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© Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani – “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano.

Esistono, come abbiamo notato, una molteplicità e varietà di bisogni del consumatore, di modi di acquistare, di moventi, che partono spesso dalla presenza di pulsioni contrastanti. Questo rende gli sforzi aziendali per generare customer satisfaction (la soddisfazione del consumatore) alquanto ardui. Anche perché i moventi e gli scenari cambiano velocemente. Per raggiungere l’obiettivo della soddisfazione del consumatore, dobbiamo ricorrere ad una lettura psicologica del concetto di valore, alla ricerca di qualche elemento di stabilità cui ancorare solide strategie operative.

Il marketing mix si compone notoriamente di quattro leve di marketing: il prodotto, il prezzo, la distribuzione e la promozione/comunicazione.

Il passaggio cruciale è spostare l’attenzione aziendale dal concetto di marketing mix (incentrato sull’organizzazione interna), al concetto di value mix (il mix di valore), in cui le leve di marketing vengono analizzate unicamente quali strumenti di creazione del valore per il cliente.

Ciascuna leva deve essere considerata occasione per creare valore nel consumatore, e non semplice adempimento organizzativo o manageriale. Creare valore è possibile attraverso lo studio delle caratteristiche del prodotto, ma anche attraverso forme di pricing innovative e maggiormente vicine alle attese del cliente, forme distributive semplicemente più funzionali, forme di comunicazione aziendale e assistenza di superiore qualità.Per ciascuna delle quattro leve di marketing, è necessario fare un passo in avanti decisivo, valutando cosa costituisca valore in essa. Il valore, come abbiamo notato, deriva dalla capacità di una caratteristica di corrispondere ai bisogni consci, inconsci e subconsci dell’individuo. Al centro della progettazione della customer satisfaction, quindi, devono entrare i concetti di prestazione ideale, prodotto ideale, distribuzione ideale, pricing ideale, e comunicazione ideale. In questo capitolo evidenziamo i possibili sviluppi della customer satisfaction, nella convinzione che in quest’area, come in molte altre, diversa strada sia ancora da percorrere. Partiamo dalla delineazione di alcuni strumenti minimi, per passare in seguito alle evoluzioni più complesse.

© Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani – “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Vietata la riproduzione senza citazione della fonte.

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© Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani – “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano.

Una variabile di marketing incisiva sui comportamenti di consumo è data dal “clima d’acquisto” o “atmosfera di acquisto”: le caratterizzazioni psicologiche e fisiche degli ambienti nei quali il consumatore realizza il comportamento decisionale e procede all’acquisto. 

L’atmosfera d’acquisto modifica l’attività di information processing, ad esempio (in caso negativo) facilitando l’orientamento verso informazioni negative, o facilitando la ricerca di filtri e obiezioni alle informazioni positive sul prodotto. Si pensi all’impressione generata dalle atmosfere di una discoteca semivuota, o di un ristorante con nessun cliente all’interno, di un cinema vuoto nei quali essere gli unici avventori, e a come questo produca una sensazione di disagio, scarsa intenzione di entrarvi, rimanervi o consumare. 

L’atmosfera può inibire o facilitare la decisione di acquisto e la quantità di beni acquistati. La ricerca di “climi d’acquisto target” costituisce una nuova frontiera del marketing, dove vengono analizzati i fattori contestuali che possono promuovere o frenare l’acquisto. 

La costruzione del clima di acquisto dipende da una accurata progettazione degli ambienti dal punto di vista percettivo (marketing percettivo). Questo significa allargare la progettazione dei punti di vendita (e più in generale dei punti di contatto azienda-cliente), includendo ogni sfera della percezione sensoriale (visiva, uditiva, olfattiva, tattile, emotiva).

In tal senso assume una posizione centrale il concetto di “Gestalt del punto di vendita”, o “Gestalt del punto di contatto”: la percezione dell’insieme percettivo di contatto del consumatore come un tutto intercollegato, e non come somma di componenti senza relazione tra loro. 

Questo aspetto è stato già notato ad esempio nel marketing agroalimentare e nella pianificazione della grande distribuzione. Ad esempio, Muzzarelli (1997)[1] sottolinea come «alla frutta (e alla verdura) viene riconosciuto un ruolo particolarmente importante per la fidelizzazione agli altri “freschi” a maggiori margini (carni, pesci, formaggi, salumi) e per l’immagine di pulizia, giovinezza e freschezza che conferisce ai punti di vendita, grazie agli effetti coloristici, agli odori, alla varietà delle forme, al ruolo salutistico che i prodotti frutticoli hanno nel vissuto dei consumatori».

Una corretta pianificazione dell’ambiente di acquisto consente di trasformare l’esperienza di acquisto da “impegno” a “piacere”, aumentando la frequenza di visita del punto vendita. Infatti, non tutti ricercano le stesse esperienze d’acquisto nel frequentare un negozio o un ipermercato. Una ricerca di Roy (1994) negli USA, ad esempio, ha rilevato che i visitatori frequenti di grandi centri commerciali (shopping malls) i quali hanno un reddito medio-elevato, non frequentano questi luoghi per via delle promozioni di prezzo – alle quali non pongono grande attenzione – ma sono alla ricerca di una esperienza ricreativa d’acquisto, un momento piacevole e di svago (acquisto ricreativo). I visitatori caratterizzati da un reddito inferiore, invece, sono più attenti agli sconti e visitano il punto di vendita con specifici obiettivi e liste di acquisto (acquisto funzionale).Le considerazioni svolte in merito alla psicologia della percezione visiva, inoltre, ci portano a riflettere sull’impatto di tali dinamiche in termini di marketing e progettazione dei punti di vendita, e degli ambienti front-line.

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La proprietà di questa categoria di prodotti è data dalla capacità di anticipare stati di bisogno futuro, prevenendone l’insorgenza. Un esempio è dato dalla categoria di integratori dietetici utilizzati per prevenire malattie (es.: prodotti contro i radicali liberi per prevenire l’invecchiamento cellulare): l’individuo assume tali sostanze non per risolvere un problema organico esistente, ma per anticipare un problema futuro. Il problema organico futuro diventa problema psicologico attuale del soggetto, nel momento stesso in cui il consumatore inizia ad elaborarlo, a percepirlo, a rendersene conto (fase di attualizzazione).

Proseguendo l’esempio nel settore food, una casa produttrice può promuovere un prodotto utilizzando la leva anticipatoria, evidenziando che “il nostro formaggio light previene l’insorgenza di livelli elevati di colesterolo nel sangue” (preveniamo l’arrivo di un problema fisico che tu ora non hai). I prodotti anticipatori fanno chiaramente leva su pulsioni d’acquisto negative (ansie, paure, preoccupazioni) per le quali il prodotto/servizio viene proposto come metodo di prevenzione. Anche in questo caso la competenza nella tecnica di intervista o analisi dovrà essere in grado di evidenziare quali timori caratterizzano il consumatore potenziale – relativamente alla categoria di prodotto – e ne frenano lo sviluppo e diffusione creando barriere mentali. La tecnica permette di progettare le caratteristiche preventive del prodotto (benefit a valore preventivo), realizzando in questo modo una analisi anticipatoria.

Ad esempio, vediamo questa trascrizione di intervista ad una ragazza, nella quale si stanno analizzando i timori che ne caratterizzano la vita quotidiana.

Quando torno da sola alla notte, finito il lavoro al ristorante, mi trovo spesso a pensare a cosa succederebbe se bucassi una gomma in aperta campagna, in una strada isolata, al buio, con la pioggia. Mi piacerebbe moltissimo che esistesse un pulsante di autoriparazione della gomma, qualcosa che non mi costringa a scendere dalla macchina. 

Questo frammento permette di avviare lo studio di un ipotesi di marketing: è possibile creare un sistema di riparazione automatica del pneumatico basato su schiume (o altri metodi) che riparano automaticamente la gomma, attivabile con un comando nel cruscotto? 

Oppure l’analisi potrebbe evidenziare il timore di non disporre di potenza sufficiente in caso di sorpassi in condizioni difficili:

un’altra cosa che mi fa paura è quando sorpasso. Ho sempre il timore di non farcela, di trovarmi in mezzo, e magari vedere un’auto che arriva sulla corsia opposta. Quando sorpasso i camion ho molta paura.

Questo dato fornisce  lo spunto per progettare e implementare un booster addizionale d’emergenza che si attiva con una pressione elevata sul pedale dell’acceleratore (o qualsiasi altra soluzione che ottenga lo stesso risultato) e riduca l’ansia del consumatore. Un’analisi anticipatoria ulteriore evidenzia la difficoltà di molti viaggiatori frequenti (agenti, rappresentanti, consulenti, autisti, pendolari) legata alle insidie della nebbia:

Delle volte, con la nebbia, mi metterei le mani nei capelli. Immagino già quest’inverno quando dovrò ricominciare a fare dei chilometri. Mi piacerebbe un sistema che mi indichi la strada. Vorrei poterci vedere attraverso la nebbia, individuare gli ostacoli, capire se oltre quella cortina c’è un incrocio o un auto ferma. A volte in autostrada mi chiedo “e se oltre quel muro di nebbia ci fossero delle auto ferme?“.

Sistemi di navigazione satellitare, sistemi radar, o altri metodi di supporto alla guida, magari con proiezione dei percorsi sul vetro di guida, troveranno davanti a se un terreno fertile, grazie alle indicazioni provenienti dall’analisi anticipatoria di marketing. 

È naturale che l’analisi anticipatoria debba occuparsi di cogliere dei segnali, capire delle problematiche. Altri metodi di ricerca, di natura più quantitativa, possono permettere di valutare quanto esteso è il problema sul mercato, quante persone ne sono interessate, e quindi se esiste un potenziale di mercato, o se il bacino di mercato è troppo ristretto per consentire un investimento profittevole. Ciò che importa, comunque, è che l’analisi anticipatoria consenta di capire le direzioni del bisogno, guidando di conseguenza gli sforzi aziendali per creare prodotti di successo.

Non esistono limiti all’analisi anticipatoria. Gli unici limiti sono dati dalla fantasia e dai bisogni del consumatore e dalla capacità dell’azienda di coglierli.

Le leve di vendita anticipatorie sono costituite dalle argomentazioni relative alla capacità del prodotto di prevenire l’insorgenza di problemi futuri. Trattandosi di problemi non ancora esperiti dall’individuo, o non al momento, è necessario che le problematiche acquistino concretezza, possiedano una certa gravità, e che il soggetto si senta concretamente esposto in prima persona ai rischi sui quali si applicano le leve anticipatorie. 

© Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani – “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Vietata la riproduzione senza citazione della fonte.

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  • Movente psicologico
  • Pulsioni d’acquisto

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Chi conosce più da vicino il mondo degli acquisti aziendali e della vendita, sa benissimo che le regole della “matematica formale” imposte dalle procedure di acquisto organizzate, anche nelle grandi imprese, non vengono sempre rispettate. Si può fare di tutto per evitare che un fornitore risultato primo in graduatoria in una gara di appalto (metodo formale d’acquisto) venga in qualche modo escluso, eliminato, sino a compiere atti illegali, pur di non avere a che fare con quel soggetto – che per vari motivi non vogliamo all’interno dei nostri spazi fisici e psicologici.

Dal fattore umano, dalle simpatie-antipatie, dalle valutazioni soggettive, dagli stereotipi, dalle pressioni sociali, dalle pulsioni subconscie ed inconscie, è difficile sfuggire. Questo determina, a volte, lo stravolgimento dei risultati formali, il fatto che vengano ricercate strade per “far vincere qualcuno” nella gara tra i fornitori, a discapito ed in barba delle procedure e delle regole scritte. Questo accade in genere quando nelle procedure formalizzate di acquisto non sono presenti tutti i fattori reali di scelta (e del resto, è difficile inserirvi fattori subconsci ed inconsci). Ad, esempio, la nostra azienda può  – abbastanza inconsapevolmente – considerare di fatto molto importante la capacità di ascolto dimostrata dal potenziale fornitore, ma nelle procedure di acquisto non vi è traccia di tale fattore. Questo genera distorsione ed errori.

Anticipando quanto diremo in seguito, per il venditore, in altre parole, è necessario agire sul terreno psicologico dell’impresa acquirente, inserendo le proprie offerte all’interno dell’orizzonte psicologico soggettivo del buyer.Questo richiama la nostra attenzione sulla necessità, per qualsiasi azienda, di dotarsi di un metodo di vendita per lo sviluppo della competitività.

Moventi apparenti e moventi peli dei consumi

Quali sono i motivi reali per cui acquistiamo o ci comportiamo in un certo modo? Quali sono i moventi sottostanti per cui, ad esempio, uno studente sceglie di studiare in una biblioteca pubblica piuttosto che nella propria camera? Ed ancora, perché una specifica biblioteca universitaria (poniamo, la biblioteca di Lettere) e non un’altra (es: la biblioteca di Ingegneria)? Per ogni comportamento esistono dei moventi, delle ragioni sottostanti.

L’analisi dei moventi apparenti in un’intervista ad uno studente potrebbe portare a queste conclusioni: lo studente (Gianni) si reca in biblioteca perché lì si studia meglio. La biblioteca di lettere risponde al BSS (bisogno sottostante servito) meglio della propria camera. Offre un ambiente più silenzioso, quando servono vocabolari specialistici sono a portata di mano.

L’analisi dei moventi reali può portare a conclusioni diverse:

  • Gianni sta cercando una compagna. Sente un vuoto nella propria vita, e intuisce che sarà più facile incontrare una ragazza in un luogo pubblico piuttosto che nella propria camera. 
  • Gianni cerca anche motivazione ad impegnarsi. La visione di altre persone che studiano conforta il nostro studente e lo incoraggia. 
  • Gianni cerca anche di sentirsi a posto con se stesso. Sa benissimo che in casa accenderà lo stereo, navigherà in Internet, riceverà telefonate, questo lo distrarrà e alla fine della giornata si sentirà, come spesso gli capita, un perdente.
  • Gianni sente anche il bisogno di giustificare alla propria famiglia come sta spendendo il tempo di vita, che grado di impegno sta mettendo nella sua carriera. Passare il tempo all’interno dell’università in qualche modo produce in lui l’impressione di “aver lavorato”, di “avere prodotto”, e questo risolve alcuni problemi che ha verso la sua immagine di sè, rispetto all’essere in ritardo con gli esami e al sentimento di sapere di pesare ancora sulla famiglia.
  • Gianni frequenta la biblioteca di Lettere, (pur studiando Giurisprudenza) anche perché l’ambiente lo fa sentire più a suo agio. Lì non incontra i suoi colleghi di corso, e questo gli evita di doversi giustificare per essere in ritardo. A Lettere il suo ritardo negli studi è più normale e questo lo fa sentire meno pressato.
  • Gianni cerca anche un’identità. In un certo senso, nella biblioteca di lettere si sente un pò “diverso” rispetto agli altri, e questo lo aiuta a costruire una propria personalità autonoma, ha qualcosa da dire quando incontra qualcuno, che lo rende un pò diverso, un pò più interessante.
  • Nella biblioteca di Lettere, si formano spesso gruppi di studenti nell’atrio, è più facile incontrare qualcuno, parlare con qualcuno, venire invitati ad una festa, trovare chi ti chiede di uscire. A Giurisprudenza le persone vanno e fuggono, prese dalla carriera.
  • A dire il vero esisterebbe anche un’altra biblioteca, quella di Economia, ma lì proprio non si sente a suo agio. Tutti sembrano già dirigenti d’azienda, belli, abbronzati, decisi, sicuri, forti – diversi da lui – esistono circoli molto chiusi, e lì si sente un pesce fuor d’acqua.

Per tutti questi motivi e molti altri ancora, il nostro amico Gianni frequenta quella biblioteca. Alcuni di questi moventi possono essere in qualche modo emersi dal suo subconscio, altri no, agendo in background.

Quello che interessa nella nostra analisi è capire che il bisogno sottostante servito (BSS) ha sfaccettature multiple. Accanto al BSS primario, di facciata, o motivo principale di frequentazione della struttura bibliotecaria, esistono BSS secondari (moventi nascosti) che possono persino superare la forza del BSS primario.

© Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele Trevisani – “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Vietata la riproduzione senza citazione della fonte.

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Temi e Keywords dell’articolo:

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  • Moventi reali d’acquisto
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  • Bisogno sottostante primario
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  • Stato di benessere della persona
  • Motivazione d’acquisto
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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Conoscenza e consapevolezza del cliente

Nella vendita consulenziale è indispensabile acquisire la capacità di compiere diagnosi e analisi della controparte, il sistema complesso con il quale stiamo per interagire.

L’analisi è fondamentale per far emergere il sistema cliente in tutta la sua pienezza, anticipare i possibili rischi, e cogliere tutte le opportunità che esso racchiude.

Ecco i tratti principali della conoscenza del sistema-cliente:

  1. Chi sono loro – Con chi tratto
  2. Chi e cosa rappresentano
  3. Storia e network
  4. Missione e posizionamento
  5. Bisogni latenti (BSS), espressi e potenziali
  6. Livelli di arousal e stati emotivi – 
  7. Grado di “copertura” – Fornitori
  8. Sociogrammi decisionali
  9. Cultura e stili comunicazionali
  10. Potenziale economico e relazionale

Chi sono “loro” – Con chi tratto

In genere, l’”altro” – in termini commerciali e negoziali – è un soggetto pericoloso solo finché non lo si conosce bene. 

Larga parte dell’attività consulenziale – anche nella vendita – consiste esattamente nel conoscere l’”altro”, il sistema-cliente, le sue strutture, i suoi funzionamenti, i suoi bisogni dichiarati e quelli latenti. 

Questo significa ricercare sintomi e “segnali deboli”, capirne le finzioni e le realtà, svelarne le contraddizioni. Il teatro è maestro nella capacità di svelare le contraddizioni. Molte rappresentazioni giocano tutto il loro valore sullo smascheramento, sul meccanismo del “giù la maschera”, seguito spesso dal “vediamo cosa c’è realmente sotto la maschera”. 

Smascherare, e farlo delicatamente e artisticamente, senza urtare le difese psicologiche della controparte (o farlo solo come strategia e non involontariamente), è uno degli obiettivi della vendita consulenziale e della negoziazione. 

Nel teatro, la “rivelazione” o “smascheramento” è il momento in cui il grande avvocato da tutti temuto si dimostra cornuto, o incapace di educare il figlio che diventa paradossalmente un ladro. 

È il momento in cui tutta l’impalcatura drammaturgica crolla, è lo “strappo nel cielo di carta” del teatrino delle marionette ci cui ci parla Pirandello, il momento in cui il pubblico si accorge che è in corso una recita, il momento in cui siamo costretti a prendere atto che è in corso una rappresentazione scenica e non ci stanno esponendo una realtà ma una sua visione spesso distorta, lacunosa, artefatta. 

Basare una vendita su dati distorti, lacunosi, artefatti, incompleti, non è certo garanzia di successo.

Chi e cosa rappresentano

Ogni azienda è parte di qualche sistema politico o istituzionale, di un network evidente o latente, di qualche cultura o mondo, e “sta per” (rappresenta) qualcosa di altro. 

La scienza semiotica (scienza dello studio dei segni e dei sistemi di comunicazione simbolica) ci aiuta a far luce sui simbolismi che le aziende utilizzano ( lato denotativo ) e sui significati che assumono ( lato connotativo ). 

Conoscere il livello semiotico, capire il senso del “stare per” e del “significare qualcosa”, è indispensabile. Dobbiamo distinguere le rappresentazioni istituzionali dalle rappresentazioni di ruolo. Ogni negoziazione infatti subisce il problema della stratificazione dei ruoli, della molteplicità dei ruoli compresenti in un individuo, e della confusione su chi abbia veramente il potere decisionale.

Spesso dietro ai simboli di potere ostentato (uffici in centro, vestiti eleganti, siti web evoluti) si nasconde un vuoto e una misera colossale. Non dobbiamo prendere quindi per “veri” i segnali denotativi, ma prenderli solo come “indizi” di qualcosa che deve essere esplorato e convalidato.

Potremmo avere una trattativa con un buyer di un colosso industriale, che rappresenta la formalizzazione della burocrazia di acquisto, ma dal potere decisionale nullo, oppure un colloquio con un personaggio apparentemente secondario ma che in realtà rappresenta la famiglia che detiene il controllo azionario, e funge da gatekeeper (controlla il “cancello” di alcuni rami di potere aziendale) – un vero decisore e influenzatore. 

Nulla deve essere dato per scontato.

Storia e network

La storia di un’azienda è fondamentale per capire le sue evoluzioni attuali. Una delle attività essenziali del venditore consulenziale e negoziatore di alto livello, è lo studio della storia del cliente o controparte, i suoi cambiamenti epocali e i micro-mutamenti che si trova a subire a causa della concorrenza, della tecnologia, della legislazione e dell’ambiente. 

Chi comanda adesso, chi comandava prima, e perché chi comanda adesso è nella condizione di farlo. In che posizione del suo ciclo storico è un certo decisore? È in fase di declino e sta per lasciare l’azienda o è una new-entry nel ruolo e ha bisogno di dimostrare la sua capacità?

Fare vendita consulenziale significa entrare nei processi del cliente, fare “consulenza di processo”[1] nella vendita significa capire la traiettoria del cliente (passato, presente, ipotesi di possibili futuri) e inserirsi come elemento utile. 

Il network riguarda le reti di rapporti in cui è inserita l’azienda, ad esempio – se trattiamo con la grande distribuzione – dobbiamo sapere se stiamo trattando con una grande cooperativa legata al settore della “cooperazione bianca” di ispirazione cattolica, o se essa si riconosce ed è inserita nell’area della “cooperazione rossa” di sinistra, o se invece appartiene ad aree conservatrici, o altri network industriali o politici. 

I profili di appartenenza ai network creano profondi vincoli sulle scelte, soprattutto vincoli politici, mentali, ideologici e influenzano la decisione dei partner e fornitori cui affidarsi. 

È sbagliato basare una vendita consulenziale sulla sola pura politica o appartenenza ad un network, ma dimenticare questo dato può creare gaffe ed errori conversazionali, conoscerlo invece permette di anticipare alcuni meccanismi di funzionamento del cliente (anticipare, non certo prevedere esattamente). 

Nessun ragionamento euristico (stereotipi di ragionamento, es: è cattolico quindi….) deve essere preso come assoluto e dato per scontato. 

Missione e posizionamento

La missione rappresenta “cosa fai per chi”e “a chi sei utile e per cosa” e non va confusa con l’obiettivo economico del vendere e guadagnare. 

Il ragionamento sulla missione è intriso, nella mente di molti manager, di un costante fraintendimento tra (1) ottenere risultati aziendali per sè (vendere, guadagnare), e (2) portare risultati ai clienti, avviare “relazioni di aiuto”.

Il senso vero della missione è portare risultati ai clienti, e questo è l’unico motore vero delle vendite, è ciò che le rende possibile.

Per poter vendere, nel B2B (vendita da impresa ad impresa) dobbiamo capire come la nostra soluzione può aiutare ad aumentare il valore complessivo che il cliente può offrire ai propri clienti. Dobbiamo ancora una volta entrare nei processi e capire la catena del valore dell’impresa cliente.

Anche nel negoziare, dobbiamo capire se le nostre proposte o soluzioni aiutano la controparte a risolvere un suo problema e non solo un nostro problema.

Dobbiamo capire se e dove i nostri flussi di valore possono avere impatto sui flussi di valore che il nostro cliente potrà portare ai propri clienti o interlocutori-chiave. 

Se uno dei nostri vantaggi competitivi ipotizzati è il tempo di consegna rapido (elemento del marketing mix), non è detto che esso sia anche un elemento del value mix (il mix di valore effettivo percepito dal cliente). 

Il tempo di consegna rapido può impattare positivamente i tempi di consegna del cliente ai propri clienti? Gli è stato richiesto? O è abbastanza marginale? 

Nessuna risposta che vale per un cliente vale automaticamente anche per un altro.

È importante per il cliente ottenere miglioramenti sui tempi di consegna? Se si, abbiamo una carta da giocare, se no (e non vi sono altri fattori organizzativi da considerare) si tratta di un vantaggio inutile, puramente autoreferenziale (un puro parlarsi addosso, vuoto, improduttivo).

Centrare la missione del cliente e il suo posizionamento ci aiuta a negoziare per creare il successo del cliente negoziale, ancora prima del nostro.

Se riusciamo a diventare un elemento del successo del cliente, il nostro successo sarà una semplice conseguenza.

I bisogni possono essere espressi e formalizzati, oppure latenti e non pronunziati, per numerosi motivi (desiderio di coprire informazioni, bisogno di gestire l’immagine pubblica, di non rivelare debolezze). 

Bisogni espressi, latenti (BSS), e bisogni potenziali.

I bisogni latenti partono dalla radice del Bisogno Sottostante Servito (BSS) del cliente. I desideri di acquisto di un cliente possono essere portati sul tavolo della negoziazione, oppure rimanere latenti, o ancora stare nel non detto

I bisogni latenti sono diversi dai bisogni potenziali in quanto un bisogno potenziale non è allo stato di consapevolezza nel cliente, si tratta di qualcosa di non ancora pensato nemmeno dal cliente.

Un BSS rappresenta la motivazione sottostante l’acquisto. Esempio: compriamo un PC portatile per soddisfare l’esigenza di scrivere o analizzare dati, e farlo anche potendosi spostare. Vogliamo una videocamera per poter fissare ricordi e momenti. Qualsiasi tecnologia ci aiuti a “fissare ricordi e momenti” per poterli rivedere in seguito, copre il BSS, e quindi è essenziale concentrarsi sul bisogno e non solo sul prodotto.

  1.  Quali sono i veri bisogni del cliente? Li abbiamo capiti davvero?
  2. Quanto bene sta risolvendo il prodotto le esigenze di base per cui viene acquistato? E’ una soluzione già ottimale, o si può fare di meglio?
  3. Quali spazi scoperti e margini di miglioramento rimangono? 
  4. Come evolve la domanda e quali nuove caratteristiche possono costituire fattori di successo? Le aspettative e attese crescono, e in che direzione? 
  5. Quali trend di scenario hanno il potenziale di incidere sul nostro futuro, e cosa faremo per utilizzare i trend anziché esserne sommersi?

Livelli di arousal e stati emotivi

L’analisi motivazionale del cliente ci porta a chiederci perché è in corso un tipo di bisogno e se possiamo rispondervi, o se possiamo stimolare un bisogno nel caso siamo convinti di poter portare un beneficio al cliente. 

L’analisi emotiva ci porta ad interessarci del quanto forte è un livello di bisogno, quali emozioni si associano nel cliente a questo bisogno (ansia, tristezza, gioia, aspettativa, disagio nel parlarne, gioia del parlarne, e altri stati emotivi). 

L’arousal è l’attivazione del cliente, il suo grado di “agitazione interiore”, la tensione sottostante il bisogno. Ad esempio, può esistere un bisogno disperato ma questa urgenza viene mascherata (ancora una volta teatralmente) come semplice curiosità.

Grado di “copertura” – Fornitori

Quanto risulta “coperto” un cliente dai fornitori che ha già? La nostra controparte ha già qualcuno che sia in grado di coprire le esigenze? Qualcuno che possa dare risposte a bisogni sentiti o emergenti? 

L’analisi diventa interessante soprattutto sui bisogni non ancora espressi o sui bisogni potenziali e futuri, che ancora non si sono manifestati ma presto potrebbero farlo.

Capire su quali piani e bisogni un cliente è “scoperto” o ha poco margine di sicurezza nei fornitori attuali è un’acquisizione informativa essenziale.

Sociogrammi decisionali

Con chi trattare? Per saperlo, è necessario capire gli influenzatori del processo di acquisto, chi è con e chi è contro, chi è neutro, chi gioca su un tavolo aperto e chi gioca “sotto il tavolo”. Capire quali sono le relazioni e i giochi di potere, i rapporti di forza nella controparte, è un elemento chiave.

Nelle vendite e nelle negoziazioni complesse è essenziale riuscire a risalire la catena decisionale, arrivando al top delle organizzazioni. Occorre arrivare ai livelli decisionali che contano, e farlo per gradi o direttamente, a seconda di quanto “schermati” e filtrati siano questi livelli.

È anche importante riuscire a presidiare diversi livelli organizzativi (uscire dal solo settore acquisti, parlare anche con il marketing, con le vendite, con l’amministrazione o con l’area produzione e con l’area qualità), per iniziare a creare un consenso allargato verso la nostra azienda e la nostra proposta.

Questa attività di relationship building è essenziale per creare basi solide nel sistema-cliente.

Cultura e stili comunicazionali

Quali regole vigono in azienda e nel cliente, quali valori, simboli, abitudini, modi di essere, stili di gestione, stili di comportamento e comunicazione. Anche in questo caso valgono le regole di riconoscimento, per capire quale stile è attivo tra le tante possibilità.

Potenziale economico e relazionale

Da un’analisi complessiva dei dati, possiamo ricavare il potenziale del cliente. L’analisi comprende il potenziale economico degli acquisti, i volumi attuali e futuri, il tipo di rapporto avviabile, i rientri materiali e immateriali che possono arrivare da questo rapporto.

Dovremo quindi valutare attentamente alcuni aspetti indispensabili, come le caratteristiche del cliente (dimensioni, fatturato, settore), i costi logistici di ingresso (cliente comodo da raggiungere e servire), quante e quali risorse sarà necessario dedicargli, i termini e le modalità di pagamento, ed ancora, se è un cliente che offre buone prospettive (dirette o indirette) per espandere i nostri contatti, un cliente dal buon potenziale economico, dove praticare prezzi remunerativi con la possibilità di sviluppare margini adeguati.

Pertanto il nostro interesse per questo tipo di cliente (valore d’immagine e relazionale), non dipende solo dai fatturati generabili, ma dall’immagine che ne deriva, dalla possibilità di ingresso in aree di mercato nuove o interessanti e diversi altri fattori intangibili.

Per ciascuna “falla” o segnale dovremo valutare se e come muoverci.


[1] Vedi Schein, E. (2001). La consulenza di processo. Come costruire le relazioni d’aiuto e promuovere lo sviluppo organizzativo. Milano, Raffaello Cortina Editore

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

di Daniele Trevisani, www.studiotrevisani.it, copyright

Temi fondamentali:

  • Stimoli nei punti di acquisto
  • Ritmo di Presentazione degli Stimoli (RPS)
  • Attenzione sostenuta: capacità di mantenere l’attenzione su per un considerevole periodo, tenere alta la capacità di selezione, monitoraggio e controllo.
  • Vigilanza:  la capacità di monitorare nel tempo eventi con bassa frequenza d’accadimento.
  • Ergonomia del cliente: tenere in considerazione il funzionamento biologico del cliente durante le fasi di acquisto e il suo affaticamento
  • Marketing Umanistico: attività aziendali che mettono il cliente e i suoi bisogni al centro della progettazione, con forte attenzione alla componente etica, valoriale, esperienziale ed emozionale del cliente stesso

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Se c’è qualcosa che non manca negli spazi di acquisto sono gli stimoli: colori, prezzi, centinaia di articoli e referenze, fotografie, packaging, promoter, pubblicità in-store, visual merchandisng, messaggi acustici, odori, assaggi, suggerimenti altrui, promozioni, e via così… sino a giungere ad un vero e proprio bombardamento di informazioni, di richieste, una condizione di iperstimolazione del cliente. Questo paga sempre? La ricerca dice: non sempre. Ma nemmeno paga una sensazione di vuoto e desolazione, un deserto, un senso di povertà o carenza di stimoli.

Cosa fare quindi? Le strade esistono, vediamo di capire meglio quali poter percorrere… senza pretesa di esaurire l’argomento, ma anzi di aprirne la discussione e avviare un ragionamento per fini positivi e con forti implicazioni pratiche.

Possiamo subito anticipare che si profila un nuovo ruolo per chi gestisce gli spazi di vendita (o meglio, gli spazi di acquisto, vista la centralità del cliente in questo processo): la gestione della psicologia dell’attenzione e le varianze di stimolazione (sia per densità che intensità e varietà), che offrono gli ambienti, le persone, i prodotti, gli spazi e l’insieme di esperienze d’acquisto. Questo mix di attenzioni dà luogo al Marketing Umanistico e al Marketing Percettivo.

Il concetto di base su cui si basa la psicologia dell’attenzione nei punti vendita è semplice: A fare acquisti è un essere umano. Un essere biologico, con tutte le sue esigenze fisiche, e non solo culturali. Un essere fatto di carne, pelle, muscoli, nervi. Un essere che si può affaticare, stancare, persino demotivare verso il fatto stesso di fare la spesa, realizzare acquisti, sino a viverlo come una necessità dolorosa anzichè come un momento piacevole. Nessuna famiglia può esimersi dall’acquistare. Chi è sensibile al tema dell’acquisto non può esserlo solo per il numero finale che appare nei bilanci. Bisogna entrare nel Come avviene l’acquisto, e non basta nemmeno concentrarsi sul Cosa Quanto viene aquistato. Per gli scettici, è sufficiente dire che il Come influenza sia il Cosa che il Quanto (in termini di numeri). Ma non solo: qualifica la distintività, il posizionamento nella mente del consumatore, il Brand stesso.

La mia ricerca in questo campo sta mettendo al centro dell’analisi il tema delle varianze spaziali: alternanze di zone ad alta richiesta attentiva accanto a “zone di recupero”, dove il cliente possa ricaricare i meccanismi attentivi ed avere nel complesso una esperienza di acquisto più utile, produttiva per sè, meno ansiogena, più cosciente, più umana e in ultimo più positiva anche per chi la vive. I metri quadri non cambiano, cambia la loro disposizione. Aumenta la consapevolezza, aumenta la possibilità di vivere l’aquisto con senzazioni piacevoli di benessere e non come fonte di stress. La Consumer Anxiety, del resto, è uno dei temi più forti e recenti della Consumer Research in generale, e dimostra che i clienti che vivono l’acquisto come uno stress lo rifuggono o compiono atti d’acquisto irrazionali persino a loro danno.

Al centro di questo modo di vedere, vi è la concezione etica del cliente come essere umano e non solo come macchina d’acquisto, di cui spingere il “Buy Button” L’ergonomia,  l’attenzione per la persona e i valori, pagano chi riesce a far proprio questo valore, nei fatti, non solo sulla carta.

Per chi gestisce spazi di acquisto, si tratta del prendere coscienza del ruolo giocato dalla Psicologia dell’attenzione e come questo impatta il cliente o fruitore dello spazio, quando l’eccesso di densità informativa e l’eccesso di richieste di attenzione (densità attentiva) saturano l’information space, distruggono anzichè costruire,.

Come creare spazi che rispettino maggiormente la persona e diano esperienze più positive? Esiste un beneficio aziendale evidente nello stimolare il ritorno (fidelizzazione) verso un luogo che ti ha lasciato una esperienza positiva?

In questa prospettiva in corso di studio, i clienti possono essere assimilati a “digestori di stimoli”, e andare incontro a fenomeni di “indigestione” o invece di “ipostimolazione”.

Facciamo un esempio molto pratico sotto forma di metafora, muoviamoci per un attimo su un altro piano. Immaginiamo di essere al ristorante, proviamo a comparare un’esperienza di acquisto ad una esperienza culinaria… notiamo immediatamente molte similitudini. Entriamo in un ristorante, iniziamo ad orientarci, ci sediamo, scegliamo qualcosa, spesso con scelte di fatto diverse dalle aspettative con cui eravamo entrati, a seconda degli stimoli che percepiamo all’interno… poi  arriva il cibo. Mentre mangiamo, il nostro stomaco ci lancia segnali su come sta andando, ci informa su quando è troppo pieno o vuoto, ci dice se “ci sta ancora qualcosa”, o “è meglio fermarsi”, a volte si lascia prendere dal “grappino della casa”…, a volte si ferma all’antipasto, ma in ogni caso sono attivi fenomeni di vigilanza continua e attenzione, che ci portano in genere ad evitare stati di sovralimentazione grave (star male per eccesso di cibo) o ipoalimentazione grave (alzarsi con una fame ancora elevata)…. questo salvo alcuni fenomeni di “cene di fine corso”, “addi al celibato”, e altre evenienze occasionali, in cui il meccanismo di controllo salta… ma questa è altra faccenda… (scientificamente, si tratta di un fenomeno ben noto di allentamento della vigilanza).

Numerosi studi dimostrano che esiste difficoltà a sostenere l’attenzione e vigilanza per lungo periodo. Sia i compiti troppo difficili, che i compiti troppo facili, riducono ancora maggiormente la capacità di attenzione. Anche la ritmicità di presentazione (mono-tonia) e la cadenza invariata per tipo e qualità degli stimoli (forme, luci, colori, suoni, persone) diminuiscono le capacità attentive.

Dobbiamo quindi prestare estrema attenzione al concetto che io chiamo Ritmo di Presentazione degli Stimoli (RPS), un concetto che ho elaborato per valutare le sessioni didattiche e di formazione manageriale che conduco, e si presta molto bene ad essere utilizzato in sede di psicologia dei fenomeni di acquisto. Il conetto prende in considerazione le cosiddette Varianze Zonali o Emergenze (aree che si distinguono da altre per le stimolazioni che offrono). La psicologia del marketing ha già evidenziato che i clienti sono anche e soprattutto cercatori di esperienze positive (positive sensation seekers) e non solo di prodotti. Acquistano un mix di esperienze e prodotti, e se l’esperienza è monotona o negativa cercheranno lo stesso prodotto altrove (approfondimenti al volume Psicologia di Marketing e Comunicazione al link https://www.studiotrevisani.it/alm2/ ).

Troppo spesso le imprese focalizzano le proprie risorse sulla qualità del prodotto, sulle caratteristiche intrinseche del bene o servizio, dimenticando che la qualità complessiva percepita (e quindi la soddisfazione complessiva del consumatore) proviene anche dal canale distributivo, il luogo d’aquisto in sè vale almento quanto il prodotto e il prezzo. E non solo, contano il rapporto personale con l’erogatore del servizio e con la rete di vendita e di assistenza.

Una breve sintesi del concetto è esposta nel volume Psicologia di Marketing https://www.studiotrevisani.it/alm2/interazioni-cs.htm:

…. è necessario distinguere i concetti di customer satisfaction di prodotto (CSP) e customer satisfaction di canale(CSC) o channel satisfaction.

La CSP riguarda le caratteristiche intrinseche del prodotto o servizio (composizione, struttura, performance).

La CSC include: (1) componenti relazionali e (2) componenti logistiche, che sommate producono la qualità complessiva del servizio erogato dal canale distributivo: capacità di rapporto interpersonale, cortesia, tempi di risposta, servizio post-vendita e assistenza, la facilità di accesso al luogo di distribuzione, la facilità di acquisizione del prodotto/servizio, il rispetto dei termini e condizioni di consegna.

E la ricerca prosegue. I contributi delle neuroscienze dicono oggi che nella Channel Satisfaction (la soddisfazione verso il punto di acquisto) rientra oggi anche il rispetto cognitivo, la comprensione del bisogno di rispettare la fisiologia umana e non “spremere” le persone, offrire loro rispetto umano, ambienti d’acquisto positivi, e attenzione a nuovi bisogni.

Nel volume “Il Potenziale Umano” (vedi scheda al link https://www.studiotrevisani.it/hpm2/index.htm) ho potuto iniziare un accenno basato sulle neuroscienze: se vogliamo rispettare la fisiologia umana (e rispettare oltretutto la persona umana, che non è poco) dobbiamo variare gli stimoli che riceve un cliente (utente formativo, o cliente in fase di aquisto) tenendo conto della alternanza tra simolazioni del sistema nervoso parasimpatico e stimolazioni del sistema nervoso simpatico. Questo, ad esempio in campo di formazione manageriale, determina la necessità di alternare:

  1. training centrato sul sistema nervoso simpatico (attività di tipo agonistico, aggressivo, competitivo, ad alta tensione, under pressure) vs.
  2. training centrato sul sistema nervoso parasimpatico (attività di tipo rilassato, calmo, sereno, tranquillo, meditativo, low pressure).

Allo stesso modo avremo in area marketing:

  • spazi e zone di acquisto centrate sul sistema nervoso simpatico (maggiore densità informativa, maggiore richiesta di elaborazione cognitiva e attenzione nel cliente) vs.
  • aree e isole emotive nei punti di acquisto centrate sul sistema nervoso parasimpatico (attività/spazi/ambienti di tipo rilassato, calmo, sereno, tranquillo, meditativo, low pressure), come inserti dispazi verdi,  micro- o macro-aree di rilassamento visivo con stimoli naturali, angoli uditivi e visivi di decompressione (il che non significa ambiti visivi vuoti, ma ambiti con funzione di riduzione dell’arousal, o riduzione dell’attivazione forzata).

La modalità di frazionamento e differenziazione tra attività che interessano il sistema nervoso simpatico (alta attivazione agonistica e attentiva) vs. attività che interessano e stimolano prevalentemente il sistema nervoso parasimpatico (rilassamento e recupero), riguarda indistintamente il lavoro sul corpo (es, medicina psicosomatica) così come la formazione aziendale (corsi di formazione per manager e formazione del personale) il il coaching, l’ingegneria dei momenti di acquisto e l’ingegneria degli spazi di acquisto (consumer engineering)

Come ho potuto segnalare nel volume “Il Potenziale Umano”, nel metodo HPM viene utilizzata in particolare la “cartografia di Fisher”[1], una metodica poco nota, di frontiera, nata per mappare gli stati mentali, la percezione, sino agli stati alterati di coscienza (ASC – Altered States of Consciousness).

Si tratta di un’area di studi di alto interesse negli anni ‘60 e ‘70, oggi poco frequentata, ma assolutamente utile per localizzare i tipi di attivazione mentale. Questa scala è stata da me ulteriormente rielaborata ed utilizzata su più fronti, per progettare training variati in termini di intensità e tipo di esperienza, e portare nuovi concetti nella psicologia umanistica dell’acquisto, una psicologia del marketing che rispetta la persona.

In generale, le tecniche di frazionamento servono per evitare la monotonia e la noia, ma anche la perdita di efficacia di una tecnica che arriva inevitabilmente in seguito alla mancanza di varietà nel tipo di lavoro allenante svolto o negli stimoli presenti. Sequenze di input e stimoli, in cui le varie tipologie di stimolo (nel marketing), di  esercizio o esercitazione (nella formazione aziendale) vengono combinate nel tempo, danno luogo a maggiore varietà e maggiore efficacia, perchè rispettano i bisogni basilari della fisiologia umana.

Bene. Questo vale per chi vuole far propri alcuni concetti basilari e fondamentali di una nuova psicologia del marketing umanistico. Come farlo. Occorre mettere mano ai metri quadri e variarli. Occorre costruire isole esperienziali d’acquisto (mondi emotivi, isole connotate, “emergenze” merceologiche) affiancate a zone di decompressione cognitiva, nei quali è possibile inserire ogni tipo di stimolazione naturalistica, elementi architettonici connotati, zone verdi interne, zone di relax, angoli di meditazione d’aquisto, zone di consulenza d’aquisto, zone di problem-solving d’acquisto… e tanti altri strumenti (non mi è possibile sviluppare in questo spazio un intero manuale, ma le tecniche esistono).

Tradurre questi concetti in pratica è assolutamente possibile. Soprattutto, attraverso azioni di perceptual engineering (ingegneria esperienziale), attività che uniscono un lavoro di tipo architettonico (diversa disposizione delle merci, illuminazioni, aree e zone di acquisto diversificate, intervento dei sensi e marketing polisensoriale), visual merchandising innovativo centrato sulle “isole esperienziali” (assolutamente diverso da quello classico), nuove geometrie interne, nuova e diversa formazione del personale di contatto, formazione forte dei manager sui principi del marketing percettivo, iniziative di sensibilizzazione della direzione aziendale per i nuovi temi di psicologia del cliente, una grande voglia di creare spazi di aquisto positivi, unita al know-how necessario, e… un forte valore di fondo: considerare il cliente come un essere umano.

Poche aziende hanno oggi la sensibilità per farlo, ma chi investe oggi su questi punti sta costruendo i fattori reali del suo vantaggio competitivo.

Daniele Trevisani


[1] Fisher, Roland (1971), A Cartography of the Ecstatic and Meditative States, in: Science 26 November 1971: Vol. 174. no. 4012, pp. 897 – 904.