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psicologia della libertà

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©Copyright. Estratto dal testo di Daniele Trevisani “Psicologia della libertà. Liberare le potenzialità delle persone”. Roma, Mediterranee. Articolo estratto dal testo e pubblicato con il permesso dell’autore.

Tre libertà mentali: scegliere le fonti informative, rielaborare l’informazione e trarre conclusioni, comunicare e trasmettere idee

Se qualcuno ti dice di “leggere solo quel giornale” o “guardare solo quel sito” e ti oscura tutto il resto, sta riducendo la tua libertà.

Se qualcuno ti impedisce di arrivare a qualche tua conclusione rielaborando le informazioni che stai raccogliendo, ti toglie libertà. Se qualcuno ti impedisce in modo palese o sotterraneo, di dire cosa pensi, ti sta togliendo la libertà di vivere.

Da questa semplice osservazione naturalistica, persino biologica, fisica, tangibile, derivano tre specifiche libertà mentali:

  1. libertà di scegliere le proprie fonti, libertà di accesso alle fonti informative, sia materiali che immateriali, strutturate o esperienziali. Chi può e vuole ampliare le proprie fonti informative, e i canali cui accedere, ha maggiore libertà di confrontare informazioni tra loro, di accedere a dati che altri vogliono tenerti nascosto o che non vorrebbero tu conoscessi, che si tratti della storia, della scienza, della condizione umana, del lavoro e di come si lavora, o di cosa valga nella vita;
  2. libertà di rielaborare l’informazione, cercare dissonanze e incongruenze, costruirsi un proprio quadro di verità e di coerenze rispetto alle informazioni che si possiedono. Libertà di cambiare idea e quadro mentale al variare delle informazioni in possesso, ai dati in ingresso e al repertorio di conoscenze che abbiamo. Questa libertà contiene anche un altro importantissimo “grado di libertà”: ripulirsi da idealizzazioni tossiche e identificazioni tossiche. In noi vivono modelli nobilitati o “idealizzazioni” – archetipi su cosa è giusto, che ci sono stati trasmessi come tali dall’educazione, dai media, o dall’esempio (es, l’imprenditore di successo che lavora sempre, non ha emozioni, e non sbaglia mai) ma a noi possono far male o non piacere. Oppure l’imprenditore tutto Champagne e Yacht. O l’imprenditore vittima del lavoro che non può e non deve staccare mai, perché suo padre e suo nonno prima di lui, lavoravano sempre. Connessa a questa, esiste la libertà di ispirarsi a nuovi archetipi, modelli di vita diversi, alternativi, più densi dei valori che vogliamo assimilare in noi e che vogliamo interpretare nella nostra unica vita. Questa libertà comprende sia valori intangibili, “idee” e pensieri, sino alla libertà materiale, nel modo di vestirsi, negli accessori da indossare, negli sport da praticare o di quali pratiche fare nella propria vita, e persino di dove abitare e che stile di vita praticare, e cosa fare delle proprie risorse limitate (soldi, tempo, attenzione).
  3. libertà di comunicare e trasmettere idee. La libertà sul cosa dire, sul come dirlo, sui canali da utilizzare, e soprattutto sul perché comunicare, decidere ad esempio di non aderire alla forma di comunicazione del “gossip” o al “dialogo attorno al nulla” del “consumatore medio”, ma di voler contribuire al progresso delle conoscenze, dal singolo individuo all’intera razza umana. 

In ognuna di queste libertà esiste una meta-libertà, una libertà che va oltre il livello dell’individuo e cerca il rispetto e il diritto della libertà altrui. 

Nei rapporti personali, la libertà di comunicare in modo sincero è in se buona, ma richiede intelligenza. Può diventare comunicazione inutilmente violenta se non si usano opportune formule di cortesia e si fraintende assertività con aggressività. 

Quando si confonde il “dire la verità” con il “faccio quello che mi pare di te e me ne frego dell’effetto che avrà su di te” siamo nell’ambito di una “libertà unilaterale” che non è corretta.

Ogni libertà in più richiede anche un’attenzione in più sull’uso di questa libertà nei riguardi degli altri.

Ma dovendo scegliere tra libertà di espressione e silenzio, meglio l’espressione. Il rischio di finire nella Spirale del Silenzio, è troppo alto.

Dittature e regimi si qualificano soprattutto per libertà unilaterale che pongono dal vertice verso i “vigilati”. La vigilanza su ciò che sai: filtrare le informazioni che tu devi sapere, impedirti l’accesso alle verità o fonti alternative, renderti impossibile o punire ogni tua deviazione dall’opinione del regime, impedirti di comunicare e dire ciò che pensi.

L’ignoranza produce caos, la conoscenza produce libertà

Daniele Trevisani

Una riflessione conclusiva. Siamo tutti nati liberi, siamo nati per esserlo, siamo nati con strumenti di ogni tipo per comunicare e affermarci. Bisogna scoprirlo, e lavorarci sopra. Abbiamo il destino e l’orgoglio. Lasciamoli fluire assieme.

«In realtà, il processo d’individuazione è quel processo biologico… attraverso il quale ogni essere vivente diventa quello che è destinato a diventare fin dal principio». [1]

Talvolta, quando si è etichettati, quando si è marchiati, il nostro marchio diventa la nostra vocazione. (pag. 72)“– John Irving


[1] (C.G.Jung, Opere, Vol. 11, p.294)

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Libertà dalle idealizzazioni tossiche

Lo scopo della vita è ricevere conoscenza, rielaborarla e trasmetterla

Ripulirsi da idee tossiche, da immagini mentali che ti inquinano, libera la tua mente.

Daniele Trevisani

Siamo aggregati di cellule che ricevono informazioni, le rielaborano, e le trasmettono. Terabite di informazioni al secondo ci circolano dentro e ne verremmo sovrastati. 

I nostri meccanismi mentali hanno bisogno di scorciatoie. Una delle più forti è la strategia di “idealizzazione”, basata sul potere delle immagini mentali. 

È sufficiente chiedere ad una ragazza sovrappeso “è così che vuoi diventare?” mostrandole il fisico di una modella, “lo vuoi davvero, con tutte le tue forze?” e se la risposta è si, quella idealizzazione diventerà l’immagine guida per un intero programma. 

Ma se, poniamo, quell’immagine è sbagliata, non mostra una ragazza atletica e sana, ma ad esempio mostriamo una modella anoressica, stiamo producendo morte, non utilità.

Puntare ad essere “come quella modella” (che è anoressica e malata) o come la Barbie, o come il culturista più grosso del mondo (che morirà assolutamente con certezza di overdose di steroidi, vedi il caso di Rich Piana) non è idealizzazione sana.

Lo stesso vale per il “Manager con la Ferrari” (comprata a rate o con che soldi e guadagnati con quale meritocrazia di fondo?)

Ho incontrato personalmente, nella mia vita, casi di ragazzi giovani in fase di counseling universitario, che venivano attratti dall’idea di abbandonare gli studi dopo avere fatto qualche settimana di lavoro per aziende di network marketing, corsi di lettura veloce, successo rapido, e altre porcherie, e il ragazzo nello specifico diceva “ma il mio capo ha solo 26 anni e arriva in Porsche”. 

Capirete da soli quanta distorsione ci sia nei “metri di misurazione”. 

Forse anzi molto probabilmente, quella Porsche nasconde tanti di quei cadaveri nell’armadio, che se potesse parlare andrebbe a costituirsi da sola in commissariato. 

  • Se vuoi essere come “quello figo che ha la Porsche e non si è neanche laureato” stai facendo una idealizzazione tossica,
  • il superbodybuilder (non parlo di atleti veri del bodybuilding che esistono e sono rispettabilissimi, ma di fogne per steroidi) è una falsità ideologica, 
  • la Barbie vivente, la modella anoressica, sono una falsità ideologica, 
  • il dirigente/manager che non sbaglia mai e tratta tutti male, oltre che essere un idiota, è un falso ideologico.

Queste immagini false che rischi di prendere come verità che guidano la tua vita, si chiamano “idealizzazioni tossiche”. 

Trovare modelli e riferimenti positivi, invece, è arte e tecnica fondamentali. Figure che riescono a dare contributi utili, figure autentiche, persone che sono “possibili” e non modelli impossibili, utili solo a castrare e frustrare nella loro impossibilità di essere raggiunti. E che se raggiunti, portano alla distruzione della tua vita.

I modelli di riferimento e le idealizzazioni “buone” aumentano la tua libertà, non la riducono. Aumentano la tua cultura, aumentano la tua consapevolezza, la tua spiritualità, la tua libertà intellettuale.

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Dal ricambio cellulare al ricambio delle idee

Ogni corpo cambia, in ogni istante. Miliardi di cellule muoiono, altre nascono, ogni secondo. Ogni persona, ogni team, ogni impresa, vive un processo evolutivo, in cui possono accadere momenti di stasi, momenti di accelerazione positiva, momenti di regressione negativa e chiusura. Ma anche, momenti sacri, di ri-centraggio, di ri-allineamento con gli scopi più veri e profondi della vita e con un senso di nuovo splendore.

Il ricambio cellulare è reso possibile dalla “apoptosi”, termine coniato da John F. Kerr, Andrew H. Wyllie e A. R. Currie[1] a partire dal termine greco che indica la caduta delle foglie e dei petali dei fiori. È una forma di morte programmata delle cellule, che l’organismo rimpiazza con cellule nuove. Permette un ricambio, e permette un rinnovamento e la vita. 

L’apoptosi o morte cellulare è un fenomeno fisiologico che comporta la degenerazione della cellula a conclusione del suo ciclo vitale.[2]

L’idea stessa che una cosa non duri per sempre ma abbia un suo ciclo vitale è fondamentale per il coaching, il counseling, e il cambiamento. Se non accettiamo questo, ci attaccheremo a idee vecchie e modi di essere passati, come un lupo imprigionato potrebbe attaccarsi al suo recinto invece di correre nel bosco.

  • Qual è il ciclo vitale delle tue idee dominanti? Proviamo a cercare di individuarlo? Partiamo dalle prime…
  • Quale è stata la tua idea dominante da bambino? In cosa credevi, in cosa ti identificavi, cosa contava per te?
  • Quale nell’adolescenza?
  • Quale da adulto e in qualsiasi fase tu sia ora?
  • Quale idea dominante ti farebbe bene o ti piacerebbe assimilare per il futuro senza che sia lei ad assimilare te?

Nel metodo HPM, specifici esercizi sono nati, a livello fisico, per accelerare l’apoptosi soprattutto a livello muscolare e degli organi interni, esercizi fisici che letteralmente portano ad un “rinnovamento” del corpo. In un coaching olistico, questi esercizi sono fondamentali.

Il termine viene dalla biologia, ma possiamo chiederci se non sia utile anche per il training mentale. Si tratta di un processo ben distinto rispetto alla necrosi cellulare, e in condizioni normali contribuisce al mantenimento del numero di cellule di un sistema

Purtroppo per noi, non abbiamo lo stesso meccanismo a livello mentale. Le nostre idee si “bloccano” e si fissano in alcuni casi indissolubilmente, finché un trauma o un bravo coach, terapeuta o Counselor riesce a farle venir fuori, mettercele in mano, e farcele “vedere”.

Il ruolo del coaching e del counseling è nobile: indirizzare il passaggio da energie racchiuse ad energie espresse, da potenzialità latenti a potenzialità che cercano itinerari di espressione, da blocco mentale a fluidità delle idee. Da corpi che sono sì e no gusci rattrappiti, a corpi “abilitanti”, enabling bodies: corpi che ti permettono di fare ciò che vuoi, corpi che non ti dicono di no, corpi che ti aiutano, corpi dotati di energia, il corpo che ti serve per i tuoi progetti, fino ad un abitare il corpo con passione e sentimento.

Nessuna idea sarà mai trasformabile in progetto reale se il corpo che abitiamo non ci aiuta, per cui il primato del corpo è definitivo. 

Dal corpo bisogna partire e al corpo bisogna arrivare, sempre. E lo stesso vale per i nostri pensieri più radicati “ereditati” dalla nostra cultura: se non ci confrontiamo con essi, a fondo, definitivamente, saranno sempre loro a dirigere noi.

Una condizione di blocco, di rigidità fisica e cognitiva, non è in genere positiva, mentre la plasticità, la flessibilità mentale e fisica, la capacità di mutare, di nutrirsi di nuovo cibo per la mente, favorisce l’adattamento all’ambiente. 

Non si tratta di rinunciare ai propri valori di fondo o lasciarli fluttuare come bandiere al vento, ma di accettare il senso stesso che nella rigidità assoluta non è possibile alcun cambiamento in positivo.


[1] Kerr JF, Wyllie AH, Currie AR, Apoptosis: a basic biological phenomenon with wide-ranging implications in tissue kinetics, in Br J Cancer., vol. 26, nº 4, agosto 1972.

[2] Microsoft® Encarta® 2009. © 1993-2008 Microsoft Corporation. Voce “apoptosi”

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Dal ricambio cellulare al ricambio delle idee

Ogni corpo cambia, in ogni istante. Miliardi di cellule muoiono, altre nascono, ogni secondo. Ogni persona, ogni team, ogni impresa, vive un processo evolutivo, in cui possono accadere momenti di stasi, momenti di accelerazione positiva, momenti di regressione negativa e chiusura. Ma anche, momenti sacri, di ri-centraggio, di ri-allineamento con gli scopi più veri e profondi della vita e con un senso di nuovo splendore.

Il ricambio cellulare è reso possibile dalla “apoptosi”, termine coniato da John F. Kerr, Andrew H. Wyllie e A. R. Currie[1] a partire dal termine greco che indica la caduta delle foglie e dei petali dei fiori. È una forma di morte programmata delle cellule, che l’organismo rimpiazza con cellule nuove. Permette un ricambio, e permette un rinnovamento e la vita. 

L’apoptosi o morte cellulare è un fenomeno fisiologico che comporta la degenerazione della cellula a conclusione del suo ciclo vitale.[2]

L’idea stessa che una cosa non duri per sempre ma abbia un suo ciclo vitale è fondamentale per il coaching, il counseling, e il cambiamento. Se non accettiamo questo, ci attaccheremo a idee vecchie e modi di essere passati, come un lupo imprigionato potrebbe attaccarsi al suo recinto invece di correre nel bosco.

  • Qual è il ciclo vitale delle tue idee dominanti? Proviamo a cercare di individuarlo? Partiamo dalle prime…
  • Quale è stata la tua idea dominante da bambino? In cosa credevi, in cosa ti identificavi, cosa contava per te?
  • Quale nell’adolescenza?
  • Quale da adulto e in qualsiasi fase tu sia ora?
  • Quale idea dominante ti farebbe bene o ti piacerebbe assimilare per il futuro senza che sia lei ad assimilare te?

Nel metodo HPM, specifici esercizi sono nati, a livello fisico, per accelerare l’apoptosi soprattutto a livello muscolare e degli organi interni, esercizi fisici che letteralmente portano ad un “rinnovamento” del corpo. In un coaching olistico, questi esercizi sono fondamentali.

Il termine viene dalla biologia, ma possiamo chiederci se non sia utile anche per il training mentale. Si tratta di un processo ben distinto rispetto alla necrosi cellulare, e in condizioni normali contribuisce al mantenimento del numero di cellule di un sistema

Purtroppo per noi, non abbiamo lo stesso meccanismo a livello mentale. Le nostre idee si “bloccano” e si fissano in alcuni casi indissolubilmente, finché un trauma o un bravo coach, terapeuta o Counselor riesce a farle venir fuori, mettercele in mano, e farcele “vedere”.

Il ruolo del coaching e del counseling è nobile: indirizzare il passaggio da energie racchiuse ad energie espresse, da potenzialità latenti a potenzialità che cercano itinerari di espressione, da blocco mentale a fluidità delle idee. Da corpi che sono sì e no gusci rattrappiti, a corpi “abilitanti”, enabling bodies: corpi che ti permettono di fare ciò che vuoi, corpi che non ti dicono di no, corpi che ti aiutano, corpi dotati di energia, il corpo che ti serve per i tuoi progetti, fino ad un abitare il corpo con passione e sentimento.

Nessuna idea sarà mai trasformabile in progetto reale se il corpo che abitiamo non ci aiuta, per cui il primato del corpo è definitivo. 

Dal corpo bisogna partire e al corpo bisogna arrivare, sempre. E lo stesso vale per i nostri pensieri più radicati “ereditati” dalla nostra cultura: se non ci confrontiamo con essi, a fondo, definitivamente, saranno sempre loro a dirigere noi.

Una condizione di blocco, di rigidità fisica e cognitiva, non è in genere positiva, mentre la plasticità, la flessibilità mentale e fisica, la capacità di mutare, di nutrirsi di nuovo cibo per la mente, favorisce l’adattamento all’ambiente. 

Non si tratta di rinunciare ai propri valori di fondo o lasciarli fluttuare come bandiere al vento, ma di accettare il senso stesso che nella rigidità assoluta non è possibile alcun cambiamento in positivo.


[1] Kerr JF, Wyllie AH, Currie AR, Apoptosis: a basic biological phenomenon with wide-ranging implications in tissue kinetics, in Br J Cancer., vol. 26, nº 4, agosto 1972.

[2] Microsoft® Encarta® 2009. © 1993-2008 Microsoft Corporation. Voce “apoptosi”

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Life Coaching: Aumentare i “Gradi di libertà” fisici e mentali

Avrai sentito molte volte la frase “sii te stesso”.

Bella frase, ma quel “me stesso”, è veramente chi sono io, o è quello che è stato buttato dentro al mio frullatore mentale? Scoprire chi e cosa è veramente quel “me stesso” è un lavoro stupendo e sfidante per il coaching e il counseling.

Il nostro sistema mente-corpo è immerso in un oceano di messaggi, di informazioni, di sensazioni tattili, olfattive, gustative, di pensieri su cosa è giusto e sbagliato, sui “devi” e “non devi fare”, persino “cosa devi e non devi pensare, nella tua testa”, messaggi che lo plasmano sin dalla nascita.

Ci sono persone che vedono lontano e non hanno timore di esprimere il loro sogno, la loro visione. Alcune di queste visioni sono state considerate pazzie, altre sono diventate realtà e storia.

“Non solo la potenza atomica verrà sprigionata, ma un giorno imbriglieremo la salita e la discesa delle maree e imprigioneremo i raggi del sole.”

Thomas Edison

Edison, pensavano i suoi contemporanei, sognava. Oggi possiamo dire: anticipava.

Il timore crea prigioni. Alcune persone temono persino di farsi notare, di esistere, di dire qualsiasi cosa che qualcuno possa contraddire. Muoiono da vivi.

La libertà non è uno stato singolo, ma piuttosto una posizione tra un continuum tra due poli. Da un lato abbiamo la costrizione assoluta (fisica e mentale) e dall’altro lato la libera scelta assoluta (fisica e mentale). Ogni “grado di libertà” che possiamo e riusciamo a scalfire dalla costrizione aggiunge un tassello alla nostra libertà totale.

La formazione dei guerrieri Ninja passava attraverso fasi importanti di superamento delle paure. Queste paure erano viste come ombre che impedivano alle abilità di esprimersi. I Ninja consideravano il superamento delle paure attraverso formazione iniziatica. 

Nelle iniziazioni e addestramenti venivano inseriti elementi di paura controllata, “in modo che l’ombra possa essere portata alla luce della mente dell’iniziato, che potrà così attraversare quella determinata paura. La paura è la porta più importante, perché senza lo slancio energetico che deriva dall’abbandono delle nostre paure ci sarà difficile proseguire nel nostro viaggio”[1].

Nelle pratiche di coaching esistono specifici esercizi, sia tradizionali (es, firewalking, seppure condotti da personaggi a volte discutibili) che innovativi. Personalmente, mi sono occupato di sviluppare alcuni esercizi speciali i quali attingono dalla mia esperienza trentennale nelle arti marziali, mentre altri nascono sulla base di esercizi psicodrammatici o comunicativi. Il fine ultimo è di crescere superando paure e generare slancio emotivo, senza con questo creare rischi fisici stupidi e inutili. Le stesse tecniche possono essere applicate nel counseling.

Possiamo dire che il coaching e il counseling siano due discipline che vogliono dire un grande “adesso basta!” all’essere plasmati a forza da ideologie esterne, da paure interne inutili, e cercano una via vera, più personale, depurata da ogni forma di falsità, consci persino che la libertà vera diventa un fine utopico ma senza quel fine ci sentiremmo morti. Queste discipline vogliono una vita più vera, più propria, più gestita con consapevolezza anziché in un sentimento di schiavitù. 

E’ un approccio rivoluzionario di sommossa esistenziale e non armata ma che cambia, attimo dopo attimo, vita dopo vita, l’intero pianeta.

Non bastassero le informazioni esterne, siamo a nostra insaputa inondati da informazioni interne (enterocettive, provenienti dal corpo stesso), alle quali prestiamo scarsa attenzione se non adeguatamente allenati. 

Alcune di queste sono deboli, sottili, ma importanti, ad esempio i segnali dello stress fisico e mentale, le posture, il respiro stesso.

Le tensioni muscolari latenti, croniche, dovute a stress mentale, sono un esempio classico di segnale “non ascoltato” che però porta a mal di testa, a mal di stomaco, a dolore fisico poi molto concreto, persino all’alterazione della nostra postura. 

Sto dicendo, assolutamente, che il nostro corpo fa trasparire fuori come ci sentiamo dentro, e se impariamo a leggerlo e a leggerci, possiamo fare di noi stessi un grande laboratorio di crescita personale. 

Imparare a leggere i segnali deboli e farli diventare segnali forti è un’arte che si apprende nel coaching e nel counseling corporeo.

Questi segnali sono così anestetizzati dalle nostre menti bombardate da rumore, che scopriamo che qualcosa non va solo quando ci troviamo al pronto soccorso.

Siamo persino sottoposti ad energie come onde elettromagnetiche (la luce solare è una), la forza di gravità e tantissime altre, sulle quali non riflettiamo più di tanto e ancora meno “sentiamo”, tranne quando, come il sole preso troppo, ti bruciano. 

Esistono anche forze psicologiche, come i “calchi mentali” e le credenze più forti che abbiamo assorbito dalle famiglie e dalle persone con cui ci siamo rapportati. Sono forze che sono penetrate nella nostra testa tramite religioni, libri di testo, letture, televisioni, conversazioni, e tanto altro materiale dell’acquario comunicativo nel quale abbiamo respirato e nuotato sinora.

“Prima di giudicare la mia vita o il mio carattere, metti le mie scarpe, percorri il cammino che ho percorso io. Vivi il mio dolore. i miei dubbi, le mie risate. Vivi gli anni che ho vissuto io e cadi là dove sono caduto io e soprattutto prova a rialzarti come ho fatto io.” Luigi Pirandello

Siamo in balia di forze tanto potenti e persistenti, che il fatto di metterle in discussione non passa nemmeno nella testa ai più. Qualche lamento si, qualche boffonchiamento si, ma niente di vero, niente di radicale. Anche nelle città dove l’economia fa schifo e le economie languono, anno dopo anno, i voti non cambiano più di tanto, gli stili di vita non cambiano più di tanto, e molti se potessero non cambierebbero proprio, resistendo al cambiamento fino a morire. 

Zombie che camminano verso la bara.

Ma risvegliarsi in vita è possibile. Può accadere quando accade un incontro con una persona illuminata, o molto più spesso una crisi, un esaurimento fisico o nervoso, o un trauma, ti fanno capire che quel sistema di forze e di equilibri ora non regge più. 

Non è più adatto per te. Poteva andare bene per chi l’ha sviluppato, nell’epoca in cui si è formato, ma non va bene per te, non ora, non qui. E tu te ne rendi conto e vuoi agire.

Coaching Umanistico

Siamo fatti per seguire la direzione mitica della nostra vita, per scoprire e poi intraprendere le più grandi imprese”

 Caroline Miss.

Il Coaching Umanistico vuole dare voce ad una pulsione di speranza, di forza, di azione, di vita vissuta a pieno. 

Il Counseling Corporeo pone invece l’accento sugli intricati meccanismi che rendono il nostro corpo l’unico mezzo abilitante, il mezzo con cui poter, di fatto, accedere al mondo esterno, l’unico ponte della mente verso realtà.

Da questo ponte possiamo cogliere le “pietre preziose” che il nostro cosmo racchiude, quando riusciamo a sviluppare facoltà di percezione aumentata, il che significa che la nostra percezione deve essere (1) abilitata e (2) allenato a vedere queste pietre preziose. 

Parliamo di “Abilitato” (enabled) in quanto alcune parti del nostro corpo, come la retina, devono esistere, materialmente, per cogliere fotoni, e quindi vedere, e questo solo per quanto riguarda la vista, ma per ogni fonte di senso e informazione. Ma qui non parliamo solo di una “abilitazione fisica”, bensì di allenare la nostra percezione a “vedere” di più e cogliere messaggi che ci sono, ma non percepisci semplicemente perché non li sai vedere.

La mente va anche “Allenata” (trained) perché in ogni secondo di “visione” entrano nel nostro cervello circa 20 Giga di dati, ma se nessuno ti ha mai insegnato a cogliere l’essenza e alcuni dettagli speciali, selezionando, di quei 20 giga non rimarrà altro che il nulla, o una visione sbiadita.

Peggio ancora non vedrai le “pietre preziose” che l’universo costantemente ci mette sotto gli occhi in un flusso costante di possibili meraviglie. 

Solo passando attraverso un training specifico di percezione aumentata potrai vedere la realtà un pò più vera, un pò più vicina a quella che è. 

Sarai, allora, un pò più libero.


[1] Heaven, Ross (2006). The Spiritual Practices of the Ninja. Inner Traditions, Rochester. Trad it: 2008, Le Pratiche Spirituali dei Ninja. p. 43-44. Macroedizioni.

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Libertà di valori e libertà ideologica. Come queste diventano libertà nei comportamenti di tutti i giorni

La libertà della persona di assumere sistemi di valori che sente propri, di cambiarli.  Esaminare il sistema di valori ritenuti importanti nella vita, priorità tra valori e eventuali aspettative divergenti. Si tratta di un esame delle ideologie, dei “credo” valoriali, delle scelte di fondo che ci possono rendere un’attività soddisfazione o sacrificio. In cosa credi? Cosa è importante per te? Cosa da senso alla vita? 

Questo tratto è il più difficile da far emergere, toccando le scelte esistenziali, il significato stesso dell’esistenza. Se però riusciamo a far emergere alcuni di questi elementi forti, essi possono costituire l’ancoraggio di qualsiasi motivazione al fare, al crescere al migliorarsi. Un faro che guida la persona nella nebbia e verso la libertà più vera.

Tacco 12 in borsa, e cravatte odiose d’estate. Passerelle e patologie dell’Homo Aziendalis, in fuga dalla libertà

Guardiamo bene, e siamo sinceri.

Si stanno creando comportamenti osservabili, nelle aziende soprattutto, che sono ripieni di patologia. Quando a Milano o Roma vedi signore e ragazze scendere dal motorino o metropolitana, sfilarsi scarpe comode, infilarsi scarpe con tacco 10 o 12 e entrare in azienda, capisci che quel comportamento è un segnale di valori che si stanno distorcendo. 

Non si sta andando ad un matrimonio, ma ad una giornata di lavoro. 

In una giornata di lavoro, si cerca di essere produttivi. Si valorizza la meritocrazia, non la taccocrazia. Come fa un tacco 12 a renderti più produttiva?

Bisogna allora essere sinceri e dire che dentro alle aziende vige molto più la regola dell’apparire che dell’essere o del fare, e che questo male è una cancrena.

Lo stesso si può dire per i manager in giacca e cravatta d’estate, visibilmente sofferenti nel doversi vestire e coprire tanto. Del resto quanto finalmente, appena entrati in macchina, possono sfilarsi le stupidaggini da dosso, e mandare a quel paese quel sistema di falsità e rilassarsi, si sentono sollevati. All’estremo, arriviamo al manager che prima di entrare in azienda va dalla parrucchiera per rifarsi l’onda che tutto il giorno passa ad accarezzarsi, ma questo è “oltre”.

Il problema è “perché”? Goffman parlerebbe di “rituali” e “abiti di scena” con cui i personaggi aziendali cercano di darsi un’immagine. Ma in azienda servono “personaggi” o “persone vere?”.

Uno psichiatra sano, vedendoti vestito come d’inverno con 40 gradi, ti inserirebbe in qualche struttura di ricovero e recupero molto volentieri.

Invece, no. Diventa normale, diventa la regola del branco, il Dress Code diventa un valore, il che è pazzesco perché dovrebbe essere il contrario. 

I Valori dovrebbero dettare i Dress Code.

E nei miei valori, meritocrazia, creatività, produttività, far crescere il Potenziale Umano e Potenziale Personale, non vedo grande consonanza con il mascherarsi con tacco 12 e cravatta estiva. Quelli vanno benissimo, magari ad un party, o se sono scelta libera, se invece a non metterli rischi il licenziamento o il gulag, o il declassamento d’immagine, non ci siamo.

Come ci fa notare Harrison[1], esiste una serie di comportamenti che ogni etnia, ogni tribù, fa propri, e guai a chi li mette in discussione. L’Homo Aziendalis sta prendendo proprio una brutta piega, molto lontana dalla libertà e dalla verità, molto vicina alla “passerella aziendale” che poi fa chiudere le aziende per mancanza di veri contenuti e vere proposte. Pochi progetti e tanto packaging, non fanno bene.

In altre culture, penso alla Silicon Valley, vediamo amministratori delegati di colossi dell’Information Technology tenere discorsi ufficiali con un bomberino di pelle o una camicia semplice, e non tanto per apparire e fare understatement, ma proprio perché quanto hanno da dire è talmente denso e forte, che sovrasta enormemente il bisogno di vestirsi in abito di scena speciale.

Per cui, tornare a “dire” cose importanti deve diventare una nuova moda, rompere la Spirale del Silenzio, rompere la passerella del corridoio, e tornare a ragionare su cosa fa bene all’azienda veramente.

Ciò che vale sempre – come riferimento per il coach – è di puntare a inserire memi che potenziano la ricerca di una soddisfazione soggettiva verso la vita (life satisfaction soggettiva), la verità e la libertà espressiva, rimuovendo la spazzatura mentale che troviamo in circolo, con un’enorme dose di etica professionale e di attenzione.

I memi (tracce mentali) fanno la differenza tra attività che l’individuo vorrebbe saper svolgere e quelle che riesce a svolgere, condizionano il senso di efficacia personale, gli obiettivi che vorrebbe raggiungere e quelli pensa di non poter mai effettivamente a raggiungere (senso di potere personale). Il potere personale dell’essere liberi da falsità e cercatori di verità, è un potere enorme. Vale la pena cercarlo, dovessimo metterci tutta la vita.

I valori determinano comportamenti, in azienda e nel privato

Un valore vero si trasforma sempre in comportamento. In azienda, se un imprenditore crede veramente nel valore delle persone, fisserà un budget per la formazione, imprescindibile. Sul piano privato, se un tuo valore è mantenerti sano, un tuo comportamento sarà mangiare molta verdura e frutta, e fare ogni giorno attività fisica. Se non succede, siamo di fronte ad una dissonanza pesante. E la scusa “non ho tempo” regge poco, pochissimo.

Non parlo di diventare “santi”, parlo di diventare sinceri con se stessi e lavorare sulle dissonanze che troviamo, quando andiamo a scavare tra quello che facciamo realmente e i valori che possediamo e enunciamo essere nostri.

Non è un lavoro che fai per gli altri. Lo fai per te.

C’è gente che riesce ad allenarsi anche 10 minuti al giorno, in modo molto efficace, in stanza d’albergo prima di fare una doccia. Per diversi miei clienti che viaggiano molto ho sviluppato un circuito serio di 10 minuti con 10 esercizi diversi da fare in camera, a corpo libero, e con attrezzi quali il pavimento, le seggiole e niente altro, che vi garantisco che “fa”.

E questo vale per tutto. Se un tuo valore vero è la meritocrazia, ci sono comportamenti che ne derivano, molto concreti.

Ogni intervento di formazione o di coaching inerente il potenziale personale deve obbligatoriamente comprendere lo stato attuale delle credenze (sfondo memetico della persona) e la coerenza valori-comportamenti, rispetto alle aree su cui vuole intervenire. 

Più specificamente, dovrà inoltre analizzare le credenze attive su specifici quadranti che riguardano la performance (sfondi memetici di dettaglio), rimuovere e modificare credenze dannose rispetto agli obiettivi di coaching, e costruire un quadro consonante rispetto agli obiettivi desiderati di crescita e sviluppo personale.

Come conseguenza, va ribadito che le azioni di coaching in profondità e di coaching analitico non si accontentano di cambiare il comportamento esteriore ma devono obbligatoriamente incidere sugli sfondi memetici, sulle credenze profonde delle persone, localizzando blocchi e limitazioni, e stimolando stili di pensiero positivi. 

Il coaching agisce sulla “cultura personale”, non su psicopatologie, e quando investiamo sulla nostra cultura, quando una persona lavora su di sè, diventa più libera. 

Non esiste investimento migliore. È probabile che la cultura dell’investire su di sè riguardi per ora un’elite di professionisti, di manager, di persone che non si accontentano di adagiarsi su un nido vecchio ma desiderano lavorare al proprio “nido interiore” e renderlo più accogliente sia per se che per gli altri. Questa, a mio parere, è una grande forma di libertà.


[1] Harrison, Gualtiero (1988). Antropologia Psicologica. CLEUP, Padova.

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©Copyright. Estratto dal testo di Daniele Trevisani “Psicologia della libertà. Liberare le potenzialità delle persone”. Roma, Mediterranee. Articolo estratto dal testo e pubblicato con il permesso dell’autore.

Libertà del corpo (area bioenergetica)

Con il corpo si fanno i conti solo quando va male, si ammala, o una parte di esso smette di funzionare bene. Cambiare la cultura del corpo per manager è fondamentale, per lavorare meglio, per vivere meglio, per essere migliori

La cultura dell’abitare in un corpo cui dai “attenzione” è stata persa man mano che il lavoro si è spostato sul piano intellettuale. Si crede, erroneamente, che un compito come essere manager sia un compito della mente, dimenticando che è un compito ampiamente dipendente dalle energie corporee a disposizione. Provate a dirigere con attenzione una riunione avendo mal di testa, e capirete immediatamente quanto questo sia vero. Vi è poi un altro capitolo, quello dell’effetto che ha un corpo forte e sano sull’auto-immagine. L’assertività e la pacatezza di un corpo sano e forte sono un connubio assoluto. La malattia o un corpo debole portano sempre con sè anche disturbi dell’umore, sino a vere e proprie distorsioni della personalità

La libertà del corpo è qualcosa che si conquista. Persino imparare a camminare, o a mangiare da soli, è una conquista e deve essere letteralmente “imparata”. 

Se poi vogliamo essere liberi di correre o fare sport impegnativi, allora è davvero il caso che per ottenere questa libertà, mettiamo il corpo, il nostro corpo, al centro di un serio piano di allenamento, alimentazione, recupero, e lo trattiamo come macchina delicata, evitando di romperlo. 

Qui diventa fondamentale distinguere tra stimoli allenanti (un buon allenamento, anche duro, e progressivamente impegnativo, fa bene) e stress inutili (intasarsi di smog, di stress relazionale, di climi tossici, non fa bene, mai).

La libertà corporea è condizionata dalle nostre credenze e abitudini sul funzionamento del corpo e del rapporto corpo-mente. Questo sfondo di conoscenze è spesso viziato da enormità di errori e informazioni dissonanti assorbite dalle fonti più disparate, riviste, media, amici, parenti.

Rispetto al corpo, esiste ogni tipo di atteggiamento e il suo contrario, per cui andiamo dai vegani che rifiutano ogni fonte di cibo legata agli animali (definendo il latte “sangue bianco”), ai fan delle proteine ad ogni pasto (mangio ogni cosa che abbia due occhi e un naso), dai fautori dello yoga del respiro ai praticanti di Mixed Martial Arts e dell’allenamento estremo. E non sto giudicando queste discipline, ne pratico parecchie. Ma è bene essere coscienti di cosa si fa con il proprio corpo e di quali effetti ne verranno. 

Per cui, spendiamo tempo a curare la nostra macchina corporea, alleniamola, curiamola, diamogli attenzione. Ci ripagherà!

Mai dare per scontato niente. Un buon coach, deve verificare eventuali squilibri sul piano corporeo e biologico che impediscono all’individuo di avere un corpo libero, flessibile, sano, e uno stile di vita in cui il corpo va usato, gli va fatta manutenzione, va curato, e non solo abusato.

La libertà è anche alzarsi sulle proprie gambe e avere un corpo che ti porti dove vuoi e non ti faccia da ostacolo o palla al piede. E per quanto la vecchiaia, gli handicap, le malattie, non aiutino, l’attenzione al corpo e il lavoro allenante ha sempre una sua dignità, in qualsiasi condizione si sia.

Libertà mentale (psicoenergetica)

La libertà psicoenergetica riguarda il pieno possesso delle nostre energie mentali e facoltà mentali. Quali facoltà? Ne cito solo alcune tra le migliaia individuabili:

  • resilienza psicologica e resistenza allo stress;
  • forza emotiva e connessione alla fragilità emotiva;
  • capacità di percezione;
  • capacità propriocettive (percezione dei propri stati interni);
  • capacità di analisi;
  • capacità di isolamento mentale (concentrazione focalizzata);
  • capacità di concentrazione sul task/compito;
  • capacità di focalizzazione;
  • capacità di ricentrare le energie mentali;
  • capacità di rilassamento;
  • capacità di meditazione;
  • capacità emozionali (intelligenza emotiva);
  • capacità di distanziare l’ansia;
  • capacità relazionali (es.: empatiche e assertive).

Quando siamo in pieno possesso della motivazione, della volontà, dell’attenzione, delle facoltà di percezione, siamo molto più pronti ad essere liberi o a diventarlo. Siamo in grado di recepire i segnali corporei, e le atmosfere umane.

Siamo più in grado di capire cosa ci nutre, cosa ci intossica, e intervenire.

Il lavoro comprende il conoscere come funziona la propria motivazione ed energie mentali interiori; tocca la libertà dall’ansia, dalle paure immotivate e inutili. 

Se non impariamo a filtrare i messaggi in ingresso, ad ancorarci a facoltà mentali con buona capacità di accedervi quando lo vogliamo, rischiamo di venire strattonati da ogni possibile persona che vuole influenzarci, vittime di ogni possibile gruppo o messaggio, sino ad ingolfare la mente ed entrare in dissonanza totale.

Libertà dalle “Emozioni parassite” e capacità di attivare una “Ginnastica delle Emozioni”

Lo scopo del metodo HPM sull’area psicoenergetica è che le emozioni siano vissute in armonia con i propri bisogni e desideri, e soprattutto che possano esserne un supporto, e non un peso. 

Le emozioni che l’individuo vive però a volte sfuggono di mano, diventano zavorra, anziché aiutare, possono impedirgli di realizzare sogni, bisogni e desideri. Ad esempio, potresti sentirti triste seppure accanto ad una persona con cui invece vorresti essere, oppure invaso da pensieri negativi, introversione e tristezza ad una festa, una festa dove desideri socializzare. Potresti vivere un convegno interessante e ricco di possibili incontri e scoperte come una serie di fastidi e obblighi.

La tristezza viene vissuta nel momento sbagliato e porta il tempo verso un crescente isolamento, In questo caso, la tristezza diventa un’emozione parassita.

Le emozioni parassite si presentano spesso unite a svalutazione di sè, a pensieri del tipo “non valgo”, non merito, non sono all’altezza e altre ruminazioni mentali negative. 

Nel metodo HPM ci occupiamo proprio di riconoscere e rimuovere questi stati, che non riguardano una “patologia” ma un bisogno di alfabetizzazione ai vissuti emotivi. 

Le tecniche utilizzate vanno dall’Emotional Detection (riconoscere l’emozione, grazie ad un lavoro di “Focusing”), all’Emotional Labeling (saperla denominare), Emotional Refraiming (saper sostituire uno stato emotivo con pensieri alternativi e positivi), Emotional Communication (saper comunicare i propri stati emotivi e condividerli con le persone giuste e i momenti giusti per non lasciarli macerare dentro). 

Tutto questo repertorio porta verso una “Ginnastica delle Emozioni”, di cui ho parlato già nel libro “Il Coraggio delle Emozioni”, e altro materiale verrà esposto in questo libro.

Libertà dei propri ruoli di vita

Vivere ha spesso l’obbligo sottostante di interpretare un ruolo. Medico, cantante, saldatore, giardiniere, studente di architettura, sportivo, padre, single, studente di scuola media, artista, leader, capitano, gregario. Sono tutti ruoli rispettabili. 

Il punto è: quando viene il momento in cui tu decidi il tuo ruolo? E quanto sei in grado di far convivere tra di loro più ruoli? Es. essere padre senza rinunciare ad essere sportivo ed evitare di cedere allo stile “lavoro-stress-mangiare-divano-tv-pancia”?

Come fare per trovare forme di autoregolazione tali che il desiderio di carriera non distrugga la famiglia e te? Intanto sappiamo che è possibile. Secondo, sappiamo che è materia di Life Coaching: trovare equilibri di vita, sperimentare, provare e riprovare senza paura.

Questo ha a che fare con le conoscenze su come si forma un ruolo e sul funzionamento delle proprie competenze di ruolo; credenze su come “si fa carriera”, su cosa significa progredire, avanzare, trovare se stessi in un ruolo.

Per ogni ruolo, esiste quello che è bene conoscere e quello che puoi fare a meno di conoscere. E nella vita, i ruoli si susseguono, non sono statici, e non devono mai diventarlo. La libertà, è anche libertà di cambiare ruolo.

Occorre liberare le idee su quanto si possa o non si possa incidere attivamente sul proprio futuro, su dove esso è o non può essere diretto o bloccato.

In questo campo il coaching è fondamentale per assistere la persona nel dotarsi di competenze indispensabili per costruire il proprio futuro anziché lasciarlo in mano al destino o alle volontà di altri. Vivere la propria vita a pieno significa anche acquisire i saperi, saper fare, e saper essere, che lo rendono possibile. Vivere con gioia un ruolo è un forte stato di libertà.

Libertà di esprimersi nei dettagli

Possiamo decidere di andare in profondità nelle cose anziché starne solo alla superficie? Questa è una forma interessante di libertà. Una “micro-libertà”.

Riguarda la libertà di appassionarsi a cose che altri giudicano futili, es fare modellini di auto in miniatura, o bonsai, o curare un giardino.

Esiste un grado di abilità nei dettagli di esecuzione, i possibili miglioramenti di esecuzione rispetto ad attività che la persona compie e in cui vuole migliorarsi; ad esempio, un coaching sulla respirazione durante il gesto sportivo, o in campo manageriale, migliorare le tecniche di apertura di un public speaking, imparare a riconoscere le micro-espressioni. Un buon coach sa capire e far emergere quali sono i dettagli lavorabili che possono aumentare l’efficacia della persona.

Maggiore è la nostra padronanza nei dettagli di qualcosa che per noi è importante, maggiore è il senso di autoefficacia, potenza e libertà esecutiva.

Libertà progettuale

Essere liberi significa anche saper realizzare progetti. 

Avere sogni che non si concretizzano mai e poi mai, non è vera libertà. Quando ve ne sono le condizioni, o impariamo a crearle, fare progetti diventa bellissimo e liberatorio. Un atto di espressività.

Dobbiamo quindi esaminare le nostre credenze sul tema della propria capacità progettuale, ampliamento della capacità di concretizzare un proprio progetto, tradurre un ideale in progetto.

Il coaching qui è veramente fondamentale per far passare un sogno da qualcosa di utopico ad un progetto realizzabile. Se sogno di dimagrire, un progetto concreto per dimagrire mi sarà di enorme aiuto, e qualcuno che mi segue diventa un mio compagno di viaggio. Se voglio esplorare i mercati asiatici, devo identificare gli step da compiere, e iniziare con step praticabili molto pratici. Non posso solo sognare di farlo.

La libertà di progetto è una “libertà pragmatica”, fatta di cose tangibili, di azione, di “chi fa cosa”, di gestione di risorse e dei tempi. Ma è creativa tanto quanto la pittura o la scultura. Così come la libertà di portare avanti un progetto “a modo nostro” senza dovere sempre seguire la tradizione.

Assagioli[1], un grandissimo scienziato Italiano vissuto negli USA, in un classico degli studi sul potere personale del “fare”, tuttora attualissimo, ci parla dell’ “Atto di Volontà” come forma suprema di espressione umana. Bene, quando questo atto si concretizza e passa dal “voglio” al “lo faccio, ci provo”, abbiamo fatto grandi passi avanti.

Libertà di valori e libertà ideologica. Come queste diventano libertà nei comportamenti di tutti i giorni

La libertà della persona di assumere sistemi di valori che sente propri, di cambiarli.  Esaminare il sistema di valori ritenuti importanti nella vita, priorità tra valori e eventuali aspettative divergenti. Si tratta di un esame delle ideologie, dei “credo” valoriali, delle scelte di fondo che ci possono rendere un’attività soddisfazione o sacrificio. In cosa credi? Cosa è importante per te? Cosa da senso alla vita? 

Questo tratto è il più difficile da far emergere, toccando le scelte esistenziali, il significato stesso dell’esistenza. Se però riusciamo a far emergere alcuni di questi elementi forti, essi possono costituire l’ancoraggio di qualsiasi motivazione al fare, al crescere al migliorarsi. Un faro che guida la persona nella nebbia e verso la libertà più vera.


[1] Assagioli, Roberto (1973). The Act of Will. Viking Press, NY. Trad it. L’atto di volontà, Roma, Astrolabio, 1977.

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Non solo libertà ma gioia di vivere

La gioia è uno stato immateriale e ha poco a che fare con le dimensioni dei mondi materiali. Ma la gente ha la mente confusa e piena di pattume psicologico. Per un bodybuilder, i bicipiti e le misure diventano tutto, al punto che anche atleti “grossi” si uccidono con sostanze dopanti perché insoddisfatti fondamentalmente e sempre di sè. Non parlo di integratori, parlo di sostanze che ti uccidono. 

Nel mondo delle aziende, straripano pubblicità di manager stressati, che anziché recuperare una vita da persona intelligente, si dopano di qualsiasi cosa li faccia saltare come grilli per le stanze riunioni, spesso “sparando cazzate” in inglese, per far vedere di essere “operativi” e efficienti, sempre e comunque.

Per un amante del wellness, lo stato di energie corporee, il “sentire”, è il dato essenziale, esperienziale, è il vero fulcro. Altre domande sono quelle che dovremmo porci. 

  • Quanto ho sentito lavorare il corpo in un allenamento? 
  • Quanto ho sentito fluire l’intenzione positiva in una riunione?
  • Come mi sento dopo un allenamento, come mi sento dopo una riunione. Mi alzo al mattino felice o triste?
  • Perché?
  • Come mi sento mentre cammino, come dormo, come mangio, che energie ho in circolo?
  • Quanto riesco a dare voce ai miei progetti e quanto invece rimangono bloccati? Bloccati da cosa?

Essere coscienti che il Life Coaching è un lavoro soprattutto pedagogico su mente e corpo integrati è un grande passo avanti, che si parli di wellness, oppure di impresa, di libera professione, o di direzione aziendale. 

Ci sono persone che fanno coincidere il proprio progresso nel “life” con la cilindrata dell’auto o i metri quadri della casa. Mai disastro fu più grande.

La comunicazione è la possibilità del pensiero di uscire ed entrare da mente a mente, per parlare finalmente di cosa sia il valore della vita, di cosa dà senso alla vita, e non solo dell’ultimo modello di cellulare.

Comunichiamo tramite ogni nostro senso (comunicazione Polisensoriale), e la comunicazione è il collante che permette il tutto, che ci consente di essere menti connesse, formare una rete di menti che possono, quando sintonizzate su un fine nobile, fare cose incredibili. Gioire assieme. Imparare a celebrare la vita non ha in sè un costo, è un’abitudine da imparare.

Ma la comunicazione umana è anche difficile, molto complicata, perché quando si tratta di “portare fuori” il nostro pensiero, ogni sorta di distorsione e di barriera si può frapporre, e possiamo essere non capiti, male interpretati, e il nostro valore non esce certo in automatico. Anche per questo, serve allenamento e impegno.

Ognun vede quel che tu pari. 

Pochi sentono quel che tu sei.

Nicolò Machiavelli

Modelli di vita e “riappropriazioni memetiche”

Se chiedi a qualcuno quali siano le sue idee rispetto al denaro, a come investire bene il proprio tempo, e poi osservi il comportamento reale, noterai che vi sono parecchie discrepanze tra la “memetica dichiarata” e il “comportamento reale”. 

Ad esempio, molti spendono cifre molto consistenti per un cellulare o una grandissima tv, le quali diventano qualcosa di praticamente indispensabile, ma la stessa cifra investita in un corso che può cambiarti la vita sembra per molti un lusso.

Fare una “riappropriazione memetica” significa riprendersi in mano un momento di saggezza, come il lavarsi la faccia con acqua fredda e tornare a dire “hei, cosa sto facendo”? In altre parole, lo “svegliarsi” dal torpore di una vita truccata, come nel protagonista del film Matrix, Neo, accorgersi di dove veramente sei.

La memetica si occupa di come idee e tracce mentali passano da individuo ad individuo, così come la genetica si occupa di geni e informazioni biologiche che si trasmettono da un individuo verso i propri discendenti.

Come ho potuto evidenziare nel libro “Il Coraggio delle Emozioni”[1], serve coraggio per prendere atto di come siamo fatti, di come funzioniamo, di cosa funziona e cosa non funziona in noi, nelle nostre credenze, anche in quelle più forti, e nelle nostre mappe mentali.

È evidente come une genetica potente e sana sia in grado di generare figli e discendenti potenti e sani. E anzi, i portatori di buoni memi sono molto ricercati.

E se una genetica buona fa bene, e una malata crea organismi malati, perché un bagaglio di idee e tracce mentali dovrebbe mai fare il contrario? 

E quando un coach incontra il cliente, durante un colloquio, non fa forse il tentativo di capire la sua memetica per poi intervenirvi?

La cattiva notizia è che la presenza di un bagaglio memetico malato genera disastri nella persona, nelle aziende e in intere nazioni, e non è sufficiente cercare di cambiare un comportamento se i memi sottostanti continuano a lavorare indisturbati. Ad esempio, il “meme aziendale” che dice “la formazione è un lusso” fa a pugni con la tanto dichiarata credenza sul valore dell’investire in Risorse Umane.

La buona notizia è che al contrario, un bagaglio memetico sano fa da amplificatore del potenziale personale – mentre la genetica per ora non è modificabile, la memetica lo è. Con fatica, ma lo è. Un buon coach diventa quindi come un chirurgo, su un terreno delicatissimo, lavorando delicatamente o con forza sulle idee che una persona ha su di sè e sul mondo, applicando inoltre “innesti di memi e rimozione di memi” su come poter meglio raggiungere obiettivi e risultati.

Come se non bastasse per capire l’importanza della memetica, vediamo una differenza tra memetica e genetica: la memetica è in grado di propagarsi quasi istantaneamente. In pochi minuti un’idea può fare il giro del globo. In pochi giorni o mesi un’azienda può essere “invasa” da un meme buono o cattivo, utile (“progettiamo il nostro futuro e diventiamo il riferimento per tutti i nostri competitors”) o distruttivo (es, “sicuramente chiuderemo, a cosa vale impegnarsi”). 

Antichi memi recuperati, ad esempio lo slow food – non fanno altro che ripristinare la libertà del prendersi tempo per mangiare, niente di speciale, ma rivoluzionario. Sono idee recuperate – nel caso, dalla realtà contadina rurale. La new age riprende lo spiritualismo che troviamo in ogni antica religione, ma unendolo a memi di forma più tecnologica (supplementi alimentari, integratori, tecniche mentali).

Il meme, secondo Dawkins[2], è un replicator di informazioni culturali analogo al gene. Nelle sue parole: “proprio come i geni si propagano da corpo a corpo attraverso sperma o uova, così fanno i memi trasmettendosi da cervello a cervello”[3].

Alcune analisi rese possibile dalla memetica: 

Nelle società: come si è diffuso l’odio verso gli ebrei durante il nazismo. Da dove è nato e come ha fatto a diffondersi, propagandosi da persona a persona? 

In azienda: come faccio ad inserire il concetto di “Cura della qualità in ogni istante” in ogni membro, dai reparti produttivi sino al top management? 

Nello sport. Per un atleta: come faccio a dissociare le sue gare dal concetto di “ansia” e di “prestazione forzata” e associarli al concetto di “gioia di vivere e di esprimersi liberi dal giudizio”?

Nel Lifecoaching.

  • Quali sono le tue convinzioni profonde sul concetto di “essere una brava persona” che tu stai seguendo ora? 
  • Quali di queste ti stanno facendo del male? 
  • Quali vogliamo tenere? 
  • Di cosa vorresti liberarti? 
  • Quali nuove idee dobbiamo assorbire per stare meglio (es, su alimentazione, relazioni umane, tempo per se stessi, tornare a vivere a pieno)? 
  • Come fare a far si che queste idee non rimangano solo idee ma diventino poi abitudini e si radichino in te e diventino veramente tue?

Se osserviamo il ROI (Ritorno sull’Investimento) di un percorso di coaching serio, che ti faccia cambiare anche solo una micro-traccia mentale e la migliori, vedremo quanti effetti a cascata si generano, in ogni relazione, in ogni istante, in ogni momento della vita successiva. Questo, penso, vale molto più di un cellulare.


[1] Trevisani, Daniele (2015), Il coraggio delle emozioni. Energie per la vita, la comunicazione e la crescita personale. Milano, Franco Angeli.

[2] Dawkins, R., (1976), The Selfish Gene, Oxford University Press. Trad. it. Il gene egoista, Mondadori, Milano, 1995.

[3] cit. in Trevisani, Daniele (2005) “Regie di Cambiamento“, Franco Angeli.

Dirigere le nostre evoluzioni da dentro. Il lavoro sul “nido interiore”

La natura fa enormi sforzi per trasmettere i propri geni. Un uccello che costruisce un nido sta letteralmente “spendendo”, e la sua moneta è il tempo e l’energia impiegata. Ma impiegata per cosa, ci chiederemo? Per se stesso? No, per le future generazioni, per i suoi piccoli in arrivo. 

Forse tutte le nostre complicazioni mentali umane si potrebbero semplificare, se solo pensassimo che quando lavoriamo al nostro “nido interiore” lo stiamo facendo anche per le generazioni a venire.

Il nostro “nido interiore” è la nostra capacità di fare spazio ad un’idea buona, ad una relazione buona, ad una persona buona. È un nido, non fisico, ma altrettanto forte e capace di proteggere le cose buone quando ben coltivato.

Il nido comprende la qualità del nostro pensiero, e investire su questo è forse la forma più nobile che esiste sul pianeta per impiegare il denaro.

Ogni essere vivente è impegnato in una battaglia costante per trasmettersi e replicarsi. Lo stesso vale per le idee. Chi porta con se convinzioni, opinioni, visioni del mondo, cerca costantemente di influenzare gli altri e trasmettere i propri memi.

Nel coaching, è essenziale esaminare lo sfondo memetico della persona. Lo sfondo riguarda la mappa delle credenze del soggetto (Belief System), la sua cultura e i suoi valori, la visione della vita (Weltanschauung, in filosofia) e le credenze sul mondo. 

A cosa sei in grado di fare da nido? 

Cosa sei in grado di proteggere, cosa no?

Proteggere la propria identità più vera, o uno stile di vita più libero, dagli attacchi esterni, richiede un nido fortificato, forte, ma che non soffochi.

Come tale, ha un’influenza determinante su quello che facciamo e come lo facciamo.

E siccome il coaching vuole modificare in meglio quello che facciamo e come lo facciamo, saper costruire un nido alle nostre idee di libertà diventa una sfida per noi cruciale. 

Abbiamo tutti il potenziale per sviluppare la nostra genialità, la nostra autentica essenza, la nostra bellezza interiore, il nostro nucleo. Lottiamo per farlo, facciamoci aiutare, e ce la faremo tutti. A quel punto, avremo un’umanità diversa, non più guerre, non più odio, rimarrà solo l’”essenziale” la libertà di ricerca, la libertà di esplorare nuovi mondi, di essere, di creare, e amarsi. Anziché evadere da questo destino, da questa essenza umana pulita, cerchiamola, ogni giorno, senza fine.

Evasione dall’essenziale – modalità di funzionamento dell’organismo corazzato. Evitare a tutti costi l’essenziale protegge dal contatto diretto con la propria corazza. A livello più profondo, l’evasione dall’essenziale equivale all’evasione dalla propria genialità, il cui accesso è sbarrato dalla corazza. L’organismo corazzato, pur desiderandolo ardentemente, prova terrore quando entra in contatto con il proprio nucleo biologico e farà di tutto pur di “evadere” dalla propria essenza biologica più profonda.[1]


[1] Fonte del testo in corsivo: http://www.orgonomia.org/glossario.html – retrieved 10 Sept. 2017

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Un salto verso la tua più autentica emancipazione

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Emancipazione. Una questione di “memetica”

Il Life Coaching è una grande forma di emancipazione di sè in cui la persona cerca di ri-tarare, con un supporto professionale, la direzione della propria vita, il suo approccio al corpo (da oggetto quasi inutile, a risorsa preziosissima) e gli stili di pensiero che usa, sino a dettagli fondamentali. Tra questi, allargare e selezionare la gamma delle fonti informative e comunicative che usiamo, facendo pulizia netta da stili mentali disfunzionali e cercando attivamente stili di pensiero utili, decisivi, che portino una capacità assertiva di attacco ai problemi, o capacità di rilassamento, meditazione e unione con valori universali.

Viviamo per riprodurre non solo DNA ma anche “memi”, tracce mentali, e di questo processo vogliamo essere non gli spettatori ma i protagonisti. Il meme, a sua volta ricavato dal greco mímēma ‘imitazione’, tende a replicarsi, e noi siamo sia vittime di questi virus (riceventi) che agenti virali (emittenti). 

Assorbiamo idee e poi le emettiamo. Vogliamo finalmente imparare a filtrare le idee in ingresso e stare allerta sul fatto che quelle che esprimiamo siano davvero nostre, e non ci limitiamo a fare da grancassa ad idee altrui?

La “memetica” o scienza delle idee, ci ricorda che noi siamo anche responsabili di andare a caccia attivamente di “memi” buoni (concetti, pensieri, idee), in qualsiasi campo dell’espressione umana e della natura: un giornale, un libro, un programma televisivo, un sito web, un canale digitale, un tipo di musica, un paesaggio – e stare alla larga e anzi depurarci da “memi tossici”. 

È ovvio che la memetica per il suo potere rivoluzionario sia non solo poco studiata ma anche ostacolata dalle accademie e potentati politici.

Questo comporta per noi una responsabilità etica, di incidere su cosa leggi e cosa guardi, come ti informi, a cosa presti attenzione, e anche un grande intervento di Coaching sul “Comunicare”.

Sappiamo di esistere e vogliamo – istintivamente – metterci in contatto con altre creature viventi. E’ nel nostro DNA, scritto nei geni.

Questa parte della vita è chiamata “comunicazione interpersonale”. 

Ma presto scopriamo che le nostre idee non vengono capite immediatamente, l’altra “persona” sembra non capire o non capire fino in fondo, o non gli interessa assolutamente niente di noi, come se tra di noi ci fosse una barriera, e quella barriera esiste. 

Si chiama “incomunicabilità”, e qualche livello, chi più chi meno, tocca tutti i rapporti. 

Per cui anziché maledirla, scopriamo che lavorare su di sè, sulla propria mente, sul proprio corpo, sulla propria efficacia nella comunicazione, è importante.

E allora, serve la grande dote coltivabile del continuare a crederci.

Non la forza, ma la costanza di un alto sentimento 

fa gli uomini superiori.

Friedrich Wilhelm Nietzsche

E se da bambini pensavamo che fare l’astronauta tutto sommato non fosse difficile, crescendo la vita inizia a sbatterci porte in faccia e le porte in faccia fanno male. Che si tratti di lavorare in azienda, di farsi assumere, di avere una propria attività e vendere i propri servizi, di portare le persone a fare una vacanza dove vorremmo noi, di uscire con una persona che ci piace, di far passare un nostro progetto. Scopriamo che la vita è dura.

Di fronte a questa scoperta, alcuni si ritirano, fanno marcia indietro, si racchiudono in una vita stereotipata dove non ci sia tanto da spiegare a nessuno né qualcosa di speciale da fare. Si rintanano in un loculo sempre più stretto. Quando vince il ciclo “produci – consuma – muori – taci” sei finito.

Altri non ci stanno, iniziano a studiare, a lavorare sulla propria mente, sul corpo, su come arrivare al cervello altrui e capire meglio le idee altrui. E a far capire le proprie idee, e flessibilizzare le proprie. Ad avere un rapporto diverso con il proprio corpo, a praticare discipline olistiche e vedere quanta libertà riescono a rubare ad un sistema che invece ti vorrebbe ingabbiato. A questi eroi è dedicato questo lavoro. 

Viviamo in una finestra di spazio-tempo grande come un granello di sabbia nell’immensità del tempo. Siamo piccoli, molto piccoli. Ma le nostre idee possono essere grandi, immense. E la vita è li a sfidarci: Vuoi ritirarti nella tua nicchia o vuoi uscire e combattere?

E se decidiamo di uscire, possiamo fruire di questa opportunità in una finestra di spazio-tempo molto stretta, la nostra vita terrena. L’epoca in cui nasciamo, la nazione e la zona in cui siamo venuti alla luce, non le abbiamo scelte, ma lì si gioca questa battaglia tra buio e luce, tra oppressione e libertà di vivere a pieno. 

Il coaching vuole dare il massimo del senso possibile a questa “finestra temporale” riaprendo il mondo delle scelte possibili e allargando i nostri orizzonti di vita, mentre il counseling si occupa di rimuovere alcune “incrostazioni” (psicologiche, relazionali, modelli mentali e comportamentali) che possono rendere difficoltosa l’apertura delle nostre finestre di vita e l’ingresso di luce e aria nella nostra esistenza.

La psicologia, come scienza, fa da sfondo a cui attingere così come una cava ricca di metalli preziosi da cui si ricavano gioielli, ma non è il gioiello. E’ lo strumento, uno degli strumenti, in alcuni case la fonte, in altri un ingrediente. Sta al lavoro di un coach, di un Counselor, di un consulente, di uno psicologo o terapeuta, di un fitness trainer, di un consulente, la capacità di creare la magia, prendere questi metalli grezzi e trasformarli nel gioiello che vada bene per te e porti la tua vita a risplendere nella gioia, e la tua anima ad avere il sorriso.

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Il confine corporeo della libertà

In questa ricerca di libertà, abbiamo un confine, il corpo, e questo limite fisico è anche una risorsa straordinaria.

Siamo menti che “abitano” un corpo, degli “embodied minds”, menti incorporate, creature viventi dotate di autocoscienza, cellule e atomi che miracolosamente prendono atto di esistere, e possono muoversi. Ma non per questo, automaticamente, diventiamo liberi. Ad esempio, non possiamo volare, né teletrasportarci.

Poniamo sul tavolo un’ipotesi di lavoro: la libertà è un sentimento vissuto, un sentire corporeo, una forma di dialogo interno, che ci dice che stiamo vivendo a pieno la nostra vita come la vogliamo e senza essere ingabbiati da forze subdole.

Attenzione. Non ha a che fare strettamente con catene, con mura, con “non libertà” fisiche molto ovvie come la prigione. Alcuni pensano che essere single sia un’enorme forma di libertà, altri lo vivono come una prigione (la prigione della solitudine e dell’isolamento). Lo stesso per l’avere famiglia e figli. Prigione esistenziale per alcuni, “il mio focolare più bello” per altri. 

Allenarsi e combattere senza paura e senza ansie inutili è possibile. Lo stesso vale per il lavoro, o fare una presentazione o public speaking. Se lo vivi come un obbligo, viene meno ogni forma di gusto e gioia di vita e dell’atto stesso. Possiamo scoprire i piaceri nascosti in questi brani di vita?

Si tratta di vivere allenamenti e gare, o performance lavorative, come atti di libertà, atti di vita, momenti di festa e di gioia, nel rispetto delle tradizioni. Pensieri come “devo vincere” o “devo fare bella figura” non portano a libertà ma danno sostegno ad emozioni negative, che vogliamo invece tenere lontane da noi nel Dojo, sul ring, o sul lavoro.

La libertà ha come contraltare l’imprigionamento, la paura, l’ansia. Ebbene, queste “prigioni” sono molto più corporee di quanto pensiamo. Costruiscono muri invisibili che ingabbiano le persone peggio delle sbarre.

Un messaggio importante: esistono esercizi, seri, molto seri, che ti aiutano a distinguere le “percezioni”, le “sensazioni” di paura e di ansia inutili e controproducenti, e possono liberarti da paure inutili. Li conduco personalmente, derivano dalle Arti Marziali e dal training mentale per gli sport da ring. Del resto non puoi combattere ad alti livelli se hai paura di farti male, paura della gara, paura di confrontarti, paura del pubblico, vergogna di poter perdere, e quasi tutti gli atleti e potenziali campioni si arrestano per queste paure e non per veri traumi. 

Ne farò omaggio prima possibile alla comunità tramite video, essendo quasi impossibili da descrivere a parole.

Ma torniamo a quanto invece si può scrivere.

Vorresti essere libero dalla paura, libero dall’ansia? Tutti lo vorremmo, ma se fossimo completamente liberi dalla paura, nessun segnale arriverebbe a dirci “stop” nell’attraversare una strada piena di camion e saremmo schiacciati come topi. Quindi, vogliamo liberarci di “tutte” le paure o vogliamo imparare a gestirle diversamente e discriminarle?

Io ascolto i messaggi della paura, li tratto con rispetto e imparo da essi, ma non mi faccio limitare”. Questa frase di Ross Heaven, che proviene dalle tecniche usate nella formazione dei Ninja, i guerrieri giapponesi, esprime bene come un certo approccio di consapevolezza aumentata possa liberare la persona da fardelli inutili.

 

Focusing porta di libertà? L’approccio degli “Embodied Minds”

Così come Paul Watzlawick ha ben espresso, “non è possibile non comunicare”, e che quindi ogni azione o non azione fatta in presenza di altri ha un valore comunicativo[1]. Allo stesso modo, noi dobbiamo renderci conto pienamente che “non è possibile non abitare un corpo”, e il corpo ci condiziona, positivamente o negativamente, ci parla. Che lo ascoltiamo o meno, ci manda segnali e flussi di comunicazione non meno importanti di quelli che scorrono tra le persone (comunicazione mente-corpo).

La libertà richiede prendere atto del corpo e gestirlo in modo consapevole-assertivo, prendere atto del valore della comunicazione mente-corpo e gestirla in modo il più possibile deciso da noi e non esserne solo vittime.

Occorre riconoscere che per comunicare bene all’esterno, è utile capire cosa sta succedendo ai nostri stati interni, stati fisici come le emozioni, stati corporei, i livelli di stanchezza e di stress, stati pre-verbali ancora prima che parole. 

Immaginate una persona che non sa ascoltare bene i propri stati d’animo. Come mai farà ad esprimersi in una comunicazione autentica e libera?

Le emozioni, ricordiamolo, abitano nel corpo[2]. Fare Focusing[3] significa esattamente questo. Andare ad ascoltarsi. Ascoltarsi dentro. Lasciare spazio ai propri segnali interni. Questa è una forma suprema di libertà.

Dal momento in cui capisci di esistere, fino al decidere di dare un’impronta speciale alla tua vita passa molta strada. Questa comprende un atteggiamento altrettanto assertivo sul come esistere e dove voler vivere – sia in termini di ambienti fisiche che di ambienti psicologici.

Da soli è davvero difficile riuscire ad impostare una vita veramente propria e consapevole, fuori dagli schemi proposti con violenza da pubblicità, mass media, esempi negativi attorno a noi e altre forme che subdolamente cercano di dirci “cosa” sia la vita. 

Siamo travolti da messaggi che sin da bambino ti dicono che tu vali in funzione del tuo telefono o della tua auto o della dimensione dei bicipiti o della tua casa o del marchio delle tue scarpe. 

Coaching e Counseling portano un messaggio diverso. Tu vali perché sei, per quello che pensi, per il contributo che dai e darai a questo pianeta, alla cultura umana, sia che tu ci riesca o che tu anche solo ci provi. Tu vali. A prescindere.

Una delle più alte forme di liberta è esprimere se stessi senza nessuna maschera.

Ma come ci ha ricordato Goffman, pioniere su questo tema, siamo creature sociali, e in qualche modo diamo sempre una “rappresentazione” di noi stessi, anche quando cerchiamo di essere genuini.

“Come esseri umani siamo principalmente creature dagli impulsi variabili, con umori ed energie che cambiano da un momento all’altro, come personaggi davanti a un pubblico tuttavia, non possiamo permetterci alti e bassi”.[4]

Le forme del nostro comportamento esterno non sono spesso congruenti con il sentire corporeo interno, le nostre sensazioni, gli stati emotivi che proviamo.

Ecco, forse allora una delle forme estreme di libertà è quella di mostrare anche fuori i nostri sentimenti interni e gli stati interni che viviamo, uscire dal “personaggio” ed essere più veri possibile, anche a costo di apparire “variabili” o come altri dicono, “umorali”. Umorali ma veri, è meglio che standardizzati sempre, ma falsi.

E se sei davvero libero, questo comprende una grande varietà di libertà, ad esempio cercare le emozioni che una certa musica ti dà, anziché ascoltare la stupida radio commerciale. La musica produce emozioni[5]. E tu che emozioni vuoi vivere? 

Che si tratti di musica “epica”, classica, o rock anni ’70, poco importa. Ma accendere la radio e pensare che quella e solo quella che passa il convento radiofonico sia la musica, non è grande esempio di libertà.


[1] Watzlawick, Paul, Janet H. Beavin, and Don D. Jackson. Pragmatics of Human Communication: A Study of Interactional Patterns, Pathologies, and Paradoxes. New York: Norton, 1967.  

[2] Buck, Ross. The Communication of Emotion. New York: Guilford P, 1984.

[3] Letteralmente, “focalizzazione”, nel senso indicato da Gendlin. Vedi bibliografia per approfondimenti.

[4] Goffman, Erving (1959), The Presentation of Self in Everyday Life. New York, Doubleday. Trad. it. La vita quotidiana come rappresentazione, Bologna, Il Mulino, p. 68.

[5] Budd, Malcolm. Music and the Emotions. London: Routledge & Kegan Paul, 1985.

 

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