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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

Pulsioni d’acquisto: ragioni di un’analisi

Perché le persone acquistano? Sotto l’influsso di quali forze avvengono le scelte di mercato? E soprattutto, perché affrontare questo tema è così cruciale per la competitività delle aziende?

La vita di ogni persona e di ogni azienda è costellata da momenti d’acquisto. Nonostante questo dato incontrovertibile, la psicologia del consumo costituisce uno dei fenomeni meno studiati e meno tradotti in azienda, in buona parte a causa dell’impostazione classica che vedeva nel consumatore un soggetto razionale, che agisce secondo criteri logici. Capovolgendo quest’impostazione, rivolgeremo la nostra attenzione soprattutto alle dinamiche psicologiche, ai moventi nascosti, al “dark side” del consumo.

Per raggiungere gli obiettivi previsti, riteniamo necessario fornire una prima griglia di impostazione del lavoro, che divide i comportamenti di acquisto in base a motivazioni consce, subconscie ed inconsce. 

I tre livelli della motivazione d’acquisto :

  • Inconscio
  • Subconscio
  • Conscio

Una seconda considerazione ci spinge a rivolgere la nostra attenzione all’area della psicologia dei bisogni. L’atto di acquisto si lega innegabilmente a qualche forma di problema esistente nell’individuo (es: risolvere un dolore fisico tramite una medicina), o di aspirazione da raggiungere (es: in un’azienda, l’acquisto di un macchinario per aumentare la produttività), sia che si tratti di un bene povero che di un genere di lusso. Questi problemi o moventi sono il nesso che collega il prodotto alla scelta di acquisto.

Il comportamento degli individui, orientato a diminuire i problemi che li circondano, determina, in un certo momento del tempo, la nascita di una pulsione, un impulso d’acquisto, uno stimolo alla risoluzione dello stato di tensione[1]. Una strategia aziendale che non tenga in seria considerazione quali impulsi d’acquisto inserire nelle proprie offerte, non ha alcuna prospettiva di successo.

Conscio, subconscio ed inconscio

A volte risulta difficile spiegare il comportamento delle persone nella sfera del consumo e del rapporto con i prodotti. Ci animiamo per questioni apparentemente futili (quale film vedere…), ma ci abituiamo a fatti che non dovrebbero lasciarci dormire (es: la produzione di mine antibambino). Un impiegato dedica una vita a far raccolte di tappi di bottiglia, un bambino non va a scuola senza quello specifico zainetto, ecc… ecc…. I casi umani sono tanti. Ogni persona ha le proprie ansie, paure, speranze, illusioni, e queste si trasferiscono anche nel comportamento di acquisto (e di riflesso, sulle strategie di vendita).

Se dovessimo catalogare in “consapevoli vs. inconsapevoli”, “razionali vs. irrazionali”, “realmente utili vs. futili”, gli acquisti e i comportamenti del consumatore medio, saremmo costretti ad attribuirne buona parte al secondo tipo: illogico, irrazionale, difficile da spiegare.

Quando si entra nella sfera dei gusti e delle preferenze, esprimere consciamente perché odiamo un certo tipo di scarpe, un vestito di un certo colore, un’azienda tedesca piuttosto che italiana, vede spesso goffi tentativi di ricerca di spiegazioni. Quando queste vengono attuate, si dimostrano spesso vere e proprie “azioni di copertura”. In queste azioni, l’individuo si sforza di riportare una coltre di apparente razionalità in scelte altrimenti difficile da spiegare anche a se stessi. 

Il grado di consapevolezza delle proprie pulsioni, dei moventi d’acquisto, infatti decresce nel passaggio da conscio a subconscio ed inconscio.

Possiamo o meno essere d’accordo con le analisi freudiane, certo, tuttavia, risulta strano spiegare ricorrendo alla logica perché le persone non utilizzino più i cavalli come mezzo di spostamento a corto raggio, perché molte donne amino il giardinaggio, perché esistano gli sport violenti, perché i bambini siano attratti da attività quali lo smontare e il rimontare o l’arrampicarsi sugli alberi, perché esistano i rossetti, perché alcuni odino i computer, perché esistano le pellicce, perché.., perché…. infiniti perché ai quali non è possibile rispondere dando soluzioni meccaniche e razionali. 

Se analizziamo le trascrizioni scientifiche dei moventi d’acquisto – espresse dagli stessi consumatori – notiamo che in molti atti non appare niente di quanto previsto dall’economia classica. Il concetto di utilità razionale del prodotto a volte sparisce e l’acquisto diventa un fenomeno psicologico che risponde ad altre esigenze, ad esempio un “riempitivo psicologico”, una tecnica di “riparazione di stati emotivi negativi”, o un modo di affermarsi.

Man mano che procediamo nell’analisi dei moventi, notiamo che le motivazioni divengono sempre meno “superficiali” e razionali, ed emergono fattori nuovi. Le motivazioni di primo livello (il motivo apparente d’acquisto) sono progressivamente sostituite da concetti più complessi e la coltre di razionalità sparisce.

Continuando a scendere nel grado di introspezione, si nota che le motivazioni apparenti (del tipo, “l’ho comprato perché ne avevo bisogno”, o “mi piaceva, e basta”), non tengono. Il livello di profondità nella discesa verso il mondo nascosto a se stessi, l’area delle pulsioni profonde, può decifrare i significati simbolici ed il rapporto emotivo che si genera tra prodotto ed immagine di sè. Da queste analisi emerge spesso che il prodotto diviene strumento di proiezione d’immagine, o mezzo per raggiungere obiettivi strategici (seduzione, potere), e ciò avviene anche inconsapevolmente.

L’inconsapevolezza dei propri moventi non deve meravigliare. Vediamo una constatazione sulla natura umana, svolta in base al pensiero di Freud:

Per Freud la psiche è per la maggior parte inconscia. Essa assomiglia ad un iceberg, i nove decimi della quale sono nascosti o inconsci, e solo un decimo è in superficie o consapevole. Per questo i 9/10 dei nostri atti sono dettati da motivazioni inconsce. La parte consapevole, poi, si divide tra Io o Ego (la coscienza propriamente detta) e Super-io o Super-ego, che raccoglie i referenti morali e educativi. L’Io o Ego media tra motivazioni inconsce e motivazioni morali.

La psicoanalisi è pertanto un processo di autoconoscenza, perché aiuta a svelare l’inconscio, e a capire quali sono le motivazioni autentiche dell’individuo rispetto a quelle imposte dai modelli morali o educativi[2].

Il fatto che i moventi dei consumatori non siano sempre ben chiari, o le scelte delle aziende appaiano a volte controintuitive, deve portarci ad una prima riflessione generale: i consumatori e clienti sono macchine biologiche e sociali il cui funzionamento è lungi dall’essere compreso a pieno. Queste macchine a volte hanno dei comportamenti strani, ma le aziende, con questi comportamenti, devono fare i conti tutti i giorni.

A volte i desideri e le scelte di acquisto delle persone sono prevedibili, a volte non lo sono affatto. Se il campo del consumo fosse dominato dalle leggi della razionalità, vivremmo in un mondo diverso.

Le persone, sia come consumatori singoli che come decisori aziendali (buyer[3]), esprimono nei propri comportamenti tutta la natura umana, in cui subentra, spesso, un versante di irrazionalità e di scelte poco spiegabili.

Forniamo, in via iniziale, una prima tipologia di moventi d’acquisto:

  • pulsioni conscie: gli impulsi d’acquisto che derivano da valutazioni razionali, consapevoli e quasi-scientifiche della convenienza di acquisto in relazione ad un’analisi accurata dei propri bisogni (personali o aziendali); 
  • pulsioni subconscie: gli impulsi d’acquisto che derivano da associazioni inconsapevoli o solo parzialmente consapevoli tra l’atto d’acquisto e l’eliminazione di problemi reali o potenziali. Le pulsioni subconscie sono prevalentemente di natura culturale e ontogenetica (influssi che il soggetto ha subito durante la sua crescita e sviluppo, partendo dalla nascita);
  • pulsioni inconscie: gli impulsi d’acquisto governati da dinamiche non percepite dal soggetto, soprattutto provenienti dalle pulsioni ancestrali, istintuali, genetiche, recondite, le quali agiscono sull’individuo senza che egli stesso ne sia consapevole. Tali impulsi sono prevalentemente dovuti ad aspetti psicobiologici, associati a pulsioni derivanti dalla filogenesi dell’individuo (influssi che derivano dalla storia della specie e dalla sua biologia).

Un esempio di pulsione conscia è dato dalla percezione della necessità di possedere un ombrello se piove molto, o dotarsi di un mezzo di trasporto per raggiungere il lavoro, scegliendo accuratamente tra le diverse alternative esistenti (auto, treno, autobus, bicicletta, ecc..) e valutandone pro e contro razionalmente.

Un esempio di pulsione subconscia avviene durante la scelta di un capo di abbigliamento da parte di un impiegato di banca, nella quale egli a priori – inconsapevolmente – esclude dal campo delle proprie scelte soluzioni tipo babbucce orientali, tuniche africane o perizomi indiani, includendo invece mocassini o abiti “giacca e cravatta” o tuttalpiù maglioni e polo. Il fatto che la scelta avvenga all’interno di un “set mentale” di prodotti occidentali non è  completamente consapevole, e risponde ad esigenze di conformità spesso latenti e subconscie. Per quale motivo plausibile, razionale, un impiegato di banca non dovrebbe recarsi al lavoro in perizoma d’estate quando fa molto caldo? Proviamo ad anticipare le reazioni (dei colleghi, dei clienti) a questo comportamento, e lo capiremo immediatamente. Una pulsione subconscia alla conformità culturale è presente in moltissimi acquisti, senza che i consumatori se ne rendano conto.

Un esempio di pulsione inconscia è dato dal movente per cui un ragazzo maturo, non sposato o fidanzato, decide di recarsi in una palestra. In questa scelta può esistere un desiderio sottostante di aumentare la propria attrattività riproduttiva, ed acquistare maggiori chance di trasmettere i propri geni. Questo movente fisiologico e genetico, di origine animale, può avvenire al di fuori della consapevolezza della persona stessa.

Analisi dei moventi d’acquisto

  • Conscio : Razionale – Basato sull’algebra mentale (calcoli matematici di opportunità, comparazioni e valutazioni razionali) – Chiari modelli di valutazione, ogni variabile influente è nota – La persona sa esattamente cosa sta facendo, perché agisce così – Nessuna dimensione nascosta
  • Subcoscio : Subisce pressioni culturali, apprese durante la crescita ed interazione con gli input familiari, scolastici-educativi, amici, mass media, società – Agiscono ad un livello più profondo –  Le persone non sono sempre consapevoli delle forze culturali che agiscono su di loro –  Dimensioni nascoste, come l’appropriatezza culturale, la religione, la pressione dei gruppi, agiscono sulle scelte dell’individuo ad un livello  debolmente consapevole, poco razionalizzato
  • Incoscio : Forze genetiche agenti sull’individuo partono dai livelli più profondi della psiche –   Possiedono elementi comportamentali comuni al regno animale – Includono pulsioni sessuali, comportamenti di difesa-attacco, possesso, paura – Il comportamento di consumo, le scelte e le valutazioni dei prodotti, vengono influenzate inconsciamente – Dimensioni molto nascoste all’individuo stesso – Prevalentemente inconsapevoli

Mentre le motivazioni conscie si collegano ad acquisti apparentemente logici, l’analisi delle motivazioni subconscie ed inconscie si riferisce alle pulsioni che difficilmente sono spiegabili ricorrendo a modelli razionali. 

Lo spostamento dell’attenzione verso l’area del subconscio ed ancor più verso l’area dell’inconscio disturba la sensibilità di molti. Alcuni si oppongono all’intrusione soprattutto per questioni di interesse. Economisti e ricercatori possono infatti vedere il quadro complicarsi, le formule saltare, e sostanzialmente il potere scivolare di mano.

Altri oppositori sono coloro i quali vorrebbero l’essere umano emancipato dalla sua componente animale, considerano la componente pulsionale inconscia una sorta di decadenza verso la brutalità animale, una concessione agli impulsi che tutto il sistema educativo cerca di frenare, nascondere, negare. Capisco, sarebbe bello, ma ancora non è possibile. Il compito di un ricercatore è quello di capire, prima di tutto. Il compito di un manager è quello di agire, in base ad informazioni accurate. Se in questo stadio evolutivo dell’uomo, le pulsioni animali sono ancora presenti, non possiamo far finta che così non sia, e che questo non si innesti nei processi di marketing.

Vi sono zone del cervello la cui funzione è solo vagamente conosciuta ed il suo influsso sui comportamenti di acquisto non è mai stato veramente esplorato.

Questo influsso determina scelte che a volte possono apparire illogiche, ma che risultano comprensibili alla luce di una teoria delle pulsioni.

La ricerca dei moventi nascosti

Le nostre ipotesi vanno alla ricerca delle pulsioni e dei moventi profondi, oltre la pura espressione verbale e consapevole. Se considerassimo sufficienti le prime spiegazioni verbali fornite dai consumatori, per capire le dinamiche reali del loro comportamento, ci accontenteremo davvero di poco.

Non è facile per nessuno dare risposte a domande del tipo: “Quanto ha influito il personaggio di Superman nella costruzione del tuo modello di Sé ideale” (ad un ragazzo, ma specularmente questo vale per la Barbie in una ragazza). L’influenza può essere avvenuta, e molto forte, ma a livello inconscio, senza una chiara percezione del fenomeno.

La letteratura psicosociale è sin troppo ricca di studi che dimostrano quanta distanza esiste tra ciò che le persone dicono di fare e ciò che fanno veramente, tra l’immagine che proiettano all’esterno e la propria vera identità, tra quello che sono e quello che vorrebbero essere.

Differenziazione tra comportamenti reali e comportamenti dichiarati

  1. Area della non comunicazione di sè : ciò che faccio e penso, ma non si deve sapere, Percezione reale di sè – Comportamenti reali dell’individuo
  2. Area della proiezione d’immagine reale
  3. Area della proiezione d’immagine artificiale: ciò che dico di fare e dico di pensare, ma non corrisponde al vero, Identità proiettata – Comportamenti dichiarati

Un primo momento di analisi riguarda la distanza tra ciò che le persone proiettano, tra ciò che dichiarano, e i veri comportamenti e pensieri posseduti. In genere la collimazione tra queste sfere non è totale, ma esistono aree del Sè che non emergono (area 1), ed aree del Sè puramente proiettate (area 3). 

La ricerca di marketing ha evidenziato il fenomeno del Socially Desirable Responding (SDR) che riguarda la tendenza degli individui a proiettare di se stessi, quando intervistati formalmente o nella comunicazione interpersonale, un’immagine accettabile, positiva, rispetto alle norme culturali correnti, o alle norme dei gruppi di appartenenza. 

David Mick (1996)[6] ad esempio ha evidenziato le difficoltà insite nell’esplorazione del “dark side” del comportamento del consumatore, su temi quali il materialismo, l’uso di alcool e di droghe, l’acquisto compulsivo, i piccoli furti nei negozi, le scommesse, il fumo di sigaretta, e la prostituzione. 

Il Socially Desirable Responding avviene sia per incapacità di focalizzare le proprie motivazioni, che per volontà precisa di nascondere fatti, comportamenti e opinioni, di consumo, culturali e politiche. 

Impressions management e proiezione dell’identità

Un fenomeno estremamente diffuso è costituito dall’impressions management, il comportamento di gestione strategica della propria immagine verso gli altri. Questo viene attuato esprimendo pensieri e azioni conformi alle norme della buona convivenza sociale e della morale (e non ciò che si fa o si pensa realmente).

Paulhus (1984)[1] evidenzia come i soggetti intervistati nelle ricerche di mercato pratichino ampliamente impressions management e praticano tentativi di costruire le proprie risposte con lo scopo di riflettere un’immagine sociale positiva.

Un’ulteriore spiegazione del permanere di fenomeni di SDR (Socially Desirable Responding) anche in condizioni di anonimità deve portarci a chiederci: agli occhi di chi l’individuo cerca di apparire positivo? Solo agli occhi altrui? No. In realtà, l’impressions management avviene anche internamente all’individuo stesso, (self impressions management), in ogni momento in cui una affermazione provvede all’opera di costruzione dell’immagine ideale di se stessi (immagine di sé ideale o ideal self image).

Impressions management interno ed esterno : Ricerca della proiezione di un’immagine coerente, positiva, socialmente accettabile 

  • Self Impressions management : Ricerca della proiezione di un’immagine coerente, positiva, socialmente accettabile di se stessi. Si produce al fine di evitare dissonanze interne o ammissioni dolorose per la propria immagine personale e l’opinione di sè. Riguarda il rapporto con se stessi.
  • Others Impressions management : Ricerca della proiezione di un’immagine coerente, positiva, socialmente accettabile, con funzione esterna. Ricerca di costruzione di un’immagine per gli altri, al fine di migliorare il proprio ruolo, il posizionamento sociale e l’accettazione tra i gruppi di persone importanti per l’individuo. 

Scelte del cliente e dissonanza

Le ricerche di Leon Festinger[3] hanno ampiamente dimostrato il bisogno umano di evitare dissonanza tra i propri pensieri e le proprie azioni, sino al punto che – a fronte della percezione di una dissonanza interna – l’individuo modificherà le proprie opinioni o le proprie azioni per ricercare un equilibrio interno.

Il problema della dissonanza cognitiva nel marketing emerge in tutta la sua forza quando l’impresa non riesce a sviluppare un’immagine coerente tra qualità del prodotto, packaging, qualità del marchio, comportamento delle forze di vendita, materiali pubblicitari e internet, e ogni altro elemento comunicativo di contatto con il cliente.

Lungo il percorso di valutazione del prodotto, il consumatore o buyer può incontrare diverse fonti di dissonanza. Esponiamo alcuni esempi:

  • Dissonanza interna al prodotto. La dissonanza interna al prodotto emerge quando diverse caratteristiche dello stesso vanno in direzioni non compatibili l’una con l’altra. Ad esempio, una cucitura mal fatta in un abito da cerimonia (lo stesso difetto non disturberebbe più di tanto in un abito da giardinaggio). Oppure ancora, un paese di origine del prodotto che non rientra tra quelli graditi dal consumatore, pur essendo il prodotto perfetto dal punto di vista tecnico.
  • Dissonanza prodotto-venditore. Si presenta nelle situazioni in cui il prodotto piace, ma vi sono dubbi o scarso gradimento rispetto al punto di vendita, o sul venditore stesso. Posso essere estremamente attratto da un marchio di computer, ma non gradire assolutamente il modo di comportarsi arrogante del venditore esclusivista della zona.
  • Dissonanza prodotto-immagine. Posso gradire le caratteristiche tecniche del prodotto, ma non l’immagine che vi è associata. Può piacermi il prodotto Lacoste (in termini di qualità e finiture), ma non il soggetto tipico che indossa Lacoste. Posso amare il paesaggio visuale di Portofino, ma non i suoi frequentatori e la sua immagine di luogo d’elite.

[1] Vedi Rook, D.W. (1987). The buying impulse. Journal of Consumer Research, 14 (September), 189-199.

[2] Enciclopedia Rizzoli Larousse 2000.

[3] Il termine “buyer” viene utilizzato nel corso del testo per indicare la persona responsabile degli acquisti, o chi comunque assume un ruolo di cliente, acquirente, decisore o controparte rispetto al venditore.

[4] Mick, D.G. (1996). Are studies of dark side variables confounded by socially desirable responding? The case of materialism. Journal of Consumer Research, 23.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Le parole chiave di questo articolo sul Comportamento di Acquisto sono:

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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Tecniche di ascolto attivo

L’ ascolto attivo si collega alla comunicazione paralinguistica e non verbale e comprende in particolare:

  • tecniche verbali di ascolto attivo;
  • tecniche paralinguistiche di ascolto attivo;
  • tecniche non verbali di ascolto attivo.

Tecniche verbali di ascolto attivo

Comprende parole che segnalano attenzione e comprensione.

  • Domande aperte: chi, dove, quando, come, perché, con chi, in quale modo, in quali tempi, per quanto, cos’altro… e altre domande che consentano di allargare il discorso e precisarlo.
  • Domande chiuse o di precisazione: verifica di parti del contenuto tramite domande che prevedano una risposta di tipo “Si/No” o altre categorie precise “molto/poco”, “prima/dopo” e altre di questo tipo.
  • Tecnica dello specchio (riflessione del contenuto): ripetizione di frasi o parti di frasi dette dalla controparte, senza modifiche e alterazioni. La tecnica dello “specchio” proviene dalle metodologie di ascolto empatico utilizzate nel colloquio terapeutico Rogersiano[1]. È una tecnica di origine psicoterapeutica, che consente al “cliente” di approfondire i propri contenuti e riflettersi nei contenuti stessi da egli espressi.
  • Parafrasi: utilizzo del “come se”. Ricerca della comprensione di quanto detto, con l’uso di metafore o esempi che cercano di valutare se si è realmente compreso il senso profondo di quanto la controparte dice.
  • Sintesi storica, riassunto: ripetizione di quanto asserito, sotto forma di riassunto dei punti salienti della “storia”.
  • Incoraggiamenti verbali: es, “bene”, “interessante”, “si”, “ok”.

Tecniche paralinguistiche di ascolto attivo

Utilizzo di vocalizzazioni che esprimono interesse per la “storia” e facilitano l’espressione, quali Uhmm.. ahh….emissioni gutturali o respiratorie…

Lo scopo delle tecniche paralinguistiche (assieme a quelle non verbali visuali) è quello di fornire segnali fàtici (di contatto), affinché l’interlocutore senta che siamo in ascolto, siamo presenti, e siamo interessati.

Tecniche non-verbali di ascolto attivo

Utilizzano l’atteggiamento del corpo per esprimere interesse:

  • postura aperta ed inclinata in avanti per indicare disponibilità; posizione del corpo rilassata e di disponibilità;
  • avvicinamento e allontanamento (prossemica): ridurre la distanza con l’interlocutore nei momenti di maggiore interesse, allontanarsi nei momenti di distensione;
  • espressione del volto: non dubitativa, ironica o aggressiva, ma attenta e partecipativa;
  • sguardo attento e diretto;
  • movimenti delle sopracciglia associati a punti salienti del discorso altrui;
  • cenni del capo, cenni assenso o di diniego;
  • gesti morbidi, lenti e rotatori per comunicare senso di rilassamento e incoraggiare ad andare avanti nella conversazione;
  • metafore non verbali utilizzando il body language, che dimostrano comprensione di quanto detto dalla controparte.

Sul piano non verbale, dobbiamo sempre considerare che numerose culture frenano l’espressione non verbale delle emozioni (es: quelle asiatiche), ma che anche questo dato è uno stereotipo comunicativo, di valenza solo probabilistica e non consegna certezze.

In sintesi, le tecniche principali per un accolto efficace sono:

  • curiosità e interesse;
  • parafrasi: ripetere con le proprie parole quanto capito (questo non equivale ad essere d’accordo con quanto detto dall’altro);
  • sintesi e riassunti: riformulare la “storia” nei suoi punti salienti, per consolidare quanto raccolto;
  • dirigere l’ascolto tramite domande mirate (ricentraggio conversazionale) per far luce sui punti ancora oscuri o i passaggi ancora non ben chiari;
  • evitare domande eccessivamente personali finche non si sia creato un rapporto solido e “caldo”;
  • offrire al parlante la possibilità di dare feedback sul fatto che quanto capito sia corretto, accurato o invece distorto o lacunoso;
  • ascoltare non solo le parole ma anche i segnali non verbali per valutare i sentimenti e stati d’animo;
  • verificare la corretta comprensione sia dei sentimenti che del contenuto, non ignorare l’aspetto dei sentimenti;
  • non dire alle persone come dovrebbero sentirsi o ciò che dovrebbero pensare (nella fase di ascolto, limitarsi a trarre informazioni, senza voler insegnare o valutare).

Ancora una volta, sottolineiamo che questi atteggiamenti sono preziosi e determinano la qualità della fase di ascolto, ma non vanno confusi con gli obiettivi di tutta la negoziazione (che prevede sia fasi di ascolto che fasi propositive e affermazioni anche dure o assertive). 

In una negoziazione è possibile (ed è anzi uno degli obiettivi strategici) modificare ciò che gli altri pensano (ristrutturazione cognitiva e persuasiva) o come gli altri si sentono (azione emozionale), ma questo obiettivo verrà perseguito solo ed unicamente se prima il negoziatore sia riuscito a porre in essere un ascolto attivo , attivando l’empatia necessaria per capire in quale quadro si stia muovendo.

I livelli di ascolto

Possiamo individuare una scala del livello di ascolto:

  • Ascolto schermato / distorsivo: non capire, non prestare attenzione, distorcere i dati in ingresso, i dati reali (fisici e emotivi) non vengono veramente percepiti, ma distorti, percezione limitata e/o errata, barriere culturali, di ruolo, pregiudizi, antipatie, antecedenti, stati emotivi del momento, scarse energie fisiche e mentali, poca umiltà.
  • Ascolto giudicante / aggressivo : interrompe continuamente, attacca, giudica e valuta, disapprova quanto detto, nessuno sforzo di capire o approfondire, caratterizzato dal fatto che non si ascolta veramente, ma si raccolgono informazioni per poi emettere immediatamente sentenze e giudizi. L’ascolto giudicante può emergere anche da una smorfia sottilissima emessa con un segnale non verbale quale “storcere il naso” durante un’affermazione altrui che non approviamo, e non è da confondere con la partecipazione emotiva a quanto detto dall’altro.
  • Ascolto apatico / passivo: privo di energia, stanco, “morto”, spento, nessun cenno del capo o altro segnale “fàtico” (segnali di contatto), disinteresse verso il comunicatore
  • Ascolto a tratti: attento in alcuni momenti, distratto in altri, viene espressa attenzione discontinua, vi sono pensieri o attività che interferiscono, poca concentrazione, si perdono brani.

Abbiamo poi fasi decisamente migliori quali:

  • Ascolto attivo / supportivo : Il soggetto viene incoraggiato a proseguire, aiutato ad esplorare i concetti, supportato tramite domande di approfondimento, aperte e chiuse. Forte partecipazione del body language, utilizza segnali corporei e verbali di partecipazione a quanto detto, riformulazioni e altri dispositivi linguistici e non verbali che servono per dare il segnale “quello che dici mi interessa, ti sto seguendo”.
  • Ascolto empatico: Sospensione del giudizio, interesse genuino, ascolto avalutativo, curiosità, azioni di approfondimento e metacomunicazione, l’ascolto degli strati profondi, la capacità di sintonizzarsi e capire i livelli più nascosti, emotivi e personali, del vissuto del nostro interlocutore, più che i dati numerici o oggettuali che ci espone.
  • Ascolto simpatetico: Dimostrazione di vicinanza, affetto, piacevolezza, esprime non solo comprensione ma apprezzamento, calore umano, piacere della relazione, gradimento dell’altro. 

Una nota importante sull’espressione di simpatia durante le fasi di ascolto: dimostrare simpatia non è obbligatorio. Se la nostra espressione è finta, verrà colta. Dobbiamo essere il più possibile autentici e veri. Non consigliamo di inoltrarsi in un ascolto simpatetico falso ma di compiere un’operazione decisamente più difficile e professionale: cercare nell’altro le “cose buone” che emergono, partendo dal principio che anche persone che non ci piacciono possono tuttavia avere alcuni tratti e caratteristiche che sono comunque interessanti. Non dobbiamo partire con un senso di superiorità ma con un atteggiamento di vero interesse per la scoperta di quanto può emergere.

Se poi la gradevolezza è vera, questo livello di ascolto verrà fuori naturalmente, ma è essenziale non bloccarlo a priori in nome di una presunta “freddezza professionale” che non è l’obiettivo vero di un ascolto di qualità.

Dobbiamo anche distinguere un altro aspetto fondamentale dell’ascolto: la presenza di almeno due diversi piani di ascolto: i dati e gli stati emotivi. Questo qualifica la differenza tra un ascolto informativo e un ascolto psicologico.

Ascoltare dati non equivale ad ascoltare stati emotivi.

Possiamo infatti applicare un ascolto di tipo:

  • psicologico : Interesse per gli aspetti psicologici, ascolto viscerale, delle sensazioni, del livello umano, attenzione centrata sulla persona e sul suo vissuto, ascolto di emozioni, stati umorali, sensazioni, rapporti umani.
  • tecnico-informativo : ascolto meccanico, concentrato sui dati, numeri e fatti.

Un negoziatore avanzato e un venditore di alto livello saranno in grado di applicare il livello di ascolto corretto, o entrambi, a seconda delle situazioni, senza entrare in uno stato di ascolto prefissato, stereotipato e rigido.


[1] Rogers, Carl R. (1961). On becoming a Person. Boston, Houghton Mifflin.

Rogers, Carl R. (1951). Client-Centered Therapy: Its Current Practice, Implications, and Theory. Boston, Houghton Mifflin.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Perché le campagne di comunicazione funzionano meglio delle attività di comunicazione generiche

Esistono diversi motivi per i quali le campagne di comunicazione sono più produttive rispetto alla comunicazione costante, non disaggregata in obiettivi tematici.

Li esponiamo tramite un principio-guida:

Principio della precisione e misurabilità dei risultati comunicativi

I principi che devono guidare la strategia comunicativa consistono in:

  • Definire un obiettivo della campagna comunicativa preciso e misurabile, rendicontabile in ogni singola azione, mentre un flusso di comunicazione aziendale indistinto non lo è.
  • Definire in una campagna comunicativa precisi confini geo-merceologici, temporali, e goals precisi, un programma permanente non ha confini e goals quantificabili o questi sono molto labili, sfumati e sfuggenti.
  • Definire per ogni campagna un responsabile e delle scadenze, mentre un programma permanente segue il corso degli eventi e spesso fugge da responsabilità e scadenze.
  • Empowerment di un leader di campagna. Nelle comunicazioni non strutturate, nessuno paga se si sbaglia (o è molto più facile assegnare colpe al mercato, alla concorrenza, e a chiunque capiti in giro per l’azienda), mentre le campagne hanno responsabili che devono ottimizzare le risorse e rendicontare i risultati, con impegni personali rintracciabili (concetto di “Accountability”).

Applicazioni sul fronte della vendita

sales

Una campagna di vendita è definibile come una sequenza di azioni strutturate che ruotano attorno ad uno specifico obiettivo di vendita, delimitate da un preciso arco temporale.

Possiamo distinguere in particolare diverse tipologie di campagne di comunicazione :

  • Centrate sul cliente : ricercano mix di soluzioni (sales mix) partendo dalle esigenze del cliente
  • Centrate sul prodotto : ricercano il raggiungimento di un goal di vendita andando alla ricerche di chi possa acquistare

L’interna azione commerciale annuale può trarre beneficio dalla gestione tramite campagne centrate sul cliente.

La gestione delle campagne centrata sul cliente risulta più positiva rispetto all’applicazione coerente di modelli di vendita consulenziale.

Esempi per un’azienda bancaria

Campagne centrate sul prodotto

Problema: come vendere il seguente prodotto?

Elenco di alcuni possibili prodotti da promuovere

  • leasing
  • carte di debito ricaricabili
  • internet banking
  • polizze vita, pensione integrativa.

Campagne centrate sul cliente

Problema: come soddisfare i seguenti clienti (traendone ricavi e profitto)

Elenco di alcuni possibili target

  • Membri forze dell’ordine
  • Sportivi 
  • Pensionati 
  • Liberi professionisti
  • Artigiani autonomi
  • Casalinghe
  • Studenti universitari
  • Strutture del turismo e ricettività

Per ciascuno di questi target, usati come esempio, si possono sviluppare specifiche campagne.

market

La strutturazione della comunicazione ottimale richiede il passaggio dalla concezione di prodotto (“svuotare i magazzini”) alla concezione centrata sul cliente (costruire relazioni).

Ricerca e valutazione: gli strumenti per produrre campagne comunicative di qualità ed impatto

La campagna di comunicazione utilizza alcuni strumenti che la distinguono dai programmi generalizzati: 

  1. La ricerca diagnostica (a priori) 
  2. La ricerca di processo o monitoraggio (durante)
  3. La ricerca valutativa (a posteriori).

L’utilizzo della ricerca diagnostica (Research-Based Communication) permette di identificare scientificamente le problematiche di marketing e gli obiettivi strategici sui quali agire tramite la leva comunicativa, limitando l’uso della sola intuizione o altre metodologie non scientifiche, ma basandosi su dati.

Utilizzare la ricerca di processo (Communication Process Research) significa monitorare l’evoluzione della campagna, verificare gli scostamenti dai tempi e dagli obiettivi, controllare che l’operato delle risorse umane sia corretto. 

Essa consente di mantenere il focus manageriale sul processo di comunicazione, evitando che i progetti scadano di qualità ed attenzione.

Praticare ricerca valutativa (Communication Campaign Evaluation) significa invece misurare gli effetti di una campagna, durante e dopo l’emissione dei messaggi. 

Riassumendo.

La ricerca diagnostica condotta a priori ha lo scopo di (1) analizzare i bisogni e gli scenari, e (2) testare l’efficacia dei messaggi su piccoli campioni prima che essi vengano emessi definitivamente verso tutto il target. 

La ricerca di processo svolta durante la campagna ha lo scopo di verificare che il processo comunicativo segua le linee guida fissate per la campagna, controllando che tutto si svolga secondo i piani, o per ridefinirli in progress.

La ricerca valutativa a posteriori ha lo scopo di misurare gli effetti tangibili e intangibili, positivi o negativi, che la campagna ha prodotto.

testing

Li esponiamo tramite un principio-guida:

Principio Communication Design Efficace

I principi che devono guidare la strategia comunicativa consistono in:

  • definizione di macro-obiettivi manageriali e di marketing da raggiungere tramite la comunicazione;
  • analisi dei target e valutazione dei bisogni comunicativi;
  • definizione dei micro-obiettivi e goals;
  • produzione di messaggi (persuasivi o informativi) utilizzando criteri scientifici;
  • definire quale “storia” o “narrazione” vogliamo far passare e metterla alla base dei messaggi, capire quale sia la “Battle of the Narratives” in corso (quale storia vincerà, quale passerà, quale no, e con quali altre “storie” siamo in concorrenza psicologica sul campo)
  • valutazione sul campo della qualità dei messaggi che andremo ad emettere, prima che essi vengano diffusi (pre-testing);
  • planning sistematico dei canali comunicativi e degli eventi correlati;
  • assegnazione di risorse umane capaci e motivate;
  • ricerca dei fornitori per le attività da svolgere in outsourcing (fornitori quali grafici, programmazione web, scrittura, voce, eventi, montaggio, audio, video, PR, e qualsiasi altra esigenza si manifesti);
  • valutazione continua e monitoraggio del buon funzionamento del processo;
  • valutazione a posteriori sui risultati ottenuti, tangibili e intangibili (post-testing);
  • remunerazioni e benefits legate ai risultati prodotti dai membri del team incluso il responsabile della campagna.

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