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Copyright. Articolo estratto dal libro “Il Potenziale Umano. Metodi e Tecniche di Coaching e Training per lo Sviluppo delle Performance” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Il lavoro sul potenziale umano e sulle risorse umane

Le persone viaggiano per stupirsi delle montagne, dei mari, dei fiumi, delle stelle e passano a fianco a se stesse senza meravigliarsi

(Sant’Agostino)

Concetti fondamentali: la visione della persona come sistema energetico

Il metodo HPM deriva la propria sigla dal suo obiettivo primario, il Modeling, o “dare forma”, generare impulso, contributo e stimolo alla crescita della persona, dei team e delle organizzazioni.

Il metodo ha due distinte sfere di applicazione, tra di loro collegate:

  • crescita del potenziale umano: Human Potential Modeling, e
  • sviluppo delle prestazioni: Human Performance Modeling.

Il metodo contiene una concezione dell’uomo come articolazione di energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni.

Il metodo individua sei specifiche “celle di lavoro”, sulle quali ciascuno di noi, indipendente dalla sua condizione di partenza, può fare progressi, piccoli o grandi che siano. E, per ogni piccola conquista, si aprono nuovi orizzonti che ci invitano ad andare avanti, in una continua esplorazione di ciò che significa progredire, nel suo senso più profondo.

“Entrare” in queste sei celle ci permette di costruire progetti di crescita seri ed efficaci, siano essi la “liberazione” da ciò che ci frena, o l’aumento delle nostre risorse personali.

L’amplificazione delle energie e abilità di un individuo o di un intero gruppo o impresa, può proiettarci verso nuovi traguardi, e nuovi modi di essere. Prendere piena coscienza dei propri potenziali e lottare per raggiungerli è un’operazione che ha una propria sacralità, al di la del risultato numerico o professionale che ne può derivare.

Capire questo è essenziale oggi per fare del training aziendale serio, essere ricercatori o insegnanti degni di questo nome, ma anche nel coaching, nel focusing (focalizzazione dei fabbisogni di sviluppo), nella consulenza, nei progetti di crescita personale, quando si esamina una persona o un’organizzazione, intesa come complesso di energie circolanti, il suo lato umano, il suo spirito vitale.

Il metodo HPM raggruppa tutti i fattori evidenziati in un modello piramidale (energie fisiche e mentali, micro e macro-competenze, progettualità e aspirazioni) e li considera aspetti allenabili, aumentabili, su cui si può agire.

A questo modello quindi ci apprestiamo a lavorare.

Ne esponiamo di seguito un’anteprima grafica, nella quale si evidenziano le sei specifiche aree di lavoro, ciascuna delle quali viene approfondita, ma sicuramente non esaurita.

Esaurire ogni singola area sarebbe una pretesa troppo grande, mentre aprirvi una discussione e offrire su ciascuna contributi, strumenti utili e operativi, è invece già possibile.

Potenziale umano e prestazioni umane sono due aree di studio diverse ma strettamente collegate, così come lo sono le fondamenta di un edificio e i suoi piani superiori.

Nessuno costruirebbe, con un minimo di buon senso, un grattacielo su fondamenta instabili. Il lavoro sul potenziale è, come metafora, simile al lavoro di costruzione di fondamenta solide, mentre le performance ci restituiscono un senso di altezza, di quanto in alto possiamo spingerci.

Ognuno di noi sente il bisogno, prima o poi, di sviluppare il suo potenziale, ma anche di accedere a piani esistenziali superiori, ricercare, crescere.

Possiamo soffocare questa pulsione umana naturale, ma è come cercare di non respirare, prima o poi il bisogno viene fuori, ed è bene ascoltarlo.

Il modello HPM analizza l’essere umano come sistema energetico, una sinergia di forze (fisiche e mentali), la cui amplificazione può aumentare il grado di felicità, successo e potenzialità realizzativa.

Questo sistema complesso è composto da sottosistemi, che possono disporre di uno stato di carica variabile, e funzionare bene o male, con gradazioni intermedie di efficienza ed efficacia.

Per analizzare il potenziale globale della persona, non solo sul piano fisico o intellettuale, ma come essere umano nel suo complesso, abbiamo bisogno di localizzare quali sono i micro e macro-distretti su cui si può agire e come questi interagiscono tra di loro.

Dobbiamo anche saper muovere lo zoom di analisi dal micro al macro, dal particolare al generale, e viceversa.

Esponiamo di seguito una breve sintesi di quali sono i contenuti principali delle sei “celle” di lavoro:

il substrato psicoenergetico e le energie mentali: riguarda le energie psicologiche, le forze motivazionali, lo stato di forma mentale necessario per affrontare sfide, progetti, traguardi (goal) e obiettivi. Si prefigge di analizzare ed intervenire sulle capacità mentali, come concentrazione, lucidità tattica, abilità strategiche, capacità di percezione, utilizzo della memoria, amplificazione sensoriale, sino alle capacità di vivere le passioni, rivedere il nostro modo di essere, riprendere in mano il proprio ruolo nella vita con maggiore assertività, ripensarsi, creare motivazione in sè e nel team, sviluppare coraggio e perseveranza, utilizzare uno stile di pensiero produttivo e positivo;

il substrato bioenergetico e le energie fisiche: inquadra la parte biologica dell’essere umano: il corpo e le energie fisiche, lo stato di forma organis­mico e biologico che sorregge le energie individuali; comprende l’analisi delle energie corporee e il funzionamento dell’organismo, come esso possa essere riparato o “potenziato”, gli effetti dello stile di vita e l’approccio olistico al corpo, l’attenzione alle economie locali (di specifici distretti fisici) e alle energie generali;

le micro-competenze: i micro-dettagli che danno spessore al potenziale, le micro-abilità psicologiche e psicomotorie che fanno la differenza in una prestazione manageriale o sportiva, le micro abilità-cognitive (di ragionamento), che creano differenza tra un’esecuzione mediocre, media o invece eccellente,  le micro-abilità relazionali e comunicazionali da cui dipende un lavoro di qualità;

le macro-competenze personali e professionali: i grandi strumenti (competenze, skills, capacità) che compongono il profilo di un ruolo; le traiettorie di cambiamento che subisce lo scenario che ci circonda, come rimanerne coscienti e in pieno controllo; la gamma delle abilità o portfolio di competenze di un individuo o di un team, e come questo deve essere rivisitato, riqualificato, formato, per essere all’altezza degli obiettivi che ognuno di noi si pone e delle sfide che vuole cogliere;

goal e progettualità: la strutturazione dello sforzo per qualcosa o contro qualcosa di concreto (un ideale trasformato in progetto); la capacità di sviluppare un obiettivo in azione, il focus di applicazione delle energie e competenze, la loro traduzione in specifici piani operativi e risultati attesi;

visione, principi e valori, missione: ideali, principi morali, sogni, aspirazioni, i motori profondi che dirigono le priorità personali, gli ancoraggi di senso e significato che connettono i progetti ad un piano più profondo, le scelte personali, il senso di missione. Riguarda inoltre lo sfondo primordiale di desideri e pulsioni che spingono il nostro fare ed agire, il senso di causa e – non ultimo – il nostro vissuto spirituale ed esistenziale.

Ognuno di questi stati o “celle” può avere un certo livello di “carica”, trovarsi “pieno”, “abbondante”, ben coltivato, ben esercitato, o essere invece “scarico”, deprivato, depotenziato, impoverito, o persino trascurato e maltrattato, denutrito, abbandonato.

Al crescere della carica nei diversi sistemi aumenta l’energia complessiva della persona, dei team, e delle organizzazioni da loro composte, con effetti molto tangibili: risultati, prestazioni, capacità di decidere, di incidere e produrre cambiamento positivo. Questi risultati dipendono dallo stato dei diversi sistemi, dalla capacità di coltivarli e nutrirli.

La loro condizione locale e l’interazione tra le diverse “celle” può produrre il massimo del potenziale o presentare sinergie negative, o danni e malfunzionamenti che impediscono all’essere umano di esprimersi.

Le risorse personali e il potenziale individuale possono essere “lette” ma soprattutto amplificate attraverso un lavoro serio sulle sei aree.

Sul piano manageriale e sportivo, nei team e nelle aziende, le implicazioni sono altrettanto evidenti: lo stato di forma mentale e fisico delle persone, la loro carica motivazionale, le loro competenze, la loro progettualità, il loro spessore morale, fanno la differenza tra persone o team spenti, e persone, team o organizzazioni capaci, forti, motivate, piene di energia ed entusiasmo, desiderose di affrontare sfide e dare contributi veri.

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Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Articolo a cura di: Cristina Turconi – Executive & Business Coach ICF | Formatrice Aziendale | Facilitatrice Lavoro di Gruppo | Master Practitioner in HPM™ Human Potential Modeling | Consulente e Innovation Manager MISE 

Motivare un individuo o un gruppo di lavoro in ambito professionale può rivelarsi un’impresa difficile. 

Risvegliare quel desiderio a contribuire, a devolvere le migliori intenzioni e energie ad ogni singola prestazione, è come partire per un lungo viaggio che attraversa la storia individuale e la personalità di ciascun collaboratore. 

Per essere produttivi è necessario stare bene con sé stessi. Ogni responsabile dovrà fare in modo che i propri collaboratori si sentano a proprio agio nel contesto in cui si trovano ad operare, sia a livello personale che professionale.

Come riuscire a trovare le chiavi di successo che possano far sentire ogni singolo collaboratore parte di qualcosa di speciale, di arricchente che doni gratificazione, stimolo e senso di appartenenza?

Il Modello 4Colors® è un valido supporto in quanto permette di decodificare 4 Personalità-Colore che corrispondono a specifiche tipologie di comportamento, stile di pensiero e processo decisionale, e riconoscere ciò che è davvero importante per ogni componente del Team.

Collaboratore Rosso: [1]

  • È concentrato sui risultati e estroverso; cerca sempre di distinguersi dal gruppo. 
  • È come una forza motrice che traina gli altri membri che tendono a seguirlo. 
  • Orientato all’azione, è anche veloce agli occhi di coloro che preferiscono pensare a fondo prima di agire. 
  • Reattivo, ha difficoltà a tollerare che gli altri non vadano alla sua velocità. 
  • Può essere molto critico nei confronti degli altri rossi della squadra con cui è in competizione, così come delle decisioni prese dal suo capo, dal quale si aspetta una competenza estrema e un modello da seguire. 
  • A seconda della situazione, può diventare un leader positivo o un leader negativo. Gioca il ruolo di “capitano”, il capitano della squadra o del progetto. 

Fattori chiave: dominare – combattere – sfidare – superare sé stessi.

Motivare significa saper “risvegliare” il desiderio di ciascuno all’interno del tuo Team

Collaboratore Giallo: 

  • È concentrato sulle relazioni ed estroverso; il giallo è quello con la più naturale propensione a comunicare e a interagire in quanto ha “bisogno degli altri”. 
  • Un giallo in una squadra è come il tuorlo in una maionese! Porterà il suo dinamismo, il suo entusiasmo, il suo calore, il suo umorismo, il suo senso del compromesso per mantenere attive le connessioni con tutti gli altri.
  • Ha un enorme bisogno di riconoscimento e ama essere visto nella sua “unicità” e “preziosità”.
  • Lavora bene solo in un’atmosfera piacevole che tende a far dimenticare l’orientamento ai risultati. 
  • Per lui è difficile non poter piacere a tutti, soprattutto ai blu che sono infastiditi dalla sua estroversione e dalla sua energia esuberante. 
  • Svolge il ruolo di colui che sforna idee originali, stimoli innovativi e creatività.

Fattori chiave: influenzare – creare – giocare – lavorare con piacere.

Collaboratore Verde:

  • È orientato alle relazioni ma introverso, mostra grande capacità di ascolto, empatia e rispetto per gli altri.
  • È riconosciuto come un membro flessibile con cui è facile cooperare. 
  • È disposto ad accettare le decisioni degli altri pur di evitare conflitti. 
  • Messo in una situazione di stress, come in un contestoi di cambiamento, può sviluppare una sorta di “immobilismo” caratterizzata da una lentezza estrema che irriterà i rossi. 
  • È il guardiano della coerenza e della perseveranza e tende a costruire relazioni profonde, durature e fedeli.

Fattori chiave: essere utile agli altri – portare stabilità e coerenza al gruppo – prendersi cura delle persone.

Motivare significa saper “risvegliare” il desiderio di ciascuno all’interno del tuo Team

Collaboratore Blu:

  • È orientato al compito e introverso; è il meno compatibile per natura a lavorare in gruppo in quanto preferisce lavorare da solo (possibilmente con la porta chiusa).
  • Il suo essere riflessivo e metodico, aiuta ad analizzare in profondità ogni compito infondendo calma e sicurezza al gruppo. 
  • È prezioso per perseguire compiti complessi a lungo termine ai i quali riserverà sempre lo stesso livello di cura e impegno.
  • Il suo senso del rigore gli impedisce di lavorare e divertirsi allo stesso tempo. 
  • La sua mancanza di leggerezza e la sua eccessiva rigidità possono generare conflitti con i gialli. 
  • I rossi lo criticheranno per essere troppo perfezionista, troppo lento e poco assertivo. 
  • È colui che raccoglie tutte le informazioni necessarie prima di iniziare qualsiasi compito e verifica con estrema pignoleria le criticità di ogni progetto.

Fattori chiave: perseguire alti standard di qualità – sicurezza – analisi delle criticità – pianificazione e metodo – cura del dettaglio.

Salvaguardare I fattori chiave di ogni Personalità-Colore significa lavorare per alimentare le energie motivazionali di tutto il Team. 

Ogni volta che ogni singolo collaboratore si sentirà accettato, apprezzato e vedrà riconosciuta l’unicità del suo contributo al gruppo, sarà stimolato a contribuire al team stesso di cui fa parte o al suo benessere complessivo.

Se vuoi approfondire il Modello 4Colors® trovi un’altro articolo qui: Il Processo creativo a colori – Approcci alla creatività e al Problem solving nei Team



[1] Manager avec les couleurs; Forger son propre style. Motiver chaque collaborateur. Maitriser les situations de management – B. Boussuat, P. David, J.M. Lagache – Dunod, Paris 2008.

Cristina Turconi
Executive & Business Coach ICF | Formatrice Aziendale | Facilitatrice Lavoro di Gruppo | Master Practitioner in HPM™ Human Potential Modeling | Consulente e Innovation Manager MISE 

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Progetto a cura di: Cristina Turconi – Executive & Business Coach ICF | Formatrice Aziendale | Facilitatrice Lavoro di Gruppo | Master Practitioner in HPM™ Human Potential Modeling | Consulente e Innovation Manager MISE 

Il tuo stile manageriale è funzionale al tuo business?

Ingaggiare le persone e portarle ad esprimere il loro massimo potenziale e contributo in ciò che fanno, è una delle sfide più importanti che ogni Manager si trova a dover affrontare. Per essere efficace serve sviluppare la capacità di “compito”, quale orientamento ai risultati e al fare, e la capacità di “relazione”, quale capacità di interazione orientata alle persone

Il Metodo 4Colors®, basato sullo studio delle tipologie umane di Carl G. Jung e sulle successive rielaborazioni da parte di Isabel Briggs Myers, sulle osservazioni di Ippocrate integrate infine con le ultime ricerche delle neuroscienze, distingue quattro tipi di energie colore che sono, in proporzione differenti dentro ogni essere umano, e ne influenzano anche lo stile manageriale.

Lo stile manageriale a colori

Energia Rossa:

Il Rosso ha come qualità la sua energia, la sua capacità di decidere rapidamente, il fatto di essere diretto, concreto e operativo, di amare il comando, di ottimizzare e di agire. Non ha paura di fallire. Può rialzarsi con la stessa rapidità e frequenza con cui è caduto. Si dice che sia un combattente. Sa cosa vuole e raggiunge i suoi obiettivi. Gli piace correre dei rischi che lo fanno sentire vivo. 

Appare pratico e determinato. Ha una grande autorevolezza e si afferma ovunque come leader, aspettandosi che gli altri riconoscano e accettino questa sua autorità. È una persona che ama le sfide, senza le quali si annoia facilmente. Se non ci sono problemi che lo mettano in sfida, se li crea da solo per poterli risolvere e superare. La routine è il suo peggior nemico. Giudica i suoi collaboratori e colleghi, come giudica sé stesso, in base ai risultati. Efficienza è una delle sue parole preferite. Disdegna il consenso e ama il confronto e il conflitto.

La pazienza non è il suo forte, né l’ascolto. Non sopporta le lunghe riunioni dove non si prendono decisioni o non si stabiliscono piani d’azione. “Volere è potere” e “Il fine giustifica i mezzi” sono due proverbi che lo caratterizzano. 

Lo stile manageriale a colori

Energia Verde:

Il Verde è l’opposto del Rosso; ha le grandi qualità della pazienza e della calma e ha una grande considerazione per gli altri. Lavora senza problemi, senza correre grandi rischi. Si prende il tempo necessario per maturare scelte e linee di azione. Avanza con metodo e prudenza, il che lo rende affidabile. La prima impressione che dà è che sia riservato, ma amabile e socievole. Sono la sensibilità e l’empatia che lo caratterizzano. Il suo bisogno di armonia lo porta a cercare costantemente il consenso o il compromesso. Non si arrabbia facilmente. È calmo, stabile, leale, e fedele. La fiducia è una delle sue parole preferite. È attento a scegliere una strada sicura, senza sorprese e senza rischi. 

A volte ha difficoltà a dare delle priorità perché dà la stessa importanza a tutto. I cambiamenti rapidi e bruschi possono avere un effetto paralizzante su di lui. Preferisce una qualche forma di routine che lo faccia sentire sicuro. Non gli piace la pressione. Il suo lato vulnerabile risiede nel processo decisionale, perché odia i conflitti che potrebbero nascere da esso, così come il cambiamento, l’imprevisto, tutto ciò che minaccia la sua stabilità. 

 “Meglio un uovo oggi che una gallina domani” e “Non tutte le verità sono buone da dire” sono due proverbi che lo caratterizzano.

Lo stile manageriale a colori

Energia gialla:

Il Giallo ha come qualità la grande abilità del saper comunicare, l’entusiasmo, il carisma, la sua originalità, il fatto di saper alleggerire un’atmosfera pesante, di amare la vita e di instillare negli altri il desiderio, la visione e la voglia di realizzare grandi cose. Gli piacciono le feste e la compagnia. È una persona molto socievole. Attira simpatie grazie al suo carattere allegro e al suo entusiasmo che sa trasmettere agli altri. Gli piace stare sotto i riflettori e ha bisogno di molti riconoscimenti esterni. 

È infastidito dalle persone pessimiste. Infatti, in ogni occasione, ha sempre una storia divertente da raccontare per ricordare che la vita è meravigliosa. Il suo lavoro è spesso originale e privo di dettagli. Ha piena fiducia nella sua capacità di cavarsela in ogni situazione e di saper improvvisare. Ciò che non cambia lo annoia molto rapidamente. Odia la routine e lo status quo. Non chiedetegli di essere puntuale perché ha un senso sfocato del tempo. 

Il suo lato vulnerabile può riguardare l’essere approssimativo e superficiale, l’eccessivo ottimismo, l’invadenza e il fatto che si interessa agli altri solo in funzione di sé stesso. “Da novello tutto è bello” e “Ridere è il mestiere di un uomo” sono i due proverbi che lo caratterizzano. 

Lo stile manageriale a colori

Energia blu:

Il Blu, è l’opposto del Giallo, ha le qualità del rigore, della prospettiva, la serietà e la capacità di analisi. È ordinato e coltiva questo ordine anche intellettualmente.

Va a fondo delle cose ed è incredibilmente preciso. Approccia ogni questione in modo razionale, strutturato  e metodico e ha bisogno di tempo per farlo. Dei quattro colori, lui è di gran lunga il più logico. Prende decisioni solo dopo aver raccolto tutte le informazioni di cui ha bisogno, e a volte si impantana nella raccolta dei dati. 

È esigente in materia di qualità, e un perfezionista in tutto ciò che si appresta a fare. Ha difficoltà ad accettare le critiche al suo lavoro. Apprezza un ambiente stabile e strutturato con ruoli e mansioni chiare. Non gli piacciono i cambiamenti improvvisi nel suo campo di attività e, in generale, tutto ciò che non è pianificato e programmato in anticipo.

Il suo lato vulnerabile riguarda la sua difficoltà nel confrontarsi con gli altri, il suo conformismo, la sua razionalità che rifugge come la peste tutto ciò che è emotivo e soggettivo. “Due opinioni sono meglio di una” e “Niente è meno certo dell’incerto” sono due frasi che lo caratterizzano.

Lo stile manageriale a colori

I punti di forza di ogni energia colore possono trasformarsi in punti di debolezza e minare l’efficacia del proprio stile manageriale:

Il ROSSO è autorevole e indipendente. La sua efficacia può quindi soffrire dell’indifferenza degli altri e dell’incapacità di coinvolgerli. La sua innata capacità di concentrarsi sui suoi obiettivi e la sua abitudine di basarsi sull’esperienza personale può portare questa energia colore ad avere un focus ristretto. Questo può implicare una difficoltà ad anticipare i problemi e a considerare le possibili alternative. Il desiderio di concludere e risparmiare tempo facendo le cose da solo, può portare il Rosso ad essere incapace di includere o sviluppare i potenziali contributi degli altri. 

Il Rosso può aumentare la sua efficacia imparando che il raggiungimento di obiettivi organizzativi richiede lavoro di squadra e cooperazione. Deve anche imparare che spendendo del tempo per informare, richiedere e ottenere il sostegno degli altri, può aumentare notevolmente il suo rendimento complessivo e la qualità del suo lavoro.

La sua caratteristica positiva -> Portata all’estremo diventa -> E non riesce a:
Orientato all’azione -> Impulsivo -> Ascoltare e raccogliere informazioni Autonomo/Indipendente -> Indifferente -> Informare e coinvolge gli altri Autorevole -> Autoritario e dispotico -> Ottenere il sostegno dagli altri
Focalizzato -> Di mentalità ristretta -> Ipotizzare alternative
Orientato ai risultati -> Insensibile -> Accettare i suoi limiti.

Il GIALLO A causa della sua grande disponibilità verso gli altri, a volte fa promesse che non può mantenere, e si lascia facilmente distrarre dalle novità. È motivato dalle relazioni con gli altri e tende a perdere la cognizione del tempo. La sua volontà di aiutare gli altri e di essere parte di una squadra può portarlo a impegnarsi troppo e a non portare a termine le cose. Essendo molto espansivo, può dare l’impressione di mettere sé stesso al primo posto e di non saper ascoltare.

Il giallo può aumentare la sua efficacia rendendosi conto che non può accontentare tutti e che imparando a dire “no” più spesso, può rimanere concentrato sui suoi obiettivi. Deve anche imparare a non confondere l’ottimismo con l’irrazionalità e a capire che le regole sono necessarie anche se non gli piacciono. 

La sua caratteristica positiva -> Portata all’estremo diventa -> E non riesce a:
Disponibile -> Troppo coinvolto -> Fare un passo indietro 
Socievole e estroverso -> Invadente -> Rispettare i confini altrui
Mentalità aperta -> Multi-tasking-> Rimanere focalizzato 
Ottimista -> Utopista -> Essere realista
Pensare in grande -> Idealizzare -> Gestire i dettagli.

Il  VERDE a causa del suo desiderio di mantenere l’ordine e la prevedibilità, può rimanere bloccato nella routine. Il suo bisogno di garanzie può portarlo a perdere delle opportunità interessanti. La sua testardaggine e diffidenza può renderlo rigido. Non volendo opporsi, può sembrare accettare mentre in realtà si tratta di resistenza passiva. 

Il Verde può aumentare la sua efficacia essendo più assertivo, aperto alle novità e imparando ad accettare il cambiamento. 

La sua caratteristica positiva -> Portata all’estremo diventa -> E non riesce a:
Essere cauto -> Negativo -> Vedere le opportunità
Coerente -> Testardo -> Adattarsi al cambiamento
Coscienzioso -> Sospettoso -> Fidarsi degli altri 
Cooperativo -> Ritirarsi -> Assertivo
Metodico -> Rigido -> Essere flessibile.

Il BLU ha un forte bisogno di capire, di mettere in discussione e ha la tendenza a sopravvalutare. Può impantanarsi nelle informazioni. Il suo razionalismo può portarlo a indossare una corazza per tagliar fuori i suoi sentimenti e quelli degli altri. Tende spesso a prevedere il peggior risultato possibile per le situazioni in cui si trova. 

Il Blu può aumentare la sua efficacia imparando a non aspettarsi la perfezione, né da sé stesso né dagli altri, ed esprimendosi più liberamente. Dovrebbe imparare a preoccuparsi meno del più minuzioso dettaglio, ad essere più flessibile con sé stesso e con gli altri. 

La sua caratteristica positiva -> Portata all’estremo diventa -> E non riesce a:
Essere razionale -> Inquisitivo -> Umanizzare
Riservato -> Distante -> Confrontarsi con gli altri
Pianificatore -> Ansioso -> Vedere i risultati positivi 
Dettagliato -> Pignolo -> Avere una visione globale
Rigoroso -> Perfezionista -> Essere flessibile.

Riuscire a conoscere se stessi è molto difficile.
Mi faccio distrarre talmente tanto dall’idea di come vorrei essere o dal pensiero di come credo di essere che perdo di vista chi sono veramente.

Gretchen Rubin

Ecco quattro modi di guardare al tuo stile di management, ognuno con le sue caratteristiche colore ma essenziale come l’altro. Scoprire le tue energie colore ti aiuterà a conoscerti meglio, a comprendere i tuoi punti di forza e di debolezza e ad imparare a utilizzarli al meglio per sviluppare il tuo potenziale e le tue performance, migliorando le tue relazioni lavorative e trasformando la tua vita professionale.

Riferimenti Bibliografici:

Jung, Carl Gustav, Psychological Types, in Collected Works of C.G. Jung, Volume 6, Princeton University Press, 1º agosto 1971.

Isabel Briggs Myers, Mary H. McCaulley, Manual: A Guide to the Development and Use of the Myers-Briggs Type Indicator, 2nd, Palo Alto, CA, Consulting Psychologists Press, 1985.

La natura dell’uomo, in Opere di Ippocrate, a cura di M. Vegetti, pag. 439, Torino, Utet, 1976.

Revelèz le manager qui est en vous! – Patrice Fabart, Editiones EMS 2008

Cristina Turconi
Executive & Business Coach ICF | Formatrice Aziendale | Facilitatrice Lavoro di Gruppo | Master Practitioner in HPM™ Human Potential Modeling | Consulente e Innovation Manager MISE

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Articolo estratto dal testo “Il potenziale umano – Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

Lo stato di flusso (flow) è caratterizzato dal procedere di una azione o serie di azioni che “scorre liscia”, in cui tutto avviene perfettamente (non necessariamente senza ostacoli, ma spesso con ostacoli anche forti che vengono superati), in cui vi è la netta sensazione di controllo sugli eventi ed un senso di euforia e potenza accompagnato da una forte felicità interiore e benessere. 

La condizione che ne deriva è simile all’esperienza di qualcosa che scorre bene, un fluire (flow experience) che si deposita in memoria e al quale si può imparare ad attingere per migliorare se stessi, il proprio benessere e le prestazioni/esperienze future.

Lo stato di flusso non è una condizione puramente atletica o prestazionale, ma essenzialmente esistenziale.

Può entrare in ogni condizione di vita, negli elementi e momenti più vari, quali l’esperienza di leggere un libro o di vedere un tramonto o di conversare attorno ad un tavolo, sciare, giocare a calcio, combattere, meditare, o nell’insegnamento, o nel sesso. Ogni stato esistenziale può essere vissuto in condizione di flusso.

Lo stato di flow può essere sperimentato dagli atleti durante alcuni allenamenti (non in ogni momento, e non da tutti gli atleti). Può emergere anche nella vita di relazione, in un comunicatore durante un discorso (o docente durante una lezione), nel momento in cui senta che il pensiero fluisce con energia, l’espressività si sblocca, si apre un magnetismo speciale sulla platea e il pubblico lo segue intensamente. 

Ancora, può sperimentare lo stato di flusso una coppia, durante atti amorosi o momenti particolarmente romantici, o in atti sessuali vissuti come scambi di emozioni e non come prestazioni ginniche. Ancora, può sperimentare questo stato un terapeuta che riesca a stabilire una netta empatia con il cliente e a far emergere qualcosa di buono (scoperte, insights), durante la seduta.

In campo sportivo, osserviamo un brano è utile per analizzare come lo stato di flusso sia aiutato da rituali preparatori, e capire quanta “presenza mentale” sia raggiunta dall’atleta in questo stato. Si evidenzia inoltre la grande capacità di “contatto con se stessi”, di auto-percezione:

I Quadricipiti secondo Rühl. Esercizio n. 1: Squat.

Quando sento di essere riscaldato a fondo e sono ansioso di cominciare, vado dritto alla rastrelliera per gli squat, senza pensare ad altro che alla percezione di decine di chili sulla schiena e a contrarre i quadricipiti scendendo fino al pavimento, gonfiandoli fino a farli raddoppiare di volume. 

Mi assicuro sempre di controllare bene il movimento, di tenere la schiena dritta e gli addominali tesi. Non mi sbilancio mai in avanti né utilizzo la zona lombare come leva. Salendo e scendendo, spingo il carico sfruttando il perfetto asse di potenza che attraversa il centro del torace, il centro del bacino, il centro dei quadricipiti e il centro dei talloni. Nel primo set cerco di ottenere un forte bruciore muscolare, per assicurarmi di aver stimolato la zona giusta, eseguendo anche 30 ripetizioni se necessario.

Dopo aver allungato e strofinato i muscoli per eliminare in parte l’acido lattico, aggiungo un’altra piastra per lato e ricomincio daccapo, sempre in con una tecnica di esecuzione perfetta, per inondare i quadricipiti di sangue. Nel frattempo, Marc Arnold, mio amico di lunga data e training partner, continua ad urlarmi di rimanere dritto, di tenere i muscoli contratti, di pompare, di fare un’altra ripetizione. Se c’è qualcuno che riesce a darmi la spinta giusta, quello è Marc.

Ora il tempo e i numeri non esistono più. Continuo semplicemente ad aggiungere pesi e a contrarre i quadricipiti, scendendo molto, in modo da sentire la forza sempre più esplosiva nei muscoli interessati. Tra un set e l’altro, me la prendo comoda: non passo al set seguente se prima non riesco a percepire di nuovo i quadricipiti e a sentire che c’è ancora spazio per un nuovo afflusso di sangue. Seguo questo schema per almeno dieci set, spesso dodici, fino a raggiungere il cedimento dopo tre ripetizioni nell’ultimo set. A me piace allenarmi così[1].

“Ora il tempo e i numeri non esistono più”, sostiene il campione mondiale Rühl, e da quel momento inizia lo stato di flusso. 

Questa esperienza di perdita completa del senso del tempo e dello spazio, l’immersione totale nell’esperienza, assume tratti comuni e trasversali sia nelle attività sportive ad alto tasso di “passione e immersività” così come può prodursi in attività lavorative, o in attività creative (dipingere, suonare), sociali (stare assieme, conversare), sentimentali (sognare assieme). 

Può riguardare sia attività fisiche in rapido movimento che attività statiche quali l’ingresso in una meditazione profonda e ben riuscita, o attività di modesta entità fisica ma alta passionalità, quali una partita di carte.

Si può sperimentare lo stato di flusso durante la scrittura di un libro o di una lettera, o la stesura di un disegno, quando parole, segni ed idee sembrano uscire da sole senza sforzo. Al contrario, il blocco del flow viene vissuto come la “pagina bianca” (il vuoto da cui non si sa come muoversi) o una “pagina nera”, densa di ansia, di emozioni negative, in cui ogni gesto costa fatiche immense, e persino l’inizio sembra opera ciclopica.

Il flow può essere vissuto anche durante un momento di abbandono completo ad un massaggio, in cui il tempo sembra fermarsi. I pensieri estranei e le ruminazioni mentali che interferiscono con la concentrazione sull’atto, impediscono al flow di manifestarsi. Imparare a bloccarli per vivere a pieno le esperienze è difficile ma può essere appreso. E tutto questo è complicato dal fatto che non si tratta di un apprendimento che si ottiene una volta per tutte. Esso può sparire in determinate condizioni e rilasciare spazio al pensiero invasivo e alla ruminazione mentale che interferisce. 

Apprendere a generarlo anche in condizioni difficili è una vera conquista e un percorso umano sacro per il quale le culture occidentali sono decisamente impreparate. È quindi anche una sfida didattica e pedagogica per un’umanità migliore.

Lo stato di flusso è un “momento magico” che rappresenta più l’ecce­zio­ne che la norma. Vi sono persone che non hanno mai sperimentato lo stato di flusso in tutta una vita, altre che non lo vivono da almeno dieci anni, immersi fino al collo in problemi, in disagi esterni e auto-creati, o da uno stile di vita o approccio culturale/cognitivo sbagliato.

Trovare lo stato di flusso spesso, idealmente all’interno di ogni giornata e prestazione fisica o comunicativa, è l’obiettivo di una pratica energetica e professionale seria che non abbia l’unico scopo di “arrivare a sera in qualche modo”.

[1] Ruhl, M. (2002), Quadricipiti bestiali, Flex, giugno, n. 44, p. 78.

Per approfondimenti vedi:

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Articolo estratto dal testo “Il potenziale umano – Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

A volte per ottenere il meglio da se stessi è necessario staccare.
Il professionista Martinez così racconta la sua preparazione:

A luglio 2005, l’atleta trentenne ha lasciato l’isola frenetica e soffocata dal traffico di Manhattan per trasferirsi temporaneamente nel distretto si South Street di Philadelphia. Nella sua nuova città, si è buttato anima e corpo nella preparazione per l’Olympia, camminando per le strade di Philadelphia come un novello Rocky intento a prepararsi per il match decisivo della sua carriera agonistica. “Le mie giornate – spiega – erano dedicate soltanto all’allenamento e alla preparazione. Niente attività extracurricolari”[1].

Rompere con l’ambiente circostante di sempre, cambiando il frame spazio-temporale abitudinario, è una tecnica usata nello sport e nell’impresa, quando si vuole ottenere massima dedizione e concentrazione. La tecnica del cambiare città temporaneamente o del cambiare stile di vita, o del cambiare palestra, o luogo di lavoro, o del “ritiro”, è una pratica vincente per molti professionisti sportivi e team, ma anche di artisti e pensatori che cercano di ottenere uno stacco totale dallo stile di vita o da aspetti particolari dell’am­bien­te precedente (fisico e sociale), per trovare nuova linfa e concentrazione. 

Il monotasking, il “ritiro spirituale” o “ritiro di concentrazione” per la ricerca delle performance – rompere con gli schemi e cambiare registro

Ciò che rimane nel non detto, è da cosa esattamente si stia sfuggendo. Spesso si tratta di una coltre di nebbia mentale, di uno smog psicologico non ben definito, di abitudini o climi psicologici che è persino difficile identificare. Quello che conta è che la tecnica del ritiro e/o del cambiamento di ambiente funzioni, e che possa essere utilizzata per ottenere nuova linfa vitale e nuova concentrazione rompendo con gli schemi precedenti.

La concentrazione, lo stacco dagli schemi abitudinari della vita quotidiana, la separazione mentale delle attività, sono forti strumenti per la ricarica delle energie psicologiche. Nel caso precedente abbiamo visto l’esempio di uno stacco estremo, cambiare città, ma in molti altri casi lo stacco può essere ottenuto anche durante la giornata. 

Vediamo questa testimonianza in ambito sportivo, su come nelle arti marziali (quando condotte da maestri preparati, non da dilettanti) si vada alla ricerca di quella condizione interiore che permette al partecipante di “cambiare registro” ed entrare in una dimensione più profonda:

Spesso la meditazione ha luogo alla fine e all’inizio delle lezioni. Tuttavia il fatto stesso di arrivare al Dojo, di liberarsi degli indumenti quotidiani per indossare il nostro Gi, Dobok o quello che è, metterci la nostra cintura, è in se un atto di preparazione per adattare la nostra mente all’altro spazio-tempo che compone la nostra pratica nel Do-jo (il posto del risveglio).

La meditazione ed i saluti iniziali sono un passo in più nel già citato processo. Persino nella loro pratica esclusivamente formale tali cerimonie facilitano il transito dalla stressante quotidianità, fino ad un atteggiamento diverso, dove i valori, i tempi e persino la misura del nostro sforzo sono molto differenti. Qui il denaro non comanda, comanda il Maestro; il nostro tempo non ci appartiene, è gestito dal Maestro e dalla dinamica del gruppo; il corpo, spesso trascurato nel nostro quotidiano, acquisisce ora un protagonismo distinto, diventa presente e richiama la mente e le emozioni a condividere lo sforzo. Uno sforzo che non si realizza per ottenere denaro, oggetti o sesso, uno sforzo che ci porterà un unico regalo, l’autosuperamento[2].

Se esiste una capacità dimenticata oggi in azienda è la presenza mentale, la concentrazione strategica.

Principio 10 – Energie mentali, presenza mentale e mono-tasking

Le energie mentali diminuiscono o si esauriscono quando:

  • le risorse attentive non sono pienamente presenti e concentrate;
  • l’individuo utilizza le proprie energie attentive (cognitive) ed emotive su più fronti contemporanei (multitasking);
  • l’individuo sottostima il grado di difficoltà insito nel compiere bene un’azione o affrontare un problema;
  • l’individuo non riesce ad isolare le attività prioritarie, o a rinunciare alla dedizione verso tempi estranei al goal, durante il tentativo di perseguire il goal stesso;
  • viene utilizzato uno stile di pensiero errato rispetto al compito.

Le energie mentali aumentano quando:

  • vengono allenate le capacità di concentrazione e presenza mentale;
  • vengono praticate attività atte a favorire la lucidità mentale (rilassamento, meditazione, tecniche di training mentale condotte da professionisti);
  • l’individuo concentra le attenzioni ed energie su un problema o progetto, evitando la dispersione (rimozione del multitasking);
  • l’individuo apprende a svolgere stime corrette rispetto al dispendio di energie mentali di attenzione e concentrazione necessarie, senza sopravvalutarle (ingigantimento della sfida) o sottovalutarle (sottostima);
  • l’individuo apprende a compiere azioni sfidanti con maggiore efficienza mentale, utilizzando stili di pensiero (stili cognitivi) postivi e risolutivi.

[1] Berg, M. (2006), La svolta di Victor, Flex, n. 4, pp. 70-79. Rif., p. 75.

[2] Tucci, A. (2005), Concentrazione e meditazione nelle arti marziali, Budo International, settembre, p. 62.

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L’ansia, uno dei mali più drammatici della società contemporanea, è stret­tamente correlata allo stress. 

L’ansia è – nella nostra visione – il prodotto di un incremento di attivazione mentale (arousal) mixato ad emozioni negative (paura, angoscia, timore, apprensione). La sola attivazione mentale, di per se positiva, acquisisce nell’ansia sfumature negative e innesca un dialogo interiore tutto centrato sugli eventi negativi, producendo un “sequestro emotivo” della persona.

L’ansia può essere uno stato permanente o prodursi in relazione ad alcuni eventi scatenanti o trigger (eventi che l’individuo vede come problematici, es, parlare in pubblico, stare in situazioni pubbliche, o prendere un aereo, una galleria, o in ambiti sociali e nella vita di relazione).

Alcuni autori erroneamente espongono il concetto di “ansia positiva”, intesa come fonte di energie. In realtà è corretto trattare come fenomeno ipoteticamente positivo unicamente l’arousal (aumento dell’attivazione mentale), mentre l’ansia – espressa come un correlato tra attivazione ed emozioni negative – porta con sé numerosi rischi dal punto di vista psicoenergetico.

Capacità di gestione dell’ansia

Si distingue nella letteratura tra:

  • ansia di stato (collegata ed eventi specifici, es., prendere l’ascensore), e
  • ansia di tratto (componente ansiosa più permanente, insita nella personalità dell’individuo, con componenti che possono essere sia di derivazione genetica che apprese durante la vita).

Il training psicoenergetico adeguato consiste in diverse linee di attacco:

  • eliminare l’arousal connesso agli eventi scatenanti o trigger, tramite tecniche di rilassamento, refraiming cognitivo o ristrutturazione cognitiva; eliminare l’ansia situazionale nei contesti precisi in cui si presenta (es., prima di una lezione, prima di un discorso pubblico);
  • associare gli eventi scatenanti o trigger ad emozioni positive, con una ristrutturazione cognitiva profonda, es. trasformare l’ansia da lezione in gioia per l’essere protagonista di una relazione d’aiuto, gioia del dare e dell’aiutare il prossimo a capire o a crescere; questo richiede smontare la componente competitiva insita nella prestazione didattica (io contro loro) e sostituirla con la componente della relazione di aiuto (io per loro);
  • affrontare la componente ansiosa della personalità e quella appresa (ansia di tratto). Questo può richiedere di andare alla ricerca del disagio trans-generazionale (assorbimento di ansia dai genitori e altri referenti importanti nel passato della persona) e degli schemi mentali appresi che la producono e mantengono in vita. Quando sono stati appresi? Da chi? Come rimangono attivi? Quali relazioni personali e culturali la mantengono elevata? Quali abitudini dobbiamo sradicare? Quali inserire? Un lavoro profondo richiede anche la ricerca dei messaggi genitoriali o sociali assimilati che la alimentano (es.: devi riuscire a qualsiasi costo), delle credenze disfunzionali che vivono nella mente dell’individuo, e come virus mentali la danneggiano, dei prototipi cognitivi personali (relazioni tra valori, credenze, atteggiamenti) che la nutrono (es.: devi sempre essere perfetto altrimenti non vali).

Principio 4 – Ansia ed energie mentali

Le energie mentali diminuiscono o si esauriscono quando:

  • si innesca nell’individuo attivazione (arousal) associata ad emozioni negative, rispetto a compiti, situazioni, aspetti della vita o dell’esperienza;
  • l’individuo possiede una componente elevata di ansia di tratto (ansia caratteriale) assimilata durante la crescita o alimentata da prototipi di pensiero e credenze disfunzionali,  da modelli di pensiero assorbiti dai genitori o dalla società non localizzati e schermati;
  • l’individuo subisce ansia situazionale, e non pratica attività di riduzione localizzata tramite tecniche di rilassamento o altre forme di training;
  • l’individuo non affronta il fenomeno della propria ansia di derivazione trans-generazionale (trasmissione del disagio psichico) in modo sistematico;
  • l’individuo non ricerca ed affronta i propri prototipi cognitivi disfunzionali (sistemi di pensiero) produttori di ansia e gli stili di vita che la alimentano.

Le energie mentali aumentano quando:

  • l’attivazione (arousal) per azioni o eventi viene ripulita dalle componenti emotive negative;
  • l’individuo riesce a localizzare e ridurre l’ansia di stato (ansia legata a task specifici e situazioni specifiche);
  • vengono svolti con successo interventi di riduzione dell’ansia di tratto (elemento ansioso della personalità, ansia caratteriale);
  • vengono localizzati e riconfigurati i prototipi di pensiero che alimentano l’ansia e il disagio psichico, anche di fonte traumatica, transgenerazionale o culturale;
  • vengono praticate attività costanti e programmatiche di riduzione dell’ansia, con un programma specifico seguito professionalmente, volto anche alla rivisitazione dello stile di vita.

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Più le persone si sentono sicure e protette nel loro nucleo, più saranno in grado di esplorare i territori sconosciuti che devono affrontare.

Comprendere l’atmosfera generale che regna all’interno di un gruppo di lavoro è di vitale importanza. All’interno del gruppo le persone possono trovarsi in un momento culmine di attacco-difesa, attacco-fuga, eccitazione-apatia o depressione. Quel sentire interiore va accolto, esplorato e governato in modo da riuscire a ricreare un contesto lavorativo sicuro.

Il contagio emotivo all'interno dei gruppi di lavoro

In un gruppo le emozioni hanno la grande peculiarità di potersi amplificare.
Si tratta di un vero e proprio “contagio emotivo” un fenomeno ben documentato [1].
E’ facile che le emozioni si propaghino da persona a persona, anche quando quell’emozione non sia stata direttamente generata dalla persona stessa. Rabbia, paura, depressione sono tra le emozioni più dilaganti; ma anche la gioia, la risata, l’entusiasmo possono diventare emozioni contagiose. Questo succede quando qualcuno sperimenta un’emozione molto forte, che sia di gioia e ilarità o paura e ansia, o dubbio e rabbia; quello stato emotivo così intenso, può diffondersi agli altri in una modalità che è simile a quella di un virus infettivo.

Ti è mai successo di avere un collega che ti suscita tensione senza un motivo ben preciso? Puoi percepire l’atmosfera così tesa tanto che questa sgradevole sensazione potrebbe incidere sul tuo umore, ostacolando le tue prestazioni.

Perché succede questo? Come funziona? In virtù della presenza dei neuroni specchio nel nostro cervello. Grazie a questi neuroni, quando qualcuno si muove, agisce o si emoziona, la nostra neurologia ci prepara letteralmente a imitare quelle stesse emozioni che ci permettono poi di “farci sentire” proprio come loro. I neuroni specchio sono infatti quelle aree cerebrali che ci consentono di ricevere e sentire emozioni vissute da altri esseri viventi [2]. Tutto ciò è funzionale quando le emozioni vissute e condivise all’interno del gruppo sono quelle di cura, compassione o entusiasmo gioioso, ma può rivelarsi una sfida per l’efficacia del gruppo stesso, quando le emozioni vissute e condivise sono quelle di paura, ansia, dubbio, rabbia, risentimento, odio, etc.

Gestire le emozioni del gruppo in condizioni di: complessità (dove possono prevalere sensazioni di confusione, tensione e agitazione), imprevedibilità (che trascina con sé sentimenti di insicurezza, paura della perdita di controllo e apprensione) e turbolenza (collegata a stress, ansia generalizzata, paura, delusione e depressione), diventa un compito primario per ogni organizzazione, che deve viaggiare in parallelo alle attività da svolgere quotidianamente e ai risultati da perseguire [3].

I problemi causati da questi processi emotivi nascosti, invisibili e intangibili come pure le invidie, i pregiudizi e le ferite del passato, non possono essere risolti in modo lineare, razionale e strutturato se prima non si è lavorato per esplorare i “disturbi” dell’atmosfera emotiva della squadra [4].

Qual è l’atmosfera emotiva
che si percepisce nel tuo gruppo?

Sei in grado di descriverla?

Vivere emozionalmente la leadership significa essere pienamente consapevoli degli stati emotivi soggettivi, degli stati altrui, e degli scambi emozionali che avvengono nel gruppo [5].

Coltivare l’empatia, diventare più sensibili nei confronti degli altri, rimanere centrati nei momenti più tempestosi per riuscire a trasmettere un senso di sicurezza, è una delle prerogative indispensabili per chiunque si appresti a gestire e guidare i gruppi di lavoro in un momento storico così particolare. La formazione e la facilitazione esperta possono rivelarsi una valida risposta per portare nuova luce nelle organizzazioni e attivare dinamiche più ecologiche e rispettose dell’essere umano che partecipa alla vita di un gruppo.

[1] Darwin, C. (1872). L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali. Newton Compton 2006.

[2] Cattaneo, L. e Rizzolatti, G. (2009). The Mirror Neuron System. Archives of Neurology.

[3] L. Michael Hall, Ph.D. (2013). Group and Team Coaching. Expect emotional contagion in the group. 

[4] Arnold Mindell. (2011). Essere nel fuoco. Process Work – Lavorare con il campo. AnimaMundi e Terra Nuova Edizioni.

[5] Dr. Daniele Trevisani (2016). Team leadership e comunicazione operativa. Attivazione di osmosi energetiche ed emotive, assorbimento ambientale. FrancoAngeli.

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Energie e capacità mettono le persone in grado di dirigersi verso i propri obiettivi o scopi, siano essi già inquadrati come progetti con un output preciso, o semplici idee ispiratrici, ancora non definite o ben focalizzate.

I tre grandi piani di lavoro (energie personali, competenze, obiettivi), sono variabili tecniche, ma dietro ad esse si trova uno sfondo umanistico enorme, dalle grandi implicazioni, che vogliamo esaminare. Ottenere risultati e tagliare i propri traguardi è un tema importante per l’individuo, per un gruppo (team sportivo, team aziendale), e per un’intera organizzazione o azienda, persino per una nazione o l’intera umanità.

La quantità di implicazioni psicologiche che si ritrovano dietro ai risultati, tuttavia, è impressionante. Solo chi li ha faticati in prima persona è consapevole dello sforzo, delle energie mentali e motivazionali spese per attività che apparivano, a prima vista, banali o puramente tecniche.
A volte non sono gli obiettivi ad essere difficili, ma le persone.

Ad esempio, la prestazione in un esame dipende sia dalla conoscenza della materia (aspetto tecnico) ma anche dalla capacità di gestire emozioni, ansia e attesa, essere comunicativi e mentalmente presenti (componente psicologica), e questa è ben più difficile da affrontare che non lo studio di una materia.

Anche nello sport, vincere una partita prevede la capacità di creare un team vincente, lavorare ai climi psicologici del gruppo, sostenere le individualità, creare uno spirito di squadra. Chi dimentica questo perde. Lo sanno bene le nazionali forti che possono subire sconfitte pesanti e umilianti anche da squadre di paesi semisconosciuti, se affrontano l’impe­gno con “sufficienza”, o si trovano nella condizione psicologica sbagliata, mentre gli avversari sono iper-motivati e affamati di vittoria.

Anche in azienda il fuoco della motivazione e della passione, e le qualità mentali, fanno la differenza: un progetto davvero innovativo prima si pensa, poi vi si investe. La qualità del pensiero viene prima. 

Raggiungere obiettivi

Una distinzione fondamentale consiste nel riconoscere che esiste una matrice di obiettivi, e questa parte da risultati molto focalizzati (micro-goal, come rimanere positivi nei vari momenti di un’attività, anche se impegnativa), passa per obiettivi più ampi (es.: gestire bene un progetto cui teniamo), sino a salire agli obiettivi esistenziali (Life Objectives), come il bisogno di vivere a pieno la vita, e la ricerca della felicità. In ciascuno di questi stadi vi sono catene da spezzare e cose da imparare.

Secondo questa visione, vivere pienamente significa ben più che esistere
Questo ha ripercussioni non piccole sul concetto stesso di performance e di potenziale umano. Come sostiene Oscar Wilde:

La cosa più difficile a questo mondo?
Vivere! Molta gente esiste, ecco tutto. 

– oscar wilde –

Quindi, fissiamo immediatamente un concetto: si possono ottenere performance senza lavorare sul potenziale umano seriamente (es.: doping, o comprare un risultato) ma questo non ci interessa, non è il nostro fine. Anzi, questi pseudo-risultati sono il polo negativo, il male, le bugie, le false promesse, ciò da cui vogliamo stare lontani. 

Il lavoro che ci apprestiamo a fare infatti è quello allenante, preparatorio, formativo, costruttivo, il dare forma (Modeling) al potenziale e alle prestazioni tramite un lavoro serio, fatto di continuità, tecnica, strategia, sudore.

Due elementi fondamentali di una prestazione umana sono: (1) gli scopi (obiettivi) e (2) il loro grado di raggiungimento (nullo, intermedio, totale). 

Rispetto agli scopi, ci concentriamo soprattutto su quelle prestazioni o performance che hanno un senso di contributo, diliberazione, di espressione, di emancipazione. In altre parole, le prestazioni non solo meccaniche.

Rispetto al grado di raggiungimento, consideriamo che esso sia una funzione strettamente dipendente dal tipo di potenziale raggiunto (dalla persona, dal team, dall’organizzazione), e che per l’eccellenza bisogna lavorare sulla crescita strutturale più che sui risultati immediati. È la nostra visione.

È più importante insegnare ad un atleta a gestirsi, a non bruciarsi, ad avere una carriera e una vita, a trovare equilibri, che non spremerlo e gettarlo per una singola gara o stagione. 

Lo stesso per avere manager e professionisti preparati in azienda: stiamo o no creando un sistema che li formi, una palestra di formazione aziendale? Se non abbiamo un programma serio in merito, non lamentiamoci se dovremo richiamare i pensionati. In ogni squadra seria si coltiva un vivaio e un settore giovanile, e questo vale anche in azienda. Molti vogliono risultati senza investire, e spremono l’azienda, ma non fanno crescere le persone.

Ancora una volta, vogliamo lavorare alle condizioni che permettono di ottenere i risultati quando li desideriamo, senza attendere manna dal cielo o la fortuna. Il nostro approccio considera le performance vere non solo come atti tecnici, ma espressioni di libertà, applicazioni di una volontà emancipata di andare oltre, di scegliere (Free Will), un concetto che sta entrando finalmente nella letteratura anche manageriale:

La libera volontà è l’abilità di un agente di selezionare un’opzione (comportamento, oggetto, etc.) da una serie di alternative[1]. Lo spirito di fondo è sempre quello di un messaggio positivo, ciò che un padre vuole trasmettere ad una figlia, o figlio, o al prossimo, rispetto alle energie e alla vita: ogni volta che ti svegli, pensa positivamente a cosa fare di buono oggi. Ogni volta che vai a dormire, rivedi le cose buone accadute, sensazioni positive che avresti dato per scontato. Poi, pensa a cosa ti piacerebbe fare di buono domani, cosa ti renderà felice, che contributo puoi dare a te e agli altri, in cosa puoi applicarti bene. Fai cose che ti daranno energie, riduci quelle che ti impoveriranno spiritualmente e fisicamente. 

Non lasciarti spegnere. Ogni volta che sei triste chiediti se la tristezza ti merita o se puoi dirottare le tue energie verso qualcosa di positivo. 
Ogni volta che guardi avanti cerca il bene, e quando ti guarderai indietro sarai orgogliosa di te. Questo è rendere omaggio al dono di esistere. 

Agire, provarci, in modo da potersi guardare indietro con senso dell’onore, è luce, un bisogno che traspare in ogni storia vera, in ogni cultura umanistica e spirituale, come si intravede bene in questa testimonianza dagli Indiani d’America:

“Oh Grande Spirito, la cui voce ascolto nel vento,
il cui respiro dà vita a tutte le cose.
Ascoltami; io ho bisogno della tua forza e della tua saggezza,
lasciami camminare nella bellezza,
e fa che i miei occhi sempre guardino il rosso e purpureo tramonto.
Fa che le mie mani rispettino la natura in ogni sua forma 
e che le mie orecchie rapidamente ascoltino la tua voce.
Fa che sia saggio e che possa capire le cose che hai pensato per il mio popolo.
Aiutami a rimanere calmo e forte di fronte a tutti quelli che verranno contro di me.
Lasciami imparare le lezioni che hai nascosto in ogni foglia ed in ogni roccia.
Aiutami a trovare azioni e pensieri puri per poter aiutare gli altri.
Aiutami a trovare la compassione 
senza la opprimente contemplazione di me stesso.
Io cerco la forza, non per essere più grande del mio fratello,
ma per combattere il mio più grande nemico: Me stesso. 
Fammi sempre essere pronto a venire da te con mani pulite e sguardo alto.
Così quando la vita appassisce, come appassisce il tramonto,
il mio spirito possa venire a te senza vergogna”.

Preghiera per il Grande Spirito, 
Tatanka Mani (Bisonte che Cammina) (1871-1967)


[1] Mick, D. Glen (2008), Degrees of Freedom of Will: An Essential Endless Question in Consumer BehaviorJournal of Consumer Psychology, 18 (1), 17-21.

Per approfondimenti vedi:

Cristina Turconi
Executive & Business Coach ICF | Formatrice Aziendale | Facilitatrice Lavoro di Gruppo | Master Practitioner in HPM™ Human Potential Modeling | Consulente e Innovation Manager MISE 

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Articolo estratto dal testo “Il potenziale umano – Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

La fragilità emotiva viene individuata nei test specifici di Caprara, Perugini, Barbaranelli e Pastorelli come congiunzione di due tratti: 

la scala risulta dall‘integrazione di due scale, quella di Suscettibilità Emotiva, che misura la propensione dell’individuo a porsi in una posizione di difesa, a sperimentare stati di disagio, di inadeguatezza e di vulnerabilità in situazioni, presunte o reali, di pericolo, di offesa e di attacco, e quella di Persecutorietà, che osserva la tendenza dell’individuo a sperimentare sentimenti vissuti di persecuzione e tensione, legati all’anticipazione o alla paura di una punizione incombente[1].

Altri studiosi danno della fragilità emotiva visioni diverse e utilizzano scale e costrutti diversi per misurarla. 

Per noi, ciò che conta è riuscire a toccare con mano il problema, aiutare con un coaching professionale le persone a superare le proprie fragilità emotive e andare verso il loro futuro con maggiore serenità e gioia. 

Fragilità emotiva e stress emotivo

Stare lontani dalle proprie paure è inizialmente saggio ma riduce progressivamente il proprio territorio di vita. Nel lungo periodo non è sostenibile. 

Correre incontro alle proprie paure è invece un atteggiamento stupendo, un’acquisizione esistenziale, un traguardo in sè, un atteggiamento che può essere conquistato con un training e supporto adeguato. Ma non nascondiamo la realtà: è più facile da dire che da fare. Verissimo. Sacrosanto. Ma non sufficiente a fermarci.

Correre verso le nostre paure non è impossibile. Milioni di persone riescono a superare le proprie paure e fragilità e chiunque di noi ha il potenziale per farlo. Occorre solo farlo emergere, trovare un supporto, avere un metodo, e con impegno e dedizione diventa fattibile.


[1] Caprara, G. V., Perugini, M., Barbaranelli, C., Pastorelli, C. (2008), Scala per la misura della Fragilità Emotiva, Giunti O.S., Firenze.

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Articolo estratto dal testo “Il potenziale umano – Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

Chi si occupa di potenziale umano e di performance con fini professionali ha in mente sicuramente traguardi veri e forti di miglioramento, per sé e gli altri. Se così non fosse saremmo veramente fuori strada. Chi svolge questo tipo di missione con fare burocratico o apatico ne stravolge realmente il senso.

Ne deforma il senso anche chi confonde le performance di superficie (più eclatanti ed evidenti) con le performance profonde (crescita personale, evoluzione spirituale), e investe solo sule prime e poco sulle ultime.

Facciamo un esempio pratico rispetto al coaching educativo e al ruolo di un learning coach. Far sì che un ragazzo/a dia il meglio di sé nella scuola o università è il motore morale corretto, e soprattutto che trovi equilibrio tra studio e attività fisica, senza scompensi che lo danneggino nel lungo termine. Essere i primi della classe ma non amare lo studio è pura distorsione.

Le società iper-competitive che premiano solo chi arriva in alto, chi primeggia, i vincenti forzati , creano mostri. Confondono il contributo con la posizione. La domanda che qualcuno, al termine dei nostri giorni, dovrebbe porci, non è “dove sei arrivato”, ma “a cosa hai contribuito veramente”?

Questo è un nuovo metro di misura da adottare. Per un manager, per un trainer, per un politico, per un ricercatore, e per ogni essere vivente, vivere a pieno non significa “smarcare” le proprie giornate arrivando a sera in qualche modo. Significa assumersi in pieno il ruolo di “contributori”.

Dare il meglio di sé

Dare il meglio di sè non equivale a primeggiare. Significa invece essere parte di un ideale, e concretizzarlo in piccoli cambiamenti di atteggiamento. 

Nello studio, non sarà il singolo voto a contare, ma l’avvio di un nuovo atteggiamento di amore verso lo studio o verso una materia. Sarà un nuovo senso di sfida positiva, o il piacere dell’apprendere, a dirci se siamo o meno sulla strada giusta. Ancora una volta: dare il meglio di sé non è studiare per il singolo voto ma studiare per apprendere. 

La pura performance (il voto), è secondaria, è una cartina di tornasole di cosa succede dentro, ma non è il dentro, e, addirittura, se fosse regalato o frutto di copiatura non ci direbbe niente sullo stato di avanzamento della persona. Proponiamo questa libera riflessione di Madre Teresa di Calcutta, come stimolo di riflessione, aperto sia a critiche che apprezzamenti:

Il meglio di te

L’uomo è irragionevole,
illogico, egocentrico:
non importa, amalo.


Se fai il bene,
diranno che lo fai
per secondi fini egoistici:
non importa, fa’ il bene.


Se realizzi i tuoi obiettivi,
incontrerai chi ti ostacola:
non importa, realizzali.


Il bene che fai
forse domani verrà dimenticato:
non importa, fa’ il bene.


L’onestà e la sincerità
ti rendono vulnerabile:
non importa, sii onesto e sincero.


Quello che hai costruito
può essere distrutto:
non importa, costruisci.


La gente che hai aiutato,
forse non te ne sarà grata:
non importa, aiutala.


Dà al mondo il meglio di te,
e forse sarai preso a pedate:
non importa, dà il meglio di te.

Queste parole non sono vuote, possono essere concretizzate.
Coach e formatori impegnati e seri lavorano per rendere concreta l’espressione di sé e dei potenziali. 

Un coaching analitico ricerca la crescita della persona e non la crescita di un lato della persona a scapito dell’equilibrio complessivo. Spremere un frutto e gettarlo non è il nostro fine. Il nostro fine è coltivare la pianta.

Dare il meglio non significa bruciare se stessi o gli altri, spremersi sino a distruggersi. Anche in un coaching sportivo vale lo stesso principio. Operare per rendere un atleta una persona d’onore, seria, impegnata, continuativa, deve essere il motore psicologico di un coach sportivo. Vincere una stagione e bruciarla per il resto della vita non è coaching, è uccidere la persona.

Lo stesso nel TeamCoaching. Fare di una squadra un gruppo con dei valori e degli ideali, un gruppo che quando va in campo dà il meglio di sé, un gruppo che vuole esprimersi ed essere sempre orgoglioso di come ha giocato e dello spirito che ha, è lo scopo di uno team-coach

Stesso discorso sul piano aziendale. Un coach aziendale, un formatore o consulente serio, puntano alla realizzazione delle potenzialità (nel coaching manageriale). O, nel lavoro sulla leadership, avremo successo quando un leader smette di fingere a se stesso e agli altri, procede verso una direzione di autenticità e maturità prima di tutto come persona. 

Nella consulenza, avremo obiettivi diversi, come il trovare nuovi equilibri solidi, e non necessariamente aumenti di fatturato “di facciata”, se possono nascondere drammatiche crisi di solidità aziendale vera. 

Ed ancora, un formatore aziendale non è felice solo per come finisce la giornata formativa, ma per lo spirito che lo anima, e con cui entra: si entra nell’aula con anima combattiva (o missionaria), voglia di incidere, creare pensiero e crescita. Questo significa aiutare il gruppo che ha davanti a sè a riflettere su come pensa e come lavora, fargli fare esperienze impattanti ma soprattutto utili, portargli stimoli e concetti che allargheranno il loro patrimonio professionale o ne rimuovano incrostazioni. 

Un trainer serio non si accontenta di “smarcare” una giornata, dire o fare qualsiasi cosa faccia divertire il pubblico e gli dia punteggi elevati sulle “valutazioni” di fine corso. 

Per far emergere il meglio delle persone bisogna anche essere disposti ad andare controcorrente, a rischiare, a difendere un concetto in cui crede.

Un ulteriore commento: dare il meglio di sé è un atteggiamento che si può apprendere, è stimolabile e generabile tramite un buon modeling, e fare da esempio agli altri, ove possibile, è una nostra precisa responsabilità.

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