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© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Una griglia di analisi dei tempi psicologici per l’ascolto mirato

Sulla differenza tra chi siamo e chi vorremmo essere si possono innestare una grande quantità di azioni di sviluppo personale e professionale. E soprattutto, un grande lavoro di ascolto empatico.

Capire questo schema ci permette di capire che anche l’altra persona, inevitabilmente, vive all’interno di uno schema come questo.

Lo schema seguente espone cinque tipi di identità/immagini diverse, che producono un sistema di distanze a vari livelli.

Le tipologie di identità/immagine da noi identificate sono presenti sia nel singolo individuo che nella sfera aziendale:

La colonna di sinistra rappresenta la sfera personale, la colonna di destra rappresenta la sfera “professionale”

Immagini/identità a livello individualeImmagini/identità a livello aziendale
Real Self: Realtà oggettiva del Sé Come sono realmente io, quali sono i miei veri pregi, i miei difetti, le mie abilità, le mie lacune, le mie dissonanze, come e cosa comunico realmente.Real-Self Aziendale: Realtà oggettiva dell’organizzazione o impresa Reali pregi e difetti dell’organizzazione, reali abilità e lacune, dati di fatto sui comportamenti e comunicazioni, dissonanze ed errori, pregi e difetti reali.
Self Image: Immagine di Sé Come io vedo me stesso, come penso di essere, come penso di comunicare, quali sono i pregi, difetti, abilità e lacune che credo di avere (“credo”, non necessariamente ho).Immagine aziendale auto-percepita Opinioni e credenze possedute su pregi e difetti, abilità e lacune dell’organizzazione, suoi comportamenti e comunicazioni (credenze, non la realtà di fatto). Immagine distorta.
Ideal Self Image: Immagine del Sé ideale o immagine obiettivo. Come vorrei essere, come vorrei comunicare, quali sono le mie aspirazioni di abilità e competenze, atteggiamenti e punti di forza che vorrei possedere.Ideal Corporate Image: Immagine aziendale ideale. Il profilo aspirazionale dell’azienda. Ideali abilità e competenze, atteggiamenti e punti di forza, comunicazioni e comportamenti ideali, aspirazioni e company dreams.
Immagine del Sé ipotizzata Come penso gli altri mi vedano; come credo di essere visto dagli altri (credenza soggettiva, non dati di fatto).Immagine aziendale ipotizzata Come l’azienda crede di essere vista dal pubblico (credenza dei manager, non dati di fatto).
Immagine personale etero-percepita o immagine reale Come gli altri mi vedono veramente, come valutano la mia comunicazione, il mio modo di essere, i miei comportamenti, atteggiamenti, abilità e lacune.Immagine aziendale percepita Come i pubblici realmente percepiscono l’azienda, le sue comunicazioni e comportamenti, prodotti e modi di essere, atteggiamenti, abilità e lacune.

Raramente troviamo situazioni nelle quali le diverse forme di identità/immagine coincidono. Molto più frequente è la presenza di distonie e false rappresentazioni, fonte di ripercussioni negative, di dissonanze e problematiche anche molto gravi.

Esistono spesso differenze tra come ci vediamo e come vorremmo essere. Una differenza critica riguarda il divario tra la (1) nostra realtà interiore (come noi la percepiamo), e (2) il nostro ideale, sogno o aspirazione, su come vorremmo essere e come vorremmo comunicare.

Il primo problema da affrontare è il più difficile: uscire dalla falsa rappresentazione di sé e cogliere come realmente siamo. Il secondo problema (più semplice del primo, anche se non immediato) è costituito dal darsi mete e traguardi sul “come vorrei essere” e lavorare attivamente per raggiungerli.

Da una comparazione tra il “come ci vediamo” e il “come vorremmo essere” emergeranno le differenze sulle quali avviare azioni di miglioramento della propria identità personale (come individui) o aziendale (come professionisti che operano in un’organizzazione).

Per schematizzare, proponiamo una griglia di rilevazione, in cui ciascuna casella rappresenta una possibile area esplorativa.

Quando ascoltiamo, stiamo sempre ascoltando una porzione di spazio psicologico, che ha una sua collocazione temporale.

Nella figura seguente, questo è chiarificato in specifici quadranti temporali.

Ciascuna zona richiede domande e attività esplorative attuate tramite tecniche di intervista professionale, domande specifiche in grado di favorire l’apertura.

Ad esempio, al cune domande nel quadrante 10 (i vision  goals positivi) sono:

Cosa significa “migliorare” per te?

Pensati tra 10 anni. Cosa vorresti essere?

Dove vuoi arrivare?

Cosa ti rende felice?

Guardandoti indietro al termine della tua carriera cosa vuoi poter dire di aver fatto?

Se la tua vita fosse un film, come vorresti che finisse?

Per l’asse negativo (-10):

Quali rischi non vuoi correre?

Cosa non deve mai accadere nella tua vita?

Cosa rappresenterebbe per te un “fallimento assoluto”?

Quali sono state le battaglie più negative, quelle che hai veramente perso e ti hanno fatto male?

Ogni persona, durante un’interazione di ascolto, crea continui riferimenti ai propri spazi mentali, agli eventi auspicati.

L’analisi della comunicazione permette di valutare, dal punto di vista cognitivo, dove si situa il pensiero e la comunicazione di un soggetto.

L’ascolto e l’empatia riescono a portare “fuori” quel mondo enorme di pensieri e sentimenti che siamo, e che abbiamo dentro. Chiarificarli, farli emergere, significa comunicare in profondità, e possiamo dire che questo tempo dedicato alla comunicazione profonda è un tempo speciale, un tempo sacro, un dono per chi lo riceve, e un momento vita importante per chi lo pratica.

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

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Concedersi ascolto, concedere ascolto. Oltre la corazza caratteriale e muscolare

In genere, i software di rilevamento della menzogna utilizzano soluzioni di analisi vocale: analisi della voce a più livelli in grado di identificare vari tipi di livelli di stress, reazioni emotive e processi cognitivi riflessi nella voce del soggetto.

I ricercatori hanno scoperto che le frequenze della voce umana sono sensibili all’onestà. Ad esempio, quando qualcuno è onesto, il suono medio in quell’intervallo sarà generalmente inferiore a 10 Hz e sarà superiore a 10 Hz solo quando la disonestà è prevalente. Parliamo di un “grado di disonestà” o “grado di bugia” in quanto chi ci parla può immettere alcune bugie in un flusso comunicativo altrimenti onesto, ma questo non sarà per lui o lei indifferente.

Tutti i muscoli del nostro corpo, incluse le nostre corde vocali, vibrano nell’intervallo da 8 a 12 Hz.

Questo è solitamente considerato un circuito di feedback ed è simile a un termostato / riscaldatore che mantiene una temperatura media oscillando tra temperature più alte e più basse. Allo stesso modo, i nostri muscoli si stringono e si allentano per mantenere una tensione costante.

Quando siamo stressati – diciamo una bugia, per esempio, e non vogliamo essere scoperti – il nostro corpo si prepara alla lotta o alla fuga (meccanismo fight or flight, attacco o fuga). aumentando la prontezza dei muscoli nel caso dovessero entrare in azione.

La vibrazione aumenterà dalla gamma degli 8 o 9 Hz (muscoli rilassati) alla gamma da 11 a 12 Hz (condizione di stress).

I livelli di stress cambiano da un momento all’altro.

Prestando attenzione allo stress vocale, teniamo a mente che lo stress può essere generato da un semplice ricordo, e che i livelli di partenza non sono uguali per tutti. Alcune persone hanno livelli di stress medio, altri alto, mentre altre persone hanno bassi livelli. Ciò che tutti hanno in comune è il fatto che i loro livelli di stress cambiano continuamente all’interno del loro intervallo abituale.

I software di rilevamento della menzogna per PC cercano cambiamenti nella voce e possono rivelarsi uno strumento di verifica della verità affidabile, in quanto dire bugie provoca stress.

Ancora meglio, se utilizzati in combinazione con software che esaminano le microespressioni facciali, e segnalano in tempo reale la presenza di emozioni e la loro intensità.

Usando registrazioni, in particolare, si può applicare l’analisi per capire quale esatta parola o quale riferimento ha fatto scattare quella particolare emozione.

Io utilizzo abitualmente questi software soprattutto per insegnare alle persone che questi meccanismi esistono ma che le persone possono diventare ancora più abili dei software, e far entrare queste abilità di percezione aumentata nel proprio bagaglio personale di risorse.

Vediamo due diverse immagini tratte dall’audizione pubblica di Marck Zuckerberg, fondatore di Facebook, al Senato USA.

In queste immagini possiamo notare il Frame in cui compare la “tristezza” (sad) per alcune frazioni di secondo, e quello in cui compaiono emozioni miste, in particolare la dominanza della rabbia (angry) mista a sorpresa (surprised).

Questi dati fanno parte dell’ascolto attivo a pieno titolo, in quanto ci offrono informazioni che le parole non stanno portando. Infatti durante questo episodio di audizione pubblica il soggetto rimaneva verbalmente impassibile e composto, ma come notiamo, gli sfondi emotivi erano prepotentemente al lavoro.

Esiste un livello di ascolto molto particolare, l’ascolto del “flusso psicofisiologico”. È un ascolto centrato su noi stessi e sui nostri processi interni. Parte prima da un livello molto basilare, l’ascolto del corpo, del flusso psicofisiologico che abbiamo dentro, di come respiriamo, di quanto siamo o meno rilassati, o agitati… e per cosa…. per poi focalizzare ancora meglio, passare a livelli più alti e di coscienza.

Corpo e mente non sono separati ma si influenzano continuamente, e possiamo partire dall’uno o dall’altro ma prima o poi dovremo fare un lavoro su entrambi.

Un altro pioniere, Reich, comprese che quando al corpo non viene concesso di esprimersi, la stessa identità e psicologia della persona ne viene amputata, ci si ricopre di una “corazza” che diventa sia corazza muscolare (nel senso di rigidità muscolari non volute), che corazza caratteriale, nel senso di chiusura verso il mondo.

Reich intuì che l’uomo è prigioniero di una “corazza” muscolare e caratteriale formata da tutti quegli atteggiamenti sviluppati dall’individuo per bloccare il corso delle emozioni e delle sensazioni organiche. L’energia si blocca in alcune parti del corpo che diventano sede di tensioni e conflitti emotivi. Con il tempo la corazza si rivela un impedimento al raggiungimento della propria identità e di una vera creatività, perché lo stato cronico di contrazione muscolare aumenta l’indurimento del carattere, riducendo la comunicabilità, l’amore e la percezione del piacere di vivere. Questa corazza si accentua di anno in anno per le tensioni che si accumulano, e non è certo facile riuscire a liberarsene, anzi, qualcuno non sia accorge nemmeno di averla. Essa limita l’emotività e la libera espressione dei sentimenti e impedisce il libero scorrere dell’energia vitale.

Ascoltare, in questo caso, significa saper riconoscere la nostra corazza caratteriale e muscolare, riconoscere quella altrui, e fare delicati passaggi per permettere alle anime più vere di esprimersi, alle identità più vere di manifestarsi oltre le difese della corazza.

Entrare in contatto tra esseri umani oltre le resistenze delle corazze, ascoltare in profondità, parlare dal profondo del sè, significa passare da comunicazioni irrigidite a comunicazioni più autentiche.

Significa passare dalle parole bloccate verso le parole libere e più vere connesse ai sentimenti più veri. Questo è un passaggio fondamentale non solo per l’individuo ma per tutto il genere umano.

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Elementi che creano fiducia ed elementi che erodono la fiducia

Ognuno vede quel che tu pari, pochi sentono quel che tu sei.

 (Niccolò Machiavelli)

Ogni messaggio, ogni presentazione, ogni momento d’interazione, ha un effetto di imprinting – fissa un’immagine verso chi ci sta osservando o ascoltando. Cambiare quell’immagine iniziale, poi, è difficile.

L’ascolto è una di quelle attività che vengono bene solo se come ascoltatori veniamo considerati degni di fiducia, onesti, competenti.

Basta solo che vi sia anche solo una vaga percezione che le nostre intenzioni siano nascoste o che stiamo mentendo, per ottenere un blocco immediato della conversazione o del rapporto.

Il mondo delle relazioni è un mondo di percezioni soggettive, ancora prima che di dati oggettivi. Esaminare cosa accade a livello di percezioni, nella comunicazione e nell’ascolto, è quindi ancora più fondamentale.

Può accadere che siamo di fatto persone degne di fiducia, ma qualcosa in ciò che diciamo o nel come lo diciamo comprometta questa immagine positiva. Vi sono invece emeriti truffatori in grado di dare una sensazione iniziale di grande professionalità e fiducia.

Dobbiamo quindi esaminare numerosi elementi in grado di generare fiducia o sfiducia tra cui:

  • lo stile di movimento (velocità del passo, camminata);
  • le posture e il body language;
  • le gestualità e l’espressività;
  • il modo di stringere la mano;
  • la mimica facciale;
  • l’abbigliamento e gli accessori personali e professionali
  • tono e timbro della voce, la parlata.

Chi di noi affiderebbe i suoi segreti più intimi a qualcuno di cui – per via di alcuni elementi del mix sopra notato – di pancia, non si fida? A qualcuno che si pensa, magari, dopo pochi minuti, metterà tutto quanto su internet o lo darà ad altri?

O a qualcuno di cui scopriamo che stia registrando a nostra insaputa? O a qualcuno di cui non sappiamo le vere intenzioni?

Tutti questi fenomeni sono centrali nella comunicazione, e ancora maggiormente nella fase di ascolto, in quanto se non riusciamo ad emergere come persone “sicuramente affidabili” e competenti, nessuno ci dirà niente.

In alcune professioni poi, dove l’ascolto è l’ingrediente essenziale, come nel coaching, ma anche nella leadership, larga parte del lavoro si svolge con e tramite colloqui. E i colloqui bisogna saperli gestire, sopratutto come ascoltatori eccellenti e attivi.

Questo vale anche e soprattutto nei colloqui di gruppo, dove la complessità delle maschere in gioco è alta. Ognuno gioca un suo ruolo, e la verità si nasconde la, da qualche parte, ma raramente viene fuori se non alla macchinetta del bar o in qualche colloquio confidenziale.

Chi ha partecipato ad una riunione di Direzione o a un Consiglio di Amministrazione non potrà non averlo notato.

Tutte quelle persone avevano i volti incorniciati dal senso della loro importanza. Giocavano al gioco dell’apparire e dell’ostentare e del sopraffare con la massima serietà. Chissà in quale momento della loro vita si erano dimenticati dei loro giochi di bambini.

 (Fabrizio Caramagna)

Il coaching, essendo in larga misura basato su tecniche di colloquio a tu per tu, one-to-one, ha grande bisogno di costruire modalità di colloquio in cui si generi apertura sincera, e fuoriescano le informazioni che servono per gestire il caso e trattarlo.

La creazione dell’immagine e della credibilità, o la sua distruzione, non avvengono “di colpo” o per effetto di singole evenienze (se non estremamente forti), ma si compongono per sommatoria di:

  • micro-osservazione;
  • analisi di incongruenze e dissonanza;
  • rilevazione di segnali deboli.

Come ho evidenziato in Psicologia di marketing e comunicazione:

“Le informazioni che possono essere colte nella visita di un’azienda, nello scrutare una persona o un prodotto, si categorizzano in due classi importanti, i segnali generatori di fiducia (trust signals) e i segnali generatori di sfiducia (distrust signals)”.

  • Trust signals: elementi colti nel campo percettivo, che generano fiducia e rassicurazione.
  • Distrust signals: elementi colti nel campo percettivo, che generano preoccupazione o sfiducia.

Il percorso valutativo della nostra persona, di noi come interlocutori affidabili o meno, è costellato, in altre parole, dal ricevimento di tanti segnali e di tante informazioni.

Se questi segnali e informazioni sono positive e congruenti tra loro, nasce fiducia, se sono negative oppure emergono incongruenze e dissonanze, la fiducia cala.

Lo stesso vale quando esaminiamo chi parla con noi.

I trust signals svolgono il ruolo di elementi di rafforzamento della fiducia e dell’immagine. I distrust signals sono invece elementi di detrazione, negativi rispetto alla formazione della fiducia.

Se immaginiamo ciò che osserva un cliente all’interno di un’azienda, elementi magari casuali, quali un ordinativo di un’azienda importante, dal marchio prestigioso, collocato su una scrivania possono costituire trust-signals, mentre una lettera di reclamo da parte di un consumatore, o la ruggine sul cancello d’ingresso, o la scortesia del persona, costituiscono distrust-signals. Lo stesso vale per i commenti postati dai clienti su siti appositi di valutazione d’aziende e di prodotti.

L’azienda e il professionista orientati alla crescita devono analizzare attentamente quali elementi della propria comunicazione stiano funzionando da trust signals e quali da distrust signals.

Devono esaminare accuratamente ogni elemento di contatto con il cliente (gli elementi denominati Above The Line– cioè oltre la linea di visibilità) e queli Below the Line (al di sotto della soglia di visibilità) e fare un piano accurato per gli elementi Above The Line.

Devono mettersi con gli occhi del pubblico e del cliente ed esaminare quanto da loro trasuda, (vetrine, prodotti, cataloghi, siti web, immagine personale, ecc.) attraverso apposite griglie valutative (griglie di analisi dell’immagine visuale e griglie di emersione dei segnali negativi aziendali)

La “persona” che vuole lavorare sul proprio “Personal Branding” o immagine personale, dovrà curare altrettanto il tipo di abbigliamento (casual o rigoroso, a propria scelta, purché sia ragionata e coerente), i capelli, le unghie, come e dove è collocato il suo ufficio, cosa ha sui tavoli.

L’aspetto esteriore è un meraviglioso pervertitore della ragione.
(Marco Aurelio)

Dovrà osservare il proprio aspetto esteriore ma anche il sito web con gli occhi di un possibile cliente, persino i propri profili sui social media.

E non è sufficiente. Dovrebbe avere attenzione a farsi dare feedback da persone di propria fiducia o da supervisori (supervisors professionali) che devono occuparsi su sua richiesta di “guardarlo con occhio esterno” e offrirgli feedback, sia positivo che negativo, ove vi siano elementi che non vanno o hanno bisogno di ritocchi nella comunicazione.

Il sostegno di supervisione sulle tecniche di ascolto, vero e proprio, viene anche dall’indicare ad una persona che stiamo affiancando, che – ad esempio – tende ad interrompere troppo il cliente, o non fa dei “recap” (ricapitolazioni) durante il discorso per mettere un punto e poi proseguire.

O ancora, che le sue microespressioni facciali lasciano tradire un’incertezza o un giudizio quando questi non fossero voluti.

Un feedback onesto è sempre prezioso e non va considerato come un attacco.

La dinamica dei segnali di fiducia e di sfiducia coinvolge pienamente il professionista in ogni campo, il venditore, il consulente, i suoi comportamenti e atteggiamenti, i suoi messaggi e comunicazioni, la sua modalità di ascolto.

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La leadership nell’ascolto

Il ruolo dell’ascoltatore richiede una forte attenzione ai giochi comunicativi in corso, con la consapevolezza che nelle organizzazioni e nella negoziazione i messaggi non sono prodotti per fini poetici ma soprattutto per gestire il potere. Anche nel dialogo interpersonale, l’ascolto è una forma di potere. Chi ha il potere di fare domande, ha più potere di chi risponde.

Vi sono pochi dubbi sul fatto che la comunicazione abbia a che fare con il potere, forse solo nei bambini piccoli possiamo trovare quella spontaneità pulita di chi comunica senza un fine. Per tutto il resto, la comunicazione ha anche a che fare con la ricerca di potere,

Tre cose ci sono rimaste del paradiso: le stelle, i fiori e i bambini

 Dante Alighieri

Come evidenzia Tonfoni, il gioco della comunicazione può assomigliare ad un gioco di scacchi o qualsiasi altro meccanismo competitivo:

Considerare invece il modello comunicativo all’interno della Teoria dei Giochi richiede l’esplicitazione previa del modello medesimo, come pure degli obiettivi.

Gli attori, all’interno della teoria, in quanto “giocatori” appunto, progettano e realizzano sequenze di azioni dirette al conseguimento di un fine prestabilito.

Tale fine è costituito dall’utile, essendo la teoria orientata al comportamento di natura prevalentemente economica.

Gli “attori” sono anche “comunicanti verbali”; in quanto tali, le loro azioni devono essere rivolte essenzialmente ad una previsione il più possibile esatta di sequenze di azioni e ad una determinazione esplicita delle cosiddette “regole del gioco”.

Gli attori operano attraverso la realizzazione di strategie opportune, volte al conseguimento del fine o alla opposizione nei confronti di controstrategie attivate dagli interlocutori, ovvero dagli altri individui che prendono parte al gioco comunicativo[1].

La leadership nell’ascolto comprende la capacità di:

  1. realizzare specifiche offerte di tema: buttare sul tavolo della conversazione argomenti voluti, non casuali, per vedere quale sia la reazione degli interlocutori; osservare se raccolgono il tema o lo lasciano andare, e notare le mosse dell’interlocutore (ignorare il tema, sminuire il tema, aggrapparsi al tema, valorizzarlo, ignorarlo);
  2. gestire il formato conversazionale: quale clima predomina durante la relazione? Siamo di fronte ad formato di “interrogatorio”, di “ricerca di una soluzione”, di “confessione reciproca”, o cos’altro? Vediamo un esempio in campo aziendale. Se durante una negoziazione di vendita il venditore si accorge che il buyer sta adottando il formato “interrogatorio”, la leadership conversazionale prevede di farlo notare e cambiare i toni, con frasi del tipo “questa conversazione assomiglia più ad un interrogatorio che ad una ricerca di soluzioni, noi vorremmo provare a dare al nostro incontro un taglio diverso, forse più produttivo. Mi chiedevo cosa lei pensa rispetto a XYZ?”. In questo modo, notate una fase meta-comunicativa (riflettiamo sul fatto che così non va bene) e una fase di role-shifting, passaggio di ruolo da parlante a ascoltatore (chi fa le domande),
  3. ribilanciare i rapporti di potere: nelle famiglie si parte spesso dal principio che i genitori debbano avere più potere dei figli, creando così grandi danni. In azienda, nella leadership accade altrettanto. Nella vendita soprattutto, si assiste ad un “non detto” nel quale chi acquista detiene il potere della negoziazione. Questo potere viene esercitato tramite atteggiamenti tipici di chi detiene il potere: controllo sui contenuti, decidere chi parla, di cosa si parla, e come si parla. A volte questo sfocia nell’arroganza immotivata. Grave segno di ignoranza. La leadership conversazionale prevede la capacità di riformulare i giochi, ribilanciare gli atteggiamenti, riportare i due soggetti sullo stesso piano, per non essere schiacciati. Fare domande è la leva più forte in questo senso.

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Definizione di ascolto attivo: attività di ascolto nella quale viene realizzata una serie di mosse conversazionali, dalle domande aperte alle riformulazioni, per favorire l’espressione altrui. L’ascolto attivo è il precursore dell’empatia e dell’ascolto empatico. L’ascolto attivo è una tecnica di ascolto e osservazione attenta agli aspetti linguistici (contenuti espressi dal parlante), paralinguistici (toni, accenti, timbri della voce) e ai segnali non verbali, con feedback sotto forma di parafrasi accurata, che viene utilizzata nella consulenza, formazione e risoluzione di controversie o conflitti, nella vendita e nella negoziazione, nel coaching, counseling e in ogni relazione d’aiuto professionale.

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Approfondimento dal libro Ascolto Attivo ed Empatia (Franco Angeli editore)

Esiste una classificazione in letteratura che differenzia i livelli di ascolto dal più negativo sino al più positivo, come segue: ascolto giudicante/aggressivo, ascolto apatico/passivo, ascolto a tratti, ascolto attivo, ascolto empatico, ascolto simpatetico (Trevisani, Daniele (2019), Ascolto attivo ed empatia. Milano, Franco Angeli)

Ascolto attivo ed empatia: I segreti di una comunicazione efficacePersino da una foto si capisce qualcosa. Si può “ascoltare” anche una foto, ebbene si. O un dipinto, o un brano di musica, o un paesaggio.

Di una persona, sul lavoro, potremmo fidarci di quanto scritto sul biglietto da visita, ma insistiamo nel guardare anche alla sua postura, alla schiena dritta o curva, al suo mento e agli occhi tristi od orgogliosi, per capire se è fiero di quel biglietto mentre te lo porge, o se per lui/lei è un peso.

Diciamo pure che siamo curiosi per natura, perché la sopravvivenza richiede il sapere le cose, il capire chi ti è ostile o amico, e saperlo fare in una frazione di secondo, come i veri cacciatori/raccoglitori che eravamo, con lo sguardo, osservando occhi, movimenti, intenzioni.

Annusando istintivamente le situazioni prima ancora che “comprenderle razionalmente”.

Questo fa parte di quell’Intelligenza Inconscia, una forma di intelligenza che in questo volume andiamo ad aggiungere alle tante Intelligenze Multiple di cui disponiamo, risorse mentali e corporee così ben esposte da Howard Gardner[1].

Dell’intelligenza inconscia parla giù Freud (definendola „Unbewussten Verständnis“, o „comprensione inconscia) ma senza evidenziarla come risorsa a disposizione di tutti noi, e ancora prima ne parla il filosofo Schelling (1775 –1854)[2] individuandola come una “intelligenza della natura”, ma ancora una volta senza considerarla per ciò che può essere, una nostra preziosissima risorsa. Noi, invece, vogliamo farlo. Gardner ha dimostrato come il fenomeno “intelligenza” possa essere scomposto in una serie variegata di abilità umane distinte, quindi di diverse intelligenze: linguistica, musicale, logico-matematica, spaziale, corporeo-cinestetica, personale e Interpersonale[3], aggiungendo in seguito, quella Intra-personale legata al conoscere se stessi.

Vicina all’intelligenza Inter-personale, aggiungiamo in questo volume la categoria dell’Intelligenza Inconscia, che qui consideriamo una vera e propria skill, una competenza allenabile per l’ascolto attivo, che deriva da una connessione e da un allenamento più forte nel far dialogare la Neocorteccia (parte recente nello sviluppo del cervello), e altre aree antiche come il cervello rettile e il cervello pre-mammifero, aree abilissime a cogliere informazioni sottili ed istintive.

E qui siamo: sulla parte animale dell’uomo, sul suo “leggere lo sguardo”, sul suo “ascoltare anche il non detto”.

Saper leggere le persone, le loro finalità, richiede un ritorno a capacità ancestrali, quando l’attrazione era segnalata con gli occhi verso altri occhi, e non con un profilo social. Ora, più che mai, è tempo di imparare di nuovo a leggere le persone. Perché da un lato stiamo perdendo la capacità di riconoscere i “cattivi” o nemici, dall’altro lato facciamo di tutta l’erba un fascio e magari diciamo NO a qualcuno che non ci può fare alcun danno e anzi magari ci può portare valore.

L’ascolto attivo: Saper cogliere segnali

Urge un ritorno alle nostre sensibilità ancestrali. Urge ripristinare la capacità di percepire correttamente, prima ancora che di valutare logicamente i soli dati. Per farlo, dobbiamo saper usare in modo speciale l’ascolto, facendolo diventare una “percezione aumentata” di qualsiasi segnale entra nella nostra sfera:

  1. Segnali uditivi verbali. cos’ha appena detto Tizio all’altro tavolo?
  2. Segnali uditivi paralinguistici. Riesco a sentire lo stress vocale di una persona?
  3. Segnali tattili-aptici (in questa seggiola si è appena seduto qualcuno? È calda?), o “cosa mi dice questa stretta di mano su di te?”
  4. Segnali cinestesici-visivi: come sta oggi la squadra? Capirlo dalla falcata, dalla postura. Capirlo persino negli spogliatoi. Sembrano tranquilli o agitati? Demotivati o motivati?
  5. Segnali Olfattivi: Che cos’è questo odore di nuovo che sento nell’auto appena comprata, ci ho mai fatto caso? Sono consapevole che è un odore ingegnerizzato o penso sia frutto del caso?
  6. Segnali emotivi: come sto in questo momento, come sta la mia ansia, la mia gioia, il mio cuore, il mio sognare, il mio vivere in relazione con altri e con me stesso? E… Come sta la persona di fronte a me? Come sta respirando, cosa sta sentendo?
  7. Segnali corporali: che mestiere potrebbe fare il secondo da destra su quel tavolo, in base alla tipologia di muscolatura e come è vestito e ai segni che noto sulla pelle?
  8. Segnali olistici: chi è la persona più pericolosa o dissonante in questa carrozza di treno o in questo bar, c’è qualcuno che potrebbe essere pericoloso? In base a cosa lo noto?

I segnali sono tanti. Segnali d’amore, segnali di odio, di indifferenza, di paura, di disgusto, di amicizia. Se solo sapessimo coglierli tutti…

Ma appena cogliamo che il discorso non tocca i nostri interessi vitali, facciamo dietrofront e continuiamo nel nostro fare distratto.

La distrazione è un male dell’epoca.

La “furia dei tempi” e la fretta hanno portato l’ascolto ai livelli minimi assoluti nella storia della civiltà occidentale.

Smartphone e altri dispositivi elettronici hanno sostituito le persone, e siamo quindi diventati bravi ad “ascoltare” i segnali dei dispositivi elettronici, riconoscere un bip da un beeep, a manipolare un telefono o uno schermo touch, ma meno bravi a guardare negli occhi una persona che ci parla dal vivo e coglierne le sfumature, il tono di voce, lo sguardo, i cenni del capo, e capire cosa prova, e se mente o meno.

Nel corso del libro ci saranno decine e decine di strumenti utili per re-imparare l’arte e tecnica del “leggere le persone” – che significa praticare un “ascolto oltre le parole”. L’importante è che si accenda in noi la scintilla. La scintilla del DNA ancestrale. La scintilla della curiosità.

La furia dei tempi ha abituato gli studenti a fare quiz, test a risposta multipla, esami informatizzati, e l’esame orale va sparendo lentamente dal panorama della formazione accademica, perché “richiede troppo tempo”. Così, non impariamo più a “sintonizzarci sul Prof. e sui suoi interessi che magari abbiamo sentito a lezione”, perché è diventato inutile.

Anche nei gruppi di ragazzi e ragazze, seduti a tavola in una pizzeria, si può notare un continuo “fare”, ma con il proprio smartphone, e una assenza quasi fisica del luogo in cui le persone sono veramente, con rare, rarissime conversazioni tra i partecipanti, spesso superficiali.

Non è mai facile ascoltare. A volte è più comodo comportarsi da sordi, accendere il walkman e isolarsi da tutti. È così semplice sostituire l’ascolto con le e-mail, i messaggi e le chat, e in questo modo priviamo noi stessi di volti, sguardi e abbracci.

 

[1] Howard Gardner (1983), Frames of Mind: The Theory of Multiple Intelligences, Edition Hachette UK, 2011.

[2] Friedrich Schelling, Vom Ich als Prinzip der Philosophie oder über das Unbedingte im menschlichen Wissen (L’io come principio della Filosofia o sul fondamento della conoscenza umana), 1795

Friedrich Schelling, Ideen zu einer Philosophie der Natur (Idee per una filosofia della natura), 1797

[3] Howard Gardner (2010), Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza. Feltrinelli, Milano.

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L’ascolto attivo in Wikipedia

Ascolto

Da Wikipedia

L’ascolto è l’atto dell’ascoltare. È l’arte dello stare a sentire attentamente, del prestare orecchio. Ascoltatore è chi ascolta; ascoltare la lezione, un oratore; ascoltare con interesse tutto ciò che il professore dice. Non trattasi di atto superficiale.

In psicologia ascolto è uno strumento dei nostri cinque sensi per apprendere, conoscere il tempo e lo spazio che ci circonda e comunicare con noi stessi e il mondo circostante. L’ascolto è un processo psicologico e fisico del nostro corpo per comunicare ai nostri neuroni, al cervello che li traduce in emozioni e nozioni.

Etimologia

Dalla radice Auris “Orecchio”, latino parlato, Ascoltare è verbo transitivo. La parola ascolto nasce in italiano come derivato del verbo ascoltare, che proviene a sua volta dal latino “auscultare”, cioè sentire con l’orecchio. Il significato tradizionale del termine ascolto è appunto quello che indica in genere l’azione e il risultato dell’ascoltare ed è fortemente legato al concetto di attenzione.

Come noi ascoltiamo

Nell’ascolto c’è la componente fisica, tra orecchio e neuroni di come noi assimiliamo stimoli acustici e la componente psicologica, che è l’apprendimento attraverso i cinque sensi. Bisognerebbe parlare di tante cose sull’apprendimento, partendo da Sigmund Freud con la fase orale (che noi apprendiamo per esempio dalla bocca e i bambini attraverso quel mezzo assaporano, il gusto (freddo, amaro…), il tatto (forma, durezza, …) per capire che cos’è. È il loro primo approccio con il mondo esterno. Sempre in quel periodo c’è l’apprendimento attraverso la vista e l’udito, che poi durerà tutta la vita. L’udito è molto importante, perché la percezione dello spazio e del nostro equilibrio si basa sull’orecchio.

Una delle cose che facciamo con l’ascolto è l’apprendimento del linguaggio. Due teorici come Burrhus Skinner e Orval Hobart Mowrer, ritengono che il nostro apprendimento si realizzi attraverso le interazioni con l’ambiente. Prima si apprendono le parole e più tardi si uniscono. Per fare questo si deve ascoltare con la vista e con l’udito. Per imparare la parola mamma, il bambino sente il suono mamma, per esempio “vieni dalla mamma”. Usando sempre questa frase, vede il movimento delle labbra e l’oggetto in quel caso la mamma. Lui non ha associato subito il significato di mamma, ma è stata la ripetizione degli eventi. Questo procedimento vale in generale. Sempre con l’ascolto il bambino piccolo dice la parola mamma, perché fa delle prove vocali. Per esempio dice: “aaaa” “ma ma ma”… Fa tanti versi il neonato, e attraverso l’ascolto e la ripetizione: capisce, impara a dire, prova emozione. L’ascolto non è solo udito, ma tutto quello che noi riusciamo ad apprendere o assimilare attraverso i nostri sensi.

Usi della parola “ascolto”

La fortuna della parola ascolto è cresciuta a dismisura negli ultimi trent’anni. Fino a qualche decennio fa, infatti, la voce ascolto non si usava quasi mai autonomamente, ma serviva soprattutto per formare locuzioni con valore di avverbi come essere in ascoltorimanere in ascolto, o con valore verbale, come dare ascoltoprestare ascolto nel senso di fare attenzione. Al massimo, la funzione dell’ascoltatore poteva interessare i linguisti, i quali distinguono l’analisi del parlare, cioè della produzione dei testi di una lingua, da quella della loro comprensione.

Ancora all’inizio degli anni Sessanta, l’ascolto non aveva niente a che fare con il pubblico dei programmi radio o tivvù. L’ascolto radio non era l’indice di gradimento: secondo il più grande vocabolario della lingua italiana, la cui lettera A risale al 1961, l’ascolto radiotelegrafico era il periodo fissato, di qualche ora al giorno, durante il quale le stazioni riceventi sulle coste e sulle navi al largo restano in ascolto per captare eventuali segnali di pericolo. Oggi invece ascolto è una parola molto frequente, soprattutto quando si discute di televisione. Sembra un’incongruenza parlare in questo caso di ascolto, visto che la televisione più che ascoltarla la si guarda. Ma l’apparente incongruenza si spiega in parte come un ricordo dei tempi della radio, in parte perché la parola ascolto, nell’accezione di gradimento di un programma radiofonico o televisivo, traduce l’inglese audience, vocabolo molto usato da noi anche nella forma originaria.

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Linee di azione, prototipi comportamentali, euristiche

Un elemento fondamentale del T-Chart e fondamento costitutivo del metodo sono le cosiddette Linee di Azione o Action Lines, le modalità di comportamento che troviamo, le sequenze di azioni che troviamo, e la possibilità che siano non casi isolati ma veri e propri Pattern, modelli che si ripetono.

Andare a caccia di LdA (Linee di Azione)  o Action Lines significa andare a smontare al microscopio un certo episodio, per capire come si è costruito quell’episodio, che precursori ha avuto, come la persona ha ragionato nelle varie fasi di questo episodio, cosa ha provocato cosa, quali sono stati gli antecedenti, sia fisici (es, prima ho parlato con A, poi con B), che mentali (prima pensavo fosse fattibile, poi ho iniziato ad avere dei dubbi).

Ognuna di queste frasi apre la strada a domande apposite, come se fossero alzate di pallavolo, che il Coach o professionista deve “schiacciare” con la domanda adeguata.

Quello che ci interessa in questo ascolto specifico, attivo ed empatico, è arrivare ad avere una mappa completa degli accadimenti sia fattuali che emozionali.

Questo può significare dover far emergere dei punti di svolta, degli attori, dei personaggi, dei cambiamenti interiori, dei cambiamenti nello scenario o nel contesto, degli stati dell’umore o stati mentali, riuscendo ad isolare un episodio critico, positivo o negativo che sia.

Per gli episodi positivi, andremo a caccia di “atteggiamenti efficaci” o “pattern positivi” da poter replicare.

Per gli episodi negativi, andremo a caccia di “errori comportamentali” ed “errori cognitivi” (modalità di ragionamento) ed in particolare di modelli di comportamento ricorsivi o “pattern negativi” da evitare in futuro.

Se si tratta di un successo, avremo smontato gli ingredienti critici di un caso di efficacia personale, e saremo in grado di riprenderne gli atteggiamenti. Sottolineo gli atteggiamenti, non le stesse persone, non le stesse storie, ma gli ingredienti mentali base, il Pattern di una ricetta che contiene le nostre risorse per il successo.

Se si tratta di esaminare un episodio critico invece, un episodio negativo, che si tratti di una “fregatura” o di un insuccesso, qualcosa che si colloca nel quadrante del passato negativo, magari professionale, saremo in grado di smontarlo come un gioco, esaminarne le parti, vedere come si alimenta e costruisce questo gioco, e fare in modo che in futuro nessuno giochi più con noi in questo modo, o non siamo noi stessi ad autosabotarci.

Per l’esame del passato negativo occorre sempre ricordare che si tratta di aree critiche, per cui un conto è esaminare un discorso in pubblico andato non tanto bene, all’interno di un corso sul public speaking, altro conto è esaminare un episodio di attacchi di panico.

Legalmente, occorre assicurarsi che si tratti di un evento trattabile secondo la specifica professione per la quale si è abilitati ad operare.

Dopo questa introduzione breve ma intensa, passiamo ora alla parte avanzata.

Per chi vorrà approfondire tutta la dinamica del T-Chart, così articolata e ricca di spunti per chi pratica ascolto, sviluppo personale e professionale, coaching counseling, terapia, leadership e relazioni d’aiuto, ricordo che una vera formazione può accadere soltanto all’interno di percorsi certificati, e la lettura non sostituisce mai una supervisione, anche se – utilissimo – aiuta a capire le variabili in gioco.

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Il T-Chart come strumento di analisi nel Coaching, Counseling, Terapia, Leadership

La valenza del T-Chart è sia avere uno strumento pratico per indirizzare l’ascolto che, come vedremo, uno strumento che si presta ad azioni precise di coaching, counseling, leadership, motivazione, sviluppo personale e professionale.

La nostra filosofia di ascolto intende esplorare come ed in quali situazioni il rapporto tra ascoltatore e ascoltato possa subire una radicale trasformazione.

Ci interessa arrivare una condizione che permetta all’ascoltatore di fare “domande potenti” per arrivare a divenire “illuminatore di percorsi risolutivi” – all’interno del T-Chart – percorsi che portano il cliente o interlocutore verso una maggiore consapevolezza dei propri pensieri ed un miglioramento sostanziale della propria prospettiva temporale.

L’ascolto assume connotati molto diversi in funzione dello scopo.

Se voglio sapere come è andata una vacanza di un amico o familiare, non andrò mai nel futuro positivo e nel futuro negativo, ma starò possibilmente sull’ascolto attivo dei momenti del passato recente. Come è andata la vacanza? Cosa avete visto di bello? Cosa hai mangiato di buono? E tra di voi come è andata? Ci sono stati degli episodi che mi vuoi raccontare? E via così.

Sarà quindi un ascolto concentrato sul passato, dove io applicherò un atteggiamento di empatia per capire non solo i nomi dei luoghi visitati ma anche e soprattutto gli stati d’animo, le emozioni, i vissuti, e le storie.

Esaminiamo invece il colloquio di coaching: Quali sono i tuoi obiettivi? Che goal vorresti raggiungere? Quando li vorresti raggiungere? Con l’aiuto di chi li potresti raggiungere? E via così. generalmente un colloquio tutto spostato al quadrante a destra in alto, orientato agli obiettivi futuri partendo dall’”ora”, e all’inquadramento delle prossime sfide e strategie migliori per esse.

Che si tratti di sfide aziendali, sportive o esistenziali, saremo in un T-Chart che parte sostanzialmente dal presente e si prolunga in un futuro positivo. Questo futuro può essere persino “aspirazionale”, lontano, per poi arrivare a trovare i primissimi “step praticabili, le azioni che possiamo fare, da subito, per dare corpo alla strategia.

Se parliamo invece di un colloquio psicoterapeutico, esso probabilmente partirà dal “Come ti senti ora? Cosa non va nella tua vita? Cosa ti porta a sentirti insoddisfatto, o infelice? Di cosa vorresti parlarmi? (in genere domande che traguardano il lato negativo).

I dati emergenti sono soprattutto legati ad un vissuto negativo, il cliente medio non va da uno psicoterapeuta per raccontare i suoi successi e vittorie, ma in genere, ha bisogno di esaminare un trauma, una fobia, uno stato di ansia o di panico, o un disagio esistenziale.

Il T-Chart partirà quindi dal “qui ed ora” per andare indietro nella zona del passato negativo, a caccia di eventi e modelli di pensiero di cui però la persona dovrebbe liberarsi, e che si stanno probabilmente trascinando nell’oggi.

Distinguere che tipo di ascolto stiamo praticando, con il T-Chart, è anche visivamente molto chiaro.

Grazie a questa  rappresentazione grafica, siamo ora in grado di comprendere meglio quali sono le specificità di un certo tipo di ascolto.

E se pratichiamo un approccio di tipo olistico, possiamo anche visualizzare il fatto che, risolti alcuni aspetti legati al passato, ora compreso ed esaminato, possiamo poi spostarci verso il futuro, per non stare solo in un “angolo del lamento” ma entrare in un “laboratorio di costruzione del futuro positivo.

Ogni professionista, in base alla Scuola di appartenenza, utilizza un modello più o meno centrato su uno dei quadranti, e persino su più quadranti.

L’importante è sapere che cosa vogliamo ascoltare, che cosa vogliamo esplorare, e che fine abbiamo. Se il fine è curare, o aiutare ad elaborare una strategia di gara, o lavorare su una relazione matrimoniale, o sullo stile di leadership. La chiarezza è tutto.

Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

Analizzare i Segnali Verbali, Paralinguistici e non Verbali

Capire un cliente, individuato come qualsiasi entità esterna, è importante. Ma altrettanto importante è capire il “cliente interno”, il nostro interlocutore in un progetto aziendale.

In questo capitolo, parleremo senza distinzione di “cliente”, per individuare la controparte, al di la che si tratti di cliente interno o esterno.

Analizzare il cliente significa cercare di capire più di quanto egli avrebbe la tendenza a dire, e lasciare che il flusso di comunicazione arrivi dal cliente, anziché essere tentati dalla volontà di inondarlo di informazioni.

Il flusso di comunicazione dal cliente va diviso in due strati:

  1. il flusso di dati e informazioni;
  2. il flusso empatico, gli stati emotivi che emergono nel cliente in relazione a particolari bisogni, vissuti, relazioni e rapporti che egli stesso vive.

Nella relazione consulenziale è indispensabile aumentare le capacità di ricezione sia dei dati oggettivi che saper aprire i canali dei flussi empatici.

Come ho evidenziato:

Chi conosce più da vicino il mondo degli acquisti aziendali e della vendita, sa benissimo che le regole della “matematica formale” imposte dalle procedure di acquisto organizzate, anche nelle grandi imprese, non vengono sempre rispettate.

Si può fare di tutto per evitare che un fornitore risultato primo in graduatoria in una gara di appalto (metodo formale d’acquisto) venga in qualche modo escluso, eliminato, sino a compiere atti illegali, pur di non avere a che fare con quel soggetto – che per vari motivi non vogliamo all’interno dei nostri spazi fisici e psicologici.

Dal fattore umano, dalle simpatie-antipatie, dalle valutazioni soggettive, dagli stereotipi, dalle pressioni sociali, dalle pulsioni subconscie ed inconsce, è difficile sfuggire. Questo determina, a volte, lo stravolgimento dei risultati formali, il fatto che vengano ricercate strade per “far vincere qualcuno” nella gara tra i fornitori, a discapito ed in barba delle procedure e delle regole scritte.

Questo accade in genere quando nelle procedure formalizzate di acquisto non sono presenti tutti i fattori reali di scelta (e del resto, è difficile inserirvi fattori subconsci ed inconsci). Ad esempio, la nostra azienda può – abbastanza inconsapevolmente – considerare di fatto molto importante la capacità di ascolto dimostrata dal potenziale fornitore, ma nelle procedure di acquisto non vi è traccia di tale fattore. Questo genera distorsione ed errori.

Anticipando quanto diremo in seguito, per il venditore, in altre parole, è necessario agire sul terreno psicologico dell’impresa acquirente, inserendo le proprie offerte all’interno dell’orizzonte psicologico soggettivo del buyer.

Una mappa per la comunicazione umana

Possiamo avere tutti i mezzi di comunicazione del mondo, ma niente, assolutamente niente, sostituisce lo sguardo dell’essere umano.

 (Paulo Coelho)

L’insieme di tutti i segnali verbali, paralinguistici e non verbali che una persona può emettere è racchiuso nelle categorie esposte nella figura che segue.

Possiamo dire con certezza che ciascuna delle porzioni di questo schema meriterebbe un libro a sè.

Tuttavia, è bene averne in questa sede un quadro riassuntivo. L’utilizzo di queste categorie può essere sia:

  1. nell’aumentare la consapevolezza degli elementi da ascoltare e percepire;
  2. nella coscienza aumentata dei mezzi che noi usiamo per comunicare i nostri messaggi.

Nello schema abbiamo innanzitutto la componente verbale, che si esprime nel “parlato”:

  1. le parole utilizzate, e la scelta delle parole, o scelte linguistiche, sono già una fonte di informazioni preziose, sulla cultura e grado di studi del parlante, sulla sua provenienza, sullo stato emotivo (es utilizzo di linguaggio “alterato” e parolacce), e quindi informazioni inerenti l’umore e tanto altro;
  2. la lunghezza o brevità delle frasi;
  3. lo stile linguistico (es, rurale, poetico, manageriale, informatichese, ottimista, pessimista, etc);
  4. l’utilizzo di figure retoriche e figure logiche (la metafora, l’esempio e tante altre possibili forme), che ci informano rispetto alle capacità di una persona di essere un buon comunicatore o avere studiato comunicazione.
  5. La strutturazione interna del discorso, le strategie narrative che lo qualificano (e: la favola a lieto fine, il report tecnico, l’arringa), la struttura e le sezioni (inizio, centro, fine, o come altro sono strutturate), la presenza di qualche forma di strategia narrativa evidente o meno.

Passando alla comunicazione non verbale, abbiamo:

  1. la qualità della voce: velocità, ritmo, volume, tono, accenti;
  2. le vocalizzazioni, volontarie (come ehm, uhm, ahh…) e involontarie, come tosse, borbottii, il suono e i tratti del respiro (es, respiro rilassato o respiro affannoso).

Questi due ultimi elementi (voce e vocalizzazioni) costituiscono la parte paralinguistica, la parte non-verbale recepita dal canale auditivo. Abbiamo poi il sistema cinesico, o del movimento.

Questo sistema contiene:

  • il comportamento nello spazio;
  • avvicinamento e allontanamento;
  • distanze personali, distanze tra persone, collocamento delle persone nello spazio;
  • movimento della testa e orientamento del capo;
  • il comportamento motorio-gestuale, la gestualità generale come nel caso del nervosismo e della calma, il modo di sedersi, la posizione tenuta nel sedersi;
  • movimenti delle mani;
  • cenni del capo, come il muovere il capo in su e giù, o di lato, la curvatura obliqua del capo e altre forme espressive;
  • gesti compiuti da altre parti del corpo come braccia, gambe, piedi;
  • la mimica del volto, le microespressioni facciali, i movimenti dei muscoli che sono inseriti dal collo alla base del cranio fino alle guance, sopracciglia e fronte. Tanto per rendere la complessità del quadro, ognuno di questi punti elenco ha interi libri e metodi ad esso dedicati, come il metodo Facial Action Coding System (FACS) di Eckman;
  • i comportamenti visivi come l’eye-contact, il contatto visivo, la sua qualità e durata, l’associazione del tipo di sguardo ai muscoli facciali indicativi ad esempio di uno sguardo triste, tenero, duro, o aggressivo.

Abbiamo poi la comunicazione “Aptica”, quella che avviene tramite il contatto fisico. Il contatto fisico può contenere diverse modalità, tra cui:

  • stretta di mano e sue qualità, suoi effetti strategici o dimostrativi, la naturalezza o meno del contatto, il calore trasmesso o il sudore dei palmi delle mani, la fretta o la calma;
  • contatto con altre parti del corpo;
  • gesti come l’abbracciare.

Passiamo poi agli elementi che vengono colti dal canale visivo. in particolare l’aspetto esteriore, composto da accessori della persona e aspetto corporale. Per gli accessori, sono possibili portatori di comunicazioni e messaggi:

  • abbigliamento;
  • accessori, sia delle braccia, delle caviglie, del collo, come braccialetti e collane, ma anche piercing e tatuaggi, e ogni altro elemento cui lo sguardo può attribuire significato;
  • beni personali, es, computer, auto, penna, borsa;
  • modalità d’uso degli oggetti, come la facilità o difficoltà nell’uso di uno strumento elettronico o manuale.

Sul piano corporale, sono portatori di possibili significati e messaggi:

  • la struttura corporea, aspetto e dimensioni fisiche, sviluppo muscolare;
  • i capelli, la loro forma e colore, il taglio dei capelli;
  • le proporzioni, altezza, larghezza, gli stati come magro/grasso etc;
  • i tratti del volto e i segni sul volto, cicatrici, abrasioni, stato della pelle; la pelle e il suo stato specifico quanto a colore (ad esempio, il fatto di sbiancare improvvisamente nel volto è un indicatore involontario di malore), sudore (indicatore di possibile fatica o invece di ansia o panico), cura della pelle;

Vi sono poi:

  • emanazioni corporee, da quelle tangibili come sudore, profumi, puzza, a quelle meno percepibili come i segnali ormonali che emettiamo dalla pelle;
  • sapori (sapori del soggetto, nel contatto fisico di tipo sessuale, o sapori culinari nelle produzioni della persona) ;
  • produzioni attribuibili all’individuo, da una mail a un disegno, una presentazione PowerPoint, un libro, la loro modalità espressiva e significati;
  • la Cronemica, letteralmente, la comunicazione praticata attraverso il tempo. Es, far aspettare, arrivare prima, quanto tempo si impiega a compiere un certo atto, la velocità o lentezza del movimento in termini temporali, e persino il “non rispondere”. Fanno parte di questa categoria le capacità di sincronizzazione e reattività ai messaggi altrui.

Tutti i messaggi possono essere a canale singolo o target sensoriale singolo, o canale multiplo e target sensoriali multipli, generando comunicazioni polisensoriali:

  • bi-sensoriali
  • tri-sensoriali
  • quadri-sensoriali
  • penta-sensoriali
  • exa-sensoriali

La Comunicazione Olistica è il riconoscimento che la realtà della comunicazione umana è estremamente complessa così come è in natura, e se vogliamo esaminare un fenomeno, come ad esempio la seduzione, o la persuasione, probabilmente arriveremo a trovare tutti o quasi tutti gli elementi di questo quadro, in azione sinergica.


Altri materiali su Comunicazione, Ascolto, Empatia, Potenziale Umano e Crescita Personale disponibili in questi siti e link:

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© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

L’incontro. Preparazione – Incontro – Debriefing

L’ascolto è un’attività terapeutica o analitica, ma può essere anche una fase strategica entro una negoziazione. Come ho esposto nel volume “Negoziazione Interculturale”, per avviare un’analisi seria e produttiva della negoziazione, dobbiamo innanzitutto distinguere almeno tre fasi diverse:

  • fase di preparazione all’incontro: briefing, raccolta di dati, analisi degli interlocutori e delle posizioni, studio dei dati disponibili, preparazione di una piattaforma negoziale da discutere, preparazione dell’elenco delle argomentazioni e ordini del giorno, role-playing di preparazione negoziale, sviluppo e test delle action-lines (linee d’azione);
  • fasi di contatto, colloquio front-line: la fase del contatto face-to-face; lo scambio di informative e messaggi mediati (email, corrispondenze), contatti diretti telefonici o videoconferenze, incontri personali faccia a faccia (in cui interviene l’ascolto);
  • fasi di analisi e debriefing: analisi degli esiti dell’incontro e preparazione alle fasi successive.

La fase di preparazione richiede lo studio del numero più ampio possibile di informazioni affinché sia possibile entrare nella fase di contatto con cognizione di causa (consapevolezza situazionale) e conoscenza degli elementi culturali di base (consapevolezza culturale) rispetto alla persona da incontrare: professione, studi, elementi ricavabili dai profili social, e altro. Durante la fase di preparazione è essenziale che noi pratichiamo un ascolto speciale, un ascolto dei nostri stati emotivi, dei nostri dubbi, delle nostre certezze e incertezze, per entrare con più consapevolezza e se serve, prepararci a priori, sia con ricerca di informazioni, che con il Training Mentale, ad avere l’assetto mentale giusto per fare domande efficaci.

“A che ti giova insegnare agli altri,

se intanto tu per primo non ascolti te stesso?”

Francesco Petrarca

La fase di contatto, soprattutto nel face-to-face, rappresenta il terreno negoziale, il “momento della verità” in cui avvengono le azioni più significative, e poiché avvengono “durante” la conversazione, irreversibili. Mentre è possibile ritardare una risposta ad una email per riflettere, ciò che avviene “durante” il contatto frontale è sempre nel “qui ed ora”.

La fase di debriefing serve per metabolizzare le informazioni e comprende (almeno)

  • un debriefing comportamentale: cosa è accaduto là, analisi dei propri comportamenti, ricerca degli errori, analisi dei comportamenti altrui, e
  • un debriefing strategico: implicazioni pratiche, analisi degli esiti, preparazione delle prossime mosse, e delle prossime domande e informazioni da raccogliere.

La negoziazione in genere richiede diversi cicli di preparazione-contatto-debriefing, per cui possiamo assimilarla ad un processo ciclico.

L’Analisi della Conversazione Strategica (ACS)

L’ACS riguarda l’analisi della strategia conversazionale, in particolare le dinamiche di una conversazione diretta verso un fine o obiettivo.

Deriva dagli studi compiuti nelle scienze della comunicazione in campo soprattutto linguistico e psicoterapeutico, per comprendere come le persone interagiscono nei rapporti faccia-a-faccia.

Le applicazioni strategiche dell’analisi derivanti dalla AC (Analisi della Conversazione) richiedono innanzitutto di capire i meccanismi della conversazione e poterli portare all’interno delle interazioni che possiamo definire strategiche (ACS), orientate ad un risultato, come appunto una sessione di ascolto o empatica.

Dal punto di vista scientifico i contributi della AC sono numerosi: l’AC si occupa di analizzare come le persone gestiscono i turni conversazionali, come cercano di interagire conversando.

L’ascolto, ricordiamolo sempre, è un passaggio di una conversazione più ampia e non va dimenticato che è fondamentale capire come funzionano le conversazioni, ancora prima che il solo ascolto.

L’AC è stata rivolta soprattutto alle interazioni sociali o personali e molto meno ai dialoghi aziendali e di vendita.

Dal punto di vista linguistico, utilizzando alcuni prestiti dalla AC e numerose addizioni originali, nel metodo ALM cerchiamo di “smontare” la conversazione analizzandola come un insieme di “atti conversazionali”, per studiarne la struttura e applicarla ai problemi concreti dei professioni, delle persone, delle aziende e organizzazioni che devono negoziare efficacemente.

Dal punto di vista semiotico, possiamo chiederci (1) quali siano i significati e interpretazioni di senso che ciascun attore attribuisce alle singole mosse, sul piano della relazione (semantica relazionale) e (2) quali sono gli effetti pratici sulla relazione stessa (pragmatica relazionale).

Nell’ascolto attivo ed empatico ci chiediamo che significati quella parola ha per lui/lei, facciamo ipotesi, le verifichiamo con domande, stiamo aperti alla possibilità che il significato da noi ipotizzato non sia quello che l’altro intende, perché il bello della comunicazione è che per ogni frase vi sono tante possibili interpretazioni quante sono le persone che la ascoltano.

“La cosa bella della musica è questa: se dieci persone ascoltano una canzone, la canzone avrà dieci significati diversi.”

Noel Gallagher  

Dall’analisi delle mosse conversazionali sino ad interi brani di interazione, è possibile sviluppare le capacità dei manager e negoziatori (1) nella decodifica della conversazione, e (2) nell’acquisizione di maggiori capacità conversazionali. Inoltre, possiamo formare e acculturare i negoziatori a produrre una strategia conversazionale più efficiente e consapevole anche all’interno della propria cultura di partenza.

“L’incapacità dell’uomo di comunicare è il risultato della sua incapacità di ascoltare davvero ciò che viene detto.”

Carl Rogers

active listening and empathy

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