Ogni leader di un team ad alte prestazioni deve capire quando è il momento di agire e non posticipare l’azione. Che si tratti di un incontro relazionale (un briefing, un debriefing), la preparazione di un’operazione, o la gestione sul campo.
Perché intervenire subito, durante, mentre l’incontro o interazione accade?
• Per i risultati, che altrimenti non arriverebbero.
• Per dare importanza al modo di lavorare e non solo al risultato delle operazioni.
• Per non contaminare il gruppo, facendo sì che un atteggiamento negativo non si diffonda ad altri nel gruppo o passi come lecito.
• Perché se non reagisco, e lascio passare di tutto, chiunque può pensare che non ci credo nemmeno io, cosa ancora più importante se siamo in gruppo.
• Perché non posso permettermi di tenere nel mio team dei segni meno, delle palle al piede, qualcuno che avvelena e inquina il gruppo stesso.
• Perché un non intervento andrebbe a propagare un modo di essere sbagliato verso i collaboratori.
• Per non corrodere la mia autostima.
• Per evitare tutti gli altri effetti negativi che derivano dal calo di autostima.
Essere forze speciali riguarda sia chi compie azioni cinetiche (interventi fisici), che non cinetiche (interventi comunicativi).
È forza speciale un team che si occupa di generare successo nel Key Leader Engagement (coinvolgimento di decisori chiave in un certo territorio fisico o sociale), svolgendo azioni comunicative di alto livello. O chi si occupa di sradicare una malattia dal genere umano, o di generare energia in modo pulito e diverso. Ciò che ci rende speciali è che cosa facciamo, e perché lo facciamo.
Una grande varietà di forze speciali, in senso olistico, intese come gruppi ad alte performance, diventa tale quando riesce a compiere il salto di qualità che divide un assembramento di persone da un gruppo di persone estremamente motivate.
Il primo fattore a rendere speciale un team è la motivazione e senso di appartenenza, il secondo l’addestramento continuo, la formazione continua.
Un terzo fattore è la consapevolezza delle proprie possibilità.
Ogni individuo si comporta nella vita come se avesse un’opinione ben definita della sua forza e delle sue possibilità; come se all’inizio di un’azione, si rendesse conto della difficoltà o della facilità di un dato problema: in sintesi come se il suo comportamento dovesse derivare dalle sue opinioni (Adler 1933, p. 17).
Dobbiamo quindi fondere un lavoro molto sottile, come l’immagine che un gruppo ha di se stesso, e una persona ha di se stessa, con un lavoro molto pratico come l’addestramento e la formazione su capacità allenabili. Il tutto confluisce nella ricerca di un vero e proprio stile di vita (lifestyle) in cui affrontiamo le nostre paure anziché nasconderci, accettiamo esperienze anche senza la certezza di pieno successo e apprendiamo da esse.
Quando una sconfitta non diventa qualche cosa che distrugge il nostro senso di valore personale e la nostra personalità, quando elaboriamo un piano di vita che cominci ad avere senso, stiamo imparando atteggiamenti che Adler individua come veramente fondamentali per raggiungere risultati duraturi.
Se predomina il puro timore di un pericolo di sconfitta, se il perdere si confonde malamente con un abbassamento del senso di personalità, si cercherà di scappare dalla situazione. Al contrario, un atteggiamento sano consiste nel fatto di applicarsi, studiarla, allenarsi, lasciarsi allenare, cercare risorse ulteriori, potenziarsi, attivare il fuoco sacro del superare l’ostacolo e andare avanti. Questo è un grande salto di qualità.
Se l’ideale di perfezione è una persona che non sbaglia mai, non avremo mai veri leader né veri gruppi, si cercheranno solo vittorie facili e scontate.
Un leader conduce ricerca anche in territori inesplorati, e apprende dagli errori, a volte persino andando a cercare dove sarà il punto di caduta per poi imparare e spostarlo alla prossima occasione un po’ in avanti.
Come riferisce Adler, “ogni epoca culturale forma il proprio ideale di perfezione rapportandolo ai suoi pensieri e ai suoi sentimenti” (Adler 1933, p. 31). Per cui è davvero il caso di confrontarsi con la cultura che ci circonda e “farla uscire”, attivando quello che oggi nella scienza memetica possiamo chiamare uno “smontaggio” della cultura in cui siamo immersi, o in termini informatici un reverse engineering, andare a vedere con quale software siamo stati programmati e poi riprogrammarci con maggiore coscienza.
Questo lavoro è indispensabile per fare nella vita quello che vogliamo noi e non quello che la cultura storica in cui siamo nati ci dice sia bene o male senza il nostro permesso.
Grandi riflessioni sulla vita si devono accompagnare a grande addestramento del corpo e delle facoltà mentali.
Quando parliamo di “addestramento” non intendiamo l’esecuzione di semplici ordini robotizzati, ma l’interiorizzazione e completa assimilazione dell’azione entro un modo di fare e di essere.
Se non partiamo dal miglioramento di sé e delle proprie capacità, avremmo sempre bisogno di dare istruzioni e ordini, senza mai arrivare al fatto che le persone abbiano la volontà interiore di migliorare e la capacità di dirigere le attenzioni dove serve, arrivando a un’autonomia operativa che toglie il bisogno di essere guidati passo per passo. Il vero salto di qualità in un gruppo avviene quando si ha sempre meno bisogno di dare ordini e sempre più coscienza autonoma di che cosa è bene fare data la situazione, il contesto, la sfida, il compito, lo stato delle cose.
Una Formazione vera deve passare non solo dai concetti ma entrare nell’azione in cui questi concetti possono essere provati, vissuti, toccati con mano.
Il valore dell’esperienza è assoluto, ma serve l’abilità di apprendere dall’esperienza (la “metacapacità” di apprendere dall’esperienza): potremmo cadere senza capire mai perché siamo caduti, potremmo stare male senza capire mai perché e come siamo arrivati a stare male, potremmo persino avere dei risultati ottimi senza capire se è stato frutto del caso o di qualche nostra strategia che possiamo replicare e potenziare. Possiamo vivere una vita come alghe mosse dalle correnti senza mai mettere a sistema nel nostro repertorio di comportamenti le modalità vincenti che invece ci appartengono:
• nelle aziende, possono e devono diventare team speciali i team di progetto che vogliono sviluppare idee e concetti d’innovazione, si concentrano su come progettare un futuro veramente migliore dando vita a progetti nuovi, innovazione vera e non solo su carta o per fini pubblicitari e di propaganda, cui segua il nulla;
• diventano team speciali anche le famiglie che decidono di far crescere figli sani, coscienti e forti, in una società che offre loro modelli malati, una sfida per certi versi enorme;
• sono forze speciali i corpi scelti dell’esercito e altre forze che operano in ambienti difficili e in missioni critiche, rischiando la vita e con sacrificio;
• sono team speciali, in un concetto esteso, le équipe mediche che effettuano interventi difficili che pochi altri riescono a realizzare;
• sono team speciali i team agonistici e sportivi negli sport estremi, che devono trovare il modo di esplorare ogni angolo del potenziale umano, se vogliono sopravvivere;
• sono team speciali i team sportivi anche in sport ordinari, dove la percezione di quello che si fa diventa sacra;
• sono forze speciali gli operatori che agiscono nelle centrali operative, di sicurezza e protezione civile, e devono apprendere l’arte del coordinamento di migliaia di flussi informativi, arrivando a comprendere significati nascosti ai più, per poi trasformarli in decisioni e azioni;
• sono persone speciali e gruppi speciali alcuni gruppi dediti alla spiritualità o alla religione, in cui si giunge alla trascendenza dei limiti umani e alla connessione con valori sovrumani, sovrordinati, percependo un senso dell’universo che sfugge alle persone comuni. Anche la spiritualità ha proprie forme di leadership.
Per essere veri leader serve visione. Ma visione vera, proiettata in un futuro migliore, non solo nel prossimo “trimestre finanziario” come accade troppo spesso nelle aziende.
I governanti pensano a inaugurare garage e centri commerciali, mentre gli scienziati ci dicono che dovremmo preoccuparci di altro.
Da un’intervista a Stephen Hawking, astrofisico:
Domanda. Quale sarà il nostro destino come specie, secondo lei?
Risposta. Credo che la sopravvivenza della specie umana dipenderà dalla sua capacità di vivere in altri luoghi dell’universo, perché il rischio che un disastro distrugga la Terra è grande. Quindi vorrei suscitare l’interesse pubblico per i voli spaziali. Ho imparato a non guardare troppo in avanti, a concentrarmi sul presente. Ci sono ancora molte altre cose che voglio fare (Valenza 2015).
Chi si preoccupa di qualche cosa di più grande di se stesso ha capito il valore della vita. Chi cerca di lasciare un contributo fisico o morale, un lascito che può andare oltre la propria vita individuale, è un vero leader spirituale e morale, gli altri sono solo maschere che abusano di questa parola.
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Il vero collante di ogni gruppo è lo scopo, persone che perseguono lo stesso scopo sono unite al di là del tempo, dello spazio, delle ere in cui sono vissuti.
Daniele Trevisani
La leadership è la capacità di condurre e ispirare persone, team e organizzazioni verso uno scopo.
Anche condurre la propria vita verso qualche cosa di grande, di nobile, di sano, è una forma di guida, una guida spirituale, valoriale, profonda.
Se persone che condividono uno scopo comune hanno la fortuna di vivere nella stessa era, potranno fare grandi cose, e dare potenti contributi, a sé stessi e agli altri. Ma per farlo le persone devono potersi incontrare, devono potersi conoscere, devono potersi ri-conoscere. Devono unirsi.
I gruppi sono modalità fantastiche per fare alchimia tra le energie di più persone. Un gruppo di studio e ricerca può creare cose che un singolo, per quanto dotato, non raggiungerà mai. Un gruppo può arrivare là dove nessun singolo mai possa pensare, per quanto intelligente e preparato sia.
Un’orchestra può comporre brani di una ricchezza che il singolo suonatore non può eseguire. In ogni forza speciale e gruppo di élite, esistono ruoli diversi, per esempio avvistamento, protezione, incursori, ciascuno con le proprie peculiarità ma con un obiettivo di missione assolutamente condiviso.
Lo scopo è ciò che distingue un assembramento casuale di persone da un vero gruppo unito, per quanto distanti fisicamente siano i loro membri. La divisione dei ruoli è ciò che rende possibile la sinergia. La comunicazione è il flusso che rende possibile lo scambio d’informazione e di energie umane che alimenta tutto quest’apparato.
Perché siamo qui, noi assieme? Perché ora? Che cosa vogliamo fare? Che cosa ci unisce? Che cosa ci può dividere? A che cosa vogliamo contribuire? Come?
Non esiste vera leadership se queste domande non vengono poste. E se di questo non si parla mai, non esiste vera comunicazione.
La comunicazione operativa è l’attività di scambio di messaggi necessari a produrre un effetto desiderato. Guida le persone attraverso i passi necessari.
La comunicazione è come il flusso sanguigno che porta nutrimento a ogni cellula, le alimenta di informazioni ed energie, ne porta via tossine e scorie. Come tale, la comunicazione, nei messaggi che porta e nel come li porta, deve essere nutriente e dis-inquinante, e non tossica e velenosa. Deve essere energetica e motivante, e non demotivante, e questo va tenuto in grande considerazione.
L’anima di un team e la comunicazione che utilizzano sono inscindibili. L’una senza l’altra non sono in sostanza possibili. Leader veri che non comunicano non esistono. Una comunicazione vuota, che non punti a un esito comunicativo positivo o non si ponga il problema di quale risultato darà, è praticamente solo rumore di fondo. Diventa inutile. Persino pericolosa.
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I traguardi di vendita richiedono capacità di delega
Ogni azione di vendita professionale si prefigge traguardi o goal.
La tecnica principale per pianificare i goal consiste nel definire l’obiettivo finale (End-State, o Stato di Arrivo), e dividere in sezioni il percorso che serve per arrivare a quell’obiettivo. Tali sezioni diventano goal distinti da raggiungere, come pietre miliari in un percorso.
Un End-State è la frase che voglio poter affermare una volta finito un progetto di vendita o una campagna di vendita. Es: “3 delle dieci principali aziende nel settore mobilifici devono essere nostri clienti a fine anno”.
Da ogni End-State, derivano goal e operazioni (Operations).
I goal devono essere:
coerenti con le distintività aziendali, con il posizionamento, con le possibilità pratiche;
coerenti rispetto ai saperi, ai saper essere e ai saper fare dell’organizzazione;
raggiungibili;
assegnati con responsabilizzazione personale;
verificati a livello interpersonale profondo (colloqui in profondità con i venditori responsabili del raggiungimento del goal);
supportati dall’organizzazione;
monitorati da un leader.
Delegare e fissare goal sono azioni che rientrano esattamente nel tema della Leadership e ancora più specificamente nella Team Leadership, in questo caso, la direzione di un Team di Vendita Professionale.
Ogni sistema, piccolo (per esempio una famiglia), medio (per esempio un’impresa) o grande (per esempio una multinazionale oppure un ente statale), ha obiettivi da raggiungere.
Crescere i figli, consolidare la presenza sui mercati, darsi una buona organizzazione, sono esempi di obiettivi pratici.
Generalmente, gli obiettivi puntano al lungo periodo, a una visione, a uno stato positivo da raggiungere.
La sequenza obiettivi-goal-progetti-task
Gli obiettivi si traducono in goal (risultati misurabili), progetti (sequenze di attività) e task (compiti).
Così, per una famiglia:
• possiamo identificare l’obiettivo “far crescere i figli”;
• possiamo avere due goal specifici:
farli “crescere bene” sul piano fisico;
farli “crescere bene” dal punto di vista psicologico, morale e intellettuale[1];
• possiamo avviare diversi progetti:
far sì che il ragazzo/ragazza possano svolgere un’attività fisica regolare;
curare la loro alimentazione.
Sul piano psicologico:
evitare di dare esempi sbagliati;
ascoltare i figli realmente;
seguirli e affiancarli nella realizzazione dei compiti scolastici e nella vita, senza però violare la loro sfera di autonomia, ma anzi ampliandola più possibile e gradualmente;
I progetti si traducono in precisi compiti (task), tra cui: portare il bambino/ragazzo alla palestra il lunedì e giovedì dalle 17,30 alle 19, ritagliarsi due serate specifiche e inviolabili dedicate esclusivamente alla famiglia, prendersi una giornata al mese di “uscita a coppia” tra i due genitori, e qualsiasi altra azione sia utile.
Notiamo subito che la sequenza presenta numerosi momenti di comunicazione, sia tra i genitori che in presenza dei figli (gruppo allargato), tra cui “decidere quale sport”, “saper ascoltare”, e numerosissime altre situazioni comunicative.
La qualità di questi momenti comunicativi è direttamente correlata alla possibilità di conseguire i risultati desiderati. Questo accade anche nella Leadership dei Team di Vendita
Principio – Focalizzazione degli obiettivi e backward planning
La qualità della vita nei gruppi di lavoro e la performance dei gruppi stessi sono correlate:
• al grado con cui le azioni quotidiane e i compiti (task) seguono progetti specifici;
• al grado con cui i progetti sono ancorati a goal definiti e misurabili;
• al grado con cui i goal sono ancorati a un obiettivo di lungo periodo (vision).
Il leader funge da coordinatore, comunicatore interno e motivatore, esplicitando il raccordo e coordinamento tra le diverse fasi (task, progetti, goal, obiettivi), per ogni membro del team.
Vediamo ora come la catena obiettivi-goal-progetti-task produca, anche in un’azienda, una molteplicità di attività di comunicazione interna.
Obiettivo: riqualificare la propria rete di vendita dal punto di vista motivazionale e delle competenze delle risorse umane.
Goal: ridisegnare la rete sul territorio, definire una procedura incentivante, migliorare la modalità di intervista del cliente e la capacità di comunicazione e negoziazione.
Progetti:
progetto esemplificativo 1: “one area-one team” in cui viene assegnata la leadership territoriale a una precisa figura professionale, e si decide quali siano le risorse del suo team;
progetto esemplificativo 2: “tecniche di negoziazione avanzata”, in cui i membri del team apprenderanno le tecniche di ascolto del cliente durante la negoziazione, e altri obiettivi di formazione necessari per concretizzare gli obiettivi.
Task: selezionare il responsabile per ogni area, selezionare i membri del team di ogni area, definire la scaletta di incentivazione, selezionare il formatore/consulente per la fase formativa, costruire i gruppi di persone da mettere in formazione, e altri compiti correlati.
Esponiamo di seguito un’ulteriore sequenza relativa al passaggio dagli obiettivi ai progetti, per dare ulteriore concretezza all’argomento.
Processo di focalizzazione degli obiettivi
Obiettivi generali Migliorare la redditività aziendale
Wish-List di risultato Obiettivo : Ottenere un + 40% di fatturato entro 3 anni
Situation Analysis Sviluppo di un primo diagramma di Causa-Effetto (DCE) sulle determinanti dei ricavi e DCE sulle determinanti dei costi; Esplicazione a) dei fattori critici e risultati attesi relativamente ai ricavi (quali leve toccare); b) dei fattori critici e risultati attesi relativi al miglioramento nella gestione dei costi.
Specifiche – Action Plan – Project Management Per ciascun punto della Wish-List, fissare obiettivi quantitativi, tempi, modi, responsabilità (chi fa cosa, quando, come), definire i metodi di misurazione e verifica dei risultati
Ogni task, ogni progetto, ogni goal, richiede attività decisionali di gruppo.
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chiarezza del messaggio, coerenza tra i vari messaggi;
riferimenti, presenza di “deissi” (chi, dove, come, quando, con chi, dati ed elementi di verità) in grado di ridurre confusione e combattere l’“entropia” (deriva verso il caos) nel progetto;
sensibilità emotiva: sa quando un messaggio può essere utile, motivante, e quando corrosivo, distruttivo; di base lavora per costruire;
sensibilità situazionale: sa quando è il momento di dare istruzioni rapide, ordini, e quando è il momento di ascoltare, di soppesare, empatizzare. Capire se si tratta di una situazione di crisi, di routine, di picco, di dare istruzioni, fornire un chiarimento, o di altro. Se così non fosse, un leader dirigerebbe un’evacuazione da un incendio come un colloquio psicanalitico.
Ogni gruppo indistintamente può passare da un assembramento casuale e forzato di persone, praticamente una massa di amebe che se ne fregano una dell’altra, a una forza speciale intesa come energie umane in azione che si coordinano e di cui qualcuno prende la responsabilità coordinativa (leadership).
La comunicazione di un buon leader ha capacità coordinative (pratiche) e ispirative (leadership spirituale e morale).
Quando queste due aree si uniscono, un gruppo diventa capace di cose incredibili. Un buon addestramento e formazione sulle comunicazioni operative sa attivare dei valori che motivano le persone a esserci e insegna alle persone come coordinare i loro sforzi.
Principio 2 – La comunicazione di un buon leader
La qualità della comunicazione è un fattore chiave per la leadership. La comunicazione di un buon leader:
è chiara e consistente nei messaggi, riferimenti, “deissi”, chiara nelle aspettative nei riguardi delle persone e le trasmette apertamente;
è chiara nei sistemi di “rinforzo” o “premi psicologici” dei comportamenti virtuosi e riconosce impegno, sforzi e risultati;
non trasmette aspettative impossibili, negative e demotivanti, ma input possibili e motivanti, distinguendo bene la trasmissione di una “vision” dalle comunicazioni operative che si attuano per produrre questa vision;
instilla “pride & recognition”: orgoglio e senso di appartenenza al gruppo;
è chiara sui “rinforzi negativi”, punizioni e interventi correttivi: riprende i comportamenti che non vanno, non li lascia strisciare né crescere, sa farsi valere quando serve, consapevole che il futuro del gruppo dipende dalla sua coesione e dai comportamenti agiti in ogni istante che conta;
tiene un buon battle rhythm, un ritmo di battaglia, una ritmica di messaggi e azioni che ha un suo flusso e una sua logica, una cadenza, una continuità, momenti e picchi alti e pause ragionate, in un concerto ben consapevole.
Se fossimo un’orchestra, chiediamoci: che brano vogliamo suonare ora in questo gruppo? Una marcia funebre, o la Cavalcata delle Valchirie? Un brano con sfondi emotivi allegri o tristi? Una musica epica o popolare? Che ritmi si sentono? 60, 120 battiti per minuto o 200? E per quanto una persona può tenere 200 battiti per minuto senza crollare?
Tutto questo ha a che fare con la gestione delle energie dei membri del team e soprattutto l’autogestione delle energie da parte del leader stesso. Il lavoro su di sé, da parte del leader, diventa sempre più una necessità quanto più alti sono gli obiettivi.
Quando mi chiedono cosa sia la Team Leadership e Comunicazione Operativa, dal titolo del libro omonimo visibile qui https://www.ibs.it/team-leadership-comunicazione-operativa-principi-libro-daniele-trevisani/e/9788891740083
trovo utile fare soprattutto degli esempi.
La regola base è togliere entropia (caos) dal sistema, che significa prima di tutto disporre una gestione professionale e organizzata del team, e poi emettere comunicazioni non entropiche, chiare, dirette ad uno scopo chiaro a tutti, e quindi “disentropizzare” la comunicazione (rimuovere incertezza, dubbio, gradi di confusione, fare pulizia comunicativa).
Ecco uno stupendo esempio (in negativo) di messaggio entropico di Schettino: “la situazione a bordo è che al limite ci mandino un rimorchiatore” – una frase priva di senso, “al limite” non significa niente, non è una richiesta precisa, e non è la situazione a bordo.
Per 2 anni, dopo la tragedia, sono stato impegnato in Coaching sulla Crisis Communication & Leadership a bordo nave, ed essendo passato parecchio tempo, voglio iniziare a condividere pensieri e risultati per il beneficio di tutti, in nome di una “comunicazione per la sicurezza” che non deve passare mai in secondo piano. Prima la sicurezza, poi tutto il resto.
Di seguito: Un estratto conversazionale, dalla relazione tecnica del GIP del Tribunale di Grosseto.
Discorso sulla leadership. È importante prendere posizione e parlare di leadership in relazione allo stress, alla ricarica di energia e alla scarica di energia. Un leader può vivere stress e disagio o notare o anche creare stress e disagio.
Un vero leader sa prendere posizione. Un vero leader riconosce che il problema esiste, e decide di agire. Non fa finta che il problema di leadership non esista. Di qualsiasi problema si tratti, la formazione leadership insegna a non girarsi dall’altra parte, un corso leadership motivazionale e comportamentale insegna a guardare il problema dritto negli occhi e un discorso sulla leadership non fa finta che tutto vada bene ma agisce sui nodi critici (fattori causali o root causes) che possono ridurre o mitigare il problema.
La formazione leadership comportamentale e un discorso sulla leadership non può prescindere dalla capacità di affrontare i problemi. La formazione leadership e un corso sulla leadership insegna a prendere posizione, riconoscere i problemi e agire con ampie opzioni di strategie.
Un vero leader e una sana formazione leadership insegna a ritagliarsi spazi nella giornata, nella settimana, nel mese, in cui stare lontani dallo stress, per bloccare gli effetti del sistema nervoso simpatico sempre allertato, che rende inefficiente la leadership.
I corsi leadership devono insegnare a sapersi ricaricare, sapersi rigenerare.
Il corso leadership di Studio Trevisani costruito secondo i dettami della Team Leadership e Comunicazione operativa di Daniele Trevisani insegna le tecniche per ricaricarsi e rigenerarsi per poter essere al cento per cento nel momento del bisogno. Per poter affrontare le sfide note ma anche quelle impreviste. Per avere quella riserva di energia che – stai sicuro – prima o poi ti servirà e benedirai di essertela costruita
La formazione leadership insegna anche a riconoscere le false forme di recupero, esempio gli impegni relazionali come cene di lavoro che in realtà sono momenti di non-rilassamento e non-recupero ma anzi consumano le energie relazionali. Saperlo è fondamentale per non confondere questo aspetto con i veri momenti di recupero.
Formazione leadership forte significa anche insegnare tecniche settimanali per la rigenerazione fisica, sia nella natura, come camminare in un bosco, che in palestra e in attività di fitness e wellness. Un leader forte sa farsi carico di problemi veri, un leader debole non riesce ad alzare nemmeno la lettera sui quali sono scritti.
Un corso leadership di Studio Trevisani insegna una filosofia di sacralità del corpo e delle proprie energie personali. Le aziende più evolute sono quelle che tengono di più alle proprie persone e non quelle che le mandano in burnout.
Un leader che brucia le proprie persone è un leader tossico, applica una leadership tossica, non è un vero leader.
In un corso leadership si insegna la capacità di lettura di segnali e degli ambienti, delle persone e delle situazioni comunicative.
I segnali che “è ora di fare qualcosa” ci sono, ed è sempre ora di fare qualcosa, per migliorarsi, cercando un piccolo aspetto da migliorare nella gestione della giornata, nella gestione della settimana, nella gestione del mese, nella gestione della stagione aziendale.
Un vero leader e una formazione leadership vera insegna i valori, il primo valore è far crescere la squadra. lasciare dietro di sè una squadra più forte, più coesa e più compatta è lo scopo di un vero leader.
Un corso leadership e la formazione leadership insegnano a sviluppare una squadra, a farla crescere, non certo a spremere le persone generando un turnover assurdo nel quale ci si trova sempre a dover ripartire da capo.
Test di leadership e formazione leadership, corso leadership Sezione dal testo di Leadership Emozionale EMLEAD72 presente nel libro “Team Leadership e Comunicazione Operativa” https://www.ibs.it/team-leadership-comunicazione-operativa-principi-libro-daniele-trevisani/e/9788891740083
Test 2.12 – Area della valutazione di autoefficacia. Self-Efficacy Evaluation (SEA)
Scaling
Molto vero
Abbastanza vero
Poco vero
Per niente vero
Mi considero una persona di grande efficacia in termini di leadership
¨ 3
¨ 2
¨ 1
¨ 0
Nel complesso, sono soddisfatto della mia capacità di gestire le persone
¨ 3
¨ 2
¨ 1
¨ 0
Penso di avere un comportamento di leadership ideale, mi sento esattamente come vorrei essere
¨ 3
¨ 2
¨ 1
¨ 0
Vi sono situazioni nella gestione delle persone che mi sfuggono ancora
¨ 0
¨ 1
¨ 2
¨ 3
Diversi obiettivi che vorrei raggiungere professionalmente mi sembrano ancora troppo difficili per le mie capacità
¨ 0
¨ 1
¨ 2
¨ 3
Sento di avere bisogno di affermare me stesso/a in modo più efficace
¨ 0
¨ 1
¨ 2
¨ 3
Commento al test leadership e formazione leadership, corso leadership
La valutazione di autoefficacia riguarda l’analisi dell’immagine di se stessi come leader efficace. Come tale, è una variabile dipendente sulla quale influiscono diverse delle valutazioni specifiche svolte in precedenza, ma anche altri fattori latenti del proprio inconscio e subconscio.
Punteggio
da 0 a 6
indica una bassa percezione di sé come leader efficace, ma questo non significa necessariamente che non vi sia un forte potenziale di leadership. Ciascuno può coltivare le attitudini necessarie, crescere e migliorare. Se la leadership è veramente importante per te, un piano di coaching può farti prendere coscienza dei tuoi limiti attuali e potrai tentare di superarli.
Punteggio
da 6 a 12
indica una percezione di sé come leader efficace, con diverse aree tuttavia sulle quali è importante lavorare. È indispensabile avviare un piano di lavoro con un coach.
Punteggio
da 13 a 18
Un punteggio alto evidenzia una buona percezione della propria efficacia come leader, tuttavia è indispensabile non sopravvalutarsi, non considerarsi mai arrivati, sapersi accettare ma allo stesso tempo rimanere aperti a ulteriori evoluzioni e sviluppi. La stasi sui risultati raggiunti rischia di cristallizzare ogni persona.
Lo spazio della crescita personale e dell’impegno verso se stessi. Prova a fare una valutazione di sintesi delle tue priorità, al termine di questo test di riflessione. Quali sono i punti principali sui quali vorresti lavorare? Prova a fissare qualche obiettivo praticabile, e valuta per quali di questi obiettivi ritieni di poter attivare un autocambiamento e per quali ritieni di poter ottenere benefici da supporti esterni (formazione, coaching, counseling). Una somma di piccoli cambiamenti può fare una grande differenza nella tua leadership.
Lo spazio della crescita personale e dell’impegno verso se stessi. Su cosa mi fa riflettere questa porzione del test? Che cosa posso fare nella pratica da domani? Appuntati un cambiamento, anche minimo, che può portarti nella direzione desiderata. Cerca di identificare con precisione una situazione, persona, luogo o momento in cui applicarlo.
Formazione leadership, discorso sulla leadership di Daniele Trevisani estratto dal Corso Leadership e Comunicazione Operativa
Segna le Keywords principali che ricordi, le parole chiave che caratterizzano questo brano di formazione leadership e di corso leadership, nel discorso sulla leadership di Daniele trevisani. Elencane almeno 10
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Indica alcuni dei principali “insight” che ha tratto dalla Formazione leadership, discorso sulla leadership di Daniele Trevisani estratto dal Corso Team Leadership e Comunicazione Operativa
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Una delle sfide che attende un gruppo ad alta efficacia e che opera in condizioni difficili o estreme è la grande capacità di distinguere il vero dal falso, le opinioni dai dati, la percezione falsata da una buona percezione.
Oltre a questo, sarà anche necessario imparare a condividere, a scambiare, a ricercare una percezione condivisa, ove le percezioni individuali siano diverse.
Senza questa capacità, al posto di un team avremmo un insieme di cani randagi, al posto di un branco di lupi un insieme di individui sconnessi.
Vediamo come viene definito il concetto da fonti militari.
Shared Situational Awareness (SSA)
La situational awareness (conoscenza, consapevolezza della situazione) indica il grado di precisione con cui la percezione di una situazione da parte di un individuo corrisponde alla realtà effettiva.
Quando la conoscenza della situazione è patrimonio comune di un insieme di attori (nel caso specifico, sensori, decisori e attuatori), si parla di “conoscenza condivisa” (shared).
I fattori che possono ridurre la consapevolezza della situazione sono fatica, stress, sovraccarico di lavoro, insufficienza della comunicazione, degrado dell’ambiente operativo; fra quelli che al contrario contribuiscono a migliorarla vi è in primo luogo un efficiente networking della forza, che abilita la distribuzione tempestiva e capillare di informazioni precise, aggiornate e affidabili (Ministero della Difesa 2012).
Ogni singola riga di questa definizione merita grande approfondimento. In particolare:
il tema della precisione con cui la percezione individuale di una situazione corrisponde alla realtà effettiva;
i fattori di stress che contribuiscono a degradare la capacità di percezione;
la distribuzione delle informazioni e la condivisione.
Per compiere tutto questo, un team deve essere in grado di comunicare bene al suo interno.
Nel momento stesso in cui devi dirigere anche solo una persona, ti devi porre nuove domande su di te.
E se le persone sono 10, 100 o 1000, tanto di più su di te dovrai lavorare.
Deve crescere il tuo grado di attenzione alla tua crescita personale. Devi chiederti come comunichi
Chiediti se sei chiaro abbastanza, chiediti cosa dai per scontato e magari non è bene farlo.
Chiediti quando trasferire soli dati e quanto conta la motivazione.
Se poi ha responsabilità grandi di organizzazioni complesse, questo diventa un dovere morale e ciò che fa che fa di te un vero leader.
La gestione dei team richiede tecniche di comunicazione efficaci a vari livelli (cfr. inoltre fig. 1):
fase direzionale è comunicazione top-down: dare ordini, istruzioni, direttive, delegare bene;
capacità di interiorizzazione dei ruoli è empowerment, dare potere ai ruoli, dargli piena capacità operativa e gradi di autonomia;
capacità di sviluppo della relazione è equilibrio tra empatia, saper ascoltare gli altri, e assertività, saper imporre una visione e tirare le somme;
capacità motivazionale è comunicazione persuasiva, alimentare energie positive, forza, coraggio, motivazione;
capacità di sviluppare leadership in azione è comunicazioni operative, ordini, direttive chiare, deleghe chiare, informazioni chiare, quando servono, a chi servono, evitando noise (rumore e degrado informativo) e riducendo il rumore di fondo.
Figura 1 – Le fasi della comunicazione nella gestione dei team
Le tecniche necessarie per gestire un team sono molte, e cito solo alcune delle principali:
diagnosi organizzativa e dei flussi di comunicazione: chi comunica che cosa e a chi, a chi servono informazioni, quando, perché;
diagnosi degli stili di comunicazione: “Comunichi nel modo giusto per poter stare in questo team?”;
diagnosi dei climi emotivi: “Che aria tira?” “Chi porta energie positive?”;
valutazione dei potenziali dei singoli;
valutazione della corretta attribuzione dei ruoli: “Ci sono le persone giuste al posto giusto?”;
combat readiness e team readiness; valutare se un individuo sia o meno “pronto al combattimento” (in senso metaforico), ovvero nello stato di forma fisico e mentale per eseguire la performance, per ricevere un certo compito, entrare in azione e dare il reale contributo necessario.
Gli interventi che bisogna apprendere a svolgere per incrementare le capacità di un team sono anch’essi diversificati:
interventi correttivi diretti su singoli;
interventi di comunicazione informativa all’intero team;
condivisione di piani e strategie;
condivisione di visioni e obiettivi;
mentoring; counseling, training, coaching e ogni processo utile ad alimentare di competenze le persone.
Tutte le diverse tecniche formative, peculiari, sono da assorbire e studiare per affilare le armi della capacità di dirigere un vero team.
Se prendiamo un gruppo di persone accatastate in un autobus, persone che non si conoscono, questo non fa di loro una forza speciale e nemmeno un team. Ma anche persone che si conoscono e comunicano tra di loro poco e male non potranno essere una forza speciale, un vero team ad alte prestazioni.
Ogni team, e ogni persona, ha una propria psicologia e struttura caratteriale, un certo livello di competenze, valori, energie, forze e debolezze.
Essere a capo di un gruppo (una squadra, un’azienda, un’area) non equivale a possederne la leadership. Esistono numerose realtà nelle quali gli organigrammi del potere e del carisma reale non corrispondono agli organigrammi ufficiali.
La leadership reale, il carisma e il potere, sono nelle mani di chi è più abile nel gestire la comunicazione sul campo, applicando la leadership conversazionale ed emozionale in ogni singolo contatto.
Il salto di qualità in un team è qualcosa che si vede, si sente, si percepisce. Servono meno parole e la comunicazione è più intuitiva. I linguaggi diventano precisi e chiari, spariscono i fraintendimenti o vengono ridotti al minimo e riconosciuti prima che diventino grandi errori. Si va nella sede dove opera il team con il sorriso e con la voglia di entrare e non se uscirebbe mai. Questo non è un sogno, è qualcosa che ho vissuto tante volte, in tanti posti diversi, in team aziendali e sportivi, per cui è bene estrarne alcuni ingredienti e avviare una riflessione. Questo primo articolo avvia tale discussione sulla leadership di qualità.
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Una grande varietà di forze speciali, in senso olistico, intese come gruppi ad alte performance, diventa tale quando riesce a compiere il salto di qualità che divide un assembramento di persone da un gruppo di persone estremamente motivate ed efficaci.
Il primo fattore a rendere speciale un team è la motivazione e senso di appartenenza,
Il secondo l’addestramento continuo, la formazione continua.
Un terzo fattore è la consapevolezza delle proprie possibilità.
Ogni individuo si comporta nella vita come se avesse un’opinione ben definita della sua forza e delle sue possibilità; come se all’inizio di un’azione, si rendesse conto della difficoltà o della facilità di un dato problema: in sintesi come se il suo comportamento dovesse derivare dalle sue opinioni (Adler 1933, p. 17).
Dobbiamo quindi fondere un lavoro molto sottile, come l’immagine che un gruppo ha di se stesso, e una persona ha di se stessa, con un lavoro molto pratico come l’addestramento e la formazione su capacità allenabili. Il tutto confluisce nella ricerca di un vero e proprio stile di vita (lifestyle) in cui affrontiamo le nostre paure anziché nasconderci, accettiamo esperienze anche senza la certezza di pieno successo e apprendiamo da esse.
Quando una sconfitta non diventa qualche cosa che distrugge il nostro senso di valore personale e la nostra personalità, quando elaboriamo un piano di vita che cominci ad avere senso, stiamo imparando atteggiamenti che Adler individua come veramente fondamentali per raggiungere risultati duraturi.
Se predomina il puro timore di un pericolo di sconfitta, se il perdere si confonde malamente con un abbassamento del senso di personalità, si cercherà di scappare dalla situazione. Al contrario, un atteggiamento sano consiste nel fatto di applicarsi, studiarla, allenarsi, lasciarsi allenare, cercare risorse ulteriori, potenziarsi, attivare il fuoco sacro del superare l’ostacolo e andare avanti. Questo è un grande salto di qualità.
Se l’ideale di perfezione è una persona che non sbaglia mai, non avremo mai veri leader né veri gruppi, si cercheranno solo vittorie facili e scontate.
Un leader conduce ricerca anche in territori inesplorati, e apprende dagli errori, a volte persino andando a cercare dove sarà il punto di caduta per poi imparare e spostarlo alla prossima occasione un po’ in avanti.
Come riferisce Adler, “ogni epoca culturale forma il proprio ideale di perfezione rapportandolo ai suoi pensieri e ai suoi sentimenti” (Adler 1933, p. 31). Per cui è davvero il caso di confrontarsi con la cultura che ci circonda e “farla uscire”, attivando quello che oggi nella scienza memetica possiamo chiamare uno “smontaggio” della cultura in cui siamo immersi, o in termini informatici un reverse engineering, andare a vedere con quale software siamo stati programmati e poi riprogrammarci con maggiore coscienza.
Questo lavoro è indispensabile per fare nella vita quello che vogliamo noi e non quello che la cultura storica in cui siamo nati ci dice sia bene o male senza il nostro permesso.
Grandi riflessioni sulla vita si devono accompagnare a grande addestramento del corpo e delle facoltà mentali.
Quando parliamo di “addestramento” non intendiamo l’esecuzione di semplici ordini robotizzati, ma l’interiorizzazione e completa assimilazione dell’azione entro un modo di fare e di essere.
Se non partiamo dal miglioramento di sé e delle proprie capacità, avremmo sempre bisogno di dare istruzioni e ordini, senza mai arrivare al fatto che le persone abbiano la volontà interiore di migliorare e la capacità di dirigere le attenzioni dove serve, arrivando a un’autonomia operativa che toglie il bisogno di essere guidati passo per passo. Il vero salto di qualità in un gruppo avviene quando si ha sempre meno bisogno di dare ordini e sempre più coscienza autonoma di che cosa è bene fare data la situazione, il contesto, la sfida, il compito, lo stato delle cose.
Una Formazione vera deve passare non solo dai concetti ma entrare nell’azione in cui questi concetti possono essere provati, vissuti, toccati con mano.
Il valore dell’esperienza è assoluto, ma serve l’abilità di apprendere dall’esperienza (la “metacapacità” di apprendere dall’esperienza): potremmo cadere senza capire mai perché siamo caduti, potremmo stare male senza capire mai perché e come siamo arrivati a stare male, potremmo persino avere dei risultati ottimi senza capire se è stato frutto del caso o di qualche nostra strategia che possiamo replicare e potenziare. Possiamo vivere una vita come alghe mosse dalle correnti senza mai mettere a sistema nel nostro repertorio di comportamenti le modalità vincenti che invece ci appartengono:
nelle aziende, possono e devono diventare team speciali i team di progetto che vogliono sviluppare idee e concetti d’innovazione, si concentrano su come progettare un futuro veramente migliore dando vita a progetti nuovi, innovazione vera e non solo su carta o per fini pubblicitari e di propaganda, cui segua il nulla;
diventano team speciali anche le famiglie che decidono di far crescere figli sani, coscienti e forti, in una società che offre loro modelli malati, una sfida per certi versi enorme;
sono forze speciali i corpi scelti dell’esercito e altre forze che operano in ambienti difficili e in missioni critiche, rischiando la vita e con sacrificio;
sono team speciali, in un concetto esteso, le équipe mediche che effettuano interventi difficili che pochi altri riescono a realizzare;
sono team speciali i team agonistici e sportivi negli sport estremi, che devono trovare il modo di esplorare ogni angolo del potenziale umano, se vogliono sopravvivere;
sono team speciali i team sportivi anche in sport ordinari, dove la percezione di quello che si fa diventa sacra;
sono forze speciali gli operatori che agiscono nelle centrali operative, di sicurezza e protezione civile, e devono apprendere l’arte del coordinamento di migliaia di flussi informativi, arrivando a comprendere significati nascosti ai più, per poi trasformarli in decisioni e azioni;
sono persone speciali e gruppi speciali alcuni gruppi dediti alla spiritualità o alla religione, in cui si giunge alla trascendenza dei limiti umani e alla connessione con valori sovrumani, sovrordinati, percependo un senso dell’universo che sfugge alle persone comuni. Anche la spiritualità ha proprie forme di leadership.
Per essere veri leader serve visione. Ma visione vera, proiettata in un futuro migliore, non solo nel prossimo “trimestre finanziario” come accade troppo spesso nelle aziende.
I governanti pensano a inaugurare garage e centri commerciali, mentre gli scienziati ci dicono che dovremmo preoccuparci di altro.
Da un’intervista a Stephen Hawking, astrofisico:
Domanda. Quale sarà il nostro destino come specie, secondo lei?
Risposta. Credo che la sopravvivenza della specie umana dipenderà dalla sua capacità di vivere in altri luoghi dell’universo, perché il rischio che un disastro distrugga la Terra è grande. Quindi vorrei suscitare l’interesse pubblico per i voli spaziali. Ho imparato a non guardare troppo in avanti, a concentrarmi sul presente. Ci sono ancora molte altre cose che voglio fare (Valenza 2015).
Chi si preoccupa di qualche cosa di più grande di se stesso ha capito il valore della vita. Chi cerca di lasciare un contributo fisico o morale, un lascito che può andare oltre la propria vita individuale, è un vero leader spirituale e morale, gli altri sono solo maschere che abusano di questa parola.
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