Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Lo sviluppo delle energie mentali richiede apertura verso il rischio

Tra le capacità mentali fondamentali vi è la percezione corretta del rischio, la determinazione dello stato di approssimazione o indeterminatezza accettabile, e il saper misurare correttamente le proprie energie e risorse.

Tra le abilità identificabili:

  • analisi interna: saper misurare la quantità di risorse che abbiamo dentro o possiamo attivare (self check-up);
  • analisi esterna: saper inquadrare le energie e risorse necessarie in un determinato task o compito (task check-up);
  • analisi interattiva: saper correlare le due aree, interna ed esterna, per capire se e quanto siamo all’altezza della sfida che ci aspetta (challenge check-up).

Lo sviluppo delle energie mentali richiede una dose di apertura verso il rischio. È da considerare come positivo un rischio calcolato e la presenza di un margine di errore, ma non un rischio assoluto e imponderabile, come il salire una vetta e non sapere se si avranno le forze per scendere.

Il rischio è elemento centrale del concetto di “impresa” (“compiere impre­se”), di “intraprendenza” (intraprendere un cammino, un percorso, un’av­ven­tura), di goal sfidante (una sfida non sarebbe tale se si fosse certi al 100% di raggiungere lo scopo, sarebbe solo routine).

Subire fallimenti ripetuti in genere diminuisce le energie mentali, pertanto il risk management (gestione) richiede adeguate doti di risk assessment (va­lutazione della portata del rischio in relazione alle proprie risorse).

Prevedere alcuni fallimenti prima di arrivare ad un certo risultato è utile per far si che il fallimento non diventi sconfitta, negazione di sé.

Anche il concetto di fallimento tuttavia può e deve essere gestito per trarne energie.

Culture aziendali e regionali che premiano il rischio offrono, di chi ha fallito in un progetto di business, una connotazione positiva.

In alcune aree della Silicon Valley, culla californiana della rivoluzione informatica, si usava affermare che un imprenditore che non avesse fallito almeno 2 o 3 volte non “avesse le palle”. In altre parole, chi non avesse mai rischiato, non sarebbe stato degno di essere chiamato “imprenditore”.

Altre culture invece tendono a inibire e bloccare la propensione al rischio d’impresa. In questi territori psicologici e sociali, i genitori preferiscono che i figli cerchino l’assunzione nelle strutture statali e pubbliche (più sicure) piuttosto che la creazione di impresa autonoma.

Questo tende naturalmente a ridurre le energie mentali connesse ad accettare un grado di rischio, e reprimere sul nascere gli sforzi di autorealizzazione, se il proprio percorso esistenziale non è compreso in ruoli pubblici o più sicuri.

Principio 19 – Risk management e apertura al rischio

Le energie mentali diminuiscono o si esauriscono quando:

  • l’individuo non inserisce nel proprio orizzonte di vita e nella pratica quotidiana aree di rischio (rischio calcolato);
  • l’individuo chiude la propria prospettiva verso l’innovazione, verso la ricerca ed esplorazione di nuovi orizzonti, verso il concetto di impresa, sfida e goal sfidante;
  • l’ambiente sociale, familiare o la cultura di appartenenza reprimono la propensione al rischio (anche se calcolato), soprattutto in campo economico e personale, disincentivando gli sforzi e ideali autorealizzativi;
  • la cultura di appartenenza o visione personale delle cose condanna come fallimenti assoluti i tentativi non riusciti, le sperimentazioni, i fallimenti relativi e sconfitte di percorso, e non li considera come normali o necessarie, connaturate al fatto stesso di tentare nuove strade.

Le energie mentali aumentano quando:

  • il flusso esperienziale metabolizza aree di rischio (in progressione), con apertura progressiva a spazi esistenziali più ampi;
  • viene tenuta aperta una prospettiva di innovazione e questa si concretizza nell’inquadrare orizzonti di sviluppo e progetti con goal concreti;
  • la cultura di appartenenza incoraggia la sperimentalità, l’innovazione, la ricerca, l’iniziativa (con sfondo etico positivo), accettando il rischio connesso e aiutando l’individuo a metabolizzare gli insuccessi e andare avanti comunque
  • in caso di cultura di appartenenza avversiva alla sperimentazione e alla ricerca,  l’individuo acquisisce tecniche mentali atte ad emanciparsi da questa lacuna e avviare una propria personale strada, un percorso di ricerca ed esplorazione di nuove mete e ideali.

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Formatore e Coach su temi di Sviluppo del Potenziale Personale, Comunicazione Interculturale e Negoziazione Internazionale, Psicologia Umanistica. Senior Expert in HR, Human Factor, Psicologia delle Performance, Comunicazione e Management, Metodologie Attive di Formazione e Coaching.

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