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Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team

leadership conversazionale

Competenze comunicative del leader

La leadership conversazionale contiene modalità espressive “dure” e modalità “morbide”. Con un mix situazionale adeguato, è possibile uscire dalla linea da “encefalogramma piatto” che caratterizza troppe conversazioni aziendali e familiari. Se dirigere significa gestire risultati (come spesso accade nelle organizzazioni), appaiono necessari almeno tre comportamenti comunicativi di repertorio del leader:

•     fissare ciò che si desidera e specificare come si desidera che un compito venga svolto;

•     rinforzare in positivo (premiare) i comportamenti positivi;

•     far capire se qualche cosa non va perché non va, e se serve, rinforzare in negativo (sanzionare, punire) i comportamenti negativi.

Avremo quindi un repertorio minimo costituito da fissazione delle attese, rinforzi positivi e rinforzi negativi.

Fissazione delle attese

•     Mi aspetto che…

•     Desidero che…

•     È opportuno che…

•     Voglio che…

•     Il nostro obiettivo è…

•     Vorrei che fosse raggiunto in questo modo…

•     Mi aspetto che vi comportiate così…

•     Voglio essere avvisato quando…

•     Se (x) allora (y)…

Rinforzo positivo

•     Apprezzo…

•     Mi fa piacere…

•     Sei stato bravo nel…

•     Vedo che…

Rinforzo negativo

•     Non mi piace quando…

•     Non mi va bene che…

•     Trovo sbagliato che…

•     Non accetto che…

•     Trovo inopportuno che…

•     Questa cosa fatta così provoca questi risultati che non vogliamo…

Uno dei problemi più forti della leadership è l’abuso del rinforzo e la mancanza della fase di fissazione. Crea problemi gravi anche la mancanza di rinforzo. Vediamo in rapida rassegna le diverse problematiche nello specifico.

Mancanza del rinforzo positivo

È il caso tipico in cui un comportamento positivo, mosso da intenzioni ammirevoli, o condotto con particolare dedizione, non viene riconosciuto. La mancanza di riconoscimento è un dramma sociale odierno: gli individui vengono criticati quando sbagliano ma è raro che siano premiati quando agiscono bene. La mancanza del rinforzo positivo crea demotivazione, riduce il senso di appartenenza alla comunità/organizzazione, e stimola l’abbandono del comportamento positivo.

I programmi di “pride & recognition” (letteralmente “orgoglio e riconoscenza, riconoscimento”) si prefiggono di agire esattamente su questi punti.

Abuso del rinforzo positivo

Il rinforzo positivo deve essere correlato a specifici comportamenti e atteggiamenti target. L’adulazione immotivata, i premi non meritati, le gratificazioni “a pioggia” distruggono il principio base della meritocrazia, in base al quale chi maggiormente crea valore per la propria organizzazione viene maggiormente premiato.

Si potrà certamente valutare se la meritocrazia debba essere praticata in base ai risultati (obiettivi raggiunti) o agli sforzi (impegno personale), o ad altri parametri ancora. È certo comunque che i premi o riconoscimenti non ancorati a obiettivi specifici non portano alcun risultato e non creano leadership, mentre al contrario saper dispensare premi e riconoscimenti in relazione a precisi obiettivi o comportamenti rinforza la leadership.

Mancanza del rinforzo negativo

Uno dei problemi più frequentemente riportati dagli amministratori delegati o presidenti di imprese è che i propri massimi dirigenti non “suonano la campana”, non richiamano al­l’ordine, quando ve ne sarebbe motivata occasione. Non spiegano quando qualche cosa non va, perché non va, e quali conseguenze negative possono derivarne.

Il problema nasce da diverse possibili fonti:

•     uno stile di gestione “buonista” o “paternalista” che tende sempre a ricercare scusanti per la mancanza di rispetto delle regole aziendali o delle attese;

•     il timore di affrontare le persone direttamente, faccia a faccia (incapacità assertiva);

•     il timore di ripercussioni negative sui climi aziendali;

•     la speranza che il problema si risolva da solo o non si ripresenti più per puro caso.

Queste strategie sono tutte fallimentari, poiché:

•     lo stile di gestione “buonista” o “paternalista”, se elimina il rispetto delle regole, produce climi nei quali le persone utilizzeranno gli strumenti aziendali unicamente per i fini personali, si perderà di vista la missione aziendale a vantaggio della ricerca del puro tornaconto personale (potere, denaro) utilizzando unicamente l’azienda come mezzo. È il caso tipico di molte aziende a gestione pubblica, in cui emeriti incompetenti continuano a fare avanzamenti di carriera, completamente scollegati a risultati prodotti, e soprattutto i cui errori, anche gravi, non vengono mai puniti. In questo modo non si produce alcun incentivo al miglioramento;

•     l’incapacità di essere assertivi, il timore di affrontare le persone direttamente, faccia a faccia, è un modo di agire che non si confà al ruolo di un leader. È necessario introdurre questa capacità tramite le tecniche di assimilazione progressiva (uscita dalla comfort zone, incursioni progressive nella zona di cambiamento, e ricerca/azione comportamentale per imparare un’assertività equilibrata);

•     timore di ripercussioni negative sui climi aziendali: in realtà l’unica ripercussione negativa si avrà dalla mancanza di rinforzo. Gli eventuali malumori e passaparola negativi di chi non apprezza i rinforzi negativi sono un risultato desiderato che amplifica il concetto “qui puoi fare quello che ti pare tanto non succede niente” oppure “qui dentro, quando si fa sul serio, non si scherza”;

•     speranza che il problema si risolva da solo o non si ripresenti più: se un comportamento contrario alle regole e alle attese permane, non solo si ripresenterà, ma si allargherà come un cancro ad altre persone, ad altri comportamenti, ad altri reparti, e a tutta la cultura aziendale. I problemi che nascono da atteggiamenti sbagliati non si correggono da soli, occorre intervenire su atteggiamenti, credenze e valori che li determinano, e sulle specifiche persone che li producono.

Abuso del rinforzo negativo o punizione immotivata

Vi sono leader la cui unica arma di controllo è il “bastone”, e il cui unico repertorio comunicazionale è dato dal redarguire, criticare, demolire, avvilire, provocare, aggredire.

Questi comportamenti sono concessi unicamente a fronte di deviazioni dalle regole e dai sistemi di attese, e non possono essere la prassi. Tra l’altro, una buona selezione iniziale e un buon patto d’ingresso dovrebbero eliminarli in larga misura ancora prima che essi si possano presentare.

Il rinforzo negativo (attacco, punizione) quando immotivato è distruttivo per il clima motivazionale, elimina alla radice la volontà di impegnarsi per l’azienda e per le persone che praticano questo comportamento.

La prassi comunicativa adeguata consiste nel capire il motivo del mancato rispetto, del comportamento deviante, e sanzionare solo gli aspetti che realmente denotano la mancanza di volontà nel non rispetto delle regole.

Mancata fissazione del sistema di attese

La problematica di leadership conversazionale più forte in assoluto è la mancata fissazione del sistema di attese, l’apertura del discorso su “co­me vorrei si lavorasse”, del “che cosa mi aspetto da te”, l’esplica­zio­ne dei valori personali e di come questi si traducono in attese verso i membri del team.

Finché il sistema di attese non viene fissato, non è possibile aspettarsi un rispetto delle regole o sperare che queste vengano “immaginate” dai membri del team. Salvo alcuni valori di base quali rispetto personale, dedizione, rispetto degli orari e della parola data, la stragrande maggioranza dei comportamenti ha tassi alti di variabilità operativa e richiede che vengano prese posizioni esplicite, chiarendo i possibili punti di fraintendimento.

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online:

Temi e Keywords dell’articolo:

  • Leadership
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  • Comunicazione assertiva
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  • Rinforzi negativi
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  • Climi aziendali
  • Competenze comunicative
  • Direzione dei team
  • Clima motivazionale
  • Direzione aziendale

Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team

L’urgenza di un approccio conversazionale ed emozionale

Non potremmo mai dirci arrivati come razza umana finché il lavoro non sarà un piacere per tutti, un’esperienza piacevole da condividere, e non qualche cosa che cerchi disperatamente se non l’hai e arrivi a odiare quando l’hai. Al centro del­l’analisi si collocano i “climi comunicativi” e le problematiche connesse alla gestione di gruppi (leadership), la performance (capacità di raggiungere obiettivi), il vissuto emotivo e la qualità del tempo trascorso al­l’interno dei gruppi (ecologia della comunicazione).

ecologia della comunicazione

Perché affrontare questi temi?

Per troppo tempo le scienze manageriali hanno messo da parte il “problema delle emozioni” nella conduzione delle organizzazioni.

La speranza che l’essere umano potesse “anestetizzarsi emotivamente” durante il tempo lavorativo ha tenuto poco e la prova dei fatti l’ha rapidamente distrutta.

I contributi della scuola nordamericana si basano su culture organizzative completamente diverse da quelle europee e latine (e asiatiche) e su iniezioni di suggerimenti rapidi, a volte al limite del ridicolo se lette da interlocutori maturi, dando per scontato che le persone condividano un progetto e abbiano solo bisogno di strumenti rapidi e indolori per raggiungerlo.

La realtà è fatta spesso di gruppi che non riescono a condividere obiettivi, visioni e persino la missione fondamentale che li dovrebbe accomunare. È fatta da leader o conduttori di team che non hanno alcuna capacità o volontà di leggere le emozioni dei propri “uomini” e “donne”, e non riescono a sintonizzarsi con i membri del team, a far cooperare il gruppo, a dare motivazione e ispirazione. È fatta da persone disattente al “clima di comunicazione” che s’instaura nel gruppo, manager che equalizzano la leader­ship con il “dare ordini”, anche se confusi e poco chiari, o ancora abbandonano un gruppo immaturo a un’autogestione utopica e improduttiva.

In altri “universi manageriali”, invece, assistiamo a insiemi di persone in grado di compiere imprese fuori dalla portata del­l’immaginazione, a gruppi nei quali ogni soggetto esce “ricaricato” dal­l’esperienza stessa di lavorare assieme, a leader che riescono a far crescere le persone con cui lavorano e a generare contributi importanti alla crescita delle aziende e di intere comunità, e persino della razza umana e del pianeta.

La distanza tra questi universi manageriali può essere di pochi metri (fisicamente), ma di anni luce dal punto di vista della qualità comunicativa e di vita.

Qualsiasi organizzazione, azienda o persino gruppo familiare, qualsiasi sistema, se intende progredire verso una qualità di vita superiore e verso i propri risultati, deve sviluppare nuove sensibilità.

Queste sensibilità (alla comunicazione, alle emozioni, ai climi umani e relazionali) si traducono nel­l’opportunità concreta di far evolvere il gruppo verso i propri obiettivi (fronte della produttività), ma anche, e soprattutto, verso un tempo psicologico positivo (fronte del­l’ecologia della comunicazione), nel quale il lavoro e lo “stare assieme” diventano momenti autorealizzativi.

L’impegno che si presenta è notevole. Lo sforzo sottostante è quello di utilizzare un approccio ampio e multidisciplinare, nel quale far convergere discipline diverse, secondo una concezione “olistico-pragmatica” che permea altre pubblicazioni sul metodo ALM (vedi Trevisani 2000).

Vale la pena impegnarsi in questo sforzo, nella consapevolezza che da esso possono nascere contributi importanti per la qualità della vita delle persone nei gruppi e nelle organizzazioni.

Vi sono poi ripercussioni forti sulla qualità dei sistemi familiari, e in generale in ogni gruppo o organizzazione in cui le persone debbano “vivere assieme”. La possibilità di fornire un contributo a questo immenso campo di problemi rende indispensabile un impegno forte e diretto.

Un lavoro serio sul­l’ecologia della leadership serve anche alla direzione aziendale, verso chi opera con compiti di responsabilità nella conduzione di team (direzione di gruppi marketing e vendite, direzione tecnica o di stabilimento, direzione risorse umane e altri comparti aziendali), e per chi agisce come formatore o consulente in qualità di change agent (formazione risorse umane, direzione di gruppi di miglioramento, consulenti, formatori, terapeuti, coach).

Servono ampi momenti di focalizzazione (autoriflessione) ed esercitazione applicativa, destinati a rendere le persone coscienti su come stanno operando, con prove di miglioramento esercitabili e praticabili nella “pa­lestra quotidiana della vita”

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

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Ogni rischio, incidente, persino malattia, ha radici nel fattore umano, come tale può essere analizzato e prevenuto, in particolare attivando:

  • barriere proattive
  • barriere reattive

barriere reattive e proattive contro il rischio

Le aziende si sono specializzate nelle barriere reattive. Spegnere il fuoco quando è divampato. Larga parte della psicologia si occupa di aiutare persona diventata troppo stressata, anzichè fare in modo che non lo diventi. La medicina occidentale si occupa di curare una persona che si è ammalata anzichè fare in modo che non si ammali. Le aziende fanno corsi di formazione quando succede qualche “casino” anzichè curare le persone ogni settimana e mese. E’ ora di cambiare strada. Non possiamo più aspettare altri morti, altri incidenti, altro dolore, altra malattia inutile, quando tutto questo si può e si deve evitare. Dallo Shuttle alla Concordia fino all’aereo Lufthansa, quanti altri esempi servono?

www.danieletrevisani.com

Paura di pensare e senso di colpa nel pensare – la Spirale del Silenzio, in Azienda e non solo

© Daniele TrevisaniStudio Trevisani Human Potential & Communication Research

Le analisi riguardano spesso ciò che si dice, raramente ciò che non si dice.

Ho incontrato il concetto di Spirale del Silenzio nei miei studi sulle comunicazioni di massa già negli anni ’80 (vedi nota per approfondimenti e bibliografia). Ngli anni ’90, nonostante due anni trascorsi negli USA per conseguire il Master in Mass Communication alla University of Florida, questo concetto era già stato rimosso dagli studi ufficiali in molte facoltà. Rimosso, sparito, annullato. Ancora oggi questo tema è oggetto di “censura”. Credo utile quindi dare un contributo con nuove idee e stimoli, per chi opera nelle Risorse Umane, nella Formazione, nella Pedagogia e nella Psicologia:

La sintesi del meccanismo della Spirale del Silenzio (SDS): un’idea non conforme viene repressa, un pensiero che “non ci dovrebbe essere” viene negato, una frase che non è adeguata viene inghiottita, e piano piano avviene una epurazione progressiva di temi dal dibattito pubblico, dalle conversazioni quotidiane, e – all’ultimo stadio – dal pensiero stesso delle persone. Questo, sia in azienda che fuori.

Tutto questo ricorda molto il film Matrix, con la differenza che questo fenomeno avviene, è reale, ed è scientificametne dimostrato. Il danno per le imprese è evidente: se ad essere rimossi o a non entrare sono concetti utili o addirittura fondamentali per il futuro aziendale, cosa succede?

Se sopravvivono in azienda solo ruffiani e integrati, chi si prenderà la briga di dire con coraggio ad un Amministratore Delegato o alto dirigente che una sua strategia è sbagliata e può portare alla rovina dell’azienda stessa? Una impresa sana dovrebbe avere a fianco costantemente dei consulenti che cercano di immettere nuovi concetti utili (iniezione memetica), e localizzano i pensieri dominanti da mettere in discussione o quantomeno confutare (analisi memetica).

Il problema riguarda l’opinione pubblica in generale,  l’economia, le aziende, il pensiero manageriale, e ogni singola famiglia, che si conforma purtroppo a mode, a trend manageriali del momento, o ai reality.

In azienda – chi arriva da fuori lo vede subito – si pensa spesso con il paraocchi della cultura di direzione. In pratica, nelle aziende “si sente parlare” solo di un ristrettissimo ambito di temi, i temi conversazionali sono impoveriti, la vera innovazione non entra mai, espulsa costantemente dal meccanismo della SDS.

Essere “sudditi psicologici” non significa tanto eseguire, ma soprattutto tacere, o meglio parlare solo nei confini degli argomenti e dei temi che sono “ammessi”, e non deviare mai dalle aspettative. Chi devia viene punito. L’inquisizione ne è un esempio storico.

Le conseguenze dannose sono molto pratiche e concrete: ad esempio, in certe aziende, gli alti dirigenti diventano non più criticabili. Alcuni dirigenti finiscono per diventare intoccabili, anche quando il loro pensiero si fa confuso o delinquenziale, dannoso (vedi i casi di Enron, Parmalat, Coop Costruttori, e tanti altri crac prodotti soprattutto dalla impossibilità di criticare le scelte dirigenziali, indotta tramite sudditanza psicologica).

Ma il problema non si limita all’azienda. In università se parli bene dei militari sei un fascista. Tra i militari americani se dici che pratichi yoga dicono che sei gay. Le cose si fanno di nascosto, poi non si fanno nemmeno più, non si dicono, o anzi, meglio, non si devono nemmeno pensare.

Questa spirale del silenzio non è solo esterna e sociale, ma diventa anche un silenzio interiore: e non si tratta del il silenzio della quiete, ma un silenzio analogo al post-atomico, dove ogni cosa che “spuntava” o “emergeva” dal livello zero viene rasa al suolo.

In questo mio percorso di ricerca sulla Spirale del Silenzio, ho condotto un’analisi estesa di ricerca dei pensieri repressi, tramite interviste in profondità ad un campione di 400 italiani, su una vasta categoria di casi, da manager a persone comuni, dai 18 ai 75 anni, in occasione di un progetto di ricerca ancora in corso. E’ opportuno iniziarne a divulgare i risultati.

Vediamo alcuni esempi di pensieri e “ruminazione mentali” ad essa collegata, tratti da questa indagine:

  • Vorrei che ci fosse la pena di morte immediata per chi compie atti di abuso sessuale verso i bambini, o chi rapisce i bambini per fini sessuali. Ma verrò additato come un fanatico?
  • Vorrei dire che ogni tanto mi piace pregare, ma credo in una spiritualità tutta mia, non riconosco la figura del Papa ma credo in qualcosa. Allo stesso tempo mi piace pregare nella Chiesa e ammiro la figura di Cristo, non sono però veramente certo che sia esistito o che sia vero quello che ci dicono sulla sua vita e storia. Diranno che sono un anticattolico?
  • Vorrei che la gente smettesse di guardare la stupida tv commerciale e si dedicasse a letture che nutrono la mente. Penseranno che sono una vecchia rincoglionita?
  • Vorrei essere di destra ma la mia famiglia è di sinistra. Come faccio?
  • Vorrei essere di sinistra ma la mia famiglia è di destra. Cosa diranno?
  • Oddio, tutta la mia famiglia si aspetta da me che io sia il nuovo capitano dell’azienda, raccolta la tradizione del padre e del nonno, e la tramandi, ma io se potessi farei il cuoco, adoro cucinare. Sarà pazzia? Meglio tornare con i piedi per terra.
  • Provo disagio verso l’idea che il mio matrimonio possa diventare come quello dei miei genitori e me ne vergogno. Quindi taccio, taccio anche il pensiero stesso, gli metto un coperchio sopra. Come andranno le cose?
  • Vorrei dire che l’americano medio è molto stupido e ignorante culturalmente, diranno che sono un comunista?
  • Vorrei dire che Mussolini ha fatto anche cose buone per l’Italia, diranno che sono un fascista?
  • Vorrei dire che la sanità e il diritto di essere curati sono inviolabili, diranno che sono un comunista?
  • Credo che l’Università sia un covo di raccomandati, politicizzati, e di nepotismo, ma come faccio a dirlo, se lo scoprono mi cacciano subito!
  • Penso che Maometto sia stata una figura importante e che la cultura araba sia piena di poeti e intellettuali meravigliosi e poco conosciuti, credo che nella religione islamica ci siano tanti elementi culturalmente validi e insegnamenti interessanti, ma andrebbe ripulita da alcuni fondamentalismi. Diranno che sono un terrorista?
  • Penso in cuor mio che chi siano molti lati oscuri e strani negli attentati dell’11 settembre? Diranno che sono uno che si lascia suggestionare da teorie visionarie?
  • Penso che Osho, nel suo delirio mistico, non sia così delirante sempre, e abbia scritto anche cose veramente interessanti e alcuni dei suoi passaggi li condivido. Diranno che sono un fedele di Osho? Oddio, cosa penseranno di me?
  • Sono un intellettuale, di sinistra, e quindi non devo fare palestra, vero?
  • Sento che vorrei fare una settimana da solo di vacanza lontano dalla famiglia, non sono più un buon padre, vero?
  • Dico che Berlusconi è stato un genio della strategia moderna, sono un filoberlusconiano?
  • Vorrei che si ripristinassero i lavori forzati e chi va in galera invece di essere un costo produca denaro per la collettività, vorrei anche che da questi lavori uno uscisse con la schiena spezzata, poca voglia di tornarci, e magari avendo appreso anche un lavoro. Sono un nazifascista?
  • Penso che si paghino troppe tasse perchè abbiamo un sacco di raccomandati che non fanno un cazzo nella pubblica amministrazione e un sacco di imprese mantenute dallo Stato, sarei quasi favorevole a una forma di sciopero fiscale controllato, o altre forme di protesta civile, per mandare a casa tutti i fannulloni che ci sono in giro e fare posto a gente che abbia voglia di lavorare. Cosa sono?
  • Credo che le università siano assediate dagli intellettuali di sinistra che non hanno mai fatto un ora di lavoro vero nella vita, padroni baroni, che lottizzano e monopolizzano tutti i reparti, e fanno entrare solo i loro amici e le puttane, clan tribali in lotta tra di loro. Perchè non c’è mai una pagina web del tipo “assumiano professori con ottime capaciutà comunicative e volonta di ricerca” nelle pagine web delle università Italiane? Perchè si entra solo per concorsi di cui tutto è già deciso prima di farli? Si può dire o sono un populista
  • La TV è il sistema ufficiale con cui il sistema culturale consumista e capitalista lobotomizza i nostri adolescenti e li riconduce nel gregge dei bravi consumatori, che faranno le loro giuste rate per il prossimo abito firmato, telefono firmato, etc… sono un comunista?
  • Penso che la PNL (NLP) sia una enorme operazione di puro marketing, i suoi fondatori – specialmente Bandler – un montato incosciente, un soggetto deprecabile, assolutamente non meritevole di essere definto terapeuta – e che quello che funziona nella PNL sia rubacchiato (ops, meglio ispirato) concettualmente da altri testi e autori, in particolare dalla Psicosintesi dello psichiatra italiano Assagioli e dalla Psicocibernetica di Maltz, e ad altri autori vari. Credo che Robbins e suoi seguaci siamo nella stragrande maggioranza degli uomini di spettacolo e non si  possano e si debbano chiamare e far chiamare formatori, e che pensano alle persone come ad un gregge di clienti.
  • Credo che tanti psicoterapeuti non sappiano assolutamente fare terapia e facciano più danni che altro, mi fa schifo la terapia breve strategica, penso sia una grande puttanata, penso che chi ha la fortuna di trovare un bravo terapeuta sia forse 1 su 100, non importa che sia o meno iscritto ad un albo. L’albo non dice un cazzo, l’iscrizione all’albo non dice proprio niente, è solo carta. Ci sono dei baristi che sono più bravi.
  • Credo che i professori delle scuole dovrebbero passare ogni anno un check-up di capacità didattica e chi non è un buon insegnante (chi non conosce le tecniche della didattica e non sa comunicare) dovrebbe essere sbattuto fuori a calci, perchè fa danni. Sono un fascistone?
  • Credo che dalla scuola superiore dovrebbero essere sbattuti fuori gli studenti che non hanno voglia di studiare, non serve a niente l’obbligo scolastico. Sono un antipedagogista?
  • Credo che quello che credo adesso non sarà quello che credo quando saprò più cose su tutto quello che non so adesso, e che cambiare idea non sia reato. Son un malato di mente dissociato?
  • Credo che dovremmo instaurare un “obbligo sociale di pulizia dalla trasmissione transgenerazionale del disagio psichico” e istituire forme di counseling e terapia obbligatoria e generalizzata, soprattutto per alcune professioni. Sono un promotore dei Gulag?
  • Credo che quello che io credo ora sia il frutto di un sacco di manipolazioni informative cui sono stato sottoposto dalla nascita, volontariamente (da alcuni media, soprattutto la RAI, e dai libri di testo scolastici, quando ero piccolo sino all’adolescenza) e dalla famiglia (involontariamente), e che sia mio compito liberarmene il più possibile e acquisire informazioni dalle fonti più varie possibile, per capire il più possibile per conto mio. La responsabilità adesso è in mano mia, non posso più incolpare nessuno.

Ve ne sono molti altri, che la mia spirale del silenzio personale mi impedisce di inserire, per paura di eccedere in trasparenza, in devianza, in sovraesposizione di quanto possano essere vasti e diversi dalla norma i pensieri umani.  In altre sedi si potrà fare.

Desidero aggiungere qualche mia riflessione personale, associandomi a questo tipo di analisi e offrendomi come soggetto:

  • Dico che Obama ha vinto anche perchè non è veramente nero, ha una nonna bianca, e il viso leggermente più da mulatto che da nero, ed è anche un bell’uomo, un buon comunicatore, ha vinto sia per le sue idee che per il volto piacevole da “nero ma non troppo nero”… sono un antidemocratico?
  • Credo che si dovrebbero proibire i film del terrore, la loro produzione e distribuzione, applicare la censura verso materiali audio e video che innescano processi di degenerazione mentale e coltivano menti deboli verso il lato più distruttivo anzichè farli crescere. Voglio la censura, e forte, su molti media. Sono un fascista?
  • Vorrei che eroina, cocaina e altre droghe fossero prescrivibili su ricetta medica, per sradicare i business sottostanti, sono un figlio dei fiori, hippy, uno favorevole alle droghe?

© Daniele TrevisaniStudio Trevisani Human Potential & Communication Research

___Nota di approfondimento e bibliografia. Fonte Wikipedia

La teoria della spirale del silenzio venne sviluppata negli anni 1970 da Elisabeth Noelle-Neumann. Questa afferma che i media, ma soprattutto la televisione, possono avere un notevole effetto di persuasione sui riceventi e quindi più in generale sull’opinione pubblica.

Questa teoria ebbe una notevole importanza nella scienza della comunicazione per la rinascita del dibattito sui poteri di persuasioni forti dei mezzi di comunicazione, in contrasto con la scuola di pensiero di un effetto debole dei mass media sul pubblico.

Definizione

La tesi centrale della spirale del silenzio è la seguente: il costante, contemporaneo, ridondante e contorto afflusso di notizie da parte dei media può col passare del tempo causare un’incapacità nel pubblico di selezionare e comprendere i processi di percezione e di influenza dei media; in questo modo verrebbe a formarsi la cosiddetta spirale del silenzio.

In questa situazione la persona singola ha il timore costante di essere una minoranza rispetto all’opinione pubblica generale. Per non rimanere isolata, la persona anche se con un’idea diversa rispetto alla massa non la mostra e cerca di conformarsi con il resto dell’opinione generale.

Nella sua ricerca, Noelle-Neumann ha dimostrato che le persone posseggono una specie di senso statistico innato, grazie al quale riescono a capire quale è l’opinione della massa e in questo modo a conformarsi con quella dominante.

I mezzi di comunicazione di massa non fanno emergere da soli la spirale del silenzio (in quanto fenomeni simili sono stati riscontrati anche in società dove non esistono i mass media) ma accentuano la paura dell’isolamento nell’uomo e quindi il processo di adattamento all’opinione generale.

Bibliografia

  • Noelle-Neumann, Elisabeth, La spirale del silenzio – Per una teoria dell’opinione pubblica. 2002 Meltemi Editore


Altri contributi ai seguenti blog:

Blog di formazione aziendale

  • Blog sul Potenziale Umano
  • Studiotrevisani’s Weblog: Blog di psicologia e comunicazione, management
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