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Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Restiamo nell’ambito della seconda distanza, introducendo il linguaggio non verbale e le sue differenze culturali.

Il codice comunicativo umano comprende il movimento corporeo e persino le stesse caratteristiche corporee osservabili, che assumono funzione di elemento comunicativo, come un tatuaggio, il grado di cura della pelle, o dei capelli, il look fisico e gli accessori e abbigliamento. 

Il corpo parla, esprime significati, emozioni e sentimenti. Anche i tentativi di bloccare queste emozioni e sentimenti sono essi stessi “metamessaggi”: vedere una persona che non esprime alcuna emozione, o si sforza di reprimerle è di per sé un segnale che porta a specifiche riflessioni. 

Body language

Il body language riguarda: 

  • la mimica facciale e le espressioni facciali; 
  • i cenni del capo; 
  • i movimenti degli arti e la gestualità; 
  • i movimenti del corpo e le distanze; 
  • il tatto e il contatto fisico.

Le differenze culturali su questi punti possono essere molto ampie.  Pe questo motivo la distanza di Codice (D2) è spesso maggiore di quanto si supponga.

Le culture variano molto sul tipo di gestualità. Per esempio in una comunicazione italo-cinese si possono notare evidenti differenze tra la gestualità italiana e le sue tipiche espressioni facciali, mediamente più ampie ed evidenti, e quelle cinesi, più contenute.

Il contatto fisico

Oltre ai movimenti del corpo e del viso, un altro elemento molto importante della comunicazione non verbale è il contatto fisico. L’intimità del contatto fisico è in genere preclusa a molte culture e relegata a contesti molto limitati quali la stretta di mano, e va usato con attenzione. 

Mentre alcuni standard occidentali di contatto fisico si diffondono nell’intera comunità di business, come la stretta di mano, ma ogni cultura esprime un diverso grado di contatto nei saluti e nelle interazioni fisiche.  In generale, qualora non sia possibile raccogliere informazioni accurate da esperti della cultura locale, è preferibile limitare il contatto fisico per non generare un senso di invasività. 

In generale, la D2 parla anche del grado di intimità che due persone possono avere tra di loro. Il nostro modo di comunicare, dalla parola al tocco sino a interi brani di non verbale hanno a che fare con la distanza emotiva e persino con la distanza o vicinanza spirituale delle persone. Esiste quindi quella che possiamo chiamare una “prossemica emozionale” (studio delle distanze di valori sul piano emotivo) e una “prossemica spirituale” (studio delle distanze di valori sul piano spirituale).  

Gli intenti di chi comunica sono altrettanto forti, e collegano la D2 (codici comunicativi) alla D1 (ruolo che voglio giocare nella relazione). Esiste un driver, una pulsione in ognuno di noi: il desiderio di avere una comunicazione autentica e di comprenderci reciprocamente. Ma, anche se c’è la volontà di comprendersi, bisogna fare i conti con il problema tecnico del comunicare, ed essere consapevoli che non sempre c’è la possibilità di comprendersi davvero a fondo.

L’uso dello spazio nella comunicazione

Ogni cultura ha regole non scritte per delimitare i confini di accettabilità delle distanze interpersonali e delle disposizioni delle persone. 

Anche in questo caso, vale il principio di ricorrere alla conoscenza di esperti della cultura locale, mentre una regola valida in caso di mancata conoscenza è quella di lasciare che sia la controparte a definire il proprio grado di distanza, senza forzare né un avvicinamento né un allontanamento. 

La consapevolezza principale da sviluppare è quella della “distanza critica”, che definisce la distanza interpersonale entro la quale un soggetto si sente vulnerabile, esposto ai rischi di un’aggressione.  La distanza personale viene infatti definita da Hall come “una bolla invisibile che circonda l’organismo”.

Al di là delle regole intra-culturali, alcuni atteggiamenti relativi alle distanze sono trasversali alle culture perché ancorati alla radice animale umana. Per esempio “lasciare il posto”, dare spazio a qualcuno, è uno strumento per assegnare status, riconoscere l’importanza dell’interlocutore, e comunicare rispetto.   

Per il comunicatore consapevole, non è da intendere come pura sottomissione, ma può assumere anche la funzione di mossa tattica, atto di cortesia relazionale che precede il confronto negoziale vero e proprio. Far stare scomodi, al contrario, serve per stabilire forti distanze.  

Alcuni comunicatori usano tattiche specificamente volte a turbare l’equilibrio emotivo del soggetto (logoramento emotivo). In questo modo si crea dissonanza interna, e quando si è in dissonanza interna, si è più deboli nella comunicazione e la comunicazione personale si fa più scomposta.  

La tattica adeguata è quella di esigere un grado di comfort superiore, ma solo se si ha la quasi matematica certezza che una specifica mossa di avversità sia in corso, e quelle non siano le reali condizioni massime di accoglienza che il soggetto è in grado di offrire. 

libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi:

Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Conclusi gli articoli sulla prima distanza e sull’Analisi Transazionale, ci spostiamo a parlare della seconda distanza, quella dei codici comunicativi, di cui seguirà una breve introduzione.

Noi umani comunichiamo con codici linguistici, paralinguistici e non verbali, utilizzando sia una “lingua” (italiano, francese, tedesco) che uno stile o sottocodice di quella lingua (ottimista, pessimista, burocratese, ironico, ecc.) 

Un aspetto fondamentale della conversazione è la comunicazione non verbale: il linguaggio del corpo può esprimere una grande varietà di significati, che “trasudano” e irrompono nella comunicazione anche senza il controllo diretto dei soggetti. 

Altrettanto importante è il sistema paralinguistico, fatto di toni, accenti, enfasi su parole o parti del discorso, silenzi, e tutto quanto riferisce al “non verbale del parlato”. 

Per riassumere, i canali principali attraverso i quali il comunicatore può lanciare messaggi sono composti dal sistema paralinguistico, dal body language e dagli accessori personali, inclusi l’abbigliamento e il look generale. 

Parlarsi chiaro richiede un linguaggio corporeo che accompagni il testo verbale, senza dare però per scontato che le persone con cui interagiamo abbiano studiato la comunicazione non verbale. Per comprendersi infatti è necessario esprimersi apertamente, mentre per dare vita ad una comunicazione costruttiva è fondamentale creare rapporto.

L’atteggiamento percepito nell’altro dipende in larga misura dal “come” viene espresso il comportamento, piuttosto che dal contenuto linguistico, il quale rimane alla superficie del rapporto stesso. In profondità, il rapporto è determinato dagli atteggiamenti del corpo e da tutto il repertorio non verbale del comunicatore, il quale deve sempre considerare la possibilità che alcuni segnali di atteggiamento utilizzati nella propria cultura siano colti in modo anche diametralmente opposto in una cultura diversa e che il suo stile non sia capito, che sia frainteso, o che proprio non piaccia. 

Atteggiamenti non verbali e corporei sbagliati possono portare facilmente ad una escalation (salita di tensione, nervosismo e irritazione), mentre il compito del comunicatore efficace è quello di creare de-escalation: moderazione dei toni, clima rilassato, ambiente favorevole alla comunicazione.  

L’obiettivo generale della comunicazione infatti è di essere efficaci e raggiungere risultati, il che prevede generalmente un clima di cooperazione.   

Come già accennato, ogni cultura usa regole non verbali diverse, ma in assenza di precise indicazioni che provengano da conoscitori aggiornati della cultura stessa, possiamo utilizzare come base di partenza alcune regole generali di buona comunicazione per ridurre il potenziale di errore, come esposto dal Public Policy Center della University of Nebraska: 

  • tono di voce pacato, non aggressivo; 
  • sorriso, per esprimere accettazione dell’altro; 
  • espressione facciale di interesse; 
  • gesti aperti; 
  • permettere alla persona con cui si sta parlando di dettare le distanze spaziali tra di voi (le distanze spaziali variano ampiamente da cultura a cultura); 
  • annuire, dare cenni di assenso; 
  • focalizzarsi sulle persone e non sui documenti presenti sul tavolo; 
  • piegare il corpo in avanti in segno di interesse; 
  • mantenere una condizione di relax; 
  • tenere una posizione a L, disporsi non di fronte (posizione confrontazionale), ma su due lati vicini del tavolo. 

Teniamo a sottolineare che queste indicazioni di massima sono solo “possibili opzioni” e devono essere di volta in volta adattate alla cultura di riferimento. 

libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi:

Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Con questo articolo vorrei concludere il discorso dell’Analisi Transazionale, anche se la vastità dell’argomento richiederebbe sicuramente maggiore attenzione. Per il momento però dedicherò qualche ultima importante riflessione sul tema con l’aggiunta di alcune considerazioni sull’influenza dello stress nella comunicazione e sul linguaggio non verbale nell’Analisi Transazionale.

Lo stress nella comunicazione

Lo stress colpisce anche la comunicazione.

Nell’analisi transazionale notiamo un nesso tra il tipo di comunicazione che una persona usa, e lo stato di personalità che lo esprime, con il ruolo dello stato Adulto a fare da controllore sugli altri due stati. 

Lo stress però può incidere sulla capacità dello stato Adulto di fare da semaforo e coordinatore degli altri stadi. Quando diventa acuto infatti, le capacità di problem solving razionale calano drasticamente, incluse la capacità e lucidità per lavorare con lo stato di personalità giusto, con conseguenze pesanti sulle modalità comunicative.  

Lo stress, letteralmente, “uccide” la buona comunicazione e lascia spazio al peggio del repertorio di ciascuno. Blocca e ostacola l’ascolto, crea malintesi, attacchi e fughe, in altre parole, fa danni. 

La persona sotto stress si trova a rispondere con modalità che non gli apparterrebbero in condizioni normali, come ad esempio acconsentire a risposte cui vorrebbe veramente dire di no, oppure scattare immediatamente all’attacco anche quando non vi sia stata una situazione comunicativa che lo richiedeva veramente.

AT e comunicazione non verbale

Gli aspetti paralinguistici e non verbali del messaggio sono soggetti alle stesse regole di emissione e di interpretazione di quelli verbali. Ovvero, i segnali che noi emettiamo non verbalmente possono significare richiesta di aiuto ed essere interpretati come provenienti da B, oppure possono contenere elementi di G (per esempio: occhi stretti, mascelle serrate, tono adirato, ecc…), oppure apparire provenienti da A (tono disteso, espressioni normali, postura adeguata e sicura, senso di benessere). 

I segnali non verbali possono essere consonanti con le espressioni verbali, e in questo modo rinforzarne il messaggio, oppure essere dissonanti. Messaggi dissonanti, in cui le componenti verbali sembrano provenire da uno stato psicologico diverso rispetto a quello interpretabile dal messaggio verbale, creano transazioni doppie, dando luogo ad una percezione o di insincerità o di mancanza di equilibrio.  

L’interpretazione da parte del ricevente dà comunque un maggiore peso agli aspetti non verbali, al “come” viene detto o espresso un messaggio, invece che al “contenuto manifesto” del messaggio.

In caso di dubbio, e non potendo per qualche motivo chiedere spiegazioni, la probabilità che la verità sia nella componente non verbale, corporea, osservata con gli occhi, è infatti molto alta.

Qualche ultima riflessione sull’AT

Il tipo di transazione più proficua in un contesto organizzativo è quello da Adulto ad Adulto. Al fine di evitare l’insorgere di transazioni errate (G-B o B-G), è consigliabile, secondo Harris, “contare fino a dieci”, per dare modo alla parte Adulto di organizzare i dati e separare Genitore e Bambino dalla transazione. 

Ogni situazione comunicativa (SITCOM) ha proprie esigenze e modalità migliori per quanto riguarda l’assetto transazionale da adottare. Se ne parliamo in termini di vendita, è essenziale saper coltivare le capacità relative al Genitore di tipo naturale o affettivo, poiché proprio questo stato consente di attivare le relazioni di aiuto relative all’approccio consulenziale, e all’ Adulto, per poter trovare soluzioni e fare problem solving.  

Al fine di uno sviluppo armonico delle proprie capacità comunicative, è bene imparare a conoscersi, conoscere quanto di Bambino vi è in noi, quanto di Adulto e quanto di Genitore, ed in quale misura la componente Adulto è in grado di organizzare e integrare le altre componenti, sfruttandone le ricchezze.  

L’esercizio nell’utilizzo dello stato Adulto nelle interazioni quotidiane sul lavoro può aumentare il livello di professionalità e competenza percepita, nonché l’efficacia delle nostre interazioni personali.  

L’emittente di un messaggio deve porre molta attenzione a come impostare il messaggio (stimolo), ma altrettanta attenzione va posta alla fase di decodifica dei messaggi altrui. Quando una reazione poco appropriata rischierebbe di danneggiare la relazione è bene cercare di interpretarne meglio il senso, facendo probing (per esempio “intendi dire che…”, oppure “se ho capito bene, il senso del tuo messaggio è…”), oppure riformulando il messaggio ricevuto, così da essere certi del messaggio della controparte e rispondere di conseguenza.

libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi:

Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Continuando a parlare di distanza del Self, ci immergiamo oggi nei territori psicologici, cercando di capire come creare e invaderne i confini, sempre nel rispetto dell’altro e pronti ad affrontarne le conseguenze.

Il tentativo di controllo dell’identità altrui è uno dei fattori di incomunicabilità e conflitto più forti. Voler prendere e pretendere il possesso del territorio psicologico altrui è una forma di sopruso che si accetta solo quando costretti. Quando uno dei due soggetti, senza interpellare l’altro, decide in autonomia quale sia l’area di interessi comune o la sfera condivisa, si apre un possibile conflitto.

È vero che qualcuno deve “fare la prima mossa”, ma si tratta di un insieme di mosse cooperative, di un “sondarsi reciprocamente”, e non di un imporsi reciprocamente.  L’imposizione negoziale richiede un potere contrattuale enorme e non è la formula ideale per la crescita di un rapporto. 

L’imposizione è possibile solo sotto forma di proposta, che può sembrare una comunicazione dura, ma è invece una comunicazione in stile “parliamoci chiaro” e offre spazio per dire che le cose non devono essere esattamente così. Si chiariscono in questo modo i punti fondamentali, esplicitando la propria visione delle cose e la propria prospettiva dell’area condivisa e, nello stesso tempo, si offre la necessaria marginalità discrezionale (fosse anche solo un prendere o lasciare, nel caso peggiore).  Vi è quindi una ricerca della zona comune, dove si esplorano i possibili confini e l’area condivisa può essere negoziata.

La mancanza di esplicitazione è un problema molto forte che crea conflitto e incomunicabilità. Caso diverso è quello in cui qualcuno menta, dichiari il falso, o anche solo affermi ciò che non sa. Questo discorso è diverso e ci porta verso il tema del riconoscimento delle bugie (lie detection), che richiede forte abilità sia a livello percettivo che di comunicazione non verbale. 

Quello che preme, adesso, è evidenziare che nessuno ha il potere di imporre l’identità di qualcun altro, perciò bisogna chiedersi: “la sfera d’interessi comune tra persone che negoziano è stata sufficientemente esplorata?”

Esiste chiaramente anche un’area della propria sfera di interessi o di ruolo che non si vuole condividere con l’interlocutore e viceversa, e questo va bene! Nel tempo, le cose potrebbero variare, l’area condivisa potrebbe allargarsi, ma la cosa essenziale in una relazione e in un parlarsi chiaro, è che la mia vita è mia e ne condivido la parte che voglio, la tua vita è tua e ne condividi la parte che vuoi. Se qualcuno obbliga l’altro, ci devono essere ottimi motivi per farlo, e potrebbe in ogni caso non funzionare. 

Mosse di invasione e mosse di rispetto

Una qualsiasi delle nostre affermazioni o risposte può assumere il valore di “mossa relazionale” se in qualche modo va ad alterare lo scacchiere delle forze in corso tra due persone. 

Una mossa di invasione dei territori psicologici è l’uso dell’imperativo, anche se usato in tono pacato. Questo rende subito la comunicazione di tipo top-down, da superiore ad inferiore, e non è assolutamente detto che funzioni se l’altro non si percepisce tale.

Una mossa di rispetto dei territori psicologici è invece: “se puoi, mentre vai a fare le fotocopie, potresti fare anche questa per me? A buon rendere ovviamente!”. Tale approccio, oltre ad essere più “leggero”, si pone come comunicazione da pari a pari. E non è detto che questo vada bene, se invece la comunicazione deve essere da capo a subordinato. 

L’essenziale è capire il valore relazionale e strategico che una mossa comunicativa porta con sé. Ogni parola, gesto del corpo, lettera, messaggio, ha valore di azione e come tale ha valore strategico.

Quando si applicano mosse di invasione o appropriazione impropria dello spazio dell’interlocutore, possono innescarsi sistemi di reazione basati sulla fuga e l’allontanamento, ma anche sul contro-attacco e  sull’aggressione.  

L’invasione dei territori psicologici consiste appunto nel percepire un ingresso indebito nella sfera dei propri interessi senza che questo ingresso sia voluto né gradito. Ma anche la mancata consultazione su una materia di nostra pertinenza, quando dovuta, è una forma di non rispetto del territorio psicologico. 

Mancata cultura dei confini

I limiti di autonomia sono uno dei fattori più incisivi sul piano delle comunicazioni aziendali interne. Quando questi limiti sono poco chiari, l’invasione dei territori psicologici diventa continua, alimentata da una scarsa cultura dei confini, da un’assenza di cultura della definizione degli spazi. 

Nella comunicazione assertiva, è possibile applicare un meccanismo che possiamo denominare “fino a qui” e “non oltre qui”, che definisce chiaramente qual è l’area entro la quale l’altro potrà giocare e qual è l’area in cui non accettiamo invasioni di campo. Come è evidente, senza applicare questo metodo, non si produrrà alcuna comunicazione assertiva. E a forza di ingurgitare invasioni di campo, si rischia il botto finale, l’esplosione di rabbia dovuta a tanta, troppa sopportazione. Meglio segnalare le mosse quando non vanno, che aspettare di esplodere. Questo è un principio sacro del “parlarsi chiaro”. 

Conclusioni

Per concludere, la comunicazione efficace richiede: 

  • comprensione di quali siano i territori psicologici altrui; 
  • comprensione di quali territori psicologici siano determinati dalla cultura di appartenenza della controparte (etnica, religiosa, professionale);
  • atteggiamenti iniziali di rispetto e limitazione degli ingressi nei territori altrui ove non si siano creati gli spazi di relazione adeguati; 
  • difesa attiva dei propri territori psicologici e dei propri confini e margini di decisionalità, quando il non farlo minacci la sovranità del proprio spazio psicologico. 
libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi:

Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Come anticipato nel precedente articolo, andremo ora a sviluppare in maniera più dettagliata ciascuna distanza, iniziando dalla prima, quella del Self. Poiché i concetti sono molti e spesso densi, cercherò di dividere la D1 in più articoli, in modo da avere più spazio per singoli approfondimenti. In questa pagina, come suggerisce il titolo, ci concentreremo sulle differenze biologiche, cronemiche, di identità e di ruolo.

La prima distanza tra soggetto A e soggetto B è data:

  1. dalla differenza biologica tra soggetti;
  2. dalle differenze nel loro ruolo, identità e tipo di personalità. 
Differenze biologiche

Le differenze biologiche riguardano molti aspetti: 

  • divergenze di sesso: sappiamo che il cervello maschile è conformato in modo diverso dal cervello femminile. I due emisferi, quello sinistro con stile cognitivo verbale, analitico e locale, e quello destro, spaziale sintetico e globale, sono molto più collegati tra di loro nelle femmine che nei maschi, a livello del corpo calloso. Questo produce una maggiore separazione tra atteggiamenti comunicativi: razionali (tipo A) o comunicazioni emotive-creative (di tipo B). Momenti A e momenti B sono nell’uomo di tipo acceso-spento, presente-assente, mentre nella donna sono molto più miscelati; 
  • divergenze di età: lo sviluppo evolutivo modifica le strutture cerebrali, incide sulla memoria, sulla lucidità del pensiero e quindi sulla comunicazione esterna; 
  • divergenze fisiche funzionali: diversi tipi di handicap possono impedire un funzionamento corretto degli apparati sia percettivi che emissivi, limitando di fatto la possibilità fisica di emettere messaggi o riceverli. 
  • divergenze negli stati organismici: sono dati da stati di forma individualmente diversi, stati soggettivi, temporanei. L’esempio chiaro è la condizione nella quale un medico intervista un malato che ha la febbre, prova dolore, ma non riesce a descrivere esattamente la propria condizione, proprio perché “interna” e quasi impossibile da descrivere con parole “esterne” al proprio vissuto.

Tutti questi aspetti possono rendere due persone biologicamente diverse con implicazioni per la comunicazione. 

La cronemica

Un altro aspetto fondamentale è la cronemica. Abbiamo distanza cronemica quando un messaggio richiede tempo tra il momento in cui viene emesso, e quello in cui viene ricevuto. La cronemica è un fattore hard che ci permette di riflettere sulla domanda: sto usando il canale giusto per comunicare? Se pensiamo alla comunicazione emozionale, ad esempio, sedurre o emozionare tramite email e sms è certamente meno efficace del face to face.

differenze di identità e di ruolo

L’aspetto sul quale ci concentreremo maggiormente, tuttavia, è la dimensione dell’identità e del ruolo

Le distanze di ruolo e identità sono presenti in quasi tutte le interazioni umane, e sono questioni assolutamente normali. Ma ad ogni ruolo e identità si associa una sfera di interessi, di aspettative, di bisogni. Se non vi sono aree di collimazione nella sfera d’interessi e bisogni tra due persone, l’incomunicabilità, che parte in questo caso dal disinteresse reciproco, è un risultato molto probabile. 

La ricerca del Common Ground, o base comune, è la ricerca di quegli spazi di collimazione dove alcune parti della nostra identità e ruolo possono avere spazi comuni con quella altrui, senza che per forza esse coincidano completamente. 

Esiste infine un altro fenomeno da prendere in considerazione: la pluralità di identità e ruoli che le persone ricoprono, la pluralità dei sistemi di appartenenza dell’attore sociale.  

Ogni persona può essere considerata un “attore sociale” che è in grado di assumere più ruoli nella vita, a volte anche addirittura nella stessa giornata. 

Possono coesistere nella persona più ruoli, più sub-identità, dotate ciascuna di una sfera di interessi. Una donna può essere al tempo stesso madre, figlia, professionista, atleta, amica, e tanti altri ruoli, e lo stesso per un uomo. Da quale ruolo a quale ruolo partono e arrivano le comunicazioni?  

Siamo sfere d’identità liquida che in alcuni momenti si cristallizza in un ruolo denominabile, e quando queste vengono a contatto un possibile canale di comunicabilità è creato.  

Ciò che si crea infatti è l’area di cooperazione, o common ground, un’area nella quale due persone possono “lavorare insieme” o “stare insieme” per fare qualcosa, dal risolvere un problema a condividere un interesse o una “finestra temporale”. 

Quando siamo a contatto con le persone, nella vita, non sempre i ruoli si incastrano alla perfezione. I possibili errori che generano incomunicabilità esistono e ne esamineremo alcuni nell’articolo a seguire.

libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

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Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Qui di seguito introduciamo il modello delle Quattro Distanze, cercando di interpretarlo nella sua generalità. Negli articoli successivi invece ci soffermeremo sulle singole sfaccettature di ogni distanza osservandole una ad una nel dettaglio.

Il modello delle Quattro Distanze della comunicazione ci parla di un insieme variegato di variabili che incidono sulla comunicazione e la rendono di qualità eccellente, appagante, costruttiva, oppure pessima, distruttiva e miserevole. 

La base del modello risale alla semplice presa d’atto che: 

  1. L’uomo utilizza le parole per esprimersi (o i segni o i gesti);
  1. La parola è il rappresentante di un’idea, di un concetto. Non potendo la persona trasferire l’esperienza diretta di ciò che fa o esperisce, è costretto a servirsi della parola, con tutti i limiti che essa comporta; 
  1. Il concetto o idea si formano in seguito al contatto con qualche aspetto della realtà, realtà esterna (cose, oggetti) o realtà interna (emozioni, stati d’animo);
  1. Ogni singola persona vivente svolge questo processo con differenze, lievi o grandi, dando luogo ad una comunicazione interpersonale che si apre a moltissimi fraintendimenti e incomprensioni. 

Il modello d’insieme può essere così rappresentato: 

Modello delle Quattro Distanze di Daniele Trevisani

In questo modello, la distinzione tra variabili hard e variabili soft non ha a che fare con la percezione comune, ma con la natura stessa di una variabile nella sua maggiore o minore tangibilità. I valori sono qualcosa di intangibile, ma i comportamenti che ne derivano sono molto tangibili. 

In una persona, sarà un dato hard il numero di anni (età), ed un dato soft (ma molto più importante) il tipo di personalità, oppure ancora lo stato della personalità con cui la persona sta vivendo. In un certo momento infatti io posso comunicare con qualcuno e trovarmi, come evidenzia l’analisi transazionale, in uno stato di personalità genitoriale, o stato Adulto, o ancora in uno stato Bambino, con varie sotto-categorie e sfumature, e questo inciderà su come io comunico.

La polarità Self riguarda la natura della diversità tra persone sotto il profilo biologico e delle identità/ruoli. Comprende le differenze del Sè individuale, composto da Self biologico, Self sociale e identità individuali, personalità, e stati della personalità. Spesso la nostra “molteplicità” di ruoli non viene compresa, dando luogo all’incomprensione fondamentale, quella su chi siamo. 

Dobbiamo pensare che quando due persone interagiscono, le loro identità possono essere connesse favorevolmente e creare un buon grado di fit, o un buon “incastro”, o invece respingersi. 

Come due magneti, A e B possono essere attraversati da forze di attrazione o da forze di repulsione, dando luogo a tanti tipi di rapporto umano. 

forze di attrazione e repulsione tra persone

Queste forze variano a seconda dello strato di identità che io presento di me. Potrei generare potenti forze attrattive se mi presento ad un collega come padre che parla ad un altro padre, e potenti forze repulsive se mi presento come padrone che parla ad uno schiavo considerandolo inferiore. 

A seconda di quali forze siano in campo, avremo relazioni di attrazione reciproca, di respingimento reciproco, o sbilanciate, dove una parte cerca l’altra, e l’altra si allontana e rifiuta la comunicazione. 

Se in un’organizzazione prevalgono le distanze corte, ognuno può parlare con chiunque senza timori e possiamo essere certi che la comunicazione sarà più flessibile e snella.

libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi:

Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Vediamo oggi in quali situazioni o aree di competenza è utile applicare il Modello delle Quattro Distanze della Comunicazione, che evolve o involve seguendo l’evoluzione o l’involuzione umana comunicativa e relazionale.

Il modello 4DM (4 Distances Model, o Modello delle Quattro Distanze) può essere utile: 

  • per le comunicazioni che avvengono in una famiglia; 
  • per le dinamiche di coppia; 
  • per migliorare le relazioni di aiuto come il coaching, il counseling, la terapia, la didattica, la formazione; 
  • nella leadership e nella direzione di team; 
  • per lavorare alle relazioni umane in ambienti sfidanti e confinati come i gruppi di lavoro che operano in ambienti estremi o ostili; 
  • nel caso della comunicazione per la sicurezza sui luoghi di lavoro; 
  • per la comunicazione tra persone di culture diverse, siano esse di tipo etnico, religioso, regionale o altro; 
  • per esaminare mondi di comunicazione poco esplorati come la comunicazione interspecifica; 
  • per la comunicazione uomo-macchina e tra uomo e intelligenza artificiale (AI); 
  • per avventurarsi in territori ancora ignoti all’essere umano, come quelli delle missioni spaziali di lungo periodo e dei viaggi prolungati in ambienti confinati;  
  • per anticipare futuri prossimi e affrontare le criticità comunicative che riguardano le sfide dell’umanità, come la creazione della pace ove vi sia conflitto; 
  • per progetti molto concreti di collaborazione industriale tra nazioni e tra imprese di diverse nazioni; 
  • per fare ricerca e sviluppo vera, che assorba concetti e culture anche da discipline molto diverse, creando gruppi di lavoro veramente efficaci anche se interdisciplinari e interculturali; 
  • e in un sogno non tanto lontano… per stabilire basi comunicative con culture e civiltà ancora non scoperte ma che un giorno potrebbero manifestarsi, e con le quali ogni forma di comunicazione nota potrebbe risultare inutile o non funzionante. 

Tutto ciò non è fantascienza: sono stati scoperti molti pianeti situati nella “zona abitabile” o golden lucky zone, del proprio sistema solare, cioè non troppo vicino al proprio sole, né troppo lontano. 

Questo dato offre spazio a forme di possibile comunicazione e contatto sulle quali le Quattro Distanze possono fare luce. Ma anche senza andare a cercare mondi lontani e remoti, la nostra stessa Terra è un luogo in cui le persone, homo sapiens con homo sapiens, non si comprendono, si ammazzano per un nulla apparente, e i conflitti scoppiano in modo devastante, tra gruppi etnici, religiosi, nelle famiglie, nelle coppie, tra gruppi di tifoserie opposte, tra nazioni, e tra gang nella stessa città, per cui riconoscere le incomunicabilità e combatterle è davvero una missione fondamentale. 

Nel campo del Business, un dato di fatto molto semplice è che se domina incomunicabilità non si vende, non si fanno affari, tra venditore e cliente non ci si capisce, non si realizza proprio niente di niente. A livello di ascolto, non vengono nemmeno capite le esigenze vere, forti, dei clienti e dei consumatori.  

I possibili messaggi utili e le informazioni importanti non passano la barriera comunicativa, per cui i clienti rimangono insoddisfatti, o meno soddisfatti di quanto potrebbero essere. I prodotti vengono progettati male, o peggio di quanto potrebbero essere progettati se solo vi fosse una buona comunicazione con i clienti, soprattutto nella capacità di ascoltarli e coinvolgerli nella ricerca e sviluppo (R&D). 

Questo processo può essere esaminato con il modello delle Quattro Distanze perché aiuta a capire che le distanze non sono un fatto “statico” ma dinamico. Esse cambiano, si evolvono, a volte negli anni, a volte in frazioni di secondo (soprattutto per gli stati umorali ed emotivi), a volte “involvono”, nel senso che peggiorano man mano che il tempo fa scoprire cose nuove dell’altro e lo stress mette alla prova il nostro rapporto, costringendoci alle corde e facendo venire fuori parti della personalità che altrimenti non sarebbero uscite.  

Le persone cambiano, si evolvono, le loro identità, i loro valori, le loro emozioni, persino i loro corpi, sono soggetti a cambiamenti, e questo incide sulla qualità della comunicazione. 

Confrontarsi su un modello quindi è sempre produttivo. 

Moltissimi antropologi e psicologi hanno esposto concetti che “nascondono” modelli, ma non hanno mai prodotto un vero e proprio schema operativo, grafico, visuale, comprensibile.

Perché gli schemi? Perché manager e operatori hanno bisogno di modelli operativi: le loro estrazioni professionali li hanno abituati a comprenderli, e uno schema ci offre anche vere e proprie “etichette”, parole, concetti utilizzabili, linguaggi comprensibili, e lo stesso vale per le persone che operano come promotori di relazioni d’aiuto (educatori, consulenti, terapeuti). 

Il modello delle Quattro Distanze è nato per questo scopo, ma dalla prima esposizione ad oggi ha subito notevoli evoluzioni e miglioramenti, e continua a cambiare includendo nuove aree di ricerca, arricchimenti, chiarificazioni e confronti con altre scienze.  

È utile quindi per far evolvere la comunicazione di persone e manager, e per chiunque trovi che comunicare bene e cooperare sia una necessità vitale. 

libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi:

Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Come già anticipato, continuiamo a parlare di comunicazione positiva e costruttiva, introducendo le quattro grandi distanze relazionali e gli elementi che incidono sull’efficacia comunicativa generando o riducendo l’incomunicabilità.

La distanza tra persone è un fatto fisico, ma la fisicità è nulla rispetto alla distanza psicologica. Nel modello delle Quattro Distanze vengono esaminati i principali fattori che creano distanza relazionale, raggruppati in quattro grandi classi, utili per qualsiasi intento,  di costruzione di rapporti ma anche di identificazione di incomunicabilità esistenti. 

Queste grandi classi sono: 

  1. le distanze e differenze di ruolo e identità tra comunicatori, incluse le differenze di personalità o stato d’animo; 
  1. le distanze e differenze nei codici e stili comunicativi; 
  1. le distanze e differenze valoriali, di atteggiamenti e credenze possedute; 
  1. le distanze e differenze nei diversi tipi di vissuto personale, sia fisico che emozionale. 

Una sola di queste variabili è sufficiente a creare incomunicabilità. La loro combinazione è ancora più difficile da gestire, perché arriva a creare una distanza relazionale forte.  

La distanza relazionale è un fatto reale. Possiamo essere vicinissimi ad una persona (ad esempio in ascensore, o ad un semaforo) e disinteressarci completamente della vita di quella persona. Quella persona sarà a noi “distante”. In altre situazioni, vi sono invece persone con le quali senti di poter raccontare tutto di te, o tu stesso ti metti a disposizione totale per un ascolto profondo, vero, interessato. 

Anche quando un progetto è limitato nel tempo, nasce giocoforza la necessità della comunicazione nel team. In questo team ci saranno diversità, ci saranno persone che dovranno lavorare fianco a fianco, persone di provenienze professionali diverse, culture diverse, ideologie diverse, codici comunicativi solo in parte condivisi, e il rischio di fallimento e di conflitto, se non anticipato, diventa molto alto. 

L’attrito relazionale è un dato di fatto: se riconosciuto presto, può essere gestito, e le relazioni umane possono prendere una piega completamente diversa, andando verso la comunicazione costruttiva, la comunicazione che sviluppa progetti, idee e valore.

A volte viviamo rapporti che solo apparentemente sono di vicinanza psicologica, ma che in realtà dimostrano tutta la loro falsità non appena un incidente critico fa emergere la reale distanza siderale di valori. 

Quindi mettiamo in chiaro che la distanza non è solo questione di apparenza ma qualcosa di più profondo. La distanza relazionale esiste, crea incomunicabilità, e, con incomunicabilità in corso, nessun progetto può davvero fare lunga strada. 

 La comunicazione diventa difficile quando: 

  • le persone non accettano i ruoli reciproci nella comunicazione, manca accettazione nelle identità reciproche che le persone vogliono assumere, le parti non si riconoscono e non si legittimano come controparti accettate; 
  • le distanze nei codici e negli stili comunicativi sono ampie, rendendo tecnicamente difficile o impossibile la comprensione dei significati della comunicazione stessa. I linguaggi sono poco comprensibili, vi sono termini sconosciuti, e significati non condivisi; 
  • vi sono divergenze valoriali, di atteggiamenti e valori, sia superficiali che in profondità, e il grado di differenza si amplifica tanto più quanto la comunicazione tocca i valori fondamentali di uno o più comunicatori;
  • le parti sono caratterizzate da diversi tipi di vissuto personale, sia fisico che emozionale e non possiedono esperienze comuni né fisiche né emotive che possano fare da facilitatore. 

La comunicazione diventa positiva ed efficace quanto più: 

  • le persone accettano i ruoli reciproci nella comunicazione, le parti si riconoscono e si legittimano reciprocamente come degne di un rapporto proficuo; 
  • le distanze nei codici e negli stili comunicativi sono ridotte o si riducono, progressivamente, rendendo tecnicamente più semplice la comprensione dei significati, basata su segni condivisi, linguaggi comprensibili, e significati condivisi; 
  • vi sono poche divergenze valoriali, o queste sono solo superficiali, mentre nei valori profondi si trova condivisione.  
  • le parti sono caratterizzate da un certo grado di “Common Ground” nel vissuto personale, sia fisico che emozionale, e questo aumenta grazie ad esperienze condivise, rendendo la comunicazione più positiva ed efficace. 

È abbastanza comprensibile e naturale il fatto che al crescere della distanza psicologica tra persone, aumenti l’incomunicabilità, ma prendere coscienza di questo non è sufficiente.  Occorre capire dove mettere mano per lavorare sull’incomunicabilità, tema che approfondiremo in seguito.

libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi:

Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Con i prossimi articoli vorrei addentrarmi nel cuore della comunicazione costruttiva, prendendo come esempio di efficacia comunicativa il modello delle quattro distanze sviluppato dal dott. Daniele Trevisani. In primis poniamo qui di seguito le basi per capire cosa si intende per comunicazione positiva, contrapponendola ai problemi dell’incomunicabilità.

Cos’è una conversazione positiva? È una forma d’incontro dalla quale usciamo felici. E non tanto per quello che abbiamo portato a casa, ma per come ci siamo sentiti, per quello che siamo riusciti a costruire, per quel futuro positivo di cui quel brano di conversazione è diventato un tassello, e per il piacere che quel brano stesso di vita ci ha dato. 

Al contrario, una conversazione negativa è densa di fraintendimenti, di stati emotivi pessimi, di grigiore. È “entropia comunicativa” (confusione sui significati e scopi del comunicare), e produce il drenaggio delle nostre forze e delle nostre risorse più preziose: le energie personali, le emozioni, il tempo. 

Le parole di oggi sono spesso “malate”, hanno perso il significato denso e forte che avevano. Abusate e forzate, si sono spente. 

Una comunicazione sana fa sì che il significato originario arrivi “pulito”, senza fraintendimenti. Una comunicazione malata invece fa sì che il messaggio originario arrivi “distorto”, persino opposto negli intenti di chi lo invia. Da qui all’arrivo dell’incomprensione e del conflitto, il passo è breve. 

Serve un modello che ci guidi attraverso i meandri di cosa accade in una conversazione e il modello delle Quattro Distanze della Comunicazione è pensato proprio per questo. 

 “Costruire” qualcosa di positivo con la comunicazione non è per nulla scontato, molto spesso basta una parola, uno sguardo, per costruire, e un altro per distruggere o fare danni.  La comunicazione infatti è una conquista. 

Un punto fondamentale da chiarire subito è che la comunicazione non è un messaggio “lanciato nello spazio” che non avrà mai risposta, ma una forma di interazione continua, una vera e propria conversazione in cui emittenti e riceventi sono sempre attivi. Tra questi avvengono centinaia e migliaia di micro-comunicazioni, ciascuna delle quali può essere chiara o invece portatrice di confusione, malintesi o stati emotivi negativi. 

Inoltre ognuno di noi ha propri interessi, propri bisogni, proprie esigenze, e queste trasudano e trapelano in ogni nostra interazione. La comunicazione umana è uno strumento, e a volte il solo strumento di cui disponiamo, per ottenere le risorse per la nostra sopravvivenza, o ottenere quello che vogliano nella vita, raggiungere obiettivi, e gioire per i risultati che la comunicazione stessa ci può portare. 

Ma come tutti sappiamo, non è sufficiente comunicare “tanto per fare”, non è sufficiente chiedere per ricevere. La probabilità che occorra invece essere chiari, o persuasivi, o comunicare in modo chiaro ed assertivo, è molto più concreta e reale, soprattutto in ambito aziendale e familiare.  

Chi “fa finta” che le differenze tra persone non esistano o non contino, sta nascondendo la realtà dei fatti.

Parlarsi chiaro è quindi anche un invito a confrontarsi con le distanze psicologiche e comunicative che possono esserci tra noi e le altre persone, per trovare quella “distanza relazionale efficace” nella quale riusciamo a comunicare bene, con rispetto di noi stessi e degli altri. Il modello delle Quattro Distanze ci aiuta proprio a capire quali possono essere le quattro grandi “trappole”, le tipologie di distanza relazionale che possiamo incontrare nella comunicazione, ma anche, e di conseguenza, i motori di una comunicazione positiva e le strategie per comunicare meglio. 

Ogni volta che interagiamo con una persona anche solo leggermente diversa da noi, siamo in presenza di un certo grado di diversity e questo ci impone la necessità di aggiustare il tiro della comunicazione. Se poi si presentano forti differenze etniche, religiose, e culturali nelle ideologie di fondo, la cosa diventa ancora più difficile.  

Più che in termini di una “comunicazione semplice”, in presenza di una dose, anche moderata, di diversità tra persone, dovremmo parlare e pensare in termini di una “comunicazione strategica”.  

In una comunicazione che diventa strategica si fa strada il concetto di “Information Operations” o “Info-Ops”, un concetto di derivazione militare, ma che rende bene un quadro della situazione: le informazioni e le comunicazioni, in condizioni di diversity, hanno un obiettivo, funzionano meglio se progettate per far sì che il messaggio possa essere accettato dai filtri culturali e ideologici di chi lo riceve, e non bloccato immediatamente. 

Per comunicare strategicamente servono modelli. Modelli che aiutino ad analizzare la comunicazione, modelli per costruire messaggi, modelli di ascolto e comprensione raffinati. 

Negare l’esistenza di differenze tra esseri umani in base ad ideologie buoniste è invece un grande atto di falsità intellettuale. 

Se non accettiamo questa realtà come dato di fatto, non includeremo mai nelle nostre analisi il vero fattore sfuggente: la diversità latente tra persone, le differenze e distanze culturali e il modo in cui queste impattano sulla comunicazione, potendola far diventare una comunicazione fluida e piacevole, che produce accordo e comprensione, oppure, all’opposto, una comunicazione sgradevole, conflittuale, difficile da digerire, con i suoi esiti: disaccordo, incomprensione, incomunicabilità, odio reciproco e conflitto. 

libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi:

Crescita personale libri di Daniele Trevisani, estratti originali dalla pubblicazione, con grafiche originali e citazioni dell’autore.

  • Crescita Personale, i libri di Daniele Trevisani

Crescita personale libri: Ascolto attivo ed empatia. I segreti di una comunicazione efficace

crescita personale libri ascolto attivo ed empatia

Crescita personale libri di Daniele Trevisani, estratti originali dalla pubblicazione

Ascolto, empatia e leadership conversazionale

La gente non ascolta, aspetta solo il suo turno per parlare.
(Chuck Palahniuk)

Quando si parla di ascolto efficace, si intendono essenzialmente due cose: 1) l’ascolto è stato utile a raccogliere informazioni e comprendere meglio lo stato delle cose, dei fatti, e delle persone; 2) l’ascolto è stato un momento di relazione piacevole, accogliente, in cui si è riusciti a fare da contenitore emotivo alla persona.

Quando queste due situazioni accadono, siamo di fronte ad un ascolto efficace. Direi abbastanza raro. Nella vita la materia più rara e preziosa non è l’oro, è qualcuno che ti capisca.

Alcune domande possono esserci utili:

  • Hai mai avuto la sensazione che una persona non ti stia ascoltando?
  • Che voglia non ascoltarti, o che non ci riesca proprio?
  • Oppure hai mai percepito che mentre parlate, l’altra persona stia dicendo le cose a metà, non dica tutto, trattenga qualcosa? Per volontà, a volte, o per incapacità, o per paura, chissà?
  • Hai mai avuto la vaga impressione che la persona con cui parli stia cercando di proiettare di sè un’immagine magari poco veritiera, praticando qualche forma di “Impressions Management[1] (letteralmente “Gestione dell’Impressione”, creare di sè un’immagine artificiosa)?
  • Ti è mai capitata l’intenzione di parlare con qualcuno per approfondire un certo tema o situazione, mentre invece la persona continua a sfuggire, scappare, evitare?
  • Hai mai sentito la presenza di un “nucleo” dietro al parlare di una persona, del contenuto – idee, opinioni, progetti – che si osserva solo in trasparenza, ma non emerge, per quanti sforzi la persona faccia per spiegarsi?

Se ti sei trovato anche solo in una di queste situazioni, hai praticato un “ascolto oltre le parole”, una “percezione aumentata” e ti sei avvicinato o avvicinata ai temi dell’ascolto attivo e dell’empatia.

Tra l’altro, se c’erano interessi in gioco, hai toccato con mano quanto possa essere importante la Leadership Conversazionale e la capacità di dirigere gli andamenti di una conversazione.

Hai anche visto, nella tua vita, quanto sia raro l’ascolto attivo, e che essere ascoltati è abbastanza raro, rispetto alla vita normale dove tutto corre e nessuno ha mai il tempo per nulla.

Bene, piuttosto che recriminare gli altri per ciò che fanno o non fanno, questo libro vuole offrire strumenti per chi vuole migliorare il proprio ascolto, per lavoro o nella vita di tutti i giorni, per praticare un ascolto di qualità, un ascolto attivo, e un ascolto empatico.

Lo spirito delle parole di Virgilio, il suo invito a cercare sempre di capire, è il fondamento che scorre lungo tutto questo volume. È il valore di fondo che ci ispira a praticare un ascolto attivo.

Si può essere stanchi di tutto, ma non di capire.

 (Virgilio)

L’ascolto è percezione, e percepire per noi è normale, fisiologico.

Lo hai fatto centinaia e migliaia di volte, anche solo osservando le persone nel come sono vestite o come camminano. Inevitabilmente. Lo hai fatto, che volessi o meno. Il problema è che la percezione è diventata superficiale, molto superficiale, e l’ascolto altrettanto. E questo è un peccato, perché una percezione acuta, è una via privilegiata verso la verità.

La leadership conversazionale è la capacità di ridare forza all’ascolto, dirigere la conversazione sui temi che ci interessano, o sui formati che vogliamo strategicamente attivare (e l’ascolto, è uno di questi).

Perché serve leadership per poter ascoltare? Perché la leadership è un atto volontario, e in questo volume trattiamo proprio l’ascolto come atto volontario, deciso da chi ascolta, non come un atto casuale che può capitare a chiunque senza prestarvi attenzione.

Gli esseri umani sono dotati di capacità di ascolto, naturali, utilizzano l’udito per capire suoni e parole, perché questo è vitale per la loro sopravvivenza. Se non sapessimo ascoltare, né i suoni, né le intenzioni (es, aggressive, ostili, o amichevoli), ci saremmo già estinti.

Si dice spesso che occorre il coraggio di alzarsi in piedi e parlare, dire la propria. Beh, molto spesso serve anche il coraggio di portare la mente li, dove siamo ora, per ascoltare e guardare dentro all’anima e alla mente di una persona.

Esiste coraggio anche nell’ascoltare.

Il coraggio è quello che ci vuole per alzarsi e parlare; il coraggio è anche quello che ci vuole per sedersi ed ascoltare.
(Sir Winston Churchill)

 Ascoltare le emozioni. Emozioni e comunicazione

Emozioni e comunicazione sono fortemente correlate.

Quando comunichiamo, oltre ai dati verbali (oggetti, soggetti, verbi, aggettivi e altri elementi del discorso) possiamo sempre notare un sottofondo emotivo (la parte esterna della ruota di Plutchik sotto presentata). A volte questo sottofondo si fa più intenso, e quasi arriviamo a “sentire” o “percepire” più lo sfondo emotivo delle stesse parole (area delle emozioni intermedie). Quando si entra nelle emozioni estreme, quelle intense, rappresentate al centro, le parole diventano quasi inutili, perché veniamo inondati dall’emozione che ci arriva dall’altro, e questa finisce per sopraffare qualsiasi contenuto.

Il “solido di Plutchik” o “Ruota delle Emozioni di Plutchik”[2] rappresenta una delle migliori visualizzazioni su come funzionano le emozioni.

Dobbiamo tenere a mente che anche noi siamo soggetti comunicatori, per cui quanto sopra evidenziato, vale anche per quando siamo noi a parlare.

[1] Schlenker, Barry R. (1980). Impression Management: The Self-Concept, Social Identity, and Interpersonal Relations. Monterey, California: Brooks/Cole.

[2] Plutchik, Robert (1980), Emotion: Theory, research, and experience: Vol. 1. Theories of emotion, 1, New York: Academic

Plutchik, Robert (2002), Emotions and Life: Perspectives from Psychology, Biology, and Evolution, Washington, DC: American Psychological Association

Plutchik, Robert; R. Conte., Hope (1997), Circumplex Models of Personality and Emotions, Washington, DC: American Psychological Association

Crescita personale libri: “Il potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”Il Potenziale Umano - metodi di coaching

Crescita personale libri di Daniele Trevisani, estratti originali dalla pubblicazione

Prefazione. Coltivare e mantenere al meglio le proprie capacità: da responsabilità personale a impegno verso le persone. Del Generale Flaviano Godio, Esercito Italiano[1]*

Quando Daniele Trevisani mi ha chiesto di scrivere una prefazione per questo libro ne sono stato indubbiamente lusingato ma subito dopo ho pensato: riuscirò ad esprimere qualcosa di adatto al tema trattato, vale a dire il potenziale umano? Questa incertezza è però durata ben poco, giusto il tempo di realizzare che, dopo tutto, la Human Performance & Potential Modeling è qualcosa a cui mi sono dedicato dal lontano giorno in cui sono divenuto Allievo dell’Accademia Militare di Modena.

Scorrendo i contenuti di questo lavoro ho così ritrovato numerosi concetti, temi e potenziali applicazioni che sono quotidianamente presenti in una Istituzione, quale l’Esercito, che fa dell’uomo-soldato il suo fulcro. Ecco perciò che quando leggo di grounding non posso non pensare ai valori ed ai principi della mia Arma, la Cavalleria, che sono rimasti immutati e validi nei secoli e che hanno sorretto me e tanti altri nei momenti difficili, dandoci la forza di “gettare il cuore oltre l’ostacolo”, come recita un nostro motto o, come dice l’Autore del libro, dandoci “le ali per volare”.

Ho ancora ritrovato un altro principio cardine per un soldato, cioè la crescita e la coltivazione delle energie fisiche in sinergia con quelle mentali ed intellettuali; principio ancora più valido per un comandante a qualsiasi livello, che ha il dovere etico e morale, prima ancora che professionale, di mantenere al meglio le proprie capacità, perché il loro venire meno potrebbe incidere drammaticamente sugli uomini che gli sono stati affidati.

Non ho certo la competenza e l’autorità per esprimere giudizi  sui contenuti di questo lavoro. Voglio però dire che ho avuto Daniele Trevisani come docente al corso di Metodologia della Comunicazione Interculturale che ho frequentato nell’imminenza della partenza per il Libano quale Comandante del contingente Italiano di UNIFIL. In quella occasione ho apprezzato non solo le sue qualità professionali ma, soprattutto, la passione e la forza con cui crede in ciò che insegna e scrive. Sono doti che traspirano forti anche da questo libro e che sono sicuro conquisteranno i lettori.

Lavorare sul potenziale individuale, dei team, delle imprese: il metodo HPM (Human Performance & Potential Modeling)

Le persone viaggiano per stupirsi delle montagne, dei mari,

dei fiumi, delle stelle e passano a fianco a se stesse

senza meravigliarsi

(Sant’Agostino)

Concetti fondamentali: la visione della persona come sistema energetico

Il metodo HPM deriva la propria sigla dal suo obiettivo primario, il Modeling, o “dare forma”, generare impulso, contributo e stimolo alla crescita della persona, dei team e delle organizzazioni.

Il metodo ha due distinte sfere di applicazione, tra di loro collegate:

  • crescita del potenziale umano: Human Potential Modeling, e
  • sviluppo delle prestazioni: Human Performance Modeling.

Il metodo contiene una concezione dell’uomo come articolazione di energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni.

Il metodo individua sei specifiche “celle di lavoro”, sulle quali ciascuno di noi, indipendente dalla sua condizione di partenza, può fare progressi, piccoli o grandi che siano. E, per ogni piccola conquista, si aprono nuovi orizzonti che ci invitano ad andare avanti, in una continua esplorazione di ciò che significa progredire, nel suo senso più profondo.

“Entrare” in queste sei celle ci permette di costruire progetti di crescita seri ed efficaci, siano essi la “liberazione” da ciò che ci frena, o l’aumento delle nostre risorse personali.

L’amplificazione delle energie e abilità di un individuo o di un intero gruppo o impresa, può proiettarci verso nuovi traguardi, e nuovi modi di essere. Prendere piena coscienza dei propri potenziali e lottare per raggiungerli è un’operazione che ha una propria sacralità, al di la del risultato numerico o professionale che ne può derivare.

Capire questo è essenziale oggi per fare del training aziendale serio, essere ricercatori o insegnanti degni di questo nome, ma anche nel coaching, nel focusing (focalizzazione dei fabbisogni di sviluppo), nella consulenza, nei progetti di crescita personale, quando si esamina una persona o un’organizzazione, intesa come complesso di energie circolanti, il suo lato umano, il suo spirito vitale.

Il metodo HPM raggruppa tutti i fattori evidenziati in un modello piramidale (energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni) e li considera aspetti allenabili, aumentabili, su cui si può agire.

A questo modello quindi ci apprestiamo a lavorare.

Ne esponiamo di seguito un’anteprima grafica, nella quale si evidenziano le sei specifiche aree di lavoro, ciascuna delle quali viene approfondita, ma sicuramente non esaurita.

Esaurire ogni singola area sarebbe una pretesa troppo grande, mentre aprirvi una discussione e offrire su ciascuna contributi, strumenti utili e operativi, è invece già possibile.

Metodo HPM per la crescita personale libri Coaching Corsi e Formazione. Modello di coaching piramide HPM
Coaching Corsi e Formazione. Modello di coaching piramide HPM

Potenziale umano e prestazioni umane sono due aree di studio diverse ma strettamente collegate, così come lo sono le fondamenta di un edificio e i suoi piani superiori.

Nessuno costruirebbe, con un minimo di buon senso, un grattacielo su fondamenta instabili. Il lavoro sul potenziale è, come metafora, simile al lavoro di costruzione di fondamenta solide, mentre le performance ci restituiscono un senso di altezza, di quanto in alto possiamo spingerci.

Ognuno di noi sente il bisogno, prima o poi, di sviluppare il suo potenziale, ma anche di accedere a piani esistenziali superiori, ricercare, crescere.

Possiamo soffocare questa pulsione umana naturale, ma è come cercare di non respirare, prima o poi il bisogno viene fuori, ed è bene ascoltarlo.

Il modello HPM analizza l’essere umano come sistema energetico, una sinergia di forze (fisiche e mentali), la cui amplificazione può aumentare il grado di felicità, successo e potenzialità realizzativa.

Questo sistema complesso è composto da sottosistemi, che possono disporre di uno stato di carica variabile, e funzionare bene o male, con gradazioni intermedie di efficienza ed efficacia.

Per analizzare il potenziale globale della persona, non solo sul piano fisico o intellettuale, ma come essere umano nel suo complesso, abbiamo bisogno di localizzare quali sono i micro e macro-distretti su cui si può agire e come questi interagiscono tra di loro.

Dobbiamo anche saper muovere lo zoom di analisi dal micro al macro, dal particolare al generale, e viceversa.

Esponiamo di seguito una breve sintesi di quali sono i contenuti principali delle sei “celle” di lavoro:

  • il substrato psicoenergetico e le energie mentali: riguarda le energie psicologiche, le forze motivazionali, lo stato di forma mentale necessario per affrontare sfide, progetti, traguardi (goal) e obiettivi. Si prefigge di analizzare ed intervenire sulle capacità mentali, come concentrazione, lucidità tattica, abilità strategiche, capacità di percezione, utilizzo della memoria, amplificazione sensoriale, sino alle capacità di vivere le passioni, rivedere il nostro modo di essere, riprendere in mano il proprio ruolo nella vita con maggiore assertività, ripensarsi, creare motivazione in sè e nel team, sviluppare coraggio e perseveranza, utilizzare uno stile di pensiero produttivo e positivo;
  • il substrato bioenergetico e le energie fisiche: inquadra la parte biologica dell’essere umano: il corpo e le energie fisiche, lo stato di forma organis­mico e biologico che sorregge le energie individuali; comprende l’analisi delle energie corporee e il funzionamento dell’organismo, come esso possa essere riparato o “potenziato”, gli effetti dello stile di vita e l’approccio olistico al corpo, l’attenzione alle economie locali (di specifici distretti fisici) e alle energie generali;
  • le micro-competenze: i micro-dettagli che danno spessore al potenziale, le micro-abilità psicologiche e psicomotorie che fanno la differenza in una prestazione manageriale o sportiva, le micro abilità-cognitive (di ragionamento), che creano differenza tra un’esecuzione mediocre, media o invece eccellente, le micro-abilità relazionali e comunicazionali da cui dipende un lavoro di qualità;
  • le macro-competenze personali e professionali: i grandi strumenti (competenze, skills, capacità) che compongono il profilo di un ruolo; le traiettorie di cambiamento che subisce lo scenario che ci circonda, come rimanerne coscienti e in pieno controllo; la gamma delle abilità o portfolio di competenze di un individuo o di un team, e come questo deve essere rivisitato, riqualificato, formato, per essere all’altezza degli obiettivi che ognuno di noi si pone e delle sfide che vuole cogliere;
  • goal e progettualità: la strutturazione dello sforzo per qualcosa o contro qualcosa di concreto (un ideale trasformato in progetto); la capacità di sviluppare un obiettivo in azione, il focus di applicazione delle energie e competenze, la loro traduzione in specifici piani operativi e risultati attesi;
  • visione, principi e valori, missione: ideali, principi morali, sogni, aspirazioni, i motori profondi che dirigono le priorità personali, gli ancoraggi di senso e significato che connettono i progetti ad un piano più profondo, le scelte personali, il senso di missione. Riguarda inoltre lo sfondo primordiale di desideri e pulsioni che spingono il nostro fare ed agire, il senso di causa e – non ultimo – il nostro vissuto spirituale ed esistenziale.

Ognuno di questi stati o “celle” può avere un certo livello di “carica”, trovarsi “pieno”, “abbondante”, ben coltivato, ben esercitato, o essere invece “scarico”, deprivato, depotenziato, impoverito, o persino trascurato e maltrattato, denutrito, abbandonato.

Al crescere della carica nei diversi sistemi aumenta l’energia complessiva della persona, dei team, e delle organizzazioni da loro composte, con effetti molto tangibili: risultati, prestazioni, capacità di decidere, di incidere e produrre cambiamento positivo. Questi risultati dipendono dallo stato dei diversi sistemi, dalla capacità di coltivarli e nutrirli.

La loro condizione locale e l’interazione tra le diverse “celle” può produrre il massimo del potenziale o presentare sinergie negative, o danni e malfunzionamenti che impediscono all’essere umano di esprimersi.

Le risorse personali e il potenziale individuale possono essere “lette” ma soprattutto amplificate attraverso un lavoro serio sulle sei aree.

Sul piano manageriale e sportivo, nei team e nelle aziende, le implicazioni sono altrettanto evidenti: lo stato di forma mentale e fisico delle persone, la loro carica motivazionale, le loro competenze, la loro progettualità, il loro spessore morale, fanno la differenza tra persone o team spenti, e persone, team o organizzazioni capaci, forti, motivate, piene di energia ed entusiasmo, desiderose di affrontare sfide e dare contributi veri.

* Il Generale Flaviano Godio (Esercito Italiano) è, al momento di stampa del volume, il Comandante del contingente Italiano in Libano, nell’ambito della missione UNIFIL. UNIFIL è acronimo di United Nations Interim Force in Lebanon, ovvero Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite, missione di pace dell’ONU

Crescita Personale libri: “Self-power. Psicologia della motivazione e della performance”

crescita personale libri - libro self power psicologia della motivazione e delle performance

Crescita personale libri di Daniele Trevisani, estratti originali dalla pubblicazione

La lotta infinita tra Energia e Paure

È meglio accendere una lampada, che maledire l’oscurità.

Lao Tzu

Mille vette fino al cielo… La lotta infinita tra luce e oscurità

Ogni giorno ti alzi. E ogni giorno combatti una battaglia.

A volte ti accorgi persino che stai combattendo, a volte sei anestetizzato e non lo senti, ma la lotta continua, sempre.

Dentro di noi si fronteggiano forze profonde. Nell’intimo del nostro cuore lottano, due entità, due draghi, forze o titani… non importa come vogliamo chiamarli. Sono le Energie e le Paure.

Il primo guerriero è la nostra Energia Personale, fisica e mentale, la nostra determinazione, capacità, voglia di fare, la potenza fisica e mentale. Ma anche le idee buone, generative, positive. È la metafora della Luce, del Bene, della Vita.

L’altro è il fronte delle Paure, il buio, il dolore, l’ansia, le sfide ardue che la vita ci riserva, le difficoltà, le idee negative, le ideologie oppressive, che ci frenano e ci fanno tornare indietro, ostacolano la nostra avanzata. Per quanto illusorie o reali, queste paure ci contengono, tolgono resistenza alla nostra pulsione di vita e assopiscono la fame di libertà.

Nelle favole e nei miti, questa lotta è rappresentata come la metafora del Viaggio dell’Eroe e la vita come una serie di Prove che l’Eroe deve compiere per affermare sé stesso.

E noi, minuscole creature tra milioni di stelle nell’universo, immerse in questa lotta, cosa possiamo fare? Beh, lasciatemi dire: molto! Possiamo innanzitutto installare un radar mentale che vada a caccia delle idee negative che circolano nella nostra mente. Le credenze negative, una volta smascherate, diventano nemici identificati, e si possono finalmente combattere.

L’intelligenza è utile per la sopravvivenza se ci permette di estinguere una cattiva idea prima che la cattiva idea estingua noi

Karl Popper

Altra operazione fondamentale è aprire la nostra mente verso l’ingresso di idee buone, positive, nuove visioni, nuovi apprendimenti, e lasciare entrare acqua fresca da mille ruscelli. Può essere un viaggio, un libro, una persona illuminata o piacevole da ascoltare. Qualsiasi fonte di apprendimento carica peso sulla bilancia della luce e indebolisce il buio.

La mente che si apre ad una nuova idea non torna mai

alla dimensione precedente.

Albert Einstein

Ogni persona accetta o meno le sfide in base alla “dimensione” che vive, al suo stato di potenza ed energia fisico-mentale, e questo è collegato a come funziona la propria “bilancia interiore”, e l’accuratezza del proprio radar mentale.

La nostra mente soppesa energie percepite e paure percepite, poi decide.

Chi è riuscito a fare pulizia mentale e caricarsi di energie, diventa potente oltre ogni limite, e cerca attivamente progetti sfidanti – si getta in battaglie difficili in base alle energie che sente di possedere.

Questo vale per gli atleti, i praticanti di arti marziali, i combattenti della vita, una coppia che decide di avere figli in questo mondo marcio, sapendo che alla fine la luce prevarrà o che almeno questa possibilità esiste.

Le sfide insegnano sempre.

Quelle che accettiamo ma anche quelle che non accettiamo.

Le paure crescono in noi. Alcune sono motivate e utili a salvarci la vita. Guidare senza fare attenzione alla strada deve generare coscienza del pericolo, e non si tratta di una paura patologica, ma aver paura di guidare in assoluto è invece una paura debilitante, di cui liberarsi.

Quando sarai pronto a morire sarai grande abbastanza per vivere.

Toro Seduto (1831 – 1890), capo tribù dei Hunkpapa Sioux (Lakota).

Chi vive entro completamente immotivate, porta estenuanti sassi nello zaino. Idee sbagliate, angosce sbagliate, pesi inutili di cui disfarsi al più presto. La paura di provare una carriera diversa, la paura di sbagliare in un progetto, la paura di parlare in pubblico, la paura di provare strade nuove.

Come in una favola epica, lo scontro tra queste due forze non ha mai fine dentro di noi e fuori da noi.

Diventa una sfida togliere la sofferenza ad ogni bambino del pianeta.

Diventa una sfida togliere da se stessi le paure di cui possiamo fare a meno e imparare a vivere a pieno.

Vivere a pieno significa decidere cosa sarà della nostra vita. Non lasciarlo decidere alla massa, agli altri, alla tv, o all’ignoranza.

E questo occorre farlo ogni giorno. E’ un esercizio quotidiano di autonomia mentale, di libertà allo stato liquido. Un combattente non rimane in piedi a lasciarsi colpire senza reagire, userà ogni tecnica, ogni energia, ogni tattica, per vincere il suo incontro. Questo vale anche nella vita.

E allora combattiamo ogni giorno questa nostra lotta verso la libertà.

E siamo fieri di questo.

Il destino non è scritto, è quello che noi ci creiamo.

(John Connor) dal film Terminator Salvation

Mente e Destino

Se vogliamo che la Forza vinca, il nostro destino deve essere pilotato dalla nostra mente. Per cui, la pratica per migliorare sé stessi e potenziarsi – mente e corpo – deve essere quotidiana.

Si tratta di avviare un percorso di allenamento alla coltivazione dell’energia fisica e mentale, con tecniche diverse in ogni stadio della vita.

Da bambini, da ragazzi, da adulti, da anziani. Sino all’ultimo secondo – possiamo sempre imparare qualcosa, e ogni apprendimento è energia.

Il corpo è plastico, reagisce agli stimoli positivi potenziandosi (allenamenti, alimentazioni corrette o sbagliate, pensieri positivi o pensieri negativi).

Anche la mente è plastica, si modifica nella struttura neuronale, nelle idee e credenze che vi circolano, in base a come e quanto la nutriamo (dieta comunicazionale) e a quanto pratichiamo training mentale e altre pratiche per tenerla pulita, libera da virus mentali come apatia, ansia, noia, accettazione della sofferenza inutile, per nutrirla di concentrazione, rilassamento, focalizzazione, desiderio e passione di vita.

Se vogliamo che vinca il Buio, basta lasciarsi andare alla tv spazzatura, vivere da pecora nel gregge e ingoiare la pillola “produci, consuma, muori” e non pensarci più. Questa, lo dirò subito, non è la nostra strada.

“I will not allow anyone to walk through my mind with their dirty feet”

Non permetterò agli altri (o non permetterò a nessuno) di attraversare la mia mente con i loro piedi sporchi.

Mahatma Gandhi

Cominciare a dire “questo si e questo no” è un ottimo inizio per l’autodeterminazione. Iniziare a porsi domande sui messaggi che ci arrivano: “il mio istinto mi dice che questo personaggio è credibile e che posso fidarmi”?

Ancora migliore è filtrare i messaggi in ingresso come se si trattasse di vero e proprio cibo che può essere “nutriente” o “avvelenato”.

Non lasciamo che sia il destino a decidere di cosa ci nutriremo, decidiamolo noi, con forza.

Chiudere i canali del mondo tossico e far entrare in noi aria pulita

I furti più pericolosi sono quelli che ti vogliono togliere l’energia per vivere. I veleni più pericolosi sono quelli che ti impediscono di usare la mente come un diamante limpido, la vogliono inquinare e portare nella melma anziché lasciarla volare alta, libera e luminosa.

Liberarsi dai “ladri di energia” e dai “veleni mentali” è un dovere fondamentale per chi cerca le performance e la liberazione di sé. Che si tratti di persone che non ti vogliono bene, di pensieri distorti che ti vivono dentro, o di interi sistemi culturali, inizia a chiederti cosa ti toglie energie e quando succede. E’ un passo fondamentale verso l’emancipazione. Poi inizia a chiederti dove ne potrai trovare, e non temere. Fai esperimenti di avvicinamento a queste energie. Di continuo.

La Dieta Comunicazionale misura il grado di “nutrimento comunicazionale“, le idee buone e fresche che entrano e ci fanno bene, i programmi che ci aiutano a pensare, un corso, un film o libro o persona… non importa davvero quale sia la fonte. Ciò che conta è il messaggio che entra.

Nella Dieta Comunicazionale misuriamo anche il tasso di “intossicazione comunicazionale“, i messaggi tossici che cercano di addentrarsi in noi, dalle fonti più varie come film, esempi di vita, comportamenti, dialoghi sentiti per strada o al lavoro, cose viste nei comportamenti da genitori e insegnanti, o trovate su libri e letture.

Chi vuole disintossicarsi deve assolutamente chiudere i canali di accesso del “mondo tossico” verso la propria mente e aprire canali puliti. Deve porre una barriera assoluta all’ingresso di ulteriore immondizia mentale e darsi tempo di fare pulizia. E deve assumere “antibiotici mentali” e “antivirali mentali”, da ogni fonte pulita possibile, come libri buoni, corsi selezionati, letture, persone positive che aiutino a crescere.

I migliori guerrieri fanno più male con la mente che con il pugno.

Daniele Trevisani

Una metafora potente è il combattimento. Qui, “schivare” significa riconoscere prima di tutto che un colpo è partito o un messaggio negativo è sulla nostra traiettoria (Detection Skills), per poi attutirlo, o spostarsi dalla sua traiettoria (Protection Skills). In questo le arti marziali sono maestre e da esse impariamo mille modi per schivare o ridurre l’impatto di colpi negativi.

Lo scopo è mantenere la mente pulita.

È una filosofia di vita, un’immissione di energia nello spirito come nel corpo, che vale per ogni persona, per ogni giorno.

La dieta comunicazionale può contenere contenuti seri, ma anche e assolutamente momenti di divertimento, utili per staccare con i problemi e rigenerarsi.

Una dieta va applicata sempre. Anche nei momenti più banali, come quando siamo a tavola. Sicuramente, mangiare a tavola guardando un telegiornale e sentir parla di stupri, morti e bambini maltrattati non può essere né utile a sé stessi né risolutivo di quei problemi, che meritano ben altra attenzione.

Molto più utile è invece mangiare gustando la sacralità del cibo, parlare piacevolmente, o guardare dei filmati divertenti, comici o satirici, ed evitare discussioni a tavola, per consacrare un momento fondamentale come il nutrirsi.

Anche un gesto banale come ridere può fare bene.

Vi sono molti metodi, molte “scuole” cui attingere per fare pratica quotidiana di ricerca della libertà di volare, metodi per fare pulizia mentale, strade di miglioramento e potenziamento, sia fisico che psicologico.

Alcune di queste sono disponibili in comuni e semplici palestre, altre stanno nei Dojo (palestre marziali), alcune nelle Chiese, altre ancora sono sotto gli occhi di tutti ma non le consideriamo come tali finché non le abbiamo scoperte (es., un bosco, un lago, un fiore, un sasso, un libro, un gruppo, una persona illuminata o risvegliata).

Alcune pratiche mentali sono frutto delle scienze occidentali e psicologiche, altre vengono dalle religioni, occidentali o orientali. Ciò che conta è praticare. Quotidianamente. E se i metodi non funzionano, cambiarli.

Non c’è niente di male a cambiare credenze, stile di vita, persino religione, quando riconosciamo che un modo di essere non ci appartiene più e scorgiamo nuova luce altrove. La nostra fedeltà deve essere nella causa verso l’emancipazione e non tanto nel singolo strumento che di volta in volta usiamo per la nostra scalata verso la luce.

Chi vuole arrivare alla vetta può farsi trasportare, o prendere un elicottero e non faticare, non conquistare nemmeno un metro con i suoi passi, ma non avrà imparato a scalare.

Chi impara a scalare potrà invece toccare mille vette fino al cielo.

Per arrivare all’alba non c’è altra via che la notte

Kahlil Gibran

Crescita Personale Libri: “Il coraggio delle emozioni. Energie per la vita, la comunicazione e la crescita personale”

crescita personale libri il coraggio delle emozioni

Crescita personale libri di Daniele Trevisani, estratti originali dalla pubblicazione

Un modo di essere

…se non accetti una vita mediocre,

tra vite vuote, spente,

troverai la tua strada…. perché la cercherai ogni giorno

come un fiore insegue la luce

Daniele Trevisani

Crescita Personale: Il coraggio di analizzare, il coraggio di vedere
Il coraggio è l’atteggiamento di fondo che spinge alcuni individui a cercare di vivere la vita, le sue azioni, le sue sfumature emotive più intese, arrivando a guardarle in faccia, a pieno.

Il coraggio significa comportarsi in base a valori personali nuovi, rinnovati, ripuliti da falsità, a volte scoperti, a volte semplicemente persi e poi ritrovati.

È la voglia di respirare che ti guida. Non smettere mai di ascoltarla.

Chiediti cosa stai respirando non solo con i polmoni.

Chiediti cosa respiri con gli occhi, cosa entra nelle tue orecchie, cosa vedi, cosa percepisci, cosa “senti”, persino in questo esatto momento.

Separerai la Terra dal Fuoco, il Sottile dal Denso,

delicatamente,con grande cura.

Ermete Trismegisto, Tavola Smeraldina

(Tabula Smaragdina) o Tavola di Smeraldo

Apprendi a percepire il flusso della forza che hai dentro. Dove vuole dirigersi?

È una forza che ti accompagna dalla nascita, e aspetta solo le occasioni per manifestarsi. Senti quando e cosa blocca questa forza primordiale, lasciala pulsare.

 

Percepire un aspetto nuovo di sé stessi è il primo passo

verso il cambiamento del concetto di sé.

Carl Rogers,  Un modo di essere, 1980

Chi vive la via del coraggio impara prima di tutto ad accettare di essere imperfetto, e avere paure. Le considera momenti significativi. Dolorosi si, ma non completamente inutili. Voci che vogliono essere ascoltate. A volte proprio nei momenti più bui e neri, si possono apprendere competenze e nuove facoltà che prima sarebbero state in caso contrario del tutto sconosciute, non necessarie.

Ne nasceranno nuovi strumenti, nuove esperienze. E con questi, oltre a superare le difficoltà, potrai costruire intere città e interi nuovi mondi. Potrai avventurarti in aree e territori prima impensabili.

La paura è il grande nemico emotivo del coraggio, un nemico che si maschera come “paura di sbagliare”, “paura di essere giudicati”, “paura che non tutto vada per il verso giusto”, “paura dei potenti e di chi ha status”, sino alla “paura di avere paura”.

Una catastrofe può innescare un grande cambiamento evolutivo positivo

Se osservi ciò che accade attorno a te, se lo osservi bene, ogni giorno apprenderai e ogni giorno l’alchimia delle emozioni sarà più amica e più al tuo fianco.

Molte persone passano la vita a credere nelle credenze altrui, a inseguire gli obiettivi sbagliati, alcuni se ne accorgono, altri no. Alcuni provano a vivere, altri si perdono. Ogni mente persa, ogni vita ingabbiata, è una grande opportunità sprecata.

In un percorso di crescita possiamo accendere i nostri riflettori su cosa merita le nostre energie migliori e la nostra lotta.

Cercheremo di capire anche che esistono falsi bersagli – come quelli che lanciano sottomarini e aerei per confondere il nemico – e che noi a volte passiamo la vita a rincorrerli, o inseguire ombre, il vuoto, o il nulla.

Cercheremo di far uscire il libero pensiero, il pensiero non detto, che sia esso positivo o negativo, non importa. Perché quello che conta è vivere nella luce, e trovare la nostra luce in noi.

Spesso la gente non ha le emozioni chiare, altro che le idee.

Diego De Silva, Non avevo capito niente

Crescita Personale: Un percorso di liberazione personale, verso il vivere vero. Cosa significa per te “dirigerti verso la luce”?

Osserva i segnali sottili che ti circondano, impara a coglierli. Uno sguardo, un segno, un gesto, un segnale. Che messaggi circolano, cosa entra nel tuo “sentire”?

Siamo creature molto permeabili agli ambienti che viviamo, quindi è decisamente importante chiedersi “in che ambiente viviamo”, “cosa voglio respirare”, “cosa non voglio far entrare”, e “dove voglio trovare aria fresca” in senso lato.

Assaliti da messaggi “densi” come film, TV, software, libri commerciali, seminari preconfezionati, perdiamo la capacità di “percepire oltre” con i nostri propri sensi.

Finiamo per chiuderci anziché confrontarci seriamente con le nostre angosce e con le nostre speranze, per poterle esaminare, smontare, rivalutare.

Perdiamo la capacità di cogliere i segnali deboli che si trovano in noi e attorno a noi. Perdiamo la capacità di “vedere” con i nostri occhi. E di giudicare con la nostra testa. Il coraggio di pensare va nutrito e allenato. E come per ogni allenamento, i risultati arrivano addestrandosi con costanza.

Una domanda ne scatena altre. Una nuova capacità ne genera altre. Cosa significa per te “trovare aria fresca” e nuove energie? Cosa può significare per te “vivere veramente le emozioni”? Se ti chiedo “dirigerti verso la luce”, cosa può essere per te la metafora della luce, nella tua personalissima Visione, ad oggi?

Ogni emozione è un messaggio, il vostro compito è ascoltare…

Gary Zukav

Ci sono alcuni esercizi di Training Mentale in cui puoi iniziare a esaminare cosa sia per te questa luce, verso dove vorresti dirigerti, e cosa c’è la in fondo, la destinazione vera o i traguardi veri del tuo viaggio. Lo stato a cui tendi.

Puoi anche iniziare a porti altre domande. Dove, quando, chi ti sta proponendo modelli dove il “vivere veramente” è in realtà un falso vivere? Che vantaggio ne ha? Ne sei circondato, è ora di accorgersene.

Altrettanto difficile è passare da una definizione generica di volontà, es. “sentirsi sollevati”, ad una focalizzazione di obiettivi praticabili, es “voglia di sentirsi sollevati da un’amicizia dannosa e non vedere più Mario e Anna”. E’ fondamentale passare dalla “Sensazione Sentita” o vaga sensazione viscerale (Felt Sense, come definito da Carl Rogers) ad una focalizzazione più precisa (attraverso quello che Eugene Gendlin chiama Focusing), apprendere a focalizzare le nostre fonti di stress, che sia l’idea di non riuscire a far studiare i propri figli, o un aspetto del nostro stile di vita che ci sta stressando e massacrando.

Ma quando può avvenire l’inizio di un percorso di liberazione personale? La risposta è semplice: sempre, ovunque, a qualsiasi età, quando decidi tu di avere coraggio, di prendere in mano la tua percezione, di studiare, di imparare come funzioni. E di fare tue alcune capacità che in tempi antichi erano riservate solo ai Maestri.

Ora, decidi tu attivamente che è venuto il momento di imparare, di sviluppare nuove sensibilità, abilità e tecniche che ti portino a vedere, a “sentire”, e percepire i pensieri che ti circolano dentro quasi come fossi un osservatore esterno.

Allora imparerai ad osservare e confrontare, andando a cercare tra testi antichi o nuovi, in esperienze e incontri, con spirito di ricerca, spirito di libertà.

Se non lo fai cosa succede? Niente, al massimo vivrai una vita non tua. Ti va bene?

Una volta che una persona si ponga in mente queste domande, potrà cercare risposte. Ma se le domande non scattano, le risposte non arriveranno mai.

L’intelligenza di una persona si può capire

dalle domande che sa porsi

Un laboratorio delle emozioni. Alchimisti di se stessi

Aria, luce, vita, libertà possono diventare un modo di essere, supportati da un Metodo, ed è questo lo scopo di un vero percorso di liberazione personale, in cui ogni energia potenziale di cui disponiamo diventi veramente tua, disponibile per i tuoi scopi più elevati, reale, tangibile, vissuta, potente, palpabile, senza principio né fine.

Occorre fede, e ai primi risultati la fede verrà premiata da frutti tangibili.

Il corpo non va curato e flagellato, ma nutrito per vivere nella gioia

La conoscenza non è mai statica

Fai voto di conoscenza per capire cosa accade fuori di te e dentro di te

È il modo migliore per rendere omaggio al vivere

 Fare laboratorio delle emozioni significa vivere in due strati della realtà. In una vivi, nell’altra ti osservi vivere. In una “senti”, nell’altra osservi e prendi nota, esamini e correggi il tiro, ti sperimenti continuamente, e sempre più senza ansia, né paura.

Come un alchimista osserva le reazioni di una pozione su una polvere, ti accorgerai presto che non sei altro che un alchimista di te stesso. E nessuno può fare di te una materia che non vuoi essere.

Alcune domande basilari:

  • Cosa senti in questo momento?
  • Qual è il tuo sfondo emotivo in generale?
  • Ci sono emozioni che bloccano la tua intenzione e volontà?
  • Conosci strumenti per allenarti alla percezione delle emozioni?
  • Quale stato di vita o risultato ti farà dire “sto respirando a pieni polmoni”?
  • Ci sono persone serie da cui imparare tecniche e metodi?
  • Cosa significa per te pace, unità, armonia, vita?

È fondamentale capire che ogni piccola acquisizione, ogni piccolo apprendimento, ci consente di salire di un gradino, e per ogni gradino salito, respireremo aria più pura.

Imparare a vincere una paura o rafforzare una volontà ti permette di scoprire uno schema vincente e in seguito di applicarlo su mille altri problemi.

Se imparerai i principi della scherma fino a raggiungere il livello in cui puoi facilmente vincere un avversario, avrai coscienza di poter battere con altrettanta facilità ogni avversario al mondo: battere un avversario è la stessa cosa come batterne migliaia, decine di migliaia.

L’Heiho di un comandante consiste nel prendere importanti decisioni in base a minimi particolari, cosa che è come costruire una grande statua del Buddha partendo da un piccolo modello.

Il Libro dei Cinque Anelli

Dal libro: Kono heiho no sho gokan ni shitatsuru koto

 この兵補の書五感にしたつる事

Miyamoto Musashi (1584 –1645)

 

Imparare a battere quello che alcuni chiamano destino è la nostra sfida.

Conoscere e vincere il nemico che prende forma in idee sbagliate, dentro di noi e fuori di noi, è il nostro coraggio. E questo significa “sentire”. Il destino è quello che costruiamo con il nostro impegno, ogni ora. Il destino è scelto ogni giorno.

Si può essere Samurai in ogni momento della storia, in ogni fase della Vita, e meglio ancora, Ronin, i Samurai senza padrone.

Il coraggio di pensare è il coraggio supremo.

“Ho lottato, è già tanto,… È già qualcosa essere arrivati fin qui: non aver avuto paura di morire, aver preferito coraggiosa morte a vita pusillanime”

(Giordano Bruno, De Monade, 1590)[1]

È incredibile che nella scuola si impari a calcolare la radice quadrata o la circonferenza di un cerchio, già dalle elementari, e non si imparino nemmeno i nomi e le etichette da dare alle emozioni, agli stati esistenziali che circolano dentro, a come ci “sentiamo”, a dare un senso al nostro impegno, a trovare uno scopo alto, nobile, coraggioso, della vita, l’unica che abbiamo.

L’alfabetizzazione alle emozioni diventa un nostro strumento, un meta-traguardo nobile, pregiato, un mezzo che permette poi di raggiungerne molti altri.

In molte zone dello spazio e del tempo, larga parte dell’aria che respiriamo è viziata di disfattismo, negatività, e non ce ne rendiamo conto, o peggio non abbiamo appreso gli strumenti per accorgercene.

Questo riguarda anche l’auto-dialogo, ciò che succede proprio dentro di noi, anche ora.

A volte voci grigie di subdola negatività entrano, permeano, distruggono. Se una voce interna o una aspettativa sbagliata sulla vita entra, ti avvelena, ti corrode.

Il clima psicologico interno si tinge di paure e attese avvilenti, aspettative sul non fare più che sul fare – la vita si imbottisce di ricatti morali e materiali. Stiamone alla larga, o indossiamo un respiratore.

Il ricatto morale “se non fai quello che voglio non ti approvo” è la leva basilare del modello su cui si basa un clima psicologico tossico. Questo rende le persone schiave delle aspettative altrui e di modelli culturali che degradano le potenzialità umane.

Il coraggio è la decisione di pensare con criteri propri e non necessariamente con il pensiero della massa. Non esiste solo Giordano Bruno, ognuno di noi nella propria vita attraversa inquisizioni di ogni tipo.

Di solito non posso mangiarli perché la mia ragazza è vegetariana,

e questo praticamente fa di me un vegetariano.

(Dal film, “Pulp Fiction”)

Che si tratti di farsi accettare da un ambiente o da un altro non importa. Vegetariani o carnivori, religiosi o meno, il concetto non cambia.

Noi siamo il frutto di “trasmissioni memetiche”, il passaggio da persona a persona di “memi” (idee, tracce mentali) che circolano tra individuo e individuo, e da generazione in generazione, ed entrano di noi in un modo unico e in un mix unico.

Noi abbiamo la facoltà di allargare le nostre facoltà intellettive e mentali, le nostre conoscenze, il nostro campo di azione. Esiste una magia solare della conoscenza, dell’amore, della vita. Si può imparare a vivere la gioia senza inutili castighi, farla propria. Si deve.

Cosa ti hanno insegnato gli altri sul coraggio, sulla determinazione, sulla forza di volontà, sulla gioia di vivere? Quanto di ciò che pensi è stato generato da tue elaborazioni e quanto è invece solo stato accettato come “pacco regalo” da aprire e tenere?

 

 Mio padre mi ha insegnato che la paura è una compagnia costante

ma accettarla ti renderà più forte

(Dal film, “300”)

 

E a noi cosa hanno insegnato? E quando lavori, cosa ti insegnano i “vecchi” quando entri? E tu cosa insegni agli altri? È una lunga storia ma merita di essere analizzata.

Il coraggio è la capacità di confrontarsi con stati non sempre idilliaci senza per questo rifiutarli.

 

  • Ha coraggio chi interviene in un incidente stradale sapendo in anticipo che vedrà cose orribili, forse non potrà salvare tutti, forse nessuno, ma non sta fermo a guardare, il solo pensiero di poter provare ad aiutare è sufficiente. Accetta il rischio di fallire.
  • Ha coraggio chi difende una ragazza o bambino da una aggressione, magari da più persone, sapendo di potersi far male, e va avanti comunque.
  • Ha coraggio chi emigra per cercare lavoro o una nuova vita, così come chi si sacrifica a rimanere in un Paese ingiusto per un certo periodo della vita, per una causa superiore.
  • Ha coraggio chi dice quello che pensa anche contro i potenti o contro il pensiero dominante, anziché sprecare la propria vita a obbedire a qualcosa a cui non crede.
  • Ha coraggio chi ama i figli, la vita, l’universo, e si impegna per questo amore, connettendosi a una “emozioni superiore” che è il pulsare della vita, cercando di stare lontano dalle questioni superficiali e dalle banalità vuote.

 

Qualsiasi esempio vogliamo fare, quello che facciamo innesca in noi una cascata di emozioni. E come una cascata, puoi osservarla da fuori, da lontano, quasi indifferente, o immergerti, farla tua, ed arrivare ad osservare e apprezzare ogni singola goccia d’acqua.

[1]

“Ho lottato, è già tanto, ho creduto nella mia vittoria… E’ già qualcosa essere arrivati fin qui: non aver avuto paura di morire, aver preferito coraggiosa morte a vita pusillanime”

(Pugnavi, multum est, me vincere posse putavi. Est aliquid prodisse tenus… Non timuisse mori,

 praelatam mortem animosam imbelli vitae). Da De Monade, numero et figura; citato in Giovanni Gentile, Giordano Bruno, in Opere, Valecchi, Firenze, 1925, p. 297.

Crescita Personale Libri: “Parliamoci Chiaro. Il modello delle Quattro Distanze per una comunicazione efficace e costruttiva”

crescita personale libri parliamoci chiaro

Crescita personale libri di Daniele Trevisani, estratti originali dalla pubblicazione

 

Parlarsi chiaro e utilizzare la comunicazione positiva. Il Modello delle 4 Distanze

Cos’è una conversazione positiva? È una forma d’incontro dalla quale usciamo felici. E non tanto per quello che abbiamo portato a casa, ma per come ci siamo sentiti, per quello che siamo riusciti a costruire, per quel futuro positivo di cui quel brano di conversazione è diventato un tassello, e per il piacere che quel brano stesso di vita ci ha dato.

Al contrario, una conversazione negativa è densa di fraintendimenti, di stati emotivi pessimi, di grigiore. È “entropia comunicativa” (confusione sui significati e scopi del comunicare), e produce il drenaggio delle nostre forze e delle nostre risorse più preziose: le energie personali, le emozioni, il tempo.

Le parole di oggi sono spesso “malate”, hanno perso il significato denso e forte che avevano. Abusate e forzate, si sono spente.

La parola “Amore” ha tanti significati; diciamo di amare il gelato, un paio di jeans o un certo film. Abbiamo abusato di quella parola e ora dobbiamo guarirla: le parole si possono ammalare e possono perdere il loro significato originario; dobbiamo disintossicarle e riportarle alla piena salute.

Thich Nhat Hanh[1]

 Una comunicazione sana e ben funzionante riesce a far passare messaggi sia con le parole, con i gesti, con i simboli, e a far sì che il significato originario arrivi “pulito”, senza fraintendimenti. Una comunicazione malata invece fa sì che il messaggio originario arrivi “distorto”, amputato, modificato, persino opposto negli intenti di chi lo invia. Da qui all’arrivo dell’incomprensione, e del conflitto, tra persone, tra gruppi e persino nazioni, il passo è breve.

Serve un modello che ci guidi attraverso i meandri di cosa accade in una conversazione, scopo di certo arduo ma non impossibile, e il modello delle Quattro Distanze della Comunicazione è pensato proprio per questo.

Decidere di “prendere in mano” la propria capacità di comunicazione, e lavorarci sopra, è un atto coraggioso, nobile, degno di persone dallo spessore morale forte.

 “Quando un uomo decide di fare una determinata cosa, deve andare fino in fondo ma deve prendersi la responsabilità di quello che fa. Qualunque cosa faccia, deve prima sapere perché lo fa, e poi deve andare avanti con le sue azioni senza dubbi o rimorsi. In un mondo in cui la morte ci dà la caccia non c’è tempo per rimpianti o dubbi. C’è solo tempo per le decisioni.”

 Carlos Castaneda, “Gli insegnamenti di Don Juan”

“Costruire” qualcosa di positivo con la comunicazione non è per nulla scontato, molto spesso basta una parola, uno sguardo, per costruire, e un altro per distruggere o fare danni.

La comunicazione è un atto che può generare un’esperienza meravigliosa, positiva, felice, di grande condivisione oltre ogni forma di separazione e barriera. Ma è una conquista.

Chi “fa finta” che le differenze tra persone non esistano o non contino, sta nascondendo la realtà dei fatti. Molto meglio considerare questa realtà, e trattarla per quello che è, con coraggio.

Un punto fondamentale da chiarire subito è che la comunicazione non è un messaggio “lanciato nello spazio” che non avrà mai risposta, ma una forma di interazione continua, una vera e propria conversazione in cui emittenti e riceventi sono sempre attivi. Tra questi avvengono centinaia e migliaia di micro-comunicazioni, ciascuna delle quali può essere chiara o invece portatrice di confusione, malintesi o stati emotivi negativi.

Per avviare una comunicazione positiva, quindi, dobbiamo portare cura ai singoli “frames” comunicativi, così come si cura un delicato fiore in una serra, fiore dopo fiore, pianta dopo pianta.

Ognuno di noi ha propri interessi, propri bisogni, proprie esigenze, e queste trasudano e trapelano in ogni nostra interazione. La comunicazione umana è uno strumento, e a volte il solo strumento di cui disponiamo, per ottenere le risorse per la nostra sopravvivenza, o ottenere quello che vogliano nella vita, raggiungere obiettivi, e gioire per i risultati che la comunicazione stessa ci può portare.

Togliete ad un uomo la possibilità di comunicare, e diventerà un sasso.

Ma come tutti sappiamo, non è sufficiente comunicare “tanto per fare”, non è sufficiente chiedere per ricevere. Chi pensa che tutto arriverà automaticamente, che tutti ci diranno sempre sì e saranno daccordo, forse ha in mente un modello comunicativo in cui un padrone comanda e gli schiavi eseguono silenziosi. Una condizione di sottomissione comunicativa che ha poco spazio nei nostri cuori.

Nella vita tra persone vere, la possibilità di schiavizzare è per fortuna sempre più remota, seppure non debellata. La probabilità che occorra invece essere chiari, o persuasivi, o comunicare in modo chiaro ed assertivo, è molto più concreta e reale, soprattutto in ambito aziendale e familiare.

Anche perché la schiavitù oggi prende forme subdole e nuove, come il vivere in climi emotivamente tossici senza riuscire ad uscirne, o la dipendenza psicologica da persone di cui vorremmo fare a meno, e l’incapacità di essere chiari e convincenti sui nostri diritti, e nei progetti cui lavoriamo. Per questo, è bene far tesoro dei metodi che qui avremo modo di conoscere.

Comunicare ha senso sempre e solo quando viene fatto per aumentare la felicità, la soddisfazione, il piacere, la positività, e ci aiuta ad individuarle, e non per alimentare la divisione, il conflitto, la malattia.

E’ un primo grande passo verso la conoscenza di te stessi essere in grado di riconoscere che cosa ti rende felice.
(Lucille Ball)

Nella comunicazione, la possibilità di un’incomprensione, di un disaccordo, di una difficoltà comunicativa o problema è sempre reale e concreta. Anzi, abbiamo la certezza che le comunicazioni possano dare luogo a fraintendimenti e conflitti, anche pesanti, proprio perché avvengono in condizione di differenze culturali, anche lievi, o comunque di diversità tra persone, e questo, se non vi si presta attenzione e sensibilità, accadrà.

Parlarsi chiaro è quindi anche un invito a confrontarsi con le distanze psicologiche e comunicative che possono esserci tra noi e le altre persone, per trovare quella “distanza relazionale efficace” nella quale riusciamo a comunicare bene, con rispetto di noi stessi e degli altri. Il modello delle Quattro Distanze ci aiuta proprio a capire quali possono essere le quattro grandi “trappole” le tipologie di distanza relazionale che possiamo incontrare nella comunicazione, ma anche, e di conseguenza, i motori di una comunicazione positiva e le strategie per comunicare meglio.

Ogni volta che interagiamo con una persona anche solo leggermente diversa da noi, qualche anno di età di differenza, una provenienza geografica diversa, una scuola frequentata diversa, una formazione diversa, uno stato emotivo diverso, siamo in presenza di un certo grado di diversity e questo ci impone la necessità di aggiustare il tiro della comunicazione. Se poi si presentano forti differenze etniche, religiose, e culturali nelle ideologie di fondo, la cosa diventa ancora più difficile.

Le differenze tra comunicatori non finiscono qui. Possono subentrare diversità anche forti negli stati emotivi che vivo io e vive l’altro, diversi tipi di personalità che interagiscono tra di loro e a volte si abbracciano, a volte fanno scintille. Mentre comunichiamo, abbiamo diversità di umore, di emozioni, di come ci sentiamo persino fisicamente, diversità e barriere che interagiscono tra di loro, a complicare il tutto.

Più che una “comunicazione semplice”, in presenza di anche una moderata dose di diversità tra persone, dovremmo parlare e pensare in termini di una “comunicazione strategica”.

In una comunicazione che diventa strategica si fa strada il concetto di “Information Operations” o “Info-Ops”, un concetto di derivazione militare, ma che rende bene un quadro della situazione: le informazioni e le comunicazioni, in condizioni di diversity, hanno un obiettivo, funzionano meglio se progettate, se architettate, e quando ci si pone un certo atteggiamento di attenzione, sensibilità e progettazione, quantomeno a come far sì che il messaggio possa essere accettato dai filtri culturali e ideologici di chi lo riceve, e non bloccato immediatamente.

Per comunicare strategicamente servono modelli. Modelli che aiutino ad analizzare la comunicazione, modelli per costruire messaggi, modelli di ascolto e comprensione raffinati.

Prendere atto del fatto che esistano diversità richiede coraggio. Volere, nonostante questa diversità, provare a costruire qualcosa assieme, è un atto di coraggio.

Il coraggio non può essere contraffatto, è una virtù che sfugge all’ipocrisia.
(Honoré de Balzac)

Negare la diversità tra persone, e le differenze culturali in base ad ideologie buoniste è invece un grande atto di falsità intellettuale.

Dietro alla comunicazione si velano enormi quantità di fraintendimenti, di errori comunicativi, di malintesi, sia nella fase di emissione che di ascolto.

Non esiste ancora un “modello delle incomunicabilità” che esamini e chiarisca questa marea montante di falle involontarie e volontarie, di errori comunicativi e gaffe, e aiuti a riconoscerli, e un passo avanti in questa direzione è lo scopo del volume.

È uno scopo ancora più urgente in quanto il mondo globalizzato ci presenta di fronte alla sfida di una comunicazione costantemente globalizzata, tra persone distanti migliaia di chilometri, ma anche persone vicine fisicamente, eppure culturalmente ed emotivamente lontane anni luce.

Se non accettiamo questa realtà come dato di fatto, non includeremo mai nelle nostre analisi il vero fattore sfuggente: la diversità latente tra persone, le differenze e distanze culturali tra persone, e come queste impattano la comunicazione, potendola far diventare – da un lato –  una comunicazione fluida e piacevole, che produce accordo e comprensione – sino al lato opposto una comunicazione sgradevole, conflittuale, difficile da digerire, e i suoi esiti: disaccordo, incomprensione, incomunicabilità, odio reciproco e conflitto.

Le quattro grandi distanze relazionali

La distanza tra persone è un fatto fisico, ma la fisicità è nulla rispetto alla distanza psicologica. Nel modello delle Quattro Distanze vengono esaminati i principali fattori che creano distanza relazionale, raggruppandoli in quattro grandi classi, utili per qualsiasi intento, sia di costruzione di rapporti ma anche di identificazione di incomunicabilità esistenti.

Queste grandi classi sono:

  1. le distanze e differenze di ruolo e identità tra comunicatori, incluse le differenze di personalità o stato d’animo;
  2. le distanze e differenze nei codici e stili comunicativi;
  3. le distanze e differenze valoriali, di atteggiamenti e credenze possedute;
  4. le distanze e differenze nei diversi tipi di vissuto personale, sia fisico che emozionale.

Una sola di queste variabili è sufficiente a creare incomunicabilità. La combinazione di queste è ancora più difficile da gestire, perché arriva a creare distanza relazionale forte.

La distanza relazionale è un fatto reale. Possiamo essere vicinissimi ad una persona (ad esempio in ascensore, o ad un semaforo) e disinteressarci completamente della vita di quella persona, e lui/lei della nostra. Quella persona sarà a noi “distante”.

Ognuno andrà per la sua strada, ognuno nella sua vita.

Succede anche nella strada. Passiamo a fianco di una persona in un marciapiede camminando, o in ascensore. Un lampo fugace di vicinanza fisica, ma nessun vero collante relazionale, anzi, il gelo. Spesso, nemmeno uno sguardo.

Puoi abitare in un palazzo con decine di famiglie e non essere andato oltre il “buongiorno” con qualcuno di questi, e con alcuni nemmeno quello. In altre situazioni, vi sono persone con le quali senti di poter raccontare tutto di te, o tu stesso ti metti a disposizione totale per un ascolto profondo, vero, interessato.

A quale grado di distanza siamo quindi con le persone cui teniamo? E a quale distanza relazionale siamo con le persone con cui dobbiamo o vogliamo lavorare, che si tratti di anni o di un singolo progetto di poche ore?

Anche quando un progetto è singolo e limitato nel tempo, nasce giocoforza il fenomeno della comunicazione nel team. In questo team ci saranno diversità, ci saranno persone che dovranno lavorare fianco a fianco, persone di provenienze professionali diverse, di culture diverse, ideologie diverse, codici comunicativi solo in parte condivisi, e il rischio di fallimento e di conflitto – se non anticipato – diventa molto alto.

L’attrito relazionale è un dato di fatto, anche nelle coppie di fidanzati, di sposi, di amici, di colleghi, e tra figli e genitori, e aumenta all’aumentare delle quattro distanze. È questo attrito che, portato all’ennesima potenza, ha generato nella storia disastri, lotte, guerre e devastazioni.

Se riconosciuto presto, invece, può essere gestito, e le relazioni umane possono prendere una piega completamente diversa, andando verso la Comunicazione Costruttiva, la comunicazione che sviluppa progetti, idee e valore. Possono anche generare una Comunicazione Positiva, relazionalmente nutriente, calda, accogliente, emotivamente pulita e arricchente. E allo stesso tempo, in queste condizioni, l’ascolto diventa un piacere, non un compito quasi impossibile.

A volte viviamo rapporti che solo apparentemente sono di vicinanza psicologica, ma che in realtà dimostrano tutta la loro falsità non appena un incidente critico fa emergere la reale distanza siderale di valori nei rapporti umani.

Tale distanza può essere ampiamente inconsapevole: possiamo credere di essere vicini ed essere in realtà molto lontani. Un falso indicatore di vicinanza è ad esempio la confidenza, l’eliminazione del “Lei” o di altre modalità di distanziamento linguistico.

Tutti sappiamo, però, come si possa conversare amabilmente con qualcuno che sembra amico e in realtà non lo è.

Anche matrimoni e amicizie vivono momenti di apparente distanza o apparente lontananza, le persone si “avvicinano” e si “allontanano” relazionalmente, come comete, in traiettorie a volte molto prevedibili, a volte le persone compaiono nella nostra vita come meteore brillanti nel cielo per poi sparire.

Quindi mettiamo in chiaro che la distanza non è solo questione di apparenza ma qualcosa di più profondo.

La distanza relazionale esiste, crea incomunicabilità, e, con incomunicabilità in corso, nessun progetto può davvero fare lunga strada.

Principio 1 – Gli elementi che incidono sulla comunicazione efficace e sull’incomunicabilità

La comunicazione diventa difficile quando:

  1. le persone non accettano i ruoli reciproci nella comunicazione, manca accettazione nelle identità reciproche che le persone vogliono assumere, le parti non si riconoscono e non si legittimano come controparti accettate;
  2. le distanze nei codici e stili comunicativi sono ampie, rendendo tecnicamente difficile o impossibile la comprensione dei significati della comunicazione stessa. I linguaggi sono poco comprensibili, vi sono termini sconosciuti, e significati non condivisi;
  3. vi sono divergenze valoriali, di atteggiamenti e valori, sia superficiali che in profondità, e il grado di differenza (quanta differenza) si amplifica tanto più quanto la comunicazione tocca i valori fondamentali di uno o più comunicatori, sino al punto che la posizione altrui venga percepita come inconcepibile e contraria rispetto ai propri valori;
  4. le parti sono caratterizzate da diversi tipi di vissuto personale, sia fisico che emozionale, con incremento dell’incomunicabilità al crescere di questa diversità, e non possiedono esperienze comuni né fisiche né emotive che possano fare da facilitatore.

 

La comunicazione diventa positiva ed efficace quanto più:

  1. le persone accettano i ruoli reciproci nella comunicazione, si crea accettazione nelle identità reciproche che le persone si danno (“accetto il tuo ruolo per come tu me lo presenti”), le parti si riconoscono e si legittimano reciprocamente come degne di un rapporto proficuo;
  2. le distanze nei codici e stili comunicativi sono ridotte o si riducono, progressivamente, rendendo tecnicamente più semplice la comprensione dei significati, basata su segni condivisi, linguaggi comprensibili, e significati condivisi;
  3. vi sono poche divergenze valoriali, o queste sono solo superficiali, mentre nei valori profondi si trova condivisione.
  4. le parti sono caratterizzate da un certo grado di “Common Ground” (terreno comune) nel vissuto personale, sia fisico che emozionale, e questo aumenta grazie ad esperienze condivise, rendendo la comunicazione più positiva ed efficace.

È abbastanza comprensibile e naturale il fatto che al crescere della distanza psicologica tra persone, aumenti l’incomunicabilità, ma prendere coscienza di questo non è sufficiente.

Occorre capire dove mettere mano per lavorare sull’incomunicabilità. Su quali variabili agire quindi? Come capire la distanza reale che esiste in un certo momento? Come ridurla?

In che ambiti è importante lavorare sulle Quattro Distanze? Questo tema merita un approfondimento.

[1] Thich Nhat Hanh (2014). Sono qui per te. Per una relazione d’amore duratura e consapevole. Terra Nuova Edizioni, p. 76

Crescita Personale Libri: Psicologia della Libertà. Liberare le potenzialità delle persone

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Crescita personale libri di Daniele Trevisani, estratti originali dalla pubblicazione

L’approccio Olistico alla Crescita Personale e le implicazioni per Coaching, Counseling e Formazione

Prefazione: coltivare il “seme” di sacralità e di purezza che ognuno di noi possiede, verso la liberazione totale delle potenzialità delle persone

Esiste… si sta facendo strada come un torrente in piena. Travolge qualsiasi cosa cerchi di limitarla. Ogni forma di dittatura e censura ideologica, fisica e mentale, prova a bloccarla, ma prima o poi arriva ad esserne spazzata via. Di cosa parliamo? Quale forma di energia può essere così potente?

È l’energia della libertà. Un’energia che ci parla di un modo di vivere orientato alla purezza dell’essere liberi, e di un uomo nuovo, che cerca la libertà ogni singolo giorno, ora e istante, come un fiore insegue la luce.

Una libertà che è soprattutto mentale, in cui l’essere umano pensante rifiuta di farsi ingabbiare in ideologie oppressive, in censure e prigioni mentali, che si tratti di prigioni “forti “ ma anche di sottili imbrogli e bugie, messaggi che ti illudono e ti rendono schiavo senza che tu lo sappia.

La libertà è anche uno “stato di coscienza”. Nietsche arriva a definire come un senso che si prova a stare sopra le nuvole nell’aria rarefatta della montagna, la pace interna, il respiro libero.[1] Atri la trovano facendo apnea o corsa, altri su un ring sudato, altri in una biblioteca, poco importa.

Questo uomo nuovo cerca di coltivare in ogni sè e in ogni persona il “seme” di verità, di sacralità e di purezza che possiede. E cerca di potenziarsi, perché la libertà richiede la forza di un combattente, e va difesa come farebbe un guerriero. Ci chiede anche un “radicamento” in valori e pratiche di una saldezza che nessun “flauto magico” possa spostare dalla sua “via” e nessun luccichio di diamante possa illudere.

Il grado di libertà interiore si trasforma in bellezza esteriore, il volto di una persona mentalmente libera è più aperto e radioso, gli occhi esprimono luce, lo sguardo non teme nulla, il body language si fa armonioso, la postura naturale, spontanea, e forte.

In una persona mentalmente sofferente, la cui ambizione di vita è castrata e non libera, il volto è cupo e triste, lo sguardo basso, e tutto il corpo si curva sotto il peso di una condizione esistenziale che può andare dalla lieve insofferenza al dolore insopportabile.

Lo stile comunicativo di sofferenza permea ogni forma di comunicazione umana e ogni contatto, privato o professionale, è percepibile, è tangibile al di la dei tentativi di mascherarlo. Esistono forme di allenamento specifiche, ma in genere una persona non libera esprime segnali che possono essere colti, capiti, elaborati. Questo soprattutto per chi si occupa di formazione, di leadership, di coaching, counseling, psicoterapia, insegnamento. E questo vale tanto, anche per la formazione dei genitori, e la comunicazione in famiglia.

Un dolore dell’anima non emette suoni, è un malessere sordo acusticamente, ma che la persona sente, che ne sia o meno consapevole, un dolore che corrode e fa implodere lo splendore di una vita piena, di cui altrimenti siamo tutti potenziali portatori.

La libertà mentale tocca persino la sfera della moda, della musica, dei cibi. Complessi meccanismi cerebrali portano le persone libere a fare scelte più aperte e variegate, e le persone meno libere, a fare scelte molto più “spente” e ristrette.

Il grado di libertà personale cambia persino le preferenze e la scelta di colori, abbigliamento, accessori, suoni e musiche, gusti, che si tratti di un abito, di una scarpa, di un modo di vestirsi, di quale brano musicale senti in assonanza con il tuo stato emotivo. Nell’abbigliamento, può incidere sul fatto di “coprirsi per nascondersi” o invece “vestirsi per esprimersi”. Nulla le è indifferente. Il grado di libertà trasforma lo stile comunicativo ed espressivo, i luoghi dove stare e cosa si apprezza o meno, la capacità di sentire, di percepire, di cogliere. Cambia il tipo di persone che si cercano e di cui si ama la compagnia, e quelle che si evitano.

La libertà lascia un’impronta emotiva e corporea (Embodiment)[2] visibile sul volto delle persone[3], nei tratti somatici, nella “maschera emotiva” del volto, si diffonde nel corpo, nella camminata e postura, nel proprio “essere emotivo”[4]. Ritrovare la libertà, quella vera, è un processo espansivo, di apertura, dalle macro-libertà esistenziali, sino alle micro-libertà del quotidiano. L’allargamento dei propri spazi di vita è un miracolo che cambia la vita in meglio.

È una conquista rivoluzionaria. Non è facile, non è immediata, è un “percorso”, e a volte ci sono costi da pagare. Ma ben vengano. La libertà ha così tanto da offrire.

Il risultato della liberazione della mente e del corpo da ogni forma di abitudine rigida culturalmente ereditata e da censure e castrazioni può produrre cambiamenti positivi straordinari.

Il primo a beneficiarne sarà il nostro immenso potenziale intellettuale, imprigionato da chi ci vorrebbe puri consumatori di pensieri precotti. Il secondo sarà il nostro potenziale fisico, organico, corporeo, ammorbato da ogni forma di apatia, deprivato di tutto ciò che potremmo essere se solo avessimo priorità di vita più vere e più libere in cui dedichiamo al corpo una cura di sacralità e forza.

Il terzo sarà quello delle aziende, dove persone con la libertà di pensare ed esprimersi porteranno avanti progetti e prodotti talmente innovativi da far sembrare dinosauri tutti i “burocratici manager medi”, i portatori di leadership tossica di cui le imprese sono piene, coloro che “tengono tutto fermo”, coloro che temono i giovani e le menti che pensano, coloro che pur di rimanere aggrappati alla poltrona farebbero affondare la nave in cui vivono.

Un altro grande beneficiario è ogni essere umano e la sua qualità della vita.

Attraversiamo tutta la vita di corsa, senza tregua, illudendoci che quella sia la libertà. Un sabato pomeriggio forzati a fare la spesa in un centro commerciale. Una domenica mattina spesa a scegliere tra centinaia di modelli della nuova tv che non sta nemmeno in casa e paghi a rate. La nuova consolle per videogiochi che “sembra la vita vera talmente è realistica” dimenticando che la vita vera è natura.

Sembra incredibile, ma decenni di scuola non insegnano davvero qualcosa di pratico sulla libertà mentale o sul vero potenziale del corpo. E non parliamo concetti astratti, parliamo della nostra vita, di noi come persone.

Le aziende, altrettanto, preferiscono ingabbiare i neo-assunti nelle categorie esistenti in, magari sotto le cure soffocanti di un brontosauro d’impresa, in un “mentoring al contrario”, invece di vedere, magari, cosa abbiano da dire di nuovo e di buono, con occhi ancora freschi.

Per chi lavora in azienda da tempo invece, una volta ammaestrato a “non uscire dalla gabbia” e tenere il paraocchi bello stretto, tutto sarà ok. Il “problema” della libertà sarà presto dimenticato.

Nella vita di strada, le cose non cambiano.

Incredibilmente, tanta gente guarda ancora all’oroscopo per avere qualche idea di come andrà la giornata, invece di fare piani per liberare le proprie potenzialità e produrre il proprio destino, alimentando e nutrendo le proprie “intelligenze multiple”[5], risorse latenti di cui tutti dispongono. Come evidenzia Marinoff, a poco serve sperare nella fortuna, “coloro che sono responsabili della propria sofferenza non possono sfuggirle se non confrontandosi con esse, comprendendone le vere cause e rimuovendole”[6].

Per questo, un percorso di coaching, counseling, terapia, formazione e persino la pedagogia, la televisione e i suoi tanti programmi popolari dovrebbero insegnare alle persone a fare “problem solving” più che a interpretare l’oroscopo.

Non ci vengono forniti gli strumenti base come la capacità di rilassamento, di meditazione, di concentrazione vera, di pulizia mentale, di lavoro sul benessere e potenziamento corporeo. Nemmeno dai genitori, senza incolparli, ma non è nel patrimonio culturale di un genitore medio occidentale. Come evidenzia Joel Levey,

Ė il complesso corpo-mente, infatti, che guida la nostra creatività e l’uso di tutti gli altri strumenti, ed è esso stesso uno strumento dal potenziale infinito. Eppure solo pochi di noi hanno mai imparato persino le tecniche più semplici che servono alla manutenzione e sintonizzazione di questo complesso. I vostri genitori o i vostri insegnanti, ad esempio, vi hanno mai insegnato a rilassarvi, a concentrarvi e a meditare? Hanno mai praticato loro stessi queste arti o ne hanno mai conosciuto il valore?[7]

Religioni, genitori, libri, spesso non solo non insegnano libertà mentali, ma sono molto bravi ad amputare sogni e idee, anche subdolamente, e dire cosa non si deve o non si può fare.

Allo stadio evolutivo (o involutivo per certi aspetti) in cui è la civiltà odierna, siamo tanto forti nello zittire gli altri e imporre regimi, quando deboli nel sapere come aprire orizzonti, strade, ispirare noi e gli altri, e motivarci in percorsi di vera libertà ed espressione di sè.

Tornando alla teoria delle intelligenze multiple, ecco su cosa si dovrebbe lavorare in un progetto di coaching olistico serio, un programma di crescita personale che lavora su più lati della persona:

  • intelligenza logico-matematica: capacità di astrazione, pensiero logico, ragionamento, uso dei numeri, pensiero critico;
  • intelligenza linguistica: capacità nell’uso della parola e del linguaggio, leggere, scrivere, raccontare, comunicare tra persone;
  • intelligenza visivospaziale: capacità di valutazione degli spazi e visualizzazione mentale;
  • intelligenza musicale e armonica: sensibilità per il suono, ritmo, toni e musica, per gli equilibri e le armonie;
  • intelligenza corporea-cinestesica: capacità di controllo del movimento, del corpo, della gestione di oggetti, dell’azione fisica, capacità di espressione fisica e sensibilità al corpo;
  • intelligenza inter-personale: sensibilità agli stati d’animo, alle relazioni, alle interazioni umane, alla comunicazione, empatia aumentata:
  • intelligenza intra-personale: introspezione e auto-riflessione; comprensione dei propri punti di forza, debolezza, unicità, le proprie emozioni e sensazioni, conoscere se stessi;
  • intelligenza naturalistica: interazione con l’ambiente, classificazione di oggetti e cose, ricettività ecologica, amare l’universo e capirne il nostro ruolo, tempo, spazio, luogo, e storia;
  • intelligenza esistenziale: dimensione religiosa, spirituale, capacità di inserire se stessi e gli eventi in una cornice filosofica, avere una filosofia di vita evoluta e auto-determinata[8].

Ogni bambino e adolescente cui sia negata un’opportunità di esplorazione del mondo (e di sè) da questi punti di vista, è un’anima che rischiamo di perdere. Non possiamo permettercelo.

Ogni adulto che arrivi a considerare questi temi “cavolate”, a pensare che la vita vera si debba racchiudere nel lavorare senza farsi tante domande, fare la spesa e guardare la tv, è un’anima persa.

Ma ogni anima per quanto persa, ha dentro una possibilità di recupero, e a questa puntiamo con forza. Il risveglio delle persone è possibile.

Occorre porsi delle domande.

Quanto potenziale abbiamo?

Se sin da bambini ci avessero aiutato a fare percorsi seri sulle varie forme di intelligenze multiple, e ci avessero poi aiutato a seguire quelle in cui la nostra vocazione e passione si esprimeva meglio, quanti geni e scienziati in più avremo! Sembra incredibile, sembra si parli di altri, e invece si parla di noi, di tutti noi.

Allora, tornano in mente le domande.

Perché una persona può immergersi fino a quaranta, ottanta, cento e oltre metri di profondità (un buon apneista, quando apprende a liberarsi da tensioni muscolari e mentali, lo fa) mentre altri hanno paura dell’acqua? Intendo proprio paura di entrare in acqua! Perché parlare in pubblico per alcuni suscita un terrore peggiore della morte, mentre per altri è una grande occasione da non lasciarsi perdere, un momento ghiotto tutto da gustare?

Perché studiare per molti studenti diventa qualcosa che si arriva ad odiare, mentre altri trovano in una biblioteca gioia e pace e nei libri nutrimento e piacere?

Perché nella maggior parte delle riunioni aziendali si arriva ad un litigio, aperto o sotterraneo, e domina l’incomunicabilità? O se va bene, l’apatia e la noia?

Ma proiettiamoci molto in avanti. Perché non siamo già su auto volanti alimentate da idrogeno, ecologiche, a guida automatica, completamente sicure, come tecnicamente sarebbe già possibile da parecchi decenni?

Perché sulla Terra vi sono ancora così tanti conflitti e fame sino alla morte per fame, vera e drammaticamente reale, ma allo stesso tempo esistono obesità diffuse e comunità dove domina ogni forma di lusso e benessere?

Non è forse che ci stiamo perdendo qualcosa? Qual è il fattore comune di tutte queste situazioni?

Se osserviamo bene, il problema comune è la mancanza di una vera libertà mentale che porti persone e organizzazioni al potere a decidere saggiamente, per il proprio bene e per le generazioni in arrivo. La libertà di guardare avanti e non indietro.

Anche una persona apparentemente priva di potere, può lavorare sul proprio sviluppo personale anziché tentare la sorte con le lotterie, giochi e ogni altra forma di rimbecillimento mentale.

Le scuole devono diventare templi del Potenziale Umano di ogni bambino e ragazzo, non luoghi di produzione di automi mentali.

Se non riescono scuole, università, genitori, pur con tutta la volontà, forse è questione di metodo?

E se finora non ci siamo arrivati, allora, una riflessione positiva e un metodo vanno ricercati altrove. E presto. L’uomo è sulla soglia: o cambia o si estingue, la clessidra è drammaticamente a corto di tempo.

In questo libro esaminiamo opportunità, metodi e concetti che possono essere utili a chi si occupa di “liberazione delle potenzialità delle persone”, fisiche e mentali, e quindi per operatori che agiscono nel Coaching, Counseling, Formazione, Allenatori sportivi, per i Leader e responsabili di ogni organizzazione. Cerchiamo anche riflessioni e metodi utili a chi agisce nelle imprese, e in ogni essere umano che cerca il sapore di un pensiero libero, ragionando su spunti e concetti liberatori.

In un percorso di psicologia della libertà vogliamo aiutare le persone a riflettere sulla vita, sugli obiettivi che possono dare spessore e valore, e supportare i percorsi di crescita personale.

Non è un lavoro da confondere assolutamente con la psicoterapia, che guarda alla rimozione di disagi psicologici, ma con la progettazione di futuri possibili, con un grande meta-obiettivo: la crescita della libertà personale e una vita vissuta a pieno.

Partire dal “sentire” il bisogno di libertà personale e crescita personale, nel corpo e nella mente

Crescita personale libri di Daniele Trevisani, estratti originali dalla pubblicazione

Non è tanto “cosa si fa” ma “come lo si fa”, a qualificare il grado di libertà di una persona o di una situazione. Per un pescatore che ama il mare, il suo è lavoro e passione, duro e gratificante, uscire all’alba o alla notte è si faticoso fisicamente ma nutre lo spirito. La stessa persona, in una fabbrica con orari fissi, probabilmente vi morirebbe.

Lo stesso vale per un agricoltore che ama persino sentire l’odore della terra e la annusa, a differenza di un agricoltore-industriale che non sa nemmeno dove sia la sua terra e la sostituirebbe con qualsiasi altro business in base a puri fattori di redditività.

La nostra vita privata, ogni nostro atto, può essere libero o meno in base a come lo interpretiamo. La rivoluzione sessuale del 1968 è stata soprattutto un cambiamento su come viene vissuto un rapporto, non tanto sul cosa si faccia.

Secondo Packard[9], lo psicologo Abraham Maslow, descrivendo i rapporti sessuali delle persone sane che vivono la vita a pieno, afferma che per loro gli incontri sessuali non sono solo un fattore di riproduzione della specie, o un obbligo familiare o religioso, un peccato. In pratica, non sono una questione affatto “grave” o “pesante”. Sono anche e soprattutto un gioco. Egli afferma che questa gente, soddisfatta nella vita sessuale, la vive in modo giocoso, sereno, allegro. In altre parole, la vive nella libertà.

Quanta distanza dall’oscurantismo medioevale che sottoponeva a torture, al rogo o alla lapidazione chi pratica sesso. E non è finita, in certi luoghi dello spazio-tempo ancora il sesso è visto come il massimo dei peccati, il male dell’umanità. È davvero questo il male dell’umanità? Chi può essere così pazzo da pensarlo? O non è forse opera di un grandissimo impianto di “brainwashing” (lavaggio del cervello) su base sistematica?[10]

Eppure, alcune ideologie ci riescono. Ci riescono persino alcuni guru della formazione, della riprogrammazione mentale, e di tante discipline olistiche o esotiche che ti chiedono di “non fare troppe domande e credere, un giorno capirai, perchè ora, TU non puoi capire”[11].

Allora riflettiamo.

La libertà è qualcosa che puoi veramente sentire.

Puoi sentirla a livello mentale.

La puoi sentire persino a livello fisico. È un fatto sensoriale, inseparabile da te.

La senti nel respiro, la senti nel corpo, la senti negli occhi e nel come ti alzi.

La mancanza di libertà provoca un sentire altrettanto forte. Il senso di oppressione, il respiro bloccato, gli occhi che cercano luce senza trovarla.

La libertà è la capacità di incidere sul nostro destino. E di crederci. E agire di conseguenza.

A volte la mancanza di libertà invece si zittisce, c’è, ma non la senti più. Un rantolo, come un rumore sordo, ti gira dentro, ti consuma l’anima e la vita, ma non te ne accorgi finché non fa male, davvero male. Allora, cominci a cercarla.

La libertà coincide in larga misura con uno stato profondo di autorealizzazione, è la vera realizzazione del proprio Sè. Allora, libertà diventa lasciarsi essere.

Non è uno stato solo fisico, ma soprattutto mentale, esistenziale. E’ una questione legata al come vivi, più che al cosa possiedi.

La ricerca della libertà è il percorso di un’intera vita. Per alcuni è una ricerca continua che diventa “stile di vita”, e dà senso al vivere stesso. Per altri è solo utopia, un sogno talmente soffocato che viene oramai considerato impossibile, il sogno di un bambino ci vive dentro, e la nostra anima ha bisogno di ascoltarlo.

Quando smettiamo di ascoltare, quando questa amputazione succede, la libertà non viene nemmeno più cercata. Si accetta la non-libertà senza lottare per essa. Si muore da vivi e si vive da morti.

I percorsi di crescita personale sono viaggi nella ricerca della libertà, stimoli per  vite vissute nel pieno delle proprie energie. Stimoli a vivere nelle energie più belle.

E, non bastasse, il più lontano possibile da castrazioni e amputazioni.

I sogni e progetti di cui siamo portatori possono spegnersi o ardere in base a come li sapremo alimentare e nutrire, ogni giorno.

Molti dicono “libertà è fare ciò che ci piace”, ma è oramai assoldato che ciò che ci piace è frutto di un programma di addestramento cui siamo stati sottoposti dalla nascita. E non sempre quel programma era buono o è tuttora buono.

Dal primo respiro in avanti, siamo esseri che abitano in un Acquario Comunicativo, e vivono di una Dieta Comunicazionale non scelta, almeno non nei primi anni. Chi ci ha voluto bene ci ha provato, ma non è stato facile nemmeno per loro, per cui non lanciamo colpe e anatemi, e guardiamo a ciò che noi, qui ed ora, possiamo invece fare.

Nella vita adulta la nostra dieta comunicazionale apparentemente si fa più libera, più auto-determinata, ma ancora non abbastanza.

Siamo frutto di un Copione di Vita assorbito da società, scuola, genitori, amici, conoscenti, tv, libri e ogni sorta di fonte, e non è detto che sia veramente nostro.

Diventa una nuova Missione, cercare il nostro vero Copione di vita più autentico, imparare la “disattivazione dei Copioni di Vita” che ci girano dentro e si camuffano per far finta di essere “nostri”. Farlo, è arte e tecnica.

Un semplice esercizio da fare di persona o da far fare in sessioni di coaching, formazione e counseling.

La libertà per me è……………………………………………………………………………………….

Con cosa riempiresti questa frase?

  • In quali momenti mi sono sentito più libero?
  • In quali momenti mi sono sentito meno libero?
  • Quando hai sensazioni miste, di sentirti solo in parte libero?
  • Hai mai la sensazione di vivere un brano di vita non tuo? Quando?
  • Cosa c’era nei tuoi sogni di bambino?
  • Che conquiste di libertà posso fare?
  • Nel tuo futuro, che occasioni e momenti di libertà ti piacerebbe crearti?
  • Senti che stai andando in avanti, o indietro, o sei bloccato nella tua vita? Quando senti l’una e quando l’altra sensazione?

Rispondere a queste domande non è immediato, ancora meno lo è quando andiamo ad immergerci nel nostro mondo interiore su come noi rappresentiamo la libertà.

Quali insegnamenti abbiamo avuto rispetto alla libertà? Come questi hanno plasmato la nostra psicologia individuale? Di cosa siamo consapevoli e di cosa ancora no? E come raggiungere questa consapevolezza? Da soli, lo anticipo, è molto difficile. Con il supporto di azioni serie di coaching, counseling, terapia, gruppi di studio e Scuole serie centrate sul Potenziale Umano, tutto cambia. Nel viaggio verso la libertà, non siamo più soli.

Il gioco è tutto tra espressione di sè e castrazione dei sogni. E noi vogliamo far vincere l’espressione di sè. Creare occasioni, creare spazi, creare luoghi fisici e psicologici dove questa sia possibile, anche sul lavoro come nella vita privata.

Un lavoro sulla psicologia della libertà è anche un lavoro sulla psicologia interiore e sulla purificazione da apprendimenti erronei che ci circolano dentro.

Scoprire la nostra psicologia interiore e “come funzioniamo dentro” ci permette di scovare cosa ci sta allontanando da una vera libertà e da una vita libera. Per cui, si tratta di un progetto veramente rivoluzionario.

È fondamentale capire che cercare la libertà non significa lavorare sulle psicopatologie, ma sulla cultura che ci circola dentro. Se senti una pulsione di libertà, non sei pazzo. Sei sanissimo.

Se cerchi di fare pulizia interiore e liberarti da castrazioni mentali assurde assimilate durante la tua vita, non sei malato, sei sanissimo. I malati sono quelli che non lo fanno, e accettano di morire in agonia spirituale, smettono di cercare aria pulita, accettano di vivere vite altrui senza rispettare se stessi e i propri bisogni più veri.

Libertà non è prendere mille aerei tanto per girare, ma ascoltare e rispettare i propri bisogni più autentici.

Libertà è scegliere e amare, sentirsi liberi. Spaziare con la fantasia. Libertà è anche trovare la calma e fermarsi senza bisogno di andare in alcun posto. Libertà è cercare un ostacolo o progetto di vita che altri non considerano degno di interesse, ma per noi vale la pena perché vi sentiamo il senso di vita pulsare.

Libertà è anche libertà di fallire e non dover sempre riuscire.

Libertà di cambiare opinione sulle persone, sulle cose, sulle ideologie, in base ad una maturazione interiore o a nuove informazioni.

Libertà è scegliere le persone con cui passare il tempo senza costringersi a relazioni obbligate.

Libertà è quando ci rispettiamo. Libertà è quando facciamo rispettare i nostri valori più profondi a chi vuole relazionarsi con noi. È decidere di allontanarli da noi se non siamo compatibili, o qualcuno vuole costringerci a indossare maschere e ideologie che non ci appartengono.

Libertà è darsi la possibilità di avere momenti e brani di vita destrutturati, privi di orologio e di vincoli, di scadenze e orari.

Libertà è anche scegliere di entrare dentro alle proprie paure anziché respingerle sempre, scappare o negarle.

Libertà è esplorare le nostre angosce per capire cosa c’è dentro e gradualmente liberarci da quelle false che scopriamo essere solo sovrastrutture. Alcune paure, come la paura di parlare in pubblico, ne sono un esempio lampante. Altre paure, come la paura del vuoto, contengono un seme di saggezza, mosse dal nostro istinto di sopravvivenza. Ma se guardiamo bene, la maggior parte delle nostre paure sono costruite. Sono soffocamenti evitabili. Sono paure introiettate. E su queste, si può fare molto, si deve fare molto.

Perché la libertà non si vince al gioco. Si conquista, giorno dopo giorno.

Lo scenario che viviamo oggi è complesso, difficile, ma allo stesso tempo così ricco di possibilità, e un’occasione di incontro come il percorso olistico rappresenta una bella occasione per un nostro altro piccolo o grande passo verso la libertà. Farlo in compagnia, lo renderà ancora più bello. Cogliamola.

[1] Nietsche, Friedrich. Ecce Homo. Come si diventa ciò che si è. Milano, Adelphi, 6° edizione 1981, p. 12-13. Tit orig. Ecce Homo. Wie man wird, was man ist.

[2] Campbell, B. C., & Garcia, J. R. (2009). Neuroanthropology: Evolution and Emotional Embodiment. Frontiers in Evolutionary Neuroscience, 1, 4. http://doi.org/10.3389/neuro.18.004.2009

[3] Paul Ekman, Erika L. Rosenberg, (eds), (2005). What the Face Reveals: Basic and Applied Studies of Spontaneous Expression Using the Facial Action Coding System (FACS), Second Edition. Oxford University Press, New York.

[4] Paula M. Niedenthal et al. (2009). Embodiment of Emotion Concepts. in: Journal of Personality and Social Psychology, Vol. 96, No. 6, 1120–1136.  DOI: 10.1037/a0015574

[5] Vedi Gardner, Gardner, Howard (1983), Frames of Mind: The Theory of Multiple Intelligences, Basic Books, ISBN 0133306143

[6] Marinoff, Lou. Le pillole di Aristotele. Come la filosofia può migliorare la nostra vita. Piemme, Casale Monferrato, 2003. P. 146.

[7] Levey, Joel (1987) The Fine Arts of Relaxation, Concentration and Meditation. Ancient Skills for Modern Minds. Wisdom Publishing, London. Trad. it. L’arte del rilassamento, della concentrazione e della meditazione. Tecniche antiche per la mente moderna. Ubaldini, Roma, 1988

[8] Gardner, Howard (1983), Frames of Mind: The Theory of Multiple Intelligences, Basic Books, ISBN 0133306143

[9] Vance Packard. Il sesso selvaggio. Einaudi, Torino, 1970. P. 448. Tit. Orig. The Sexual Wilderness: The Contemporary Upheaval in Male-Female Relationship. New York, McKay, 1968.

[10] Taylor, Kathleen (2008). Brainwashing. La scienza del controllo del pensiero. Castelvecchi, Roma. Orig. Brainwashing. The Science of Thought Control. Oxford University Press.

[11] Taylor, Eldon, Mind Programming: From Persuasion and Brainwashing to Self-Help and Practical Metaphisics. Hay House Publisher, 2009.

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