamo ascoltando con attenzione, e per ascoltare davvero;
  4. capacità – dopo avere svolto un’analisi adeguata – di offrire soluzioni che abbiano Caratteristiche, Vantaggi, Benefici e Unicità (CVBU);
  5. capacità di cambiare tipo di mossa conversazionale, passare ad esempio dalle chiacchiere da bar alla analisi scientifica del problema, oppure dal parlar male degli assenti alla ricerca di soluzioni praticabili.

Per quanto riguarda le mosse conversazionali, un elenco delle principlai è il seguente, e ricordiamo che il venditore di tipo Solution Selling dovrà fare una grande palestra di formazione per riuscire a padroneggiarle tutte, e usare la mossa giusta al momento giusto:

Mosse conversazionali nella vendita

Le mosse conversazionali rappresentano specifiche azioni o “emissioni” poste in essere da un interlocutore.

Alcune mosse conversazionali (frutto di nostra ricerca interna) sono:

  1. affermare,
  2. anticipare,
  3. attaccare,
  4. cedere il turno (Turn Giving),
  5. conquistare o prendere il turno (Turn Taking),
  6. chiedere una precisazione, fare domande di puntualizzazione,
  7. cambiare stile/codice comunicativo (Code Switching)
  8. chiedere per ampliare, fare domande di apertura,
  9. decentrare l’argomento della conversazione,
  10. difendere altri,
  11. difendersi,
  12. negare,
  13. non riconoscere l’altro o una sua emissione/messaggio (disconferma relazionale),
  14. precisare,
  15. ricentrare la conversazione su un argomento (ricentraggio),
  16. evitare un argomento e scivolarne via (Topic-Avoidance)
  17. riconoscere l’affermazione dell’altro (conferma relazionale),
  18. disconoscere l’affermazione dell’altro (disconferma relazionale),
  19. riparare (un errore, un fraintendimento, una mossa precedente),
  20. ritrattare,
  21. rivedere quanto detto (aggiustare il tiro),
  22. scusarsi (mosse di riparazione, Repair)
  23. sollevare dubbi,
  24. esemplificare, offrire un esempio
  25. metafora (come se….)
  26. offrire aiuto
  27. chiedere aiuto
  28. fissare un argomento di conversazione (Topic-Setting)
  29. spostare l’argomento della conversazione (Topic-Shifting),
  30. ricapitolazione breve (Recap)
  31. riformulazione (riformulare quanto capito o parafrasarlo),
  32. tirare le somme,
  33. chiudere (concludere la conversazione).

Ogni mossa giocata ha effetti sulla “partita” in corso.

Il senso di “mossa” – assimilabile alla mossa nel gioco degli scacchi – rende bene il concetto strategico che si ritrova in ogni azione comunicativa.

La negoziazione può essere vista, sotto questo profilo, come un insieme di mosse. Ogni cultura fa propri alcuni di questi repertori e li amplia, rigettandone altri, o relegandoli a pochi ambiti comunicativi.

Nella cultura giapponese, ad esempio, dire un “no” secco è considerato un atto più scortese di quanto non sia nella cultura americana, ma questo non significa che anche un manager giapponese non metta in pratica, o possa apprendere, l’azione del dire “no” secchi. Basarsi su semplici stereotipi e prenderli come certezze è un errore.

Ogni mossa è correlata sia alle mosse precedenti del soggetto, che alle mosse altrui.

Nel campo intra-culturale esistono specifici repertori e regole conversazionali generalmente condivise, mentre in campo interculturale aumenta la diversità anche per via delle diverse modalità con cui in ogni cultura vengono gestite le mosse conversazionali. Ad esempio, in una conversazione tra adolescenti italiani può essere estremamente normale e corretto sovrapporre il parlato, stare sul parlato altrui, mentre in una conversazione tra gentlemen anglosassoni in un ricevimento diplomatico la sovrapposizione sul parlato altrui è negativa, e se fatta richiede comunque la messa in scena di mosse di riparazione.

In termini negoziali, a seconda della valenza relazionale, possiamo prestare attenzione soprattutto a:

  • mosse di avvicinamento (segnali di simpatia, amicizia, affetto, volontà di collaborare, segnali di unione), e
  • mosse di allontanamento (distacco, antipatia, rifiuto, volontà di tenere le distanze).

Sotto il profilo dei contenuti della conversazione negoziale, invece, è importante distinguere tra:

  • mosse di apertura (esplorazione informativa, allargamento, ampliamento del campo conversazionale), e
  • mosse di chiusura (tentativo di conclusione, di concretizzazione);
  • ed ancora tra:
  • mosse di ascolto (empatia, domande, raccolta di informazioni), e
  • mosse di proposizione (affermazioni, posizioni, richieste).

© Daniele Trevisani. Materiale dal libro Corso di Vendita “Solution Selling”: La Vendita centrata sul Cliente

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«Cos’è una conversazione positiva? È una forma d’incontro dalla quale usciamo felici.

E non tanto per quello che abbiamo portato a casa, ma per come ci siamo sentiti, per quello che siamo riusciti a costruire, per quel futuro positivo di cui quel brano di conversazione è diventato un tassello, e per il piacere che quel brano stesso di vita ci ha dato.

Al contrario, una conversazione negativa è densa di fraintendimenti, di stati emotivi pessimi, di grigiore.

È entropia comunicativa (confusione sui significati e gli scopi del comunicare) e produce il drenaggio delle nostre forze e delle nostre risorse più preziose: le energie personali, le emozioni, il tempo. Le parole di oggi sono spesso “malate”, hanno perso il significato denso e forte che avevano. Abusate e forzate, si sono spente.»

Daniele Trevisani