© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Cosa Cogli Oltre le Parole

Il solido emozionale di Plutchik, già visto ad inizio dell’opera e qui approfondito, ci permette di fare luce su alcune competenze emotive di chi vuole praticare un ascolto attivo:

  • capire che stati emotivi abbiamo noi in un certo momento,
  • capire gli stati emotivi degli altri,
  • capire le variazioni degli stati emotivi,
  • saper distinguere emozioni periferiche da emozioni centrali,
  • dare un nome alle emozioni,
  • poter praticare un debriefing emotivo utilizzando le parole giuste,
  • avere una buona capacità di mappare gli stati emotivi diversi che i diversi membri di un team hanno (mappatura di stati emotivi multipli),
  • e, di estremo interesse: capire cosa suscitano negli altri (piacere o disgusto, rabbia o repulsione, approvazione e interesse) le nostre domande o le nostre proposte.

Tab. 1 – Aree emotive

Stato emozionaleFrequenza con cui provo questo stato – da 0 (mai) a 10 (sempre)
Amore 
Sottomissione 
Soggezione 
Disapprovazione 
Rimorso 
Disprezzo 
Aggressività 
Ottimismo 
Serenità 
Accettazione 
Apprensione, inquietudine, timore, preoccupazione 
Distrazione 
Malinconia 
Noia 
Fastidio, seccatura, irritazione 
Interesse 
Gioia 
Fiducia 
Paura 
Sorpresa 
Tristezza 
Disgusto 
Rabbia 
Aspettativa 
Estasi 
Ammirazione 
Terrore 
Sbalordimento 
Angoscia, pena, dolore 
Repulsione, ribrezzo, ripugnanza 
Furia 
Vigilanza 

Quello che va notato, osservando il modello di Plutchik, è che le diverse emozioni primarie, mescolandosi tra loro possono produrre un’infinita varietà di esperienze emozionali, una vera galassia emotiva verso la quale l’ascoltatore deve essere sensibile e percettivo.

Emozioni, stati d’animo, umori, il “sentire”, stanno dietro alle parole, le accompagnano, e l’ascolto empatico fa di queste vere e proprie “pietre preziose” perché senza di esse, non vi sarebbe alcuna empatia.

Vedere le emozioni oltre le parole e assieme alle parole è come vedere l’aurora boreale o l’arcobaleno, esse sono colorate, fluttuanti, sinuose. Immaginiamo quante sfumature ci siano dietro alla risposta ad una domanda semplice: “come stai?”. Un “come stai?” vero. E non parliamo di un generico “come va?” al quale si risponde con un “tutto ok” o “bene”, tanto per non parlare.

L’ascolto empatico è una vera e propria “battuta di caccia” dove le prede più ambite sono le emozioni in circolo nell’altro.

Allenarsi a questa capacità sensitiva richiede tempo e metodo.

Durante l’ascolto, le persone possono sembrarci inizialmente fredde, ma si tratta di camminare su un mare ghiacciato o su un lago di ghiaccio sapendo che sotto questa lastra la vita pullula e le emozioni vivono una vita propria, e ascoltare queste emozioni è una pratica alla quale le persone stesse non sono abituate. Le persone anestetizzate emotivamente cercano sempre vie di fuga dal guardarsi dentro, scuse, scappatoie, ma la nostra tecnica di ascolto empatico deve lasciare che l’espressione trovi i suoi canali per emergere.

Eugene Gendlin, sviluppatore delle metodologie del “focusing[1], ci invita a stare in ascolto della “sensazione corporea”, quel sentire fisico, da un vago senso di cosa va e cosa non va, sino alle sensazioni forti, per poi aprire ipotesi e strade che ci portino – in un colloquio di counseling o coaching – ad esplorare quelle sensazioni. Nella metodologia qui sviluppata, è anche possibile fare un’operazione diversa: lanciare degli “ami emotivi”, dire alla persona “quanto questa etichetta emotiva risuona in te?” e addirittura non aspettare la risposta verbale ma semplicemente osservare le reazioni nella mimica facciale (metodo FACS di Paul Eckman[2]) o nel corpo intero.

Questo prevede che l’esercizio si svolga in ambiente tranquillo, da seduti o distesi, per eliminare fonti di rumore esterno.

Per trovare la risposta, dovremmo esporre almeno una decina, e più, delle diverse etichette verbali presentate nella tabella che segue, e questo solo per vagamente avvicinarci alla risposta di “come veramente sto e mi sento”.

Inoltre, non è sufficiente cercare etichette linguistiche, ma dovremmo spiegare che cosa ci fa stare in un certo modo, e ancora, dovremmo osservare cosa fa il corpo mentre parla, come il corpo si esprime quanto cerca di far emergere un certo concetto o una sensazione interna per portarla all’esterno.



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Author

Formatore e Coach su temi di Sviluppo del Potenziale Personale, Comunicazione Interculturale e Negoziazione Internazionale, Psicologia Umanistica. Senior Expert in HR, Human Factor, Psicologia delle Performance, Comunicazione e Management, Metodologie Attive di Formazione e Coaching.

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