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ascolto attivo ed empatia

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© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Ascoltare la latitudine di accettazione di una persona, di un’idea, di un prodotto, di un servizio, di un concetto

La comunicazione è sempre interculturale e l’ascolto è sempre interculturale. È un incontro tra culture e background diversi, e se ci pensiamo bene, queste diversità non sono solo nazionali o etniche, ma persino professionali o legati agli studi compiuti, e alle famiglie e zone di provenienza, vi sono diversità culturali persino con la persona che ci abita accanto.

Essere diplomato in ragioneria o al liceo classico, piuttosto che come perito elettronico o ad un liceo artistico, provoca mutazioni nel modo di pensare. Lo stesso in base alla città di nascita, o alla diversa professione compiuta, e alla diversa cultura della famiglia di provenienza.

“Abbiamo tutti dentro un mondo di cose: ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch’io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com’egli l’ha dentro? Crediamo di intenderci; non ci intendiamo mai!”

Luigi Pirandello

Se si parte dal principio che ascoltare e intendersi sia un risultato che merita sforzo, e non una caramella magica, partiremo probabilmente con più attenzioni e più cure.

Per questo, ascoltare non significa solo “far entrare parole dalle orecchie”, ma svolgere una pratica ben più raffinata.

  1. Ascoltare gli altri ad un livello più profondo delle singole parole: saper cogliere le credenze che emergono durante l’ascolto, le convinzioni politiche, religiose, gli stati d’animo, la personalità, il livello di energia emergente in una persona, le cose che pensa e magari non dice, il volto, il linguaggio del corpo, e cosa fa mentre parla;
  2. ascoltare se stessi mentre si ascolta: come evolvono le mie emozioni interne in base a quanto sto ascoltando? Sono concentrato o deconcentrato? Quello che ascolto mi piace o mi fa arrabbiare, mi acquieta o mi agita? L’ascolto di sè stessi – autoascolto – è un elemento fondamentale del processo globale di ascolto

Fare buona comunicazione significa avere la capacità di attivare un flusso di ascolto che faccia emergere elementi localizzati in un sistema diverso dal nostro, e far passare messaggi attraverso barriere culturali.

Diamo tutti troppo per scontato che gli altri ci capiscano, quasi fosse un automatismo. Non lo è!

Ad esempio, se cito Proust o Pirandello, do per scontato che l’altro abbia un background umanistico e letterario. Se parlo di ROI (Return on Investment, il ritorno su un investimento) o peggio di “partita doppia”, sto dando per scontato che l’altro abbia una formazione aziendalista.

Se ascolto molto bene e ho le conoscenze che mi servono, saprò anche dedurre che quando cita il termine “partita doppia”, molto probabilmente è una persona di età medio-avanzata, si è formato in un periodo pre-informatico, in cui la contabilità era soprattutto manuale e i calcoli fatti a mano o con calcolatrice, ma non con il computer.

Se invece la persona mi parla di un E.R.P (Enterprise Resource Planning – software di gestione delle risorse aziendali) probabilmente abbiamo a che fare sempre con un aziendalista, ma più moderno, probabilmente più giovane, con una formazione più recente.

L’ascolto diventa quindi una forma di percezione aumentata, e ancora una volta, può portarci molte più informazioni di quante il parlante avesse intenzione di darne.

“Cercare di vedere le cose in profondità e vederle attraverso la propria interpretazione personale sono due modalità completamente diverse.”

Banana Yoshimoto

Durante l’ascolto emergono e si parla di idee, persone, concetti.

È importante osservare le reazioni della persona.

In particolare il professionista dovrà analizzare attentamente i segnali verbali e non verbali che informano rispetto alla latitudine di accettazione dell’interlocutore, la reazione emotiva di accettazione/neutralità/rifiuto e la sua intensità, che il soggetto produce nel parlare.

Es.

  • Coach “Abbiamo parlato di auto di grossa cilindrata”
  • Supervisore: Ok, ma secondo te, ne parlava con apprezzamento, con neutralità, o con disprezzo?

Come vedete il supervisore in questo caso invita ad andare a cercare la “sensazione sentita” o atteggiamento della persona rispetto all’oggetto del discorso.

Come ho già evidenziato in altri testi, in particolare in “Psicologia di Marketing e Comunicazione”:

All’interno di una popolazione ampia, spesso la distribuzione degli atteggiamenti preesistenti assume una forma di curva normale (curva gaussiana, in termini statistici), che vede la presenza di un’area di soggetti fortemente positivi, una massa di “incerti” o persone che detengono atteggiamenti deboli, e un’area di soggetti con atteggiamenti negativi. Occorre quindi, per il venditore, capire questo scenario di atteggiamenti preesistenti, poiché con questo quadro egli dovrà confrontarsi.

Segmentazione attitudinale del cliente

Il termine “attitude” nella terminologia psicologica e di marketing anglosassone risponde all’equivalente italiano di “atteggiamento”. Con una piccola traslazione linguistica, utilizzeremo questo termine per definire il concetto di “segmentazione attitudinale”, intesa come stratificazione del mercato in funzione degli atteggiamenti preesistenti.

La nostra tecnica individua cinque macrogruppi, differenziati in termini di posizioni latenti verso il prodotto.

Il nostro ascolto, quando è finalizzato a capire il livello di gradimento di una proposta, deve poter categorizzare la persona che abbiamo di fronte in uno di questi gruppi:

  • Gruppo A: soggetti aperti e disponibili che dispongono di atteggiamenti fortemente positivi; le credenze possedute sono tutte positive e rilevanti.
  • Gruppo B: i soggetti dispongono di atteggiamenti positivi ma di valenza debole o moderata. Questi soggetti possono collocarsi in B anche quando a credenze positive (prevalenti) si sommano credenze negative (minoritarie).
  • Gruppo C: soggetti che non dispongono di un chiaro orientamento, per indisponibilità di esperienze precedenti o difficoltà nel valutare, o non conoscenza della materia.
  • Gruppo D: soggetti moderatamente negativi. La negatività può provenire o dal riconoscere solo punti negativi, o dal riconoscere più punti negativi (o di maggiore intensità) rispetto a quelli positivi. Eventuali punti positivi, nel quadro di atteggiamenti complessivo verso il prodotto o la proposta, diventano minoritari.
  • Gruppo E: soggetti fortemente negativi; le credenze negative possono essere numerose e sommarsi, oppure possono essere poche ma di intensità molto alta, tali da mettere in secondo piano qualsiasi altra possibile valutazione.

Questi diversi stadi corrispondono a diverse realtà psicologiche che possiamo trovare ascoltando attivamente.

La segmentazione attitudinale (identificazione di sottogruppi diversificati in funzione degli atteggiamenti esistenti), ha lo scopo di:

  • inquadrare la struttura degli atteggiamenti preesistenti,
  • identificare i target prioritari,
  • definire strategie di attacco ai diversi target.

Supervisore: E tornando all’esempio di prima, la persona con cui hai parlato sarebbe un A, un B un C, un D, o un E, rispetto alle auto di grossa cilindrata? Lo hai colto?

Mentre realizziamo l’ascolto attivo ricordiamo sempre alcune regole basilari:

Segnali che esprimono interesse verso l’interlocutore:

  • sorrisi; viso che si apre;
  • commenti non verbali positivi;
  • richieste di precisazione;
  • richieste relativi a dubbi o obiezioni;
  • domande di reale interesse e approfondimento;
  • segnali di attenzione visiva.

Alcuni segnali che esprimono disinteresse:

  • orientamento del corpo verso altre direzioni;
  • mancanza di cenni di ascolto;
  • dinieghi svolti con il corpo;
  • smorfie e cenni di disapprovazione.

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

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Le Coerenze e Incoerenze tra Segnali Esterni e Realtà Interna

“Puoi fregare alcune persone alcune volte

ma non puoi fregare tutte le persone tutte le volte”

(Bob Marley)

Abbiamo visto quanto sia vasta la quantità dei canali, dei mezzi di espressione e di ricezione nella comunicazione umana.

Le persone comunicano in un’enorme varietà di modi, consapevoli o meno. Tutto ci informa, tutto ci parla, tutto ci suggerisce, e, per chi vuole ascoltare, il mondo è pieno di messaggi. Chi vuole, da questo momento, potrà praticare non più un semplice ascolto, ma un “ascolto olistico”, attento al “tutto” e ad ogni sfumatura del tutto.

L’approccio olistico ci aiuta a distinguere il vero dal falso, il consapevole dall’inconsapevole, le comunicazioni superficiali da quelle profonde.

Esistono centinaia di possibili dettagli e modi di comunicare ed esprimere aspetti di sè ed anche piccoli particolari, in una visione olistica, assumono un valore informativo, come pezzi sparsi di un puzzle che assume senso man mano che lo costruiamo.

Facciamo una piccola rassegna, infinitesimale rispetto all’enorme lista che sarebbe necessaria, su come una persona, sapendolo o meno, può comunicare qualcosa di se stesso:

  1. La musica che ascolta.
  2. I libri che legge.
  3. Cosa ha o non ha appeso alla parete.
  4. Come si veste.
  5. Cosa guarda, programmi, film, cosa vi cerca, cosa lo motiva in profondità a cercare quei contenuti.
  6. Che tipo di bisogni esprime.
  7. La differenza tra come parla in pubblico e in privato (grado di autenticità della comunicazione).
  8. Come è la sua pelle (colore, stato, rughe, segni, tatuaggi, cura, tratti)
  9. Come ha chiamato il cane (che nome gli ha dato, es Lilly, Karma, o Schwengensther?).
  10. I suoi accessori personali (orologio e di che tipo, penne, e altri)
  11. Grado di ordine o disordine nell’utilizzo dei suoi spazi.
  12. Auto (tipologia, anno, grado di ostentazione, e di cosa).
  13. Stile di guida (capacità, padronanza, nervosismo, saggezza), padronanza nei parcheggi e manovre, comportamento in situazioni critiche.
  14. Frequenza dei contatti e “cronemica” (la comunicazione ricavabile dal tempo) – qualcuno che ti chiama sempre, qualcuno che non ti chiama mai, qualcuno che ti risponde solo dopo n. tentativi, qualcuno che ti cerca anche troppo, e ogni possibilità esistente nel “real life”.
  15. Abitazione, zona abitativa, preferenza per il tipo di abitazione (rustico, cittadino, etc).
  16. Grado di narcisismo nell’esporre ed esibire aspetti di sè.
  17. Aspetti della personalità, esempio introversione vs. estroversione
  18. I ”background noises”: le emissioni comunicative involontarie o inconsapevoli che cogliamo in sottofondo (es, il sottofondo di una telefonata, o cosa sento nell’ufficio a fianco, una macchia che non sa di avere, una foto in cui compare qualcosa che non ho controllato)
  19. …ogni altra modalità comunicativa, volontaria o meno.

Le persone annaspano continuamente nel tentativo di dare “segnali esterni” per costruire con la comunicazione una “faccia” e un’identità (il lavoro pionieristico di Erving Goffman su quest’area di ricerca, è magistrale).

Tuttavia, la ricerca affannosa di un modo di essere che li porti ad essere più accettati, più belli, più persuasivi, può portare a dimenticare una verità suprema: la comunicazione esterna è solo un riflesso dello stato interiore.

Le bugie e scostamenti tra ciò che le persone sono è ciò che si vuol fare apparire, prima o poi emergono e corrodono l’anima, oltre a far male agli altri. Persino un Ministro della cultura o dell’educazione può, con una singola frase, far vedere che la sua cultura e la sua educazione sono ridicolmente basse, ad esempio nel trattare con arroganza o superiorità un collaboratore o un giornalista, dimostrando di fatto superbia, ignoranza e presunzione.

Puoi essere Ministro di quello che vuoi, Capo di quello che vuoi, Presidente di quello che vuoi, Leader di questo e quello, ma quando apri la bocca la verità viene fuori, e spesso, senza nemmeno bisogno di aprire la bocca. Al contrario, vi sono Capi di Stato che trattano ogni persona che incontrano con rispetto, che siano accese o meno le telecamere.

Molto di quanto riguarda una comunicazione vera” ha a che fare con l’avere o meno fatto i conti con i propri demoni interni, con le proprie ferite emotive irrisolte, o avere creato un dialogo interno più pulito, più vero, più onesto con se stessi. Le persone che hanno lavorato seriamente su di sè risplendono di una luce tutta particolare, e fanno bene a chi sta loro vicino.

E’ su questa connessione interno-esterno che dobbiamo lavorare ed è su questo che opera la comunicazione olistica, per un “essere umano che comunica” e non solo una “maschera che comunica”.

Puoi avere tutti i galloni che vuoi, le cravatte più costose e gioielli sfarzosi, ma se dentro l’anima è vuota, le tue parole saranno vuote. Lo stesso vale in una riunione aziendale, dove le comunicazioni interne potranno essere vere, coerenti, aperte e oneste, o un misero teatro di finzioni e maschere. Oppure al contrario, possiamo creare condizioni comunicative di altissima qualità, in cui le persone portino il meglio di sè, in un clima in cui qualsiasi problema diventa un’occasione per lavorare felicemente e non vorresti essere altrove se non li. Non è utopia, è realtà possibile.

E la cosa non si ferma qui. Persino la persona può mentire a se stessa, raccontarsi “storie” per reggere relazioni che non tengono, avere un dialogo interiore pessimo e pieno di bugie, oppure apprendere i segreti della comunicazione olistica, che portano ad una maggiore connessione tra la nostra parte razionale e quella inconscia e subconscia, con un netto miglioramento dello stato delle emozioni, e di conseguenza, delle relazioni con gli altri e nel successo personale.

Non è un caso che le persone che vivono in un mondo di bugie interiori, di emozioni irrisolte, di rapporti falsi e mai autentici, in una miseria relazionale da paura, finiscano per ammalarsi. Per cui, la comunicazione olistica ha a che fare, e parecchio, con la salute e il benessere fisico, e questo non è poco.

In ogni rapporto e in ogni forma comunicativa, la ricerca del “vero” è un bene sempre più raro e per questo, sempre più prezioso.

L’ascolto è una forma di ricerca del “vero”.

Perseguire una vita ricca di significato è sempre appunto una “ricerca”, un ascolto dell’universo, in cerca della verità, e non un dono da gettare o qualcosa di scontato.

Dobbiamo farne buon uso, un uso sacro.


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Analizzare i Segnali Verbali, Paralinguistici e non Verbali

Capire un cliente, individuato come qualsiasi entità esterna, è importante. Ma altrettanto importante è capire il “cliente interno”, il nostro interlocutore in un progetto aziendale.

In questo capitolo, parleremo senza distinzione di “cliente”, per individuare la controparte, al di la che si tratti di cliente interno o esterno.

Analizzare il cliente significa cercare di capire più di quanto egli avrebbe la tendenza a dire, e lasciare che il flusso di comunicazione arrivi dal cliente, anziché essere tentati dalla volontà di inondarlo di informazioni.

Il flusso di comunicazione dal cliente va diviso in due strati:

  1. il flusso di dati e informazioni;
  2. il flusso empatico, gli stati emotivi che emergono nel cliente in relazione a particolari bisogni, vissuti, relazioni e rapporti che egli stesso vive.

Nella relazione consulenziale è indispensabile aumentare le capacità di ricezione sia dei dati oggettivi che saper aprire i canali dei flussi empatici.

Come ho evidenziato:

Chi conosce più da vicino il mondo degli acquisti aziendali e della vendita, sa benissimo che le regole della “matematica formale” imposte dalle procedure di acquisto organizzate, anche nelle grandi imprese, non vengono sempre rispettate.

Si può fare di tutto per evitare che un fornitore risultato primo in graduatoria in una gara di appalto (metodo formale d’acquisto) venga in qualche modo escluso, eliminato, sino a compiere atti illegali, pur di non avere a che fare con quel soggetto – che per vari motivi non vogliamo all’interno dei nostri spazi fisici e psicologici.

Dal fattore umano, dalle simpatie-antipatie, dalle valutazioni soggettive, dagli stereotipi, dalle pressioni sociali, dalle pulsioni subconscie ed inconsce, è difficile sfuggire. Questo determina, a volte, lo stravolgimento dei risultati formali, il fatto che vengano ricercate strade per “far vincere qualcuno” nella gara tra i fornitori, a discapito ed in barba delle procedure e delle regole scritte.

Questo accade in genere quando nelle procedure formalizzate di acquisto non sono presenti tutti i fattori reali di scelta (e del resto, è difficile inserirvi fattori subconsci ed inconsci). Ad esempio, la nostra azienda può – abbastanza inconsapevolmente – considerare di fatto molto importante la capacità di ascolto dimostrata dal potenziale fornitore, ma nelle procedure di acquisto non vi è traccia di tale fattore. Questo genera distorsione ed errori.

Anticipando quanto diremo in seguito, per il venditore, in altre parole, è necessario agire sul terreno psicologico dell’impresa acquirente, inserendo le proprie offerte all’interno dell’orizzonte psicologico soggettivo del buyer.

Una mappa per la comunicazione umana

Possiamo avere tutti i mezzi di comunicazione del mondo, ma niente, assolutamente niente, sostituisce lo sguardo dell’essere umano.

 (Paulo Coelho)

L’insieme di tutti i segnali verbali, paralinguistici e non verbali che una persona può emettere è racchiuso nelle categorie esposte nella figura che segue.

Possiamo dire con certezza che ciascuna delle porzioni di questo schema meriterebbe un libro a sè.

Tuttavia, è bene averne in questa sede un quadro riassuntivo. L’utilizzo di queste categorie può essere sia:

  1. nell’aumentare la consapevolezza degli elementi da ascoltare e percepire;
  2. nella coscienza aumentata dei mezzi che noi usiamo per comunicare i nostri messaggi.

Nello schema abbiamo innanzitutto la componente verbale, che si esprime nel “parlato”:

  1. le parole utilizzate, e la scelta delle parole, o scelte linguistiche, sono già una fonte di informazioni preziose, sulla cultura e grado di studi del parlante, sulla sua provenienza, sullo stato emotivo (es utilizzo di linguaggio “alterato” e parolacce), e quindi informazioni inerenti l’umore e tanto altro;
  2. la lunghezza o brevità delle frasi;
  3. lo stile linguistico (es, rurale, poetico, manageriale, informatichese, ottimista, pessimista, etc);
  4. l’utilizzo di figure retoriche e figure logiche (la metafora, l’esempio e tante altre possibili forme), che ci informano rispetto alle capacità di una persona di essere un buon comunicatore o avere studiato comunicazione.
  5. La strutturazione interna del discorso, le strategie narrative che lo qualificano (e: la favola a lieto fine, il report tecnico, l’arringa), la struttura e le sezioni (inizio, centro, fine, o come altro sono strutturate), la presenza di qualche forma di strategia narrativa evidente o meno.

Passando alla comunicazione non verbale, abbiamo:

  1. la qualità della voce: velocità, ritmo, volume, tono, accenti;
  2. le vocalizzazioni, volontarie (come ehm, uhm, ahh…) e involontarie, come tosse, borbottii, il suono e i tratti del respiro (es, respiro rilassato o respiro affannoso).

Questi due ultimi elementi (voce e vocalizzazioni) costituiscono la parte paralinguistica, la parte non-verbale recepita dal canale auditivo. Abbiamo poi il sistema cinesico, o del movimento.

Questo sistema contiene:

  • il comportamento nello spazio;
  • avvicinamento e allontanamento;
  • distanze personali, distanze tra persone, collocamento delle persone nello spazio;
  • movimento della testa e orientamento del capo;
  • il comportamento motorio-gestuale, la gestualità generale come nel caso del nervosismo e della calma, il modo di sedersi, la posizione tenuta nel sedersi;
  • movimenti delle mani;
  • cenni del capo, come il muovere il capo in su e giù, o di lato, la curvatura obliqua del capo e altre forme espressive;
  • gesti compiuti da altre parti del corpo come braccia, gambe, piedi;
  • la mimica del volto, le microespressioni facciali, i movimenti dei muscoli che sono inseriti dal collo alla base del cranio fino alle guance, sopracciglia e fronte. Tanto per rendere la complessità del quadro, ognuno di questi punti elenco ha interi libri e metodi ad esso dedicati, come il metodo Facial Action Coding System (FACS) di Eckman;
  • i comportamenti visivi come l’eye-contact, il contatto visivo, la sua qualità e durata, l’associazione del tipo di sguardo ai muscoli facciali indicativi ad esempio di uno sguardo triste, tenero, duro, o aggressivo.

Abbiamo poi la comunicazione “Aptica”, quella che avviene tramite il contatto fisico. Il contatto fisico può contenere diverse modalità, tra cui:

  • stretta di mano e sue qualità, suoi effetti strategici o dimostrativi, la naturalezza o meno del contatto, il calore trasmesso o il sudore dei palmi delle mani, la fretta o la calma;
  • contatto con altre parti del corpo;
  • gesti come l’abbracciare.

Passiamo poi agli elementi che vengono colti dal canale visivo. in particolare l’aspetto esteriore, composto da accessori della persona e aspetto corporale. Per gli accessori, sono possibili portatori di comunicazioni e messaggi:

  • abbigliamento;
  • accessori, sia delle braccia, delle caviglie, del collo, come braccialetti e collane, ma anche piercing e tatuaggi, e ogni altro elemento cui lo sguardo può attribuire significato;
  • beni personali, es, computer, auto, penna, borsa;
  • modalità d’uso degli oggetti, come la facilità o difficoltà nell’uso di uno strumento elettronico o manuale.

Sul piano corporale, sono portatori di possibili significati e messaggi:

  • la struttura corporea, aspetto e dimensioni fisiche, sviluppo muscolare;
  • i capelli, la loro forma e colore, il taglio dei capelli;
  • le proporzioni, altezza, larghezza, gli stati come magro/grasso etc;
  • i tratti del volto e i segni sul volto, cicatrici, abrasioni, stato della pelle; la pelle e il suo stato specifico quanto a colore (ad esempio, il fatto di sbiancare improvvisamente nel volto è un indicatore involontario di malore), sudore (indicatore di possibile fatica o invece di ansia o panico), cura della pelle;

Vi sono poi:

  • emanazioni corporee, da quelle tangibili come sudore, profumi, puzza, a quelle meno percepibili come i segnali ormonali che emettiamo dalla pelle;
  • sapori (sapori del soggetto, nel contatto fisico di tipo sessuale, o sapori culinari nelle produzioni della persona) ;
  • produzioni attribuibili all’individuo, da una mail a un disegno, una presentazione PowerPoint, un libro, la loro modalità espressiva e significati;
  • la Cronemica, letteralmente, la comunicazione praticata attraverso il tempo. Es, far aspettare, arrivare prima, quanto tempo si impiega a compiere un certo atto, la velocità o lentezza del movimento in termini temporali, e persino il “non rispondere”. Fanno parte di questa categoria le capacità di sincronizzazione e reattività ai messaggi altrui.

Tutti i messaggi possono essere a canale singolo o target sensoriale singolo, o canale multiplo e target sensoriali multipli, generando comunicazioni polisensoriali:

  • bi-sensoriali
  • tri-sensoriali
  • quadri-sensoriali
  • penta-sensoriali
  • exa-sensoriali

La Comunicazione Olistica è il riconoscimento che la realtà della comunicazione umana è estremamente complessa così come è in natura, e se vogliamo esaminare un fenomeno, come ad esempio la seduzione, o la persuasione, probabilmente arriveremo a trovare tutti o quasi tutti gli elementi di questo quadro, in azione sinergica.


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Come Ascoltare Empaticamente

L’ascolto attivo ci chiede di apprendere diverse competenze:

  • capire le emozioni che viviamo in ogni preciso istante
  • capire come il nostro corpo reagisce alle comunicazioni altrui (es.: tensioni muscolari, sudore)
  • imparare a rilassarsi, a non subire le emozioni,
  • imparare a vivere i tempi entro quadranti che siano più produttivi per noi.

È necessario imparare a trovare l’orientamento, non sorprenderci dal sentirsi noi disorientati o trovare disorientamento iniziale nel soggetto che pratica questa tecnica.

È necessario prendersi i propri tempi, senza rinunciare.

Quando ci si sente disorientati, il suggerimento è quello di rallentare, lasciare che il focusing e l’introspezione facciano il proprio lavoro e non avere fretta di chissà quale magico risultato.

Se anche solo una connessione emotiva o un’ancora emotiva trova un appiglio, quello sarà già un grande risultato empatico.

Le stesse competenze sono valide anche per l’osservazione del quadro emotivo che viviamo noi, o che la controparte esprime, anche non verbalmente e tramite segnali deboli.

Non tutto l’ascolto è fatto di domande. Larga parte è fatta di attenta osservazione, di percezione fine, di osservazione mirata.

Si ascolta anche per ascoltare quello che le persone non dicono e non solo ciò che dicono.

Allora, ascoltare bene diventa una sfida, l’empatia diventa una sfida. Ed è solo quando ti trovi di fronte ad una sfida che puoi andare a scavare nelle tue risorse, in quello che hai dentro veramente

Nella vita è molto importante imparare ad ascoltare quello che non ti dicono.
(Heart_Hamal, Twitter)

Spesso una delle cose meno dette è l’emozione in corso.

Per la strada è raro vedere persone andarsene in giro dichiarando apertamente a sconosciuti le proprie emozioni, per paura che gli altri se ne servano. Ma nell’ascolto, è fondamentale imparare ad osservarle.

Il fatto di inquadrare le diverse forze emotive in gioco, discernere le emozioni come intense, intermedie o deboli, di dare loro un’etichetta, permette di parlarne con maggiore specificità.

Permette inoltre di localizzare meglio le diverse emozioni miste (Mixed Emotions), le condizioni in cui sono compresenti più emozioni contemporaneamente, situazione simile a quella in cui in una stanza vi siano più radio accese che trasmettono più canzoni contemporaneamente.

Decodificare i diversi segnali e uscire dalla confusione dei segnali e delle “voci” richiede strumenti di differenziazione, strumenti di analisi e ascolto raffinati.

Nell’esempio, osserviamo un ulteriore modello di stati emotivi esistente in letteratura.

Questo modello, o altri similari, possono offrire un grande contributo per giungere ad una possibilità di consapevolezza aumentata sui diversi vissuti che li accompagnano, e rendere possibile la loro rivisitazione.

Come abbiamo notato, è importante “vedere” non solo quali emozioni si attivano in relazione alle azioni da intraprendere. Anche la modalità per raggiungere il risultato è importante.

La perseveranza viene sempre ripagata quando si tratta di migliorare l’ascolto attivo e l’empatia.

Ogni qualvolta cerchiamo di essere migliori di quello che siamo, anche tutto quanto ci circonda diventa migliore.

 (Paulo Coelho)

La vita quotidiana ci offre continui spunti per allenare le nostre capacità di riconoscimento emotivo. Se odio pulire le scarpe infangate utilizzando una spazzola, e adoro farlo con un getto d’acqua o idropulitrice, di questo dovrò tenere conto. Posso iniziare ad ascoltare partendo da me stesso.

Nel primo caso avremo infatti ottenuto scarpe pulite ma con forte dispendio emotivo (e successiva riduzione di energie per altre azioni), nel secondo caso non solo le scarpe saranno pulite (obiettivo primario), ma ci saremo divertiti, e i nostri budget energetici saranno disponibili per altre azioni, e questo non è poco. Ascoltare non è diverso. Possiamo ascoltare per lo scopo unico di estrarre informazioni, o avere il piacere di ascoltare. Non è sufficiente quindi credere nell’obiettivo, ma trovare soddisfazione nel percorso, nelle modalità, esplorarle come flusso esperienziale positivo. Spesso fare un lavoro sulle emozioni permette di far riemergere dall’oscurità ricordi e stati d’animo repressi, soffocati, dimenticati, ma che avevano bisogno di esprimersi.

Se questo è vero per azioni minimali, immaginiamo quanto sia importante per obiettivi molto più sfidanti, in cui è necessario saper dare tutto di se stessi, come le performance sportive, gli ambienti ad alto rischio, le imprese ingegneristiche.

Tutte queste situazioni sono intrise del fattore più difficile da gestire, il fattore umano. E ascoltare cosa le persone sentono, è uno dei modi migliori per scovare i problemi prima che diventino guai.

La perfezione non esiste – ma puoi sempre fare meglio e puoi sempre crescere.

 (Les Brown)

La sfida è elevata negli obiettivi alti e complessi, ma non è da meno quando riguarda le azioni ripetute, in cui il nemico diventa la noia e la ripetitività. I compiti sono spesso ripetitivi e quotidiani. Un compito come la relazione d’aiuto, la consulenza, la vendita o la negoziazione, se vissuto con sfondo emotivo sbagliato, diventa corrosione dell’anima, di se stessi, e della volontà.

Se vissuto con piacere, è un flusso esperienziale che ci accompagna e ci diverte in ogni singolo contatto. Questo vale per ogni lato della vita umana. Ne sono esempi l’allenamento fisico, che richiede sessioni quotidiane, il lavoro quotidiano (in qualsiasi professione), e le azioni quotidiane che un genitore, marito, o moglie svolgono a favore della propria famiglia, dal lavare i piatti, al fare la spesa, cambiare i pannolini, sino alle azioni minimali di ogni giorno. Ciascuna di queste può essere vissuta come piacere o fastidio.

Larga parte delle azioni di coaching per il potenziale e le performance di ascolto consiste nel:

  1. trovare le modalità migliori per conseguire l’obiettivo, ma anche
  2. nel cambiare obiettivi che non ci attivano davvero, goals che in realtà non hanno valenza per noi, trovare ciò che ci motiva davvero,
  3. saper gustare/apprezzare il flusso esperienziale come valore in sé (spostare l’attenzione dall’obiettivo puro al “percorso” come valore addizionale).

L’insieme delle percezioni inerenti sia l’azione che l’obiettivo diventa materiale di lavoro nel coaching finalizzato a potenziare la capacità di ascolto, affinché l’individuo sia in grado di vivere con maggiore piacere, energia, armonia, efficacia, le sue azioni in entrambi i piani.

Gli strumenti di coaching possono utilizzare tecniche anche sofisticate per l’analisi dello sfondo emotivo che accompagna un’azione, come il “solido emozionale” di Plutchik, e altri strumenti derivanti dalla ricerca sulle emozioni e sull’intelligenza emotiva.

Ascoltare empaticamente può diventare tanto piacevole quanto lo è fare dell’escursionismo: è un escursionismo nelle menti altrui,Daniele Trevisani


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Cosa Cogli Oltre le Parole

Il solido emozionale di Plutchik, già visto ad inizio dell’opera e qui approfondito, ci permette di fare luce su alcune competenze emotive di chi vuole praticare un ascolto attivo:

  • capire che stati emotivi abbiamo noi in un certo momento,
  • capire gli stati emotivi degli altri,
  • capire le variazioni degli stati emotivi,
  • saper distinguere emozioni periferiche da emozioni centrali,
  • dare un nome alle emozioni,
  • poter praticare un debriefing emotivo utilizzando le parole giuste,
  • avere una buona capacità di mappare gli stati emotivi diversi che i diversi membri di un team hanno (mappatura di stati emotivi multipli),
  • e, di estremo interesse: capire cosa suscitano negli altri (piacere o disgusto, rabbia o repulsione, approvazione e interesse) le nostre domande o le nostre proposte.

Tab. 1 – Aree emotive

Stato emozionaleFrequenza con cui provo questo stato – da 0 (mai) a 10 (sempre)
Amore 
Sottomissione 
Soggezione 
Disapprovazione 
Rimorso 
Disprezzo 
Aggressività 
Ottimismo 
Serenità 
Accettazione 
Apprensione, inquietudine, timore, preoccupazione 
Distrazione 
Malinconia 
Noia 
Fastidio, seccatura, irritazione 
Interesse 
Gioia 
Fiducia 
Paura 
Sorpresa 
Tristezza 
Disgusto 
Rabbia 
Aspettativa 
Estasi 
Ammirazione 
Terrore 
Sbalordimento 
Angoscia, pena, dolore 
Repulsione, ribrezzo, ripugnanza 
Furia 
Vigilanza 

Quello che va notato, osservando il modello di Plutchik, è che le diverse emozioni primarie, mescolandosi tra loro possono produrre un’infinita varietà di esperienze emozionali, una vera galassia emotiva verso la quale l’ascoltatore deve essere sensibile e percettivo.

Emozioni, stati d’animo, umori, il “sentire”, stanno dietro alle parole, le accompagnano, e l’ascolto empatico fa di queste vere e proprie “pietre preziose” perché senza di esse, non vi sarebbe alcuna empatia.

Vedere le emozioni oltre le parole e assieme alle parole è come vedere l’aurora boreale o l’arcobaleno, esse sono colorate, fluttuanti, sinuose. Immaginiamo quante sfumature ci siano dietro alla risposta ad una domanda semplice: “come stai?”. Un “come stai?” vero. E non parliamo di un generico “come va?” al quale si risponde con un “tutto ok” o “bene”, tanto per non parlare.

L’ascolto empatico è una vera e propria “battuta di caccia” dove le prede più ambite sono le emozioni in circolo nell’altro.

Allenarsi a questa capacità sensitiva richiede tempo e metodo.

Durante l’ascolto, le persone possono sembrarci inizialmente fredde, ma si tratta di camminare su un mare ghiacciato o su un lago di ghiaccio sapendo che sotto questa lastra la vita pullula e le emozioni vivono una vita propria, e ascoltare queste emozioni è una pratica alla quale le persone stesse non sono abituate. Le persone anestetizzate emotivamente cercano sempre vie di fuga dal guardarsi dentro, scuse, scappatoie, ma la nostra tecnica di ascolto empatico deve lasciare che l’espressione trovi i suoi canali per emergere.

Eugene Gendlin, sviluppatore delle metodologie del “focusing[1], ci invita a stare in ascolto della “sensazione corporea”, quel sentire fisico, da un vago senso di cosa va e cosa non va, sino alle sensazioni forti, per poi aprire ipotesi e strade che ci portino – in un colloquio di counseling o coaching – ad esplorare quelle sensazioni. Nella metodologia qui sviluppata, è anche possibile fare un’operazione diversa: lanciare degli “ami emotivi”, dire alla persona “quanto questa etichetta emotiva risuona in te?” e addirittura non aspettare la risposta verbale ma semplicemente osservare le reazioni nella mimica facciale (metodo FACS di Paul Eckman[2]) o nel corpo intero.

Questo prevede che l’esercizio si svolga in ambiente tranquillo, da seduti o distesi, per eliminare fonti di rumore esterno.

Per trovare la risposta, dovremmo esporre almeno una decina, e più, delle diverse etichette verbali presentate nella tabella che segue, e questo solo per vagamente avvicinarci alla risposta di “come veramente sto e mi sento”.

Inoltre, non è sufficiente cercare etichette linguistiche, ma dovremmo spiegare che cosa ci fa stare in un certo modo, e ancora, dovremmo osservare cosa fa il corpo mentre parla, come il corpo si esprime quanto cerca di far emergere un certo concetto o una sensazione interna per portarla all’esterno.



Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

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© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli.

Distinguere le Emozioni, in Noi e nell’Altro

Mentre ascoltiamo, ciò che ascoltiamo o percepiamo inevitabilmente fa nascere in noi emozioni, forti o deboli, positive o negative.

Ma non solo, noi ascoltiamo emozioni in ogni istante, perché le emozioni sono sempre presenti, a volte in formato molto sottile e attutito, nel qual caso servono particolari tecniche di osservazione aumentata, mentre quando sono forti, intense, sono visibili da chiunque.

L’ascolto attivo, e ancora più l’ascolto empatico, vanno letteralmente a caccia di emozioni, e le associano a quanto si sta dicendo, per avere un quadro più ampio. La nostra prima responsabilità come ascoltatori empatici, è far sentire le persone con cui parliamo a proprio agio.

Ho imparato che le persone possono dimenticare ciò che hai detto, le persone possono dimenticare ciò che hai fatto, ma le persone non dimenticheranno mai come li hai fatti sentire.
(Maya Angelou)

Con questa predisposizione d’animo, potremo far emergere tanto più materiale che non con un atteggiamento freddo o astioso e di superiorità.

Non si tratta di recitare, ma di “essere” accoglienti. Tuttavia, una componente recitativa a volte serve, perché non sempre siamo immediatamente nello stato di disponibilità empatica, per cui bisogna dare comunque segnali esterni di disponibilità, anche se fossero leggermente recitati.

Immergersi nell’ascolto, immergersi nelle storie e nelle emozioni altrui, farà poi arrivare la condizione empatica sicuramente, senza bisogno alcuno di recitare.

Già nella formazione dell’attore, Il Metodo Stanislavskij aveva posto grande enfasi sulla capacità di riconoscere e distinguere le emozioni che ci circolano dentro mentre comunichiamo. Il metodo è uno stile di insegnamento della recitazione messo a punto da Gentian Stanislavskij, pseudonimo di Konstantin Sergeevič Alekseev – da lui denominato “psicotecnica” – nei primi anni del ’900. Il metodo si basa sull’approfondimento psicologico del personaggio e sulla ricerca di affinità tra il mondo interiore del personaggio e quello dell’attore.

Nel metodo, è fondamentale la capacità di contatto con le emozioni interiori attraverso la loro interpretazione e rielaborazione a livello intimo. Per ottenere la credibilità scenica il maestro Stanislavskij creò esercizi che stimolassero le emozioni da provare sulla scena, dopo aver analizzato in modo profondo gli atteggiamenti non verbali e il sottotesto del messaggio da trasmettere.

Le implicazioni per chi ascolta sono numerose: sul fronte emotivo, una modalità di ascolto “an-emotiva”, che non porta in campo nessuna passione, avrà poca probabilità di avere impatto.

Gli artisti sono tra i primi ad avere capito che nella comunicazione le emozioni sono essenziali per lasciare o ricevere contenuto.

Innanzi tutto, l’emozione! Soltanto dopo la comprensione!

 (Paul Gauguin)

In ogni incontro sulla scena il comunicatore ha un proprio sfondo emotivo, e questo varia nelle diverse fasi:

(1) sfondo emotivo che precede l’incontro, e

(2) sfondo emotivo durante l’incontro.

Anche il nostro interlocutore vive uno sfondo emotivo sia nelle fasi precedenti che nelle fasi di contatto. Gli sfondi emotivi variano durante l’interazione. È indispensabile per l’ascoltatore auto-monitorare il proprio sfondo emotivo e tenere traccia delle sue variazioni, così come monitorare lo stato emotivo della controparte e come questo cambia durante le varie fasi dell’incontro.

Come evidenziato nel volume Il Potenziale Umano, è possibile localizzare il flusso esperienziale e mappare il flusso emotivo

Tra i temi dominanti di una psicologia delle performance vi è la mappatura del flusso esperienziale e del flusso emotivo che accompagnano l’azione e le interazioni interpersonali. Condividere le emozioni altrui è un atto molto significativo, per nulla banale. Si apprende in specifiche scuole di coaching e counseling e soprattutto in quelle ad indirizzo corporeo o bioenergetico. La scrittura, per quanto potente, non può sostituire le abilità di un istruttore o formatore che ti segue mentre agisci e ti dice dove stai sbagliando e come correggere.

L’universo ha senso solo quando abbiamo qualcuno con cui condividere le nostre emozioni.

 (Paulo Coelho)


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La Leadership di Ascolto

Ciò che non puoi comunicare rovina la tua vita.

 (Robert Anthony)

Siamo creature che hanno bisogno di comunicare. Non è un caso che la peggiore delle punizioni nelle carceri sia porre una persona nella condizione di non parlare e comunicare con nessuno, “metterlo in isolamento”. Dobbiamo qui riflettere su quali sono i sistemi motivazionali che stanno sotto alla comunicazione, quello che alimenta la “voglia di comunicare”. In ciascuno dei diversi momenti comunicativi che avvengono nei gruppi si possono attivare diversi sistemi di comunicazione. Gli scambi di messaggi che osserviamo tra persone o in un gruppo sono solo la punta dell’iceberg di processi relazionali più forti, i Sistemi Interpersonali Motivazionali (SIM).

Alcuni dei SIM più riconosciuti sono:

  • attaccamento;
  • seduzione;
  • agonismo;
  • cooperazione.

Il conflitto e i malfunzionamenti partono quindi dal sistema motivazionale di comunicazione interna al gruppo o alla diade.

Se parliamo di ascolto interpersonale, dobbiamo sicuramente considerare che i meccanismi di cooperazione e seduzione (anche se intellettuale) possano essere ampiamente attivi, in un dialogo positivo, mentre in un dialogo negativo prevalgano agonismo e antagonismo.

La leadership di ascolto consiste nel prendere le redini degli incontri, e riuscire a dirigerli con consapevolezza e tatto culturale. Non significa assolutamente dominio sull’altro, ma consiste in un’azione di gestione volontaria dei flussi comunicativi, visti dall’alto di una maggiore consapevolezza.

È possibile ad esempio riconoscere quale dei Sistemi Motivazionali si stia generando nella negoziazione, e cercare di modificarlo.

Il principio di cooperazione agisce come collante principale del gruppo, ma anche altri sistemi possono attivarsi per aumentarne il dinamismo.

In questa frase, ad esempio, è evidente un tentativo di impostare un SIM di seduzione:

Quando ti chiedo che cosa fai nella vita, non voglio sapere che lavoro fai. Mi interessa sapere quanta bellezza hai vissuto, che cosa ti tiene sveglio la notte, che cosa ti fa sorridere quando nessuno ti guarda.
(Fabrizio Caramagna)

Nella frase seguente vedete in azione un SIM cooperativo, nel senso che si offre senza imporsi, e chiede una cooperazione, una “richiesta d’aiuto latente”.

Chiedo gentilmente che qualche user di Wikipedia o qualcuno di voi provi a caricare il wikitesto della voce “Daniele Trevisani” affinché voi stessi possiate osservare cosa succede. Credo che non appena qualcuno andrà a popolare quella pagina, arriverà l’immediata reazione di qualche “censore”. Perché lo fanno? Vogliamo provare a capire meglio come operano, cosa li motiva, e assieme prendere provvedimenti per il bene comune?


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Mosse conversazionali

La difficoltà comunicativa esiste quotidianamente nel dialogo tra aziende.

Vediamo questo caso di micro-dialogo tra C – un consulente e I – un imprenditore, i quali si trovano presso l’azienda di I una mattina su richiesta di I stesso:

C1:  Quindi lei mi diceva che vorrebbe fare un intervento di formazione sulla Sua rete di vendita?

I1:    Sì, vorrei fare un pò di sana formazione.

C2:  Su quali problemi vorrebbe agire? Quali sono le problematiche principali dei venditori al momento?

I2:    Beh, sa, è gente preparata… con esperienza…

C3:  Uhm, bene, ha già un’idea precisa dei tempi in cui vorrebbe fare la formazione?

I3:    Beh, penso che in un paio di giorni si potrebbe fare no? Oppure possiamo fare alcuni pomeriggi. Quante ore servono secondo Lei?

C4:  Prima bisogna capire quale impostazione dare all’intervento. Lei è interessato ad un intervento sulle risorse umane personalizzato e dedicato solo a voi, o a far partecipare i suoi venditori ad un corso a catalogo in cui i suoi siano “mescolati” ad altri partecipanti?

I4:    Mah, che differenza ci sarebbe?

C5:  Beh, sicuramente la personalizzazione è diversa, più su misura.

I5:    Voi quanti corsi sulla vendita avete fatto ad aziende nel nostro settore?

C6:  Guardi, abbiamo fatto molti corsi, non credo però che sia importante in quale settore, la formazione sulla vendita è una formazione sulla comunicazione, i temi da trattare sono di psicologia della comunicazione, comunque. Quale prodotto si venda non è il tema significativo.

I6:    Ma, sa, io non vorrei un corso troppo teorico, mi serve qualcosa di applicato al mio settore, avete un elenco delle vostre referenze?

Bene, esaminiamo ora questo “gioco di scacchi”, e cosa fanno le pedine e gli altri pezzi sulla scacchiera della conversazione, consapevoli tuttavia che questa trascrizione non può riportare tutta la ricchezza di un vero dialogo.

In questa conversazione, non è ancora ben chiaro “chi ascolta chi”. Se vogliamo aprire una sessione di ascolto attivo, deve essere molto chiaro chi ascolta chi, e ogni tentativo di sottrarsi al ruolo di “parlante” va ripreso, in caso contrario, avverrebbe che sia l’ascoltato a fare domande, il che può accadere solo per pochi turni. Poi, occorre riportare la situazione dove deve essere. Cioè, le domande le fa chi pratica l’ascolto attivo. In questo caso, le domande dovrebbero essere fatte il più possibile dal consulente, piuttosto che dal cliente.

Se osserviamo una trascrizione – non riportando la sovrapposizione del parlato, o ancora le esitazioni di chi parla e le espressioni facciali che accompagnano la voce – tutto sembra ridursi ad un semplice ping-pong comunicativo mentre la realtà di una conversazione è più complessa e ricca. Tuttavia anche con queste limitazioni, un brano si presta a riconoscere alcune mosse, alcune strategie dei comunicatori.

Ogni brano di questa conversazione può essere analizzato come un insieme di mosse conversazionali. Ogni mossa porta con se un’enorme mole di significati e di sistemi di significazione (sistemi culturali sottostanti).

Ogni mossa ha una valenza specifica, può essere o meno collaborativa, più o meno strategica, ma assume comunque importanza.

Vediamo subito che B rifiuta di esporre i problemi della sua rete di vendita (mossa I2, traducibile come un rifiuto nel dare una risposta diretta), e allo stesso tempo nella mossa I3 espone una visione di formazione come “fare ore”, non come “processo di crescita”.

Nella conversazione, C si concentra sull’analisi delle esigenze del cliente, mentre I attua un depistaggio conversazionale con Topic Shifting, che sposta il focus sul curriculum di C, e lo distoglie sui suoi bisogni di formazione (mossa I5, dove l’imprenditore chiede al consulente quanti corsi abbiano già svolto per aziende simili alla sua).

C cerca di riportare il dialogo sull’asse dell’impostazione da dare al corso, (tentativo di ricentraggio conversazionale), mentre I – nella mossa I6 – continua nelle sue manovre di spostamento della conversazione dal bisogno formativo della sua rete vendita all’analisi del curriculum del consulente.

Nella mossa I6 inoltre esegue un primo attacco (sebbene velato) verso C, dichiarando che non è interessato ad un corso teorico, e quindi dando per scontato che il corso – senza il suo intervento divino – sarebbe stato impostato in modo teorico.

Proseguendo, le divergenze culturali di fondo emergeranno con ancora maggiore forza, sino alla possibile conclusione, che sarà un conflitto aperto di culture, un nulla di fatto, o – si spera – un accordo dove sia chiaro chi fa cosa.

Tuttavia, senza “smontare” la comunicazione (in questo caso, riconoscere la valenza culturale e strategica delle mosse) l’esito sarà un probabile fallimento.

L’ascolto attivo richiede quindi una grande attenzione alle mosse conversazionali, prima ancora che a grandi strategie negoziali che possono fallire se male applicate sul campo.

La negoziazione tra aziende e tra persone si misura nel teatro vero della comunicazione che è la conversazione.

Principio 1 – Gestione delle mosse conversazionali

  • Il successo dell’ascolto attivo dipende dalle competenze comunicative del parlante, in particolare:
  • gestione strategica delle proprie mosse conversazionali;
  • riconoscimento delle mosse conversazionali altrui e del loro intento strategico sottostante;
  • smontaggio ed esplicitazione (immissione aperta sul tavolo negoziale) dei sistemi di comunicazione e mosse della controparte.

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Ricentraggio della Conversazione

Il legame di ogni rapporto, sia nel matrimonio sia nell’amicizia,

sta nella conversazione.
(Oscar Wilde)

Mentre il problema dei turni riguarda soprattutto il “chi parla”, la gestione dei contenuti riguarda soprattutto il “di cosa si parla”. Distinguiamo innanzitutto le capacità di topic setting (fissare gli argomenti conversazionali), da quelle di topic shifting (letteralmente, “slittare di argomento”, “spostare l’argomento”). Entrambe le strategie si inseriscono in una più generale abilità di “gestione dei contenuti” (content management) della conversazione.

Più lasciamo spazio all’altro, più possiamo praticare ascolto.

Una singola conversazione con un uomo saggio

è meglio di dieci anni di studio.

 (Proverbio cinese)

Tra le competenze di topic-shifting e content management si collocano:

  • la capacità di riconoscere l’argomento, “di cosa stiamo parlando”: dettagli, visioni, aspirazioni, richieste, offerte, dati, emozioni. Ogni elemento conversazionale ha una connotazione, un senso. Capire “cosa abbiamo sul tavolo” in un certo momento della conversazione, “cosa sta accadendo” è uno dei principi di base della competenza comunicativa;
  • la capacità di generare fasi della conversazione, ad esempio saper produrre un adeguato small talk (chiacchiere su argomenti di interesse vario, convenevoli) per riscaldare il clima conversazionale, capire se e quando ricorrere allo small talk o quando entrare direttamente sul merito; saper distinguere le fasi di apertura e raccolta informativa dalle fasi di chiusura e concretizzazione;
  • la capacità di far procedere la conversazione lungo assi di contenuto desiderati, o prefissati, seguire un ordine del giorno o uno schema mentale;
  • la capacità di modificare i contenuti della conversazione direttamente o indirettamente, con mosse conversazionali, sulla base di quanto emerge durante l’interazione (modifiche contestuali, adattamenti situazionali, on-the-fly).

Le persone intelligenti sono sempre il miglior manuale di conversazione.

 (Goethe)

Il ricentraggio della conversazione è una variante “dura” delle tecniche di content management e topic-shifting.Il ricentraggio consiste nel riportare la conversazione su punti che le controparti non stanno considerando, o dai quali vogliono sfuggire, o che semplicemente non riescono a cogliere.

Una buona conversazione è un compromesso tra parlare e ascoltare.

 (Ernst Jünger)

Rispetto a questa massima, vera per le conversazioni normali, dobbiamo considerare che il nostro scopo prevalente è spostare questo compromesso sul fronte dell’ascoltare. E a volte, questo va fatto con forza. Ad esempio “so che ci sono diverse posizioni su questo tema, ma io vorrei davvero sentire la sua, e non tanto sul tema X, comunque importante, ma sul tema Y, che mi preme esaminare ora”.

Questa mossa conversazionale d’ascolto è esattamente un “ricentraggio forte” dal tema X al tema Y.

Più si riesce a farlo con tatto e modi garbati, più è alta la sua probabilità di riuscita. Al contrario, possiamo aspettarci una “reactance” (reattanza), una reazione di rifiuto e rigetto che viene dal sentirsi messi all’angolo o sottoposti ad un interrogatorio forzoso. Sul fronte dell’ascolto attivo, questo metodo può portare la persona a parlare di temi che non vorrebbe toccare, ma che sono necessari. Il ricentraggio può essere preceduto e seguito da adeguate mosse di repair (riparazione, scuse, anticipazione). Nei casi estremi il ricentraggio può anche avvenire senza far ricorso a repair, generando in questo modo una situazione estremamente assertiva e persino pre-conflittuale che obbliga la controparte a scegliere se accettare un ruolo di sottomissione conversazionale o non accettarlo e porsi in conflitto aperto.

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Turn-Taking: la gestione dei turni di parola

Le linee di conversazione rappresentano gli assi ideali che congiungono due soggetti impegnati nella conversazione.

Le linee di conversazione sono ciò che unisce due persone durante una fase di ascolto. In ogni colloquio, senza una linea di conversazione, non ci sarebbe alcuna forma di comunicazione.

Le linee di conversazione si creano con lo sguardo, con la parola, con un gesto, con il tocco. Con qualsiasi mezzo della comunicazione verbale e non verbale possiamo avviare una linea di conversazione.

La delicatezza nel creare una linea, è fondamentale, in quanto in fondo si tratta di entrare nello spazio psicologico altrui.

Una parola delicata, uno sguardo gentile, un sorriso bonario possono plasmare meraviglie e compiere miracoli.

 (William Hazlitt)

  • Interrompere due persone che parlano significa rompere la loro immaginaria linea di conversazione.
  • Dare il turno ad una persona significa stabilire una linea di conversazione tra se stessi e un altro soggetto.
  • Invitare due persone a confrontare un punto significa stabilire una linea di conversazione tra i due soggetti.

Le linee di conversazione possono essere sia manifeste ed evidenti (tramite il sistema verbale) che sotterrane e sottilmente mascherate (tramite il sistema non verbale, segnali, gesti, cenni, come nel caso di due giocatori di poker che si stiano scambiando informazioni in modo sotterraneo o tramite codici).

Anche il solo fatto di fare un cenno di assenso o diniego verso una persona presente all’interazione significa stabilire – anche se per brevi istanti, frazioni di secondo – una linea di conversazione, attuata in questo caso come dialogo non verbale.

L’ascolto attivo richiede la capacità di gestire i turni di parola: quando parlo io, e cosa dico – quando parli tu, e cosa dirai.

I turni di parola sono un fenomeno molto elaborato, studiato nell’Analisi della Conversazione, per cui nell’ascolto attivo vanno gestiti meticolosamente.

I meccanismi di gestione dei turni di parola sono estremamente complessi, sebbene praticati da ciascuno di noi ogni giorno.

Voler parlare è quasi una forza primordiale, una forza da tenere a bada, se vogliamo praticare l’ascolto. Voler parlare, e avere anche ragione, è altra forza primordiale. E ricordiamo, questa è una delle massime consigliate da Paul Watzlawick per rendersi immediatamente infelici: “Si tratta, in fondo, della convinzione secondo cui c’è un unico punto di vista valido: il proprio”.

Cedere il turno di parola e ascoltare il punto di vista altrui, è un modo per annullare questa sventura.

Uno dei principali obiettivi del training negoziale e di ascolto nel metodo ALM è quello di stimolare il negoziatore ad ascoltare, a non interrompere o farlo il meno possibile e solo per motivi estremamente seri e consapevoli. Ad esempio, è utile imparare a fare dei Recap o ricapitolazioni, o chiedere il permesso di prendersi un appunto, e ricordando sempre che un’interruzione del turno di parola ha spesso bisogno di una riparazione (repair).

Il flusso informativo che proviene dagli interlocutori è estremamente prezioso, ricco di “pepite informative”, e richiede l’abbandono di una “strategia di inondamento informativo” tipica della comunicazione aggressiva, verso una strategia dell’ascolto.

Io non conosco nessun altro segno di superiorità nell’uomo

che quello di essere gentile.

 (Ludwig van Beethoven)

Il training alla gestione dei turni sviluppa le capacità del negoziatore in fasi delicate, come:

  1. riconoscere i meccanismi di gestione dei turni;
  2. saper come entrare nella conversazione rispettando le regole;
  3. identificare i momenti e strategie di ingresso e di uscita dalla conversazione;
  4. creare le mosse di riparazione adeguate (repair) a fronte di mosse che possono essere percepite come offensive;
  5. applicare una leadership conversazionale, consistente nel prendere le redini dei turni e divenire gestore di turni, morbidamente, e senza forzature.
  6. utilizzare i turni conversazionali soprattutto per far parlare l’altro (quando lo scopo sia l’ascolto attivo ed empatico).

Questo significa anche auto-monitorarsi, dirsi mentalmente la frase “sto parlando troppo io! Malissimo, adesso devo cedere il turno di parola, e fare una domanda che permetta all’altro di partire con un suo discorso” e fare il possibile affinché l’altro sia la persona che parla, e io l’ascoltatore.


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