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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

I livelli delle domande: domande interiori e domande esterne

La fase di analisi ed ascolto richiede il ricorso a:

  • domande aperte,
  • domande chiuse,
  • domande di precisazione,
  • riformulazioni e verifiche di comprensione,
  • riepiloghi, sommari,
  • rispecchiamento dei contenuti.

Le domande devono essere poste solo dopo che si sia creato lo spazio psicologico per farle, chiedendo il permesso al cliente di porgli alcune domande che servono per poter realizzare proposte sensate.

Durante la fase di analisi è essenziale il ricorso alla carta e penna per prendere appunti, sotto forma di parole chiave, ed un precedente allentamento alle tecniche di memorizzazione, intervista e Analisi della Conversazione (Conversation Analysis, CA).

Tutti noi abbiamo curiosità e dubbi, che però raramente esprimiamo. 

A volte non lo facciamo per pudore (quante volte fai sesso in un mese? = invasione dello spazio psicologico altrui), altre volte per titubanza strategica (vorrei chiedergli quanto sono disposti a pagare ma non lo faccio per timore che mi dicano una bugia sulla quale poi non saprei come argomentare), e per tante altre ragioni.

Un’operazione fondamentale è distinguere tra:

  • domanda interiore: la domanda reale che ci stiamo ponendo e a cui vorremmo risposta (es: quanti soldi avete a disposizione?), quello che vorremmo davvero sapere, quello che abbiamo bisogno di sapere, i bisogni informativi di base
  • domanda esteriore: la domanda che è adeguata e consentita ad un certo stato di relazione, in base al grado di familiarità con il soggetto, di trasparenza comunicativa, di tempo disponibile (es: avete già fissato un budget per questa iniziativa?), le mosse conversazionali che poniamo in essere, i modi con i quali arriviamo ad ottenere quelle informazioni.

Ogni mancata informazione è un rischio

Ogni volta che il decisore non dispone di informazioni si apre un rischio.

Ogni mancata informazione è un rischio potenziale. 

Si richiede pertanto il il ricorso a domande mirate:

domande latenti – fabbisogno informativo – cui è necessario dare risposte e rischi correlati al non sapere le risposte.

Il management scientifico non può permettersi soglie di rischio irragionevoli. Questo non vuol dire chiudersi in una roccaforte, o non accettare una componente di rischio imprenditoriale e di vendita, ma capire in quale terreno ci stiamo muovendo, cioè muoversi con consapevolezza.

Empatia e tecniche di ascolto empatico

L’ascolto è una delle abilità più critiche della negoziazione e della vendita. Lo stereotipo classico del venditore intento a “parlare sull’altro”, a “vincere nella conversazione”, ad avere sempre l’ultima parola, è sbagliato.

L’approccio empatico prevede una concezione opposta: ascoltare in profondità per capire la mappa mentale del nostro interlocutore, il suo sistema di credenze (belief system), e trovare gli spazi psicologici per l’inserimento di una proposta.

Nel metodo ALM distinguiamo alcuni tipi principali di empatia, in base agli angoli di osservazione:

  • Empatia comportamentale: capire i comportamenti e le loro cause, capire il perché del comportamento e le catene di comportamenti correlati.
  • Empatia emozionale: riuscire a percepire le emozioni vissute dagli altri, capire che emozioni prova il soggetto (quale emozione è in circolo), di quale intensità, quali mix emozionali vive l’interlocutore, come le emozioni si associano a persone, oggetti, fatti, situazioni interne o esterne che l’altro vive.
  • Empatia relazionale: capire la mappa delle relazioni del soggetto e le sue valenze affettive, capire con chi il soggetto si rapporta volontariamente o per obbligo, con chi deve rapportarsi per decidere, lavorare o vivere, quale è la sua mappa degli “altri significativi”, dei  referenti, degli interlocutori, degli “altri rilevanti” e influenzatori che incidono sulle sue decisioni, con chi va d’accordo e chi no, chi incide sulla sua vita professionale (e in alcuni casi personale).
  • Empatia cognitiva (o dei prototipi cognitivi): capire i prototipi cognitivi attivi in un dato momento del tempo, le credenze, i valori, le ideologie, le strutture mentali che il soggetto possiede e a cui si ancora.

Elementi positivi e distruttivi dell’empatia

L’empatia viene distrutta o favorita da specifici comportamenti comunicativi e atteggiamenti.

Favorisce l’empatiaDistrugge l’empatia
CuriositàDisinteresse
Partecipazione reale all’ascolto, non finzioneFingere un ruolo di ascolto solo per dovere professionale
Riformulazione dei contenutiGiudizio sui contenuti, commenti
Pluralità di approcci di domanda (domande aperte, chiuse, di precisazione, di focalizzazione, di generalizzazione)Monotonia nel tipo di domande
Centratura sul vissuto emotivoCentratura esclusiva sui fatti
Segnali non verbali di attenzioneBody Langage che esprime disinteresse o noia
Segnali paralinguistici di attenzione, incoraggiamento ad esprimersi, segnali “fàtici” (segnali che esprimono il fatto di essere presenti e attenti)Scarsa dimostrazione di interesse e attenzione al flusso di pensieroAssenza o scarsità di segnali “fàtici” e di contatto mentale

La comunicazione d’ascolto e la qualità dell’ascolto, comprendono la necessità di separare nettamente le attività di comprensione (comunicazione in ingresso) dalle attività di espressione diretta (comunicazione in uscita).

Regole per un ascolto di qualità

Durante le fasi di ascolto è necessario:

  • non interrompere l’altro;
  • non giudicarlo prematuramente;
  • non esprimere giudizi che possano bloccare il flusso espressivo altrui;
  • non distrarsi, non pensare ad altro, non fare altre attività mentre si ascolta (tranne prendere eventuali appunti), usare il pensiero per ascoltare, non vagare;
  • non correggere l’altro mentre afferma, anche quando non si è d’accordo, rimanere in ascolto;
  • non cercare di sopraffarlo;
  • non cercare di dominarlo;
  • non cercare di insegnargli o impartire verità, trattenere la tentazione di immettersi nel flusso espressivo per correggere qualcosa che non si ritiene corretto;
  • non parlare di sè;
  • testimoniare interesse e partecipazione attraverso i segnali verbali e il linguaggio del corpo;

Di particolare interesse risultano gli atteggiamenti di:

  • interesse genuino e curiosità verso la controparte: il desiderio di conoscere ed esplorare la mente di un’altra persona, attivare la curiosità umana e professionale;
  • silenzio interiore: creare uno stato di quiete emozionale (liberarsi da emozioni negative e pregiudizi) per ascoltare l’altro e rispettarne i ritmi.

Differenza tra empatia e simpatia: applicare l’empatia e non la simpatia

Empatia e simpatia non sono sinonimi

Empatia significa capire (es: capire perché un cliente posticipa un acquisto o vuole un prodotto di basso prezzo, o ci parla di un certo problema). 

Simpatia significa invece apprezzare, condividere, essere daccordo. 

La vendita richiede l’applicazione dell’empatia e non necessariamente della simpatia.

L’ascolto attivo e l’empatia non vanno confuse con l’accettazione dei contenuti altrui o dei loro valori. 

Le regole di ascolto attivo non sono regole di accettazione del contenuto, ma metodi che permettono di far fluire il pensiero altrui più liberamente possibile per ricavarne apertura e informazioni utili.

La fase di giudizio interiore su quanto ascoltiamo, inevitabile durante la negoziazione, deve essere “relegata” alla nostra elaborazione interna, tenuta per fasi successive della contrattazione, e non deve interferire con la fase di ascolto.

Quando il nostro scopo è ascoltare dobbiamo ascoltare.

Per farlo dovremo:

  • sospendere il giudizio,
  • dare segnali di assenso (segnali di contatto, segnali fàtici),
  • cercare di rimanere connessi al flusso del discorso,
  • fare domande ogniqualvolta un aspetto ci sembra degno di approfondimento,
  • non anticipare (es: sono certo che lei…) e non fare affermazioni,
  • limitarsi a riformulare i punti chiave di quanto detto dall’altro,
  • non interrompere inopportunamente.

È necessario riservare il nostro giudizio o fare puntualizzazioni solo dopo avere ascoltato in profondità e all’interno di un frame negoziale adeguato.

L’obiettivo delle tecniche empatiche è quello di favorire il flusso del pensiero altrui, e di raccogliere quanto più possibile le “pepite informative” che l’interlocutore può donare. L’empatia, se ben applicata, produce “flusso empatico”, un flusso di dati, informazioni fattuali, sentimentali, esperienziali, di enorme utilità per il negoziatore.

Il comportamento contrario (giudicare, correggere, affermare, bloccare) spezza il flusso empatico, e rischia di arrestare prematuramente la raccolta di informazioni preziose. 

Esiste un momento nel quale il negoziatore deve arrestare il flusso del discorso altrui (momento di svolta, turning point) ma in generale è bene lasciarlo fluire, finche non si sia compreso realmente con chi si ha a che fare e quali sono i veri obiettivi, e tutte le altre informazioni necessarie.

Le tecniche empatiche sono inoltre d’aiuto per frenare la tendenza prematura alla disclosure informativa di sè: il dare informazioni, il lasciar trapelare dati inopportunamente o prematuramente su di noi. 

Dare al cliente informazioni e dati che potrebbero risultare controproducenti genera un effetto boomerang. Ogni informazione deve essere fornita con estrema cautela. 

L’atteggiamento empatico è estremamente utile per concentrare le energie mentali del negoziatore sull’ascolto dell’altro e frenare le nostre disclosure inopportune.


Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Livelli di vendita e target di risultati

Possiamo identificare alcune grandi approcci e tipologie di vendita ed il relativo target di risultato:

  • Vendita distributiva – Cogliere le opportunità già focalizzate dal cliente, acquisire gli ordinativi per categorie di prodotti noti e abituali.
  • Vendita consulenziale – Esplorare il sistema cliente, svolgere analisi e diagnosi approfondite, trovare le soluzioni giuste per il cliente, costruire pacchetti personalizzati, diventare fornitore di riferimento per una intera gamma di bisogni, sia attuali che futuri, sostituire i fornitori precedenti che non assicurano il grado di servizio ottimale.
  • Vendita complessa – Vendere a diversi livelli all’interno del sistema-cliente presidiando tutti i decisori chiave, acquisire commesse importanti ad alto impegno relazionale e “politico”, diventare il fornitore di riferimento.
  • Key Accounting – Presidiare la relazione con il sistema-cliente, mantenere continuità di rapporto, evitare rotture di rapporto e malfunzionamenti della relazione.
  • Corporate Relationship Building – Creare le condizioni di vicinanza relazionale con elementi del sistema-cliente, creare “entratura” relazionale.

Vendita distributiva

La vendita distributiva riguarda una tipologia di rapporto a basso livello di contatto umano, come l’invio di mailing o il semplice “passare per vedere se serve qualcosa” di un rappresentante in un’azienda già cliente o andare in un bar per fare un riordino di latte o patatine.

Il suo scopo è distribuire l’esistente e non creare il nuovo.

Vendita consulenziale

La vendita consulenziale si definisce tale quando il venditore applica una dose elevata di analisi prima di confezionare una proposta o pacchetto di vendita. 

La vendita consulenziale è necessaria in ogni relazione profonda. 

La vendita consulenziale è necessaria soprattutto quando si cerca di esplorare il potenziale di un cliente e non ci si accontenta dei suoi bisogni apparenti o di superficie. È utile anche quando si vuole uscire dalla routine e si desidera portare soluzioni non preconfezionate ma tarate sulla condizione esatta di quel cliente in quel particolare momento del tempo.

Vendita complessa

La vendita complessa è il livello di vendita che oltre ad essere consulenziale tocca molteplici decisori nell’azienda cliente e coinvolge molteplici protagonisti nell’azienda venditrice. 

Si tratta di una vendita many-to-many, in cui molte persone del sistema cliente si interfacciano con molte persone del sistema del fornitore.

In questo territorio delicato occorre presidiare numerosi gradi di relazione e stare attenti al fatto che tutti giochino lo stesso gioco e nessuno rovini la relazione con messaggi inappropriati o comportamenti non concordati.

Sul fronte del fornitore possono essere coinvolti i funzionari commerciali, i tecnici, il marketing, sino alla direzione generale. Sul fronte del cliente possono essere coinvolti l’ufficio acquisti, la direzione commerciale, i tecnici, gli utilizzatori, i decisori e gli influenzatori, e numerosi altri stakeholders[1] e opinion-leaders, sino alla massima direzione.

Una disattenzione nelle comunicazioni di livelli poco presidiati (es: tecnici con tecnici, responsabili assistenza dell’azienda venditrice che si rapportano ad altri tecnici dell’azienda cliente su dettagli di prodotto) può produrre effetti dirompenti e distruttivi. Una sola informazione sbagliata che sfugga può risalire la piramide aziendale in modo distorto e minare l’intera operazione.

Il training necessario per le vendite complesse

Le aziende evolute, soprattutto multinazionali, effettuano specifici training sulle relazioni con il cliente (Brand Communication Management) finalizzati ad insegnare ai tecnici a valorizzare il marchio con comportamenti e atteggiamenti di front-line adeguati, a non inquinarlo con errori comportamentali. 

Il problema non è solo dei rapporti tra tecnici ma riguarda ogni soggetto coinvolto nel front-line, come un magazziniere che deve consegnare un prodotto già acquistato (e può con il suo comportamento dare conferme positive o invece rovinare l’immagine aziendale faticosamente costruita durante la vendita). tocca anche chi risponde al centralino, l’immagine dei siti web, la qualità delle comunicazioni commerciali e persino le comunicazioni di servizio (email, fax, note). Ogni aspetto della comunicazione ha un impatto.

Le situazioni one-to-many (un venditore che fronteggia diversi interlocutori nell’azienda cliente) sono spesso da inquadrare nelle vendite complesse, e dobbiamo eliminare la tendenza a darvi meno importanza del dovuto. Quando un team di acquisto ben preparato fronteggia un solo e singolo rappresentante dell’azienda venditrice, possono facilmente crearsi condizioni di difficoltà, soprattutto se il team di acquisto applica strategie appositamente preparate per creare difficoltà, ed è formato per farlo.

Ricordiamo inoltre che molte aziende praticano training intensivi di negoziazione d’acquisto ai propri buyer e negoziatori, spesso con l’intento di “spremere” il più possibile dal venditore e metterlo in difficoltà[2].

Questo deve trovare un contraltare adeguato in eccellenti training di vendita consulenziale e psicologia della vendita.

Le situazioni many-to-one (diversi rappresentanti dell’azienda venditrice che fronteggiano un solo buyer o altro decisore sul fronte cliente) sono abbastanza rare ma in genere rientrano nella categoria della vendita consulenziale.

In ogni e qualsiasi condizione, un training di vendita consulenziale è necessario e deve includere almeno:

  • elementi di psicologia della comunicazione verbale, paralinguistica e non verbale,
  • tecniche di ascolto, ascolto attivo ed empatia strategica,
  • tecniche di mappatura dei decision-makers,
  • tecniche di Key-Leader-Engamenent,
  • tecniche conversazionali,
  • tecniche di intelligenza emotiva e autocontrollo emotivo,
  • elementi di marketing per la vendita,
  • tecniche di chiusura e concretizzazione.
  • tecniche di qualità totale della comunicazione;
  • tecniche per la costruzione delle linee di vendita e gestione delle strategie di vendita e linee di azione (Action Line Management).

Questi sono solo alcuni dei molti elementi che devono essere parte di un piano di formazione per la vendita consulenziale.

Key-accounting e Solutions Selling

Il Key-Accounting rappresenta il grado di relazione in cui un soggetto (Key-Account) viene incaricato della missione di presidiare la relazione con un cliente importante, mantenerla “calda” e “lubrificata”, sondare continuamente i trend che accadono entro l’azienda cliente, capirne gli equilibri decisionali e i loro mutamenti, anticiparne le possibili mosse, e prepararsi adeguatamente.

Il Key-Account (a seconda di come il ruolo viene definito e interpretato nelle singole aziende) è responsabile anche dei budget del cliente, delle offerte economiche, della formulazione delle soluzioni di vendita, preventivazione e verifica della customer satisfaction. 

Opera soprattutto con uno spirito di vendita consulenziale centrato sulla ricerca di soluzioni (Solution Selling).

Corporate Relationship Building

Il Corporate Relationship Building rappresenta l’attività di costruzione di relazioni tra imprese (marketing relazionale). 

Il CRB è un’attività propedeutica alla vendita, essendo finalizzato alla “entratura” in un sistema-impresa da angolazioni non strettamente commerciali o non unicamente commerciali. 

Può trattarsi di creare conoscenza tra tecnici e tecnici, in un incontro organizzato da una terza parte. Può richiedere la partecipazione ad eventi politici o associativi da parte della direzione, o di manager. Può includere scambi di favori o di informazioni, ricerca di eventi sociali cui parteciperanno le persone che ci interessa contattare, e altre linee di azione (action lines) di avvicinamento ad un sistema-impresa.

Nel CRB la preoccupazione principale non è siglare un contratto ora e subito (fretta di concludere), ma creare le condizioni affinché si possa avviare un rapporto commerciale saltando i filtri e le barriere classiche, negoziando a livelli più elevati nell’organizzazione, o riducendo le difficoltà che si presentano a chi si avvicina ad un sistema che non conosce e nel quale non ha entrature.

Un’impresa moderna deve fare formazione su tutti i livelli, ad esempio:

  • Corporate Relationship Building: per avviare nuovi contatti
  • Solution Selling; per apprendere la vendita consulenziale basata sulla costruzione di “soluzioni”
  • Brand Communication Management: a tutti i livelli aziendali, per evitare che comportamenti e comunicazioni inquinino l’immagine di marchio o distruggano le trattative in corso, o riducano la customer satisfaction di chi ha già comprato e vogliamo fidelizzare.

Un’impresa che intenda affrontare la vendita in modo serio dovrebbe decisamente praticare training e coaching costante, permanente, a cadenze fissate, e non solo come soluzione d’emergenza.

Quando le cose vanno male o le vendite calano, l’intervento formativo deve essere accompagnato da una buona dose di diagnosi organizzativa e ristrutturazione organizzativa, che porti a localizzare e rimuovere gli elementi che hanno portato a quella condizione negativa.


[1] Stakeholder: portatore di interessi, soggetto in grado di avere influenza sulle decisioni.

[2] Ricordiamo a questo fine alcune “deviazioni” delle tecniche PICOS, nate inizialmente come tecniche di co-makership tra industrie automobilistiche e loro fornitori, e trasformate da altri come strumenti scientifici di indebolimento psicologico del venditore.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Copyright. Articolo estratto dal libro “Direzione Vendite e Leadership. Coordinare e formare i propri venditori per creare un team efficace” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Risultati di vendita

“Non importa il risultato che raggiungi facendo una cosa; l’importante è esserci dentro con tutto te stesso, con la consapevolezza di aver dato il massimo senza mai arrenderti e senza rimpianti, credendoci fino all’ultimo senza chiederti se la scelta è giusta o meno. L’importante è non mollare.”

Samuele Diglio

La valutazione dei risultati e il potenziale dei venditori

Una frase come questa ci porterebbe a pensare che i risultati non contino, ma non è questa la chiave di lettura che vogliamo dare. 

Quello che sosteniamo, è che nella vendita, i risultati, quando arrivano, sono sempre frutto di una semina e di una forte determinazione, mai del caso, e quando il caso butta alla porta, la persona formata e pronta lo sa cogliere, la persona non formata e non pronta non lo vede nemmeno passare.

Aree di valutazione : atteggiamenti e comportamenti

Le possibili aree di valutazione dipendono strettamente dal job-profile di vendita, dal tipo di ruolo organizzativo che l’azienda chiede al venditore consulenziale di assumere.

I diversi mandati organizzativi possono essere classificati in:

  • Capacità di apertura di contatti.
  • Capacità di analisi e negoziazione.
  • Capacità di chiusura.
  • Numero di contratti conclusi.
  • Gestione del post-vendita.

Valutare significa chiedersi:

  • Come si muove il venditore all’interno dell’imbuto di vendita (Funnel di Vendita o Sales Funnel)? 
  • Quale curva assume il suo tempo? 
  • Su quali aree è forte e su quali è debole?
  • Sta seguendo il mandato assegnato?
  • Che cosa caratterizza i diversi venditori secondo voi? 
  • Come li descrivereste? 
  • E voi in che tipo di Funnel vi rivedete? 

Facciamo un’autoanalisi il più possibile oggettiva.

In generale, è indispensabile analizzare non solo i risultati di vendita ma anche atteggiamenti e comportamenti consulenziali del venditore nelle diverse zone temporali.

Atteggiamenti e comportamenti relativi alle soft-skills da valutare nel venditore

La valutazione dei risultati e il potenziale dei venditori
  • Capacità di Public Speaking e di presentazione
  • Capacità di ascolto attivo del cliente
  • Comportamenti empatici nel front-line
  • Comunicazione interpersonale
  • Gestire riunioni
  • Time Management
  • Capacità di negoziazione
  • Intelligenza Emotiva
  • Resilienza: capacità di risollevarsi dopo una difficoltà
  • Contributo al team
  • Autonomia organizzativa
  • Qualità dell’azione sul mercato
  • Curve di apprendimento (rapide o scarse)
  • Disponibilità ad apprendere e mettersi in gioco
  • Flessibilità vs. rigidità nel condurre mansioni e compiti non naturali per il ruolo per far fronte ad emergenze organizzative.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

©Copyright. Estratto dal testo di Daniele Trevisani “Psicologia della libertà. Liberare le potenzialità delle persone”. Roma, Mediterranee. Articolo estratto dal testo e pubblicato con il permesso dell’autore.

Il confine corporeo della libertà

In questa ricerca di libertà, abbiamo un confine, il corpo, e questo limite fisico è anche una risorsa straordinaria.

Siamo menti che “abitano” un corpo, degli “embodied minds”, menti incorporate, creature viventi dotate di autocoscienza, cellule e atomi che miracolosamente prendono atto di esistere, e possono muoversi. Ma non per questo, automaticamente, diventiamo liberi. Ad esempio, non possiamo volare, né teletrasportarci.

Poniamo sul tavolo un’ipotesi di lavoro: la libertà è un sentimento vissuto, un sentire corporeo, una forma di dialogo interno, che ci dice che stiamo vivendo a pieno la nostra vita come la vogliamo e senza essere ingabbiati da forze subdole.

Attenzione. Non ha a che fare strettamente con catene, con mura, con “non libertà” fisiche molto ovvie come la prigione. Alcuni pensano che essere single sia un’enorme forma di libertà, altri lo vivono come una prigione (la prigione della solitudine e dell’isolamento). Lo stesso per l’avere famiglia e figli. Prigione esistenziale per alcuni, “il mio focolare più bello” per altri. 

Allenarsi e combattere senza paura e senza ansie inutili è possibile. Lo stesso vale per il lavoro, o fare una presentazione o public speaking. Se lo vivi come un obbligo, viene meno ogni forma di gusto e gioia di vita e dell’atto stesso. Possiamo scoprire i piaceri nascosti in questi brani di vita?

Si tratta di vivere allenamenti e gare, o performance lavorative, come atti di libertà, atti di vita, momenti di festa e di gioia, nel rispetto delle tradizioni. Pensieri come “devo vincere” o “devo fare bella figura” non portano a libertà ma danno sostegno ad emozioni negative, che vogliamo invece tenere lontane da noi nel Dojo, sul ring, o sul lavoro.

La libertà ha come contraltare l’imprigionamento, la paura, l’ansia. Ebbene, queste “prigioni” sono molto più corporee di quanto pensiamo. Costruiscono muri invisibili che ingabbiano le persone peggio delle sbarre.

Un messaggio importante: esistono esercizi, seri, molto seri, che ti aiutano a distinguere le “percezioni”, le “sensazioni” di paura e di ansia inutili e controproducenti, e possono liberarti da paure inutili. Li conduco personalmente, derivano dalle Arti Marziali e dal training mentale per gli sport da ring. Del resto non puoi combattere ad alti livelli se hai paura di farti male, paura della gara, paura di confrontarti, paura del pubblico, vergogna di poter perdere, e quasi tutti gli atleti e potenziali campioni si arrestano per queste paure e non per veri traumi. 

Ne farò omaggio prima possibile alla comunità tramite video, essendo quasi impossibili da descrivere a parole.

Ma torniamo a quanto invece si può scrivere.

Vorresti essere libero dalla paura, libero dall’ansia? Tutti lo vorremmo, ma se fossimo completamente liberi dalla paura, nessun segnale arriverebbe a dirci “stop” nell’attraversare una strada piena di camion e saremmo schiacciati come topi. Quindi, vogliamo liberarci di “tutte” le paure o vogliamo imparare a gestirle diversamente e discriminarle?

Io ascolto i messaggi della paura, li tratto con rispetto e imparo da essi, ma non mi faccio limitare”. Questa frase di Ross Heaven, che proviene dalle tecniche usate nella formazione dei Ninja, i guerrieri giapponesi, esprime bene come un certo approccio di consapevolezza aumentata possa liberare la persona da fardelli inutili.

 

Focusing porta di libertà? L’approccio degli “Embodied Minds”

Così come Paul Watzlawick ha ben espresso, “non è possibile non comunicare”, e che quindi ogni azione o non azione fatta in presenza di altri ha un valore comunicativo[1]. Allo stesso modo, noi dobbiamo renderci conto pienamente che “non è possibile non abitare un corpo”, e il corpo ci condiziona, positivamente o negativamente, ci parla. Che lo ascoltiamo o meno, ci manda segnali e flussi di comunicazione non meno importanti di quelli che scorrono tra le persone (comunicazione mente-corpo).

La libertà richiede prendere atto del corpo e gestirlo in modo consapevole-assertivo, prendere atto del valore della comunicazione mente-corpo e gestirla in modo il più possibile deciso da noi e non esserne solo vittime.

Occorre riconoscere che per comunicare bene all’esterno, è utile capire cosa sta succedendo ai nostri stati interni, stati fisici come le emozioni, stati corporei, i livelli di stanchezza e di stress, stati pre-verbali ancora prima che parole. 

Immaginate una persona che non sa ascoltare bene i propri stati d’animo. Come mai farà ad esprimersi in una comunicazione autentica e libera?

Le emozioni, ricordiamolo, abitano nel corpo[2]. Fare Focusing[3] significa esattamente questo. Andare ad ascoltarsi. Ascoltarsi dentro. Lasciare spazio ai propri segnali interni. Questa è una forma suprema di libertà.

Dal momento in cui capisci di esistere, fino al decidere di dare un’impronta speciale alla tua vita passa molta strada. Questa comprende un atteggiamento altrettanto assertivo sul come esistere e dove voler vivere – sia in termini di ambienti fisiche che di ambienti psicologici.

Da soli è davvero difficile riuscire ad impostare una vita veramente propria e consapevole, fuori dagli schemi proposti con violenza da pubblicità, mass media, esempi negativi attorno a noi e altre forme che subdolamente cercano di dirci “cosa” sia la vita. 

Siamo travolti da messaggi che sin da bambino ti dicono che tu vali in funzione del tuo telefono o della tua auto o della dimensione dei bicipiti o della tua casa o del marchio delle tue scarpe. 

Coaching e Counseling portano un messaggio diverso. Tu vali perché sei, per quello che pensi, per il contributo che dai e darai a questo pianeta, alla cultura umana, sia che tu ci riesca o che tu anche solo ci provi. Tu vali. A prescindere.

Una delle più alte forme di liberta è esprimere se stessi senza nessuna maschera.

Ma come ci ha ricordato Goffman, pioniere su questo tema, siamo creature sociali, e in qualche modo diamo sempre una “rappresentazione” di noi stessi, anche quando cerchiamo di essere genuini.

“Come esseri umani siamo principalmente creature dagli impulsi variabili, con umori ed energie che cambiano da un momento all’altro, come personaggi davanti a un pubblico tuttavia, non possiamo permetterci alti e bassi”.[4]

Le forme del nostro comportamento esterno non sono spesso congruenti con il sentire corporeo interno, le nostre sensazioni, gli stati emotivi che proviamo.

Ecco, forse allora una delle forme estreme di libertà è quella di mostrare anche fuori i nostri sentimenti interni e gli stati interni che viviamo, uscire dal “personaggio” ed essere più veri possibile, anche a costo di apparire “variabili” o come altri dicono, “umorali”. Umorali ma veri, è meglio che standardizzati sempre, ma falsi.

E se sei davvero libero, questo comprende una grande varietà di libertà, ad esempio cercare le emozioni che una certa musica ti dà, anziché ascoltare la stupida radio commerciale. La musica produce emozioni[5]. E tu che emozioni vuoi vivere? 

Che si tratti di musica “epica”, classica, o rock anni ’70, poco importa. Ma accendere la radio e pensare che quella e solo quella che passa il convento radiofonico sia la musica, non è grande esempio di libertà.


[1] Watzlawick, Paul, Janet H. Beavin, and Don D. Jackson. Pragmatics of Human Communication: A Study of Interactional Patterns, Pathologies, and Paradoxes. New York: Norton, 1967.  

[2] Buck, Ross. The Communication of Emotion. New York: Guilford P, 1984.

[3] Letteralmente, “focalizzazione”, nel senso indicato da Gendlin. Vedi bibliografia per approfondimenti.

[4] Goffman, Erving (1959), The Presentation of Self in Everyday Life. New York, Doubleday. Trad. it. La vita quotidiana come rappresentazione, Bologna, Il Mulino, p. 68.

[5] Budd, Malcolm. Music and the Emotions. London: Routledge & Kegan Paul, 1985.

 

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

 

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Una griglia di analisi dei tempi psicologici per l’ascolto mirato

Sulla differenza tra chi siamo e chi vorremmo essere si possono innestare una grande quantità di azioni di sviluppo personale e professionale. E soprattutto, un grande lavoro di ascolto empatico.

Capire questo schema ci permette di capire che anche l’altra persona, inevitabilmente, vive all’interno di uno schema come questo.

Lo schema seguente espone cinque tipi di identità/immagini diverse, che producono un sistema di distanze a vari livelli.

Le tipologie di identità/immagine da noi identificate sono presenti sia nel singolo individuo che nella sfera aziendale:

La colonna di sinistra rappresenta la sfera personale, la colonna di destra rappresenta la sfera “professionale”

Immagini/identità a livello individualeImmagini/identità a livello aziendale
Real Self: Realtà oggettiva del Sé Come sono realmente io, quali sono i miei veri pregi, i miei difetti, le mie abilità, le mie lacune, le mie dissonanze, come e cosa comunico realmente.Real-Self Aziendale: Realtà oggettiva dell’organizzazione o impresa Reali pregi e difetti dell’organizzazione, reali abilità e lacune, dati di fatto sui comportamenti e comunicazioni, dissonanze ed errori, pregi e difetti reali.
Self Image: Immagine di Sé Come io vedo me stesso, come penso di essere, come penso di comunicare, quali sono i pregi, difetti, abilità e lacune che credo di avere (“credo”, non necessariamente ho).Immagine aziendale auto-percepita Opinioni e credenze possedute su pregi e difetti, abilità e lacune dell’organizzazione, suoi comportamenti e comunicazioni (credenze, non la realtà di fatto). Immagine distorta.
Ideal Self Image: Immagine del Sé ideale o immagine obiettivo. Come vorrei essere, come vorrei comunicare, quali sono le mie aspirazioni di abilità e competenze, atteggiamenti e punti di forza che vorrei possedere.Ideal Corporate Image: Immagine aziendale ideale. Il profilo aspirazionale dell’azienda. Ideali abilità e competenze, atteggiamenti e punti di forza, comunicazioni e comportamenti ideali, aspirazioni e company dreams.
Immagine del Sé ipotizzata Come penso gli altri mi vedano; come credo di essere visto dagli altri (credenza soggettiva, non dati di fatto).Immagine aziendale ipotizzata Come l’azienda crede di essere vista dal pubblico (credenza dei manager, non dati di fatto).
Immagine personale etero-percepita o immagine reale Come gli altri mi vedono veramente, come valutano la mia comunicazione, il mio modo di essere, i miei comportamenti, atteggiamenti, abilità e lacune.Immagine aziendale percepita Come i pubblici realmente percepiscono l’azienda, le sue comunicazioni e comportamenti, prodotti e modi di essere, atteggiamenti, abilità e lacune.

Raramente troviamo situazioni nelle quali le diverse forme di identità/immagine coincidono. Molto più frequente è la presenza di distonie e false rappresentazioni, fonte di ripercussioni negative, di dissonanze e problematiche anche molto gravi.

Esistono spesso differenze tra come ci vediamo e come vorremmo essere. Una differenza critica riguarda il divario tra la (1) nostra realtà interiore (come noi la percepiamo), e (2) il nostro ideale, sogno o aspirazione, su come vorremmo essere e come vorremmo comunicare.

Il primo problema da affrontare è il più difficile: uscire dalla falsa rappresentazione di sé e cogliere come realmente siamo. Il secondo problema (più semplice del primo, anche se non immediato) è costituito dal darsi mete e traguardi sul “come vorrei essere” e lavorare attivamente per raggiungerli.

Da una comparazione tra il “come ci vediamo” e il “come vorremmo essere” emergeranno le differenze sulle quali avviare azioni di miglioramento della propria identità personale (come individui) o aziendale (come professionisti che operano in un’organizzazione).

Per schematizzare, proponiamo una griglia di rilevazione, in cui ciascuna casella rappresenta una possibile area esplorativa.

Quando ascoltiamo, stiamo sempre ascoltando una porzione di spazio psicologico, che ha una sua collocazione temporale.

Nella figura seguente, questo è chiarificato in specifici quadranti temporali.

Ciascuna zona richiede domande e attività esplorative attuate tramite tecniche di intervista professionale, domande specifiche in grado di favorire l’apertura.

Ad esempio, al cune domande nel quadrante 10 (i vision  goals positivi) sono:

Cosa significa “migliorare” per te?

Pensati tra 10 anni. Cosa vorresti essere?

Dove vuoi arrivare?

Cosa ti rende felice?

Guardandoti indietro al termine della tua carriera cosa vuoi poter dire di aver fatto?

Se la tua vita fosse un film, come vorresti che finisse?

Per l’asse negativo (-10):

Quali rischi non vuoi correre?

Cosa non deve mai accadere nella tua vita?

Cosa rappresenterebbe per te un “fallimento assoluto”?

Quali sono state le battaglie più negative, quelle che hai veramente perso e ti hanno fatto male?

Ogni persona, durante un’interazione di ascolto, crea continui riferimenti ai propri spazi mentali, agli eventi auspicati.

L’analisi della comunicazione permette di valutare, dal punto di vista cognitivo, dove si situa il pensiero e la comunicazione di un soggetto.

L’ascolto e l’empatia riescono a portare “fuori” quel mondo enorme di pensieri e sentimenti che siamo, e che abbiamo dentro. Chiarificarli, farli emergere, significa comunicare in profondità, e possiamo dire che questo tempo dedicato alla comunicazione profonda è un tempo speciale, un tempo sacro, un dono per chi lo riceve, e un momento vita importante per chi lo pratica.

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© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Analisi del quadrante futuro

E’ inevitabile che la percezione del futuro abbia intrecci con il passato della persona o dell’azienda, la sua storia, i critical incidents (avvenimenti critici) positivi e negativi che l’hanno caratterizzata.

Gli avvenimenti critici sono definiti sia positivamente (incidents positivi) che negativamente (incidents negativi).

Un esempio di incident positivo può essere, a livello personale, il ricordo di un momento di felicità in famiglia, o un successo di vendita.

Un incident negativo, invece, l’essere stato incapace di gestire l’aggressività di qualcuno senza far valere le proprie ragioni, oppure al contrario avere usato aggressività eccessiva quando non doveva essere fatto, rovinando un rapporto, o ancora una conversazione spiacevole con un cliente con il quale ci si è trovati in situazione di incomunicabilità.

Così come la persona ha i propri incidents che ne costellano il passato, anche le aziende hanno un proprio vissuto carico di eventi. Anzi, è decisamente normale che in un’azienda siano accaduti avvenimenti sia positivi che negativi. Nessuna azienda di successo sarebbe tale se non si avventurasse in sfide difficili. Il vero problema consiste nel farlo con le armi giuste e la conoscenza del percorso e degli ostacoli possibili.

In termini di diagnosi e terapia, il successo dell’analisi psicologica svolta tramite il T-Chart aziendale si correla al grado di apertura del cliente, alla sua volontà di collaborare all’analisi. Se si riesce ad ottenere collaborazione, se vi sono i requisiti indispensabili, l’analisi del passato, l’emersione degli incidents positivi e negativi aiuta il professionista dell’ascolto a capire quali comportamenti del cliente hanno determinato il successo e l’insuccesso.

L’oggetto dell’analisi non è unicamente un rivivere avvenimenti, ma la ricerca degli atteggiamenti e comportamenti, delle strategie e delle linee di azione, che le persone o le aziende hanno messo in campo per superare gli ostacoli.

Analizzando unicamente la porzione che riguarda il futuro, la distribuzione temporale ottimale deve sviluppare – in generale – un andamento cuneiforme, dove alcuni cardini della Vision  sono chiaramente identificati, e ad essi sono saldamente collegati i progetti operativi.

“Dare corpo agli spazi psicologici” è il senso ultimo di sviluppo del quadrante futuro.

Esempio per una persona: Nella parte iniziale (alla sinistra) si collocano progetti di breve termine, operazioni pratiche e quotidiane (es: smettere di mangiare zuccheri e fare un allenamento al giorno ogni giorno). Nella parte centrale, più ristretta, si collocano alcune linee di sviluppo strategico, piani di sviluppo di medio termine (es: perdere peso e sviluppare massa muscolare”). Nella parte finale (a destra) si collocano gli eventi cardinali della visione es: “sentirsi meglio, più giovane, più agile, senza acciacchi”.

Esempio per un’azienda: Nella parte iniziale (alla sinistra) si collocano progetti di breve termine, operazioni pratiche e quotidiane (es: contattare cinque clienti importanti per ciascuna provincia). Nella parte centrale, più ristretta, si collocano alcune linee di sviluppo strategico, piani di sviluppo di medio termine (es: dare corpo ad un business plan denominato “progetto Clienti Direzionali Italia Nordest”). Nella parte finale (a destra) si collocano gli eventi cardinali della visione aziendale es: “sviluppare l’immagine aziendale dell’impresa come prima azienda del settore entro il prossimo decennio nel mercato italiano nel Nordest”.

I piani di sviluppo sono interconnessi alla costruzione di una visione, all’emersione e definizione del posizionamento ideale (cosa vogliamo essere), e richiedono la progettazione di una strategia efficace.

I progetti applicativi prendono forma tramite piani di sviluppo (plans), specifiche serie di attività organizzate attorno ad un tema, che traducono la visione in progetto.

Le azioni applicative (cosa fare domani) sono una derivazione dei piani di sviluppo, e la correlazione tra i due momenti deve essere molto forte.

Una visione vuota, priva di elementi cui aspirare, svuotata di speranze e sogni, non produce alcuna motivazione.

Domani cosa faccio? Boh? (certo, se non ho ancorato il domani a qualche obiettivo, la risposta sara difficile!)

La costruzione della prospettiva temporale richiede quindi il passaggio dal vuoto al pieno, sino a insediare negli spazi mentali gli eventi aspirazionali significativi che riempiono il campo psicologico in densità ed estensione.

Le domande in questo contesto, servono, e soprattutto le domande potenti, quelle che vanno al punto, come “come ti vuoi vedere tra 10 anni”, oppure “immagina di giocare a calcio con tuo figlio tra dieci anni, se non fai attività fisica mai da qui ad allora, come vedi che andrà a finire”?

Domanda: inquadriamo un momento intermedio? Come vorresti vederti tra 5 anni?

Se non mi voglio vedere tra 10 anni grasso e incapace di correre, sarò più disponibile a fare un piano, in cui fra 5 anni mi vedo più agile e in forma, piano che comprende azioni quotidiane specifiche. Es. Bene, cosa si può fare di concreto domani, anzi oggi stesso? Riusciamo a trovare il nome di 3 palestre vicine a casa?  o vicine al lavoro?

È già un passo avanti significativo.

L’ascolto è un “attivatore”. In particolare, attiva ragionamenti e riflessioni su chi siamo (nel coaching e nel counseling) e chi vorremmo essere.

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L’importanza della variabile “credibilità della fonte” nella persuasione è stata sottolineata già dai primi studi sulla materia, i quali avvalorano l’ipotesi seguente: un’alta credibilità della fonte ha più effetto, nel persuadere un’audience, che una fonte a bassa credibilità

L’ascolto attivo ha una forte componente persuasiva. Devo persuaderti che vale la pena raccontarmi le tue cose, le tue situazioni, dati, sentimenti, fatti accaduti, qualsiasi cosa sia oggetto del colloquio. 

Allora, la verità comincerà a fluire e l’ascolto a funzionare

Nel coaching, per quanto la fase di comunicare esprimendo dati sia inferiore al tempo passato nell’ascoltare, l’intero “apparato uomo”, l’intera persona come sistema, è una “fonte” che comunica qualcosa di sè, e come tale, soggetta ad esame di credibilità.  

Il coach è una fonte di ascolto, una fonte di consigli, una fonte intesa anche come fonte di saggezza, un porto sicuro nel mare in tempesta. Se non fornisce questa immagine, diventa dissonante. 

Se parliamo di ascolto, possiamo dire senza ombra di dubbio che – ove manchi credibilità spontanea – l’unico modo per ottenere informazioni sarebbe un interrogatorio. E questo non è certo quello che deve fare una persona che voglia praticare ascolto attivo. 

Quello che ci interessa è invece riuscire a creare un ambiente collaborativo e facilitante per l’ascolto. La nostra parte in questo consiste nell’essere persone con una forte credibilità, dovuta a due specifici meccanismi evidenziati dalla psicologia sociale: 

  1. Trustworthiness (o Trust): letteralmente “essere degni di fiducia”, essere persone attendibili; 
  1. Expertise: essere visti come persone competenti ed esperte sul tema che trattiamo, o nel processo di coaching stesso. 

Nel coaching e consulenza, la competenza ricercata è la capacità di analisi, e non tanto l’essere delle persone competenti nel campo merceologico di cui si occupa il cliente. Se ad esempio il cliente produce barche, ma noi siamo coach in azione per lavorare sulla leadership, deve emergere che sappiamo esperti in leadership, e non che siamo esperti di barche.  

Lo stesso vale per il public speaking, dove il fatto di parlare in una banca, in una fabbrica, in un teatro, o in un campo di gioco, non cambia la sostanza forte delle questioni su cui lavorare. 

La dinamica di ascolto va però adattata in funzione delle culture e delle persone.  

Se facciamo ascolto attivo a livello internazionale, sappiamo che un CEO aziendale giapponese pretenderà cenni di rispetto e di cortesia estrema, e non pacche sulla spalla. Il contatto fisico sarà da evitare, almeno nelle prime fasi. Se siamo negli USA, sappiamo che avremo a che fare con una cultura molto diretta, che non apprezza i convenevoli, importanti invece nelle culture latine ed arabe. 

Il fattore expertise (considerato come “competenza” tecnica o “qualificazione”) si riferisce alla conoscenza e preparazione tecnica della fonte riguardo i fatti presentati nel messaggio. 

Il fattore Trustworthiness si riferisce alla percezione che la persona dica o meno la verità che conosce (oppure dia solo una versione parziale dei fatti), con lo scopo di manipolare le controparti a loro insaputa. 

Queste due dimensioni possono essere combinate costruendo una matrice di analisi della credibilità per formare quattro diverse tipologie di percezioni della fonte:

  1. alta expertise- alta trustworthiness: la fonte più credibile, essendo percepita come competente e affidabile; 
  2. alta expertise- bassa trustworthiness: fonte inaffidabile; 
  3. bassa expertise- alta trustworthiness: fonte inesperta; 
  4. bassa expertise- bassa trustworthiness: fonte inaffidabile e inesperta. 

L’intento di passare all’ascolto attivo e non essere quindi spettatori disinteressati ci porta al tema dell’intento di coaching e intento comunicativo e stile comunicativo che ne deriva. 

Tutti si rivolgono a coach, esperti e consulenti per risolvere problemi, o aumentare le loro prestazioni. Il problema avviene quando il cliente pretende di sapere già quale sia la soluzione, e magari cerca una scorciatoia “rapida e indolore” per un obiettivo che richiede invece impegno e continuità. 

Nel momento in cui il professionista accondiscende ad offrire soluzioni che possano portare si alla performance desiderata, ma con grave danno per la persona stessa, l’etica deve far dire no.  

"Ascolto Attivo ed Empatia" di Daniele Trevisani

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Hypervisioning positivo: esplorare il futuro aspirazionale

Nello spazio del T-Chart devono trovare posto:

  1. gli eventi significativi passati (Milestones), sia positivi che negativi, che hanno determinato la situazione attuale della persona,
  2. i Vision-Goals: i sogni della persona relativi al proprio posizionamento futuro, ai macro-obiettivi da raggiungere
  3. i Neg-Goals (Goals negativi): eventi che non devono accadere.

I Vision  Goals sono collocati in un particolare tipo di futuro psicologico, il futuro aspirazionale. In questo spazio psicologico hanno sede le aspirazioni, le mete di lungo periodo della vita della persona o dell’azienda, il “come vogliamo sentirci dentro” nel futuro.

I Neg. Goals (Goals Negativi) sono invece eventi che non devono accadere. Vediamo un esempio di Neg. Goal, come emerge chiaramente da una email (le XXX sostituiscono i dati protetti da motivi di privacy):

Come potrai vedere nella scheda dell’organigramma manca l’Ing. xxxx, perché ci ha lasciati per una ditta molto più grande della nostra.

Mi dispiace molto, visti gli investimenti fatti su di lui e soprattutto perché lo abbiamo sempre lasciato lavorare in piena autonomia, e quindi ora è difficile ricostruire quello che ha fatto. Questa era la cosa peggiore che ci poteva capitare. Non deve capitare mai più.

Le domande potenti devono arrivare qui a definire “come siamo arrivati a questa situazione”, e “quale catena di eventi ci ha portato a questa situazione” per poi passare a domande su “come possiamo assicurarci che questa situazione non accada più?

Domande potenti come “quanto ci costa questo avvenimento ora” “cosa ha favorito questo fatto”, “quali segnali anticipatori ci sono stati” possono anche arrivare ad acuire il dolore per quanto accaduto ma così facendo rendere ancora più forte la volontà che non accada più e prendere provvedimenti seri, e non palliativi.

I sogni migliori sono quelli che al mattino non riesci a ricordare, ma il cui sapore ti segue fino al bar, diluendosi dentro al primo caffè.

 (ilcontenudo, Twitter)

Le attività di sollecitazione del futuro aspirazionale sono chiamate nel metodo ALM “Hypervisioning” – ed hanno la stessa funzione dello stretching nella preparazione dell’atleta.

Mentre lo stretching è utile per allungare la muscolatura e rendere l’atleta più flessibile e potente, l’Hypervisioning è utile per allungare la profondità del pensiero umano verso il futuro, creando un maggiore equilibrio tra azioni quotidiane (day-by-day management) e orizzonti futuri di aspirazioni positive.

L’applicazione dell’Hypervisioning quando applicata in azienda si concretizza nella realizzazione dei Customer Dreams, i sogni del cliente, aspirazioni ideali e pensieri positivi che senza una sollecitazione adeguata rimangono spesso nel cassetto o non vengono mai nemmeno elaborati.

L’analisi dei bisogni si connette immediatamente alla realizzazione di proposte commerciali, le quali potranno essere più o meno vicine al Customer Dream. La sola vicinanza al Customer Dream è infatti in grado di trasferire valore percepibile alla soluzione.

Senza domande potenti, tutto questo potenziale di lavoro sarebbe rimasto nei “sogni mai detti” del cliente.

Come vediamo, il lavoro di ricerca per l’analisi dei bisogni è fondamentale per poter procedere alla realizzazione di proposte e soluzioni.

Al centro dell’analisi T-Chart vi è il concetto di costruttività. La costruttività è la sua capacità di una proposta di portare contribuzione al raggiungimento di uno stato psicologico positivo del cliente.

La costruttività di un servizio – ad esempio una consulenza aziendale – sta nel saper orientare il cliente individuando le scelte giuste da fare, eliminando dal futuro il campo delle incertezze, o riducendole significativamente.

La costruttività di una soluzione è la sua capacità di contribuzione al benessere psicologico del soggetto

La costruttività di un progetto è la capacità di trasformare un sogno in un progetto di realizzabile.

La costruttività è al centro del senso di esistere di ogni persona. Ogni azione, ogni gesto, ogni momento della vita, acquistano un valore incommensurabile se l’individuo vi percepisce la proprietà di trasporto verso qualcosa di desiderato.

Ricordiamolo. I miracoli sono spesso forme del desiderio, desideri che si concretizzano.

I miracoli sono sogni che diventano luce.

 (Alan Drew)

Guardiamo al valore affettivo di un mattone. Un mattone, lo stesso mattone, può essere un ingombrante blocco di argilla sulla strada, che ci costringe a fare un passo più lungo per superarlo (valenza affettiva negativa), oppure un pezzetto della casa che stiamo costruendo (valenza affettiva positiva).

Anche il più piccolo, stupido, insignificante mattone smette di essere un intralcio se entra nel futuro psicologico positivo di una persona.

Studi che hanno analizzato la depressione nei cassintegrati, del resto, hanno dimostrato che essa deriva sostanzialmente dal venire meno di un orizzonte temporale, mentre il futuro si riempie di incertezze su ciò che succederà o non succederà. L’immagine del tempo quotidiano «si modifica significativamente, assumendo connotazioni più negative, in soggetti che per la loro età si trovano di fronte a ostacoli maggiori nel riprogettare il loro futuro lavorativo messo in discussione dall’attuale perdita del posto di lavoro».

In una serie elevata di campi, innumerevoli ricerche collegano la prospettiva temporale allo stato emotivo delle persone. Gli effetti a catena – positivi – dello sviluppo di una buona prospettiva temporale sono numerosi. Ne visualizziamo alcuni.

Lo stesso vale per chi opera nell’azienda. Lo sviluppo della prospettiva temporale aziendale produce effetti altrettanto positivi.

I diagrammi di Gantt, che stabiliscono chi fa cosa e quando, sono uno strumento indispensabile, in questo senso, per dare concretezza e tangibilità ai progetti aziendali.

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Concetti cardine: densità ed estensione della prospettiva temporale

Il T-Chart può essere di enorme aiuto per risolvere problemi e ancora, prima per inquadrarli bene o togliere la nebbia che li copre.

Il T-Chart si pone come sistema di focalizzazione dei problemi (problem setting): quali sono i veri problemi da affrontare?, e di risoluzione dei problemi (problem solving): come risolviamo i problemi?

La base manageriale del T-Chart è il meccanismo di Backward-Planning (pianificazione a ritroso).

Backward-Planning: Fissare un obbiettivo e da questo dedurre tutte le singole tattiche finalizzate a quell’obbiettivo, fissare eventuali scadenze e tappe intermedie, e definire le condizioni necessarie al suo raggiungimento.

Il primo focus, tuttavia, deve essere la fase di problem-setting, senza la quale ogni tentativo di problem-solving risulta vano. In altre parole, perché mettersi a risolvere problemi affannosamente, se sono i problemi sbagliati? Non è meglio forse capire quali sono i veri problemi? Questo è un orientamento di ascolto attivo.

La preoccupazione principale del professionista che usa l’ascolto attivo è la seguente: Stiamo cercando di risolvere i problemi sbagliati? Perché investire il proprio tempo e quello del cliente su problemi irrilevanti? Posso essere produttivo e veramente utile?

Il T-Chart si prefigge di dare un contributo alla risoluzione di problemi, passando dall’indefinizione alla definizione, dall’oscurità alla presa di coscienza, dalla foschia alla luce nitida. E le domande sono lo strumento primario.

Il passaggio di Tullio-Altan che offriamo di seguito è utile per capire le possibilità che il problem-setting è in grado di fornire alla qualità di vita dell’uomo e delle aziende:

Se noi viviamo in una certa situazione avvertendo in essa delle oscure esigenze, che non riusciamo ancora a chiarire a noi stessi, ma solo a sentire angosciosamente, in tal caso possiamo dire che stiamo soffrendo le contraddizioni che la caratterizzano, senza avere una visione razionale dei reali problemi che la distinguono. Dal momento nel quale noi riusciamo ad iniziare un processo di problematizzazione di tali contraddizioni sofferte, il processo di una conoscenza nuova ha preso il suo corso. Quando un dubbio angoscioso prende la forma di un preciso problema, la sua soluzione è vicina.

Le domande sono proprio uno strumento base, lo strumento base assoluto, per passare al processo di “problematizzazione” (individuare problemi concreti) in situazioni che prima non erano chiare.

Il tempo entra prepotentemente nella fase di ascolto.

In azienda, questo si traduce in una prospettiva temporale caratterizzata da densità (quanti goals, quanti obiettivi pianificati, quante azioni reali da svolgere collocate nel tempo futuro) ed estensione (quanto in profondità arriva il pensiero, con che lungimiranza, con quale visione?).

Mentre la densità si occupa della quantità di eventi, la prospettiva si occupa della lunghezza nel tempo del percorso.

Le domande: abbiamo un  orientamento al lungo periodo, abbiamo capacità di fissare obiettivi e traguardi che vadano oltre i prossimi giorni e settimane?

In via semplificata i due concetti (densità ed estensione) sono così rappresentabili graficamente.

Quando ascoltiamo qualcuno, iniziamo a chiederci se ci sta parlando di eventi passati, eventi presenti, o futuri, e che densità c’è nel suo  discorso.

Se siamo in azienda, questo avrà ripercussioni forti.

Se non esistono eventi nella prospettiva temporale aziendale, se non esiste estensione, l’azienda sostanzialmente “vive alla giornata”, e questo può incidere sul grado di motivazione dei dipendenti e dei manager.

Questo ci fa sostenere che la capacità di comunicazione interna (o qualsiasi altra forma in grado di far fuoriuscire messaggi) deve occuparsi di comunicare ai dipendenti e a tutta la struttura (manager, quadri, produzione) l’estensione e la densità dei progetti aziendali. Senza questa capacità viene meno la motivazione al lavoro.

Sapere di lavorare in una struttura che ha un futuro è estremamente importante per la motivazione, e questo si correla alla produttività, alla capacità di vendita, all’empowerment (assunzione del ruolo, “sentire” il ruolo), e ai risultati economici aziendali.

L’evoluzione di questo approccio applica gli stessi concetti di base (densità ed estensione della prospettiva temporale) per esplorare gli spazi psicologici del cliente.

Il T-Chart può essere utilizzato (a) per analizzare e costruire una raffigurazione o mappa dell’orizzonte temporale soggettivo, o (b) per l’analisi e raffigurazione (ma anche revisione e ricostruzione) dell’orizzonte temporale personale.

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L’ascolto in azienda come risorsa pregiata

L’ascolto in azienda tocca un’enorme quantità di situazioni. Ecco un decalogo di casistiche reali e concrete:

  1. ascoltare un collega che ci espone un problema e capirlo fino in fondo;
  2. ascoltare un cliente per capirne le esigenze, far emergere ciò che è veramente meglio per lui, fare un lavoro consulenziale;
  3. ascoltare più persone, più ruoli aziendali, mentre si è da un cliente in una riunione o meeting, o mentre il cliente è da noi, per capire un quadro di esigenze variegato e complesso dove subentrano più decisori, non sempre in accordo tra loro;
  4. ascoltare un collaboratore che ci espone un problema, o vuole un consiglio da noi, ed evitare di cadere nel tranello del “consiglio rapido” ma ascoltarlo per bene prima di esprimersi;
  5. ascoltare un collega che ci espone un progetto, e farlo senza preconcetti e preclusioni;
  6. ascoltare un “capo”, capirne gli input, chiarificarli se necessario;
  7. ascoltare i climi aziendali, capire “che aria tira” in un certo reparto o nell’intera azienda;
  8. ascoltare in una riunione, essere presenti mentalmente, notare cosa accade “oltre le parole”;
  9. ascoltare il “word of mouth” (passaparola) e lo “small talk” (il chiacchiericcio), le conversazioni informali che si creano alla macchina del caffè piuttosto che nei corridoi, spesso portatrici di informazioni molto preziose che non entrano nei tavoli ufficiali di discussione;
  10. saper ascoltare noi stessi, il nostro corpo, la nostra mente, come stiamo, come è il nostro umore.

Per ciascuna di queste aree, l’ascolto è fondamentale.

E come vediamo, lo diventa anche quando vogliamo ascoltare noi stessi a fondo. Buhler ci offre una serie di ottime domande:

“Che cosa ti rende prezioso per le altre persone? Sono forse le tue esperienze, il tuo sapere, la fiducia che tu ispiri, la comprensione che tu dimostri? Quali sono le qualità che apprezzi di più in te stesso? Quali sono le esperienze da te già vissute che possono ritornare utili, a te e forse ad altre persone?”

In un’azienda dove non si ascolta si commettono errori, si creano climi tossici, si sbagliano progetti. In un’azienda dove si ascolta, regna un clima collaborativo e le procedure funzionano, i progetti avanzano, i clienti sono soddisfatti.

L’ascolto non è mai vago ma si concentra in un campo situazionale della persona, ovvero il panorama psicologico del cliente/interlocutore, sia esso persona individuale, o individuo che ricopre un ruolo all’interno di un’organizzazione.

Il campo situazionale è l’insieme degli oggetti mentali cui stiamo prestando attenzione in un determinato momento.

Ogni persona è contornata da una moltitudine di situazioni, di messaggi e stimoli, ma solo pochi di questi entrano nel sistema percettivo, nella sua attenzione consapevole.

Nel caso sopra visualizzato, solo gli elementi E ed F sono percepiti chiaramente dal cliente, mentre gli altri rimangono latenti, come invisibili – seppur presenti.

Bene, l’ascolto è una pratica dalla potenza tale, da far spostare il campo situazionale, portando l’attenzione verso altre zone, con domande giuste e pertinenti.

Capire il panorama psicologico di una persona, il “sistema cliente” che un ascoltatore si trova a fronteggiare, cosa vi è incluso, cosa il cliente pensa, cosa non pensa, è uno dei compiti più impegnativi.

La riflessione aiutata da un ascoltatore professionale ha effetti positivi sul campo psicologico:

  1. capire meglio chi siamo e dove vogliamo arrivare,
  2. esplorare e costruire il proprio futuro,
  3. costruire attivamente i propri obiettivi,
  4. identificare nel campo psicologico i veri problemi,
  5. eliminare dal proprio orizzonte le soluzioni/spazzatura, saperle finalmente riconoscere,
  6. ridurre l’ansietà ed il senso di smarrimento che qualsiasi persona oggi manifesta data l’enormità delle opzioni e alternative esistenti.

In questo capitolo, evidenzieremo quindi come esista una continuità tra (a) relazione professionale che utilizza il modello T-Chart, (b) consulenza basata sull’ascolto e (c) coaching e/o counseling.

L’operatore professionale che utilizza il T-Chart è tale se riesce a capire, costruire o ricostruire l’orizzonte psicologico del soggetto, se è in grado di aiutare il cliente o collaboratore a ridurre le proprie tensioni, le proprie ansie o persino a ri-orientare e ri-centrare il campo psicologico in una direzione più produttiva e pulita.

Nel caso sopra evidenziato, il professionista riesce

1 – ad eliminare il focus (l’attenzione del cliente) da elementi inutili o controproducenti che ingombravano il campo (E ed F);

2 – a spostare l’attenzione verso nuovi elementi, A, B, D, che erano presenti ma scarsamente percepiti o non percepiti del tutto, creando nuove priorità.

Per farlo, deve porre “domande potenti”, domande che inneschino una forte dose di introspezione.

E non pensiamo che spostare l’attenzione di qualcuno sia semplice, non lo è affatto, ma se esiste uno strumento, questo è dato dalle domande potenti.

Le domande devono interessarsi profondamente ai problemi del cliente, in un rapporto che diventa consulenziale. L’effetto collaterale, indiretto e positivo, delle attività di problemsolving che utilizzano il metodo T-Chart è dato dal potere terapeutico di cui esso dispone

La chiarificazione del quadro psicologico, il reperimento di soluzioni efficaci, generano l’effetto di ridurre la tensione e lo stato di dissonanza cognitiva del cliente o collaboratore.

Il T-Chart si basa su tecniche di intervista che sollecitano e fanno emergere i bisogni. Esponiamo un primo caso di studio (semplificato) che evidenzia la valenza della tecnica di intervista. Nel caso esposto di seguito, vengono utilizzate solo alcune piccole porzioni della tecnica T-Chart, in quanto il bagaglio della tecnica è in realtà molto più complesso. Tuttavia, riteniamo utile esporre un primo brano di esperienza per poi arricchirlo lungo il percorso del capitolo.

Caso di studio: “domande potenti

Un avvocato interpella un consulente informatico per aumentare la capacità di memoria del PC. L’opinione dell’avvocato è che così facendo il computer avrà maggiori prestazioni.

Il consulente informatico ritiene necessario svolgere un’analisi del sistema software e hardware del cliente. Grazie alla sua esperienza nell’analisi emerge un altro problema molto forte: la sicurezza dei dati. I backup sono su un solo disco supplementare situato sempre all’interno dello studio. Alcune domande di stimolazione: Che dati ha nel computer? Sono importanti? Quanto tempo di produzione le hanno richiesto?

Il consulente informatico sposta l’attenzione al nuovo campo situazionale con domande indirizzanti: Dove altro sono presenti i suoi files al di fuori di questo locale? Cosa rischiamo se perdiamo questi dati? Quanto tempo occorrerebbe per ricostruirli?

La riflessione guidata sposta l’attenzione dell’avvocato sul nuovo campo situazionale: la perdita dei dati, e la convinzione che i dati ora non siano affatto sicuri. Un incendio nello studio dell’avvocato potrebbe determinare la perdita del lavoro di una vita.

La soluzione finale proposta (upgrade del computer + creazione di un sistema di backup professionale su server esterni) riduce l’ansia latente del cliente, producendo effetti positivi immediati. “Perdere tutto il lavoro di una vita. Come ho fatto finora a convivere con questa possibilità?” – si chiede ora l’avvocato.

Il consulente ha quindi risposto all’esigenza di migliorare le prestazioni (velocità) ma si è posto un problema molto maggiore: Cosa serve davvero al mio cliente, di cui egli ora non si rende nemmeno conto? Perché preoccuparsi solo di velocità del PC se poi i documenti sono alla mercé di qualsiasi hacker o di un incendio?

La relazione consulenziale ha risposto ad esigenze importanti, eticamente ineccepibili, ma per farlo il consulente informatico ha dovuto esplorare, ha dovuto fare “domande potenti”, non si è limitato a fornire “memoria per il PC” come richiesto inizialmente dal cliente.

L’esperienza di acquisto tramite il metodo T-Chart è per il cliente un momento di riorganizzazione della realtà, la presa di possesso del proprio orizzonte psicologico che a volte è smarrito o offuscato dalle preoccupazioni quotidiane, dall’ansia, o semplicemente dalla carenza di informazioni.

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