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Potenziale Umano

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© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.

Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano: metodi e tecniche di coaching e training”, Franco Angeli editore, Milano.

Energie e capacità mettono le persone in grado di dirigersi verso i propri obiettivi o scopi, siano essi già inquadrati come progetti con un output preciso, o semplici idee ispiratrici, ancora non definite o ben focalizzate.

I tre grandi piani di lavoro (energie personali, competenze, obiettivi), sono variabili tecniche, ma dietro ad esse si trova uno sfondo umanistico enorme, dalle grandi implicazioni, che vogliamo esaminare.

Ottenere risultati e tagliare i propri traguardi è un tema importante per l’individuo, per un gruppo (team sportivo, team aziendale), e per un’intera organizzazione o azienda, persino per una nazione o l’intera umanità.

La quantità di implicazioni psicologiche che si ritrovano dietro ai risultati, tuttavia, è impressionante. Solo chi li ha faticati in prima persona è consapevole dello sforzo, delle energie mentali e motivazionali spese per attività che apparivano, a prima vista, banali o puramente tecniche.

A volte non sono gli obiettivi ad essere difficili, ma le persone.

Ad esempio, la prestazione in un esame dipende sia dalla conoscenza della materia (aspetto tecnico) ma anche dalla capacità di gestire emozioni, ansia e attesa, essere comunicativi e mentalmente presenti (componente psicologica), e questa è ben più difficile da affrontare che non lo studio di una materia.

Anche nello sport, vincere una partita prevede la capacità di creare un team vincente, lavorare ai climi psicologici del gruppo, sostenere le individualità, creare uno spirito di squadra. Chi dimentica questo perde.

Lo sanno bene le nazionali forti che possono subire sconfitte pesanti e umilianti anche da squadre di paesi semisconosciuti, se affrontano l’impe­gno con “sufficienza”, o si trovano nella condizione psicologica sbagliata, mentre gli avversari sono iper-motivati e affamati di vittoria.

Anche in azienda il fuoco della motivazione e della passione, e le qualità mentali, fanno la differenza: un progetto davvero innovativo prima si pensa, poi vi si investe. La qualità del pensiero viene prima.

Una distinzione fondamentale consiste nel riconoscere che esiste una matrice di obiettivi, e questa parte da risultati molto focalizzati (micro-goal, come rimanere positivi nei vari momenti di un’attività, anche se impegnativa), passa per obiettivi più ampi (es.: gestire bene un progetto cui teniamo), sino a salire agli obiettivi esistenziali (Life Objectives), come il bisogno di vivere a pieno la vita, e la ricerca della felicità.

In ciascuno di questi stadi vi sono catene da spezzare e cose da imparare.

Secondo questa visione, vivere pienamente significa ben più che esistere.

Questo ha ripercussioni non piccole sul concetto stesso di performance e di potenziale umano. Come sostiene Oscar Wilde:

La cosa più difficile a questo mondo? Vivere! Molta gente esiste, ecco tutto

(Oscar Wilde).

Quindi, fissiamo immediatamente un concetto: si possono ottenere performance senza lavorare sul potenziale umano seriamente (es.: doping, o comprare un risultato) ma questo non ci interessa, non è il nostro fine. Anzi, questi pseudo-risultati sono il polo negativo, il male, le bugie, le false promesse, ciò da cui vogliamo stare lontani.

Il lavoro che ci apprestiamo a fare infatti è quello allenante, preparatorio, formativo, costruttivo, il dare forma (Modeling) al potenziale e alle prestazioni tramite un lavoro serio, fatto di continuità, tecnica, strategia, sudore.

Due elementi fondamentali di una prestazione umana sono: (1) gli scopi (obiettivi) e (2) il loro grado di raggiungimento (nullo, intermedio, totale).

Rispetto agli scopi, ci concentriamo soprattutto su quelle prestazioni o performance che hanno un senso di contributo, di liberazione, di espressione, di emancipazione. In altre parole, le prestazioni non solo meccaniche.

Rispetto al grado di raggiungimento, consideriamo che esso sia una funzione strettamente dipendente dal tipo di potenziale raggiunto (dalla persona, dal team, dall’organizzazione), e che per l’eccellenza bisogna lavorare sulla crescita strutturale più che sui risultati immediati. È la nostra visione.

È più importante insegnare ad un atleta a gestirsi, a non bruciarsi, ad avere una carriera e una vita, a trovare equilibri, che non spremerlo e gettarlo per una singola gara o stagione.

Lo stesso per avere manager e professionisti preparati in azienda: stiamo o no creando un sistema che li formi, una palestra di formazione aziendale? Se non abbiamo un programma serio in merito, non lamentiamoci se dovremo richiamare i pensionati. In ogni squadra seria si coltiva un vivaio e un settore giovanile, e questo vale anche in azienda. Molti vogliono risultati senza investire, e spremono l’azienda, ma non fanno crescere le persone.

Ancora una volta, vogliamo lavorare alle condizioni che permettono di ottenere i risultati quando li desideriamo, senza attendere manna dal cielo o la fortuna.

Il nostro approccio considera le performance vere non solo come atti tecnici, ma espressioni di libertà, applicazioni di una volontà emancipata di andare oltre, di scegliere (Free Will), un concetto che sta entrando finalmente nella letteratura anche manageriale:

La libera volontà è l’abilità di un agente di selezionare un’opzione (comportamento, oggetto, etc.) da una serie di alternative1.

Nei capitoli successivi passeremo in rassegna numerosi dettagli tecnici sui quali lavorare per una formazione e coaching analitici e in profondità.

Non dimentichiamo però lo spirito di fondo, che è sempre quello di un messaggio positivo, ciò che un padre vuole trasmettere ad una figlia, o figlio, o al prossimo, rispetto alle energie e alla vita: ogni volta che ti svegli, pensa positivamente a cosa fare di buono oggi. Ogni volta che vai a dormire, rivedi le cose buone accadute, sensazioni positive che avresti dato per scontato. Poi, pensa a cosa ti piacerebbe fare di bu
ono domani, cosa ti renderà felice, che contributo puoi dare a te e agli altri, in cosa puoi applicarti bene. Fai cose che ti daranno energie, riduci quelle che ti impoveriranno spiritualmente e fisicamente.

Non lasciarti spegnere. Ogni volta che sei triste chiediti se la tristezza ti merita o se puoi dirottare le tue energie verso qualcosa di positivo.

Ogni volta che guardi avanti cerca il bene, e quando ti guarderai indietro sarai orgogliosa di te. Questo è rendere omaggio al dono di esistere.

Agire, provarci, in modo da potersi guardare indietro con senso dell’onore, è luce, un bisogno che traspare in ogni storia vera, in ogni cultura umanistica e spirituale, come si intravede bene in questa testimonianza dagli Indiani d’America:

“Oh Grande Spirito, la cui voce ascolto nel vento,

il cui respiro dà vita a tutte le cose.

Ascoltami; io ho bisogno della tua forza e della tua saggezza,

lasciami camminare nella bellezza,

e fa che i miei occhi sempre guardino il rosso e purpureo tramonto.

Fa che le mie mani rispettino la natura in ogni sua forma

e che le mie orecchie rapidamente ascoltino la tua voce.

Fa che sia saggio e che possa capire le cose che hai pensato per il mio popolo.

Aiutami a rimanere calmo e forte di fronte a tutti quelli che verranno contro di me.

Lasciami imparare le lezioni che hai nascosto in ogni foglia ed in ogni roccia.

Aiutami a trovare azioni e pensieri puri per poter aiutare gli altri.

Aiutami a trovare la compassione

senza la opprimente contemplazione di me stesso.

Io cerco la forza, non per essere più grande del mio fratello,

ma per combattere il mio più grande nemico: Me stesso.

Fammi sempre essere pronto a venire da te con mani pulite e sguardo alto.

Così quando la vita appassisce, come appassisce il tramonto,

il mio spirito possa venire a te senza vergogna”.

Preghiera per il Grande Spirito,

Tatanka Mani (Bisonte che Cammina) (1871-1967)

1 Mick, D. Glen (2008), Degrees of Freedom of Will: An Essential Endless Question in Consumer Behavior, Journal of Consumer Psychology, 18 (1), 17-21.

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© Articolo a cura di: dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Formazione, Consulenza e Coaching.
Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Regie di Cambiamento”, Franco Angeli editore, Milano.

 
Per capire come e dove occorre crescere serve la possibilità di osservarsi per “come si è”. Ogni sistema (persona, team, azienda) vive un dilemma interiore: da un lato “abita” la propria realtà dall’interno, dall’altro lato avrebbe bisogno di osservarsi dall’esterno.
Non potendo essere in due luoghi contemporaneamente, non ha in nessun momento l’occasione di potersi scrutare con la stessa lucidità con cui un estraneo – distaccato – vede le cose.
Riflessioni operative:

  • considerare l’esistenza di un possibile divario – anche forte o drammatico – tra esigenze auto-percepite e esigenze reali;
  • abbinare la propria autoanalisi a quella di visioni esterne o valutazioni esterne su cosa sia bene cambiare; ottenere feedback dall’esterno per poterlo comparare con le proprie percezioni e valutazioni interne;
  • rimanere umili (evitare dell’altezzosità che impedisce di ricercare il miglioramento) in ogni stato o condizione di vita.

Nelle aziende la soluzione ai problemi di organizzazione ed efficienza è spesso alla portata di mano, è sotto gli occhi di tutti, ma nessuno se ne accorge, poiché il problema stesso si nasconde nella quotidianità.
Un ladro in una via deserta è allo scoperto, ma in un mercato affollato si sottrae alla vista rapidamente. Un granello di sabbia su un tavolo pulito si può percepire, ma in una spiaggia si confonde. Lo stesso vale per i problemi aziendali e personali. Spesso in una famiglia basta uno sguardo alle conversazioni che avvengono a tavola per capire cosa non va, mentre i membri dall’interno si arroventano da anni in dilemmi interiori alla ricerca del “cosa succede” e “di chi è la colpa”.
Nelle aziende non nasce spontaneamente – una mattina – un fungo con su scritto “qui serve più leadership e meno lassismo”, oppure “qui manca la capacità di comunicare ai dipendenti”, o “dobbiamo dare più spazio alla meritocrazia”, ma bisogna scoprirlo osservando i micro-comportamenti quotidiani, le interazioni reali, una riunione o un colloquio informale, le voci di corridoio.
Collegare i sintomi alle cause è difficile, a volte impossibile. Numerosi meccanismi di difesa ci impediscono di vedere le cose come sono. È più facile dare la colpa al destino che riconoscere di avere assimilato dal padre o dalla madre un modo di essere improduttivo.
Una persona non scopre magicamente che sta perdendo tempo in una linea di pensiero arida ma lo deve scoprire focalizzando i sintomi e risalendo alle possibili fonti. E probabilmente da solo non ce la farà.
Un atleta, o un manager, difficilmente riesce a inquadrare da solo cosa esattamente dovrebbe perfezionare di sè e in quale direzione, e ancora meno cosa fare per crescere. Se costruisse un auto-piano di allenamento con molta leggerezza o supponenza verrebbe da dubitare sulla qualità della sua analisi. Il bisogno di crescita spesso nasconde dettagli che sfuggono all’auto-percezione.
Nella mia esperienza come coach di atleti di arti marziali, ho osservato come alcuni elementi particolari poco percepibili per l’atleta stesso – es.: l’altezza delle braccia mentre è impegnato in una tecnica di calcio – potevano spiegare molti errori. Il soggetto trascurava questo aspetto (perché occuparsi delle mani se sto colpendo con le gambe?). Il problema era tuttavia forte: le mani in posizione sbagliata creano un aumento del tempo necessario a ritrovare una guardia corretta, mentre assettandole bene si produceva un micro-risparmio di tempo in grado di fare la differenza. Solo un osservatore esterno poteva vedere questo dettaglio. Lo stesso vale per molti problemi connessi al cambiamento.
Ne troviamo esempi ogni giorno in azienda: il bisogno di rafforzare il marketing può essere solo un sintomo, che nasconde la presenza di un titolare invadente il quale pretende di fare da direttore marketing e commerciale. Poiché non ne ha le competenze – impedisce di fatto la crescita del reparto. Ogni tentativo di training in questa situazione può risultare improduttivo se le interferenze non cessano, ma scoprire questo “baco latente” è impresa non facile.
Il focusing – apprendere a focalizzare – è la strada da imboccare per smettere di vagare nel buio, in tentativi disordinati.
Il focusing è un processo generale, la cui radice non è riconducibile ad un unico autore. Dobbiamo a Gendlin1 la sua presenza e affermazione tra le scuole psicoterapeutiche contemporanee, ma francamente non possiamo dimenticare quanto i greci e i romani antichi abbiano insistito sulla necessità di focalizzare, ascoltare e ascoltarsi2.
Fare focusing è necessario per ridurre il gap di autoconoscenza, e – se un focusing attuato dal singolo è utile – un focusing aiutato da un professionista o consulente è spesso più efficace.
Riflessioni operative:

  • realizzare focusing (autoanalisi e analisi assistita) per far emergere aree di lavoro, lasciando fluire le proprie sensazioni in un ambiente psicologico non giudicante e di massima accoglienza, non valutativo;
  • raccogliere quanto emerge dal focusing per identificare possibili target di cambiamento.

Nel focusing auto-diretto, si corre il rischio di incontrare un forte gap di autoconoscenza: non conoscersi a sufficienza o illudersi di conoscersi.
È estremamente difficile riuscire ad auto-osservare lucidamente il proprio bisogno di cambiamento, passare dal livello di “sensazione” di un disagio o di una ambizione alla corretta localizzazione del dove, come, quando agire.
Il problema tocca anche l’azienda. A livello di autoanalisi troviamo un gap di consapevolezza anche per la Direzione Risorse Umane e per i leader di team, quando l’osservatore non coglie bene il quadro reale, e le “verità” si offuscano dietro a sintomi e sensazioni imprecise o falsi target.
Da questo derivano problemi a cascata, ad esempio:

  • sbagliare il piano formativo di una persona o di una azienda;
  • usare una strategia formativa meravigliosa ma praticabile solo sulla carta;
  • progettare utilizzando assunti e presupposti sbagliati;
  • scollegarsi dalla realtà, sfuggire il “come sono le cose realmente”.

Riflessioni operative:

  • considerare che la propria conoscenza sullo stato di cose può non essere corretta, o può essere viziata da distorsioni e autoinganni;
  • considerare quanta distanza è presente tra la “sensazione” vaga di un disagio o problema e la sua corretta identificazione, a livello di sede e di cause;
  • considerare che le prime sensazioni o “letture” – senza focusing adeguati – portano spesso a distorsioni, abbagli, valutazioni errate;
  • ricercare punti di vista e confronto multipli per ridurre il margine di errore;
1 Gendlin, E. (2001), Focusing. Interrogare il corpo per cambiare la psiche, Astrolabio, Roma. Ed. originale: Focusing-Oriented Psychotherapy. A manual of the experiential method; vedi anche E. Gendlin, (1996). The power of Focusing, Ann Weiser Cornell, (1996).
2 Vedi ad esempio Plutarco, L’arte di ascoltare. Mondadori, Milano, 2004. Altra fonte: Plutarco, L’educazione, traduzione e note di Giuliano Pisani, Ed. Biblioteca dell’Immagine, Pordenone, 1994, pp. 161-187.

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Testo estratto dal volume di Daniele Trevisani “Regie di Cambiamento”, Franco Angeli editore, Milano.

Il concetto di cambiamento come “pulsazione” o respirazione vitale è un ancoraggio primordiale cui tornare.
La vita nei suoi ritmi naturali è una pulsazione, un continuo flusso di ingresso e uscita, una respirazione viva, che lascia entrare e venire fuori, un battito che possiamo avvertire sin dal primo respiro di un neonato.
Un consulente esperto o chiunque abbia sensibilità sufficiente, può sentire “il respiro” e i suoi significati. Possiamo concentrarci sul “respiro dell’azienda”, “il respiro di un team”, il “respiro della persona” e capire se il clima è teso o rilassato, positivo o negativo, aperto o chiuso, formale o informale, se sono presenti veleni e blocchi, rigidità e tensioni.
Quando un sistema funziona, inesorabilmente emette segnali che indicano se esiste benessere e motivazione, o invece demoralizzazione, sconforto e rabbia repressa. Possiamo cogliere la presenza di obiettivi o il vuoto. Il “vuoto” si nasconde spesso dietro ad un’azione frenetica, priva di tattica e strategia.
Riflessioni operative:

  • analizzare i “segnali deboli” che indicano se il tipo di “respirazione” del soggetto (sia in senso fisico che metaforico, persona o sistema organizzativo) sia profondo e vitale, o superficiale e carico di tensioni;
  • portare l’analisi al livello delle motivazioni e della storia del soggetto, non limitarsi a suggerimenti rapidi o sintomatici.

Nella psicoterapia corporea, così come nelle scienze sportive, il tipo di respirazione è uno dei temi fondamentali di lavoro, poiché ad essa si correlano numerosissimi aspetti emotivi.
La respirazione sana e salutare non è frenetica e convulsa, ma anzi è profonda e ben riconoscibile. La crisi e sofferenza di chi psicologicamente sente il desiderio di cambiare ma non riesce genera respiro affannoso e contratto. Osservare come respirano le persone, quando parlano di sé o del proprio lavoro, può dire molto rispetto al vissuto emotivo sottostante e allo stato di equilibrio o squilibrio esistente.
Ogni consulenza o azione formativa energica è di per sé una “azione di scossa metabolica” in cui un sistema viene aiutato a ritrovare la propria respirazione ed equilibrio, rimettendo in moto la plasticità ed intervenendo sui tre principi fondamentali: immissione, espulsione, stabilizzazione.
Capire come intervenire volontariamente e con precisione chirurgica sui tre settori del principio metabolico è una sfida fenomenale.
Ogni processo di cambiamento profondo prevede l’esame attento di quali siano le operazioni da compiere sulle tre zone.
Un esame incompleto, l’attenzione ad una sola di queste aree, porterebbe a progetti sbagliati, incompleti, insoddisfacenti per chi li attua e per chi li riceve.

Principio 1 – Principio metabolico

Il cambiamento positivo viene favorito dalle seguenti operazioni:

  • acquisizione: riuscire ad identificare e riconoscere il bisogno di imparare, le acquisizioni importanti, ciò che si deve apprendere, assimilare, far entrare, per avvicinarsi all’obiettivo. L’obiettivo può essere qualsiasi target di cambiamento che si collega all’efficienza o ad un percorso autorealizzativo – immagine di sè ideale, organizzazione ideale o migliore, incremento della serenità o del senso di efficacia, della potenza personale o del sistema, della resistenza o resilienza, della capacità di problem solving, o qualsiasi altro traguardo;
  • consolidamento: è necessario identificare quali sono i punti di ancoraggio (valori, credenze, pensieri, comportamenti) che il soggetto o sistema vuole consolidare e far diventare riferimenti solidi;
  • rimozione: è necessario identificare e riconoscere ciò che sia importante cedere, rimuovere, abbandonare, cosa sia importante eliminare, ripulire, cosa disapprendere, cosa lasciar andare, di cosa disfarsi (identificazione dei cataboliti e degli elementi da espellere dal sistema).
     
    Il cambiamento viene bloccato o ostacolato da:
  • perdita di riferimento o incapacità nel capire cosa si debba acquisire, apprendere, far entrare (mancato riconoscimento dei target, dei “nutrienti” o ingredienti necessari per produrre il cambiamento);
  • focalizzazione sulla sola fase acquisitiva, senza identificare e riconoscere ciò che si deve abbandonare, disapprendere, rinunciare, lasciare dietro di sè (processi mentali, cataboliti mentali o scorie psicologiche, comportamenti, stereotipi, abitudini controproducenti);
  • perdita di ancoraggi fondamentali e indispensabili negli equilibri della persona o dell’organizzazione, mancanza di ancoraggi forti o punti di stabilità.

 
L’analisi riguarda qualsiasi tipo di ruolo o sistema. Posso chiedermi, come padre, cosa potrei fare per migliorare nel mio ruolo di genitore, cosa dovrei imparare, cosa non so fare adesso e dovrei apprendere (zona 3), posso chiedermi anche cosa dovrei smettere di fare per essere un padre migliore (zona 1), posso anche chiedermi cosa vorrei non fosse toccato, ma anzi consolidato, a cosa non vorrei mai rinunciare di me (zona 2).
Un atleta può chiedersi – ad un certo punto della sua carriera – dove vuole arrivare, a quale livello vuole competere, e cosa questa scelta comporta.
Lo stesso tipo di analisi vale per un ruolo aziendale, o per una intera organizzazione. Per un azienda possiamo infatti chiederci:

  • cosa deve apprendere questa organizzazione, chi ne ha bisogno, cosa deve entrare? (zona 3).
  • cosa deve smettere di fare questa organizzazione, cosa deve abbandonare, a cosa deve rinunciare, o di cosa deve sbarazzarsi, quali modi di pensare o di essere sono ora controproducenti o non più validi? (zona 1).
  • a cosa deve ancorarsi, cosa non è opportuno rigettare, ma anzi consolidare? Quali sono gli ancoraggi forti? (zona 2).

I meccanismi di autorealizzazione personale sono basati sulla plasticità del sistema o della persona, la sua apertura verso il cambiare e l’evolvere, l’accettazione che – in quanto esseri viventi – siamo soggetti al cambiamento.
Formarsi caratterialmente e fisicamente è uno degli obiettivi di ogni persona che abbia un senso di autostima sufficiente, e – rivolto ai figli – diventa uno degli obiettivi di ogni genitore sensibile. Come possiamo tradurre questo concetto verso la crescita di una intera azienda o intero team?
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L’evoluzione è un processo che accade. Ogni creatura vivente o sistema organizzativo sono soggetti a mutazione, che lo desiderino o meno. Il vero problema è dirigere le traiettorie di questa evoluzione – decidere attivamente dove il sistema deve finalizzarsi – per creare benessere e performance.
È indispensabile una presa di coscienza sul fatto che le traiettorie evolutive dei sistemi senza governance (governo, direzione) sono spesso degenerative e possono dare esiti pericolosi (malattia, morte, fallimento). I casi di autogoverno efficace esistono, ma si presentano solo in sistemi che siano già maturi e consapevoli, e questi sono rari.
L’evoluzione assertiva prevede che cambiamento e intervento siano mirati agli effetti (centrate sui risultati da produrre) e non fini a se stessi. Cambiare per il gusto di cambiare non è il nostro obiettivo, anzi, ogni cambiamento o intervento che non risponda a criteri strategici è in realtà una diseconomia, una moda e non una necessità.
Cambiare strategicamente significa passare da uno stato X ad uno stato Y.
È essenziale che X e Y siano focalizzati (identificati). La Y (stato di destinazione) corrisponde ad un’evoluzione positiva, ad un migliore stato di adattamento (fit) e di benessere organizzativo, fisico o mentale, o ad una revisione strategica del sistema sul quale si intende agire.
Ogni obiettivo evolutivo è da valutare lungo un ideale asse dei tempi, un “percorso” che separa X da Y.
Gli interventi realmente assertivi generano una mutazione del trend, non “fumo”. Le regie creano “passaggi obbligati” tramite operazioni (operations) centrate sugli effetti da produrre (effect-based operations).
Come costruire le operations o stimoli che vada nella direzione voluta è il problema centrale delle regie.
Riflessioni operative:

  • valutare lo stato attuale del soggetto o sistema (stato X) rispetto agli obiettivi di evoluzione;
  • definire degli ancoraggi ideali futuri, gli stati ottimali cui tendere (stato Y);
  • valutare i passaggi, stimoli o operations che possono portare il soggetto da X a Y, selezionare gli interventi centrandosi sugli effetti (effect-based operations), evitare la dispersione di azione o su risultati non precisati o poco chiari.

Produrre assertivamente cambiamento quando necessario, e non solo facilitarlo quando il bisogno è già sentito, è un problema ulteriore.
Dare acqua a chi sente sete è abbastanza semplice. Offrire acqua a qualcuno che – perso in un’allucinazione sensoriale – non senta il bisogno di bere seppure disidratato è un problema più forte. Ovviamente, la sete riguarda il cambiamento e l’acqua qualsiasi nutrimento (conoscenza, comportamenti, valori, strumenti) o variazione che permetta di dare un contributo all’evoluzione positiva.
Condividere la necessità di avviare un percorso è uno dei passaggi indispensabili in un metodo registico.
Riflessioni operative:

  • sforzarsi di condividere l’esigenza di avviare un percorso;
  • inquadrare le traiettorie del “percorso” scelto per andare da X ad Y;
  • condividere l’analisi dello stato X e dello stato Y, dettagliatamente, affinché la condivisione di obiettivi sia profonda e non solo superficiale;

Altra questione essenziale è la ricerca di un equilibrio tra tecniche direttive e tecniche non direttive. Le tecniche direttive prevedono prescrizioni, modelli, concetti insegnati o distribuiti, regole o struttura, mentre le tecniche non direttive lasciano spazio all’autonomia del soggetto e alla sua personale ricerca di un percorso. Anticipiamo da subito che il modello delle regie propone un mix integrato tra le due, con una prevalenza sostanziale tuttavia (non ideologica, ma metodologica) per le tecniche direttive.
 
Riflessioni operative:

  • definire quali parti di un percorso di cambiamento hanno bisogno di (1) tecniche direttive, strutturazione, regole, protocolli, e (2) quali porzioni del percorso devono lasciare spazio a tecniche non direttive, auto-espressione, autoregolazione del soggetto o del sistema, alla ricerca di una propria strada per il miglioramento;
  • realizzare un mix equilibrato (direttivo/non direttivo) tra le diverse metodiche di intervento.

Desideriamo inoltre avviare una prima definizione e porre altre basi per un metodo registico:
 
Prima definizione: Il cambiamento è un processo di variazione nello stato di un sistema (persona, gruppo, o organizzazione) che prevede la scalata progressiva verso il pieno potenziale e la sua autorealizzazione.
Il meccanismo di cambiamento contiene sia (1) fasi di eliminazione, ripulitura, rifiuto, rimozione o disapprendimento, (2) processi di consolidamento e rafforzamento, (3) meccanismi di acquisizione (entrata) di nuovi concetti, modelli, teorie, atteggiamenti, comportamenti.
Le azioni finalizzate al cambiamento (operations) devono prevedere fin dall’inizio gli effetti da produrre, valutando quali mix di operations serviranno per produrre quali effetti.
 
Ogni singola parola di questa definizione meriterebbe enormi dibattiti e approfondimenti. Ci è sufficiente per ora concentrarsi sul fatto che il cambiamento desiderato è positivo, tocca il sistema dei valori profondi e non solo le azioni visibili, ha a che fare con la ricerca di orizzonti psicologici nuovi (diversi modi di essere, nuovi modi di “stare” nel mondo), mette in discussione lo stato attuale, impatta i temi del potenziale, della performance, e dell’espressione di se stessi verso una autorealizzazione profonda. In ultimo prende in considerazione gli effetti come parametro finale, definitivo punto di arrivo di qualsiasi processo assertivo e di qualsiasi investimento mirato.
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formazione e arti marzialiallenamento all'agonismospirito combattivoleadership e team building

Utilizzare per la Formazione Aziendale i metodi derivanti dagli sport di combattimento e dalle arti marziali

Il gruppo Daoshi è attivo nella formazione innovativa che utilizza i metodi e le tecniche delle Arti Marziali e degli Sport di Combattimento (es, Kickboxing, Thai Boxe, MMA) per ricavarne approcci e metodologie utili nella formazione aziendale.

In particolare, per quando riguarda il fronte del Potenziale Umano, della Leadership, la capacità di lottare e combattere in sfide che traggono ispirazione dalla metafora del ring ma trovano elementi comuni in ogni sfida aziendale, in ogni vendita complessa, in ogni progetto determinante per il futuro dell’impresa.

Dalla collaborazione tra esperienze diverse nascono idee innovative. E’ il caso dei programmi sviluppati in collaborazione con il dott. Lorenzo Manfredini, psicologo esperto in psicologia degli sport estremi, Direttore dell’associazione S.T.E.P.

Associazione STEP Consapevole – Counseling, Training Mentale e Psicocorporeo, Coaching e Psicologia del Potenziale Umano

Integrating Business Training with Sports Experience

Le arti marziali e gli sport di combattimento sono un canale di apprendimento privilegiato e una grande metafora della vita, dalle quali la formazione aziendale può ricavare metodi veri, nuovi, efficaci.

L’esperienza di formazione sportiva e manageriale si fonde nella capacità unica di realizzare progetti di formazione per aziende, fondati sul concetto di Potenziale Umano, di Sfida Positiva, di Step di Sviluppo Consapevole.

In tale ambito, il gruppo Daoshi collabora con l’associazione di Formazione e Counseling S.T.E.P. Consapevole, diretta dal dott. Lorenzo Manfredini, psicologo e allenatore della Nazionale Italiana di Apnea, esperto in psicologia dello sport, bioenergetica, psicoterapia e tecniche del Potenziale Umano, per realizzare progetti di formazione aziendale su misura, tarati sulle esigenze di specifici team aziendali, in grado di fare la differenza rispetto a formazione statica e passiva, puramente teorica, che caratterizza il panorama attuale della formazione manageriale.

I programmi riguardano una grande sfera di aree, tra cui:

  • Allenamento alla varietà e al lavoro in condizioni di incertezza
  • Le zone allenanti e le tecniche per generare stimoli al cambiamento
  • Il potere delle stimolazioni innovative
  • Formazione aziendale per la leadership
  • Condurre i gruppi efficacemente con carisma
  • Essere coach e creare spirito di squadra
  • L’agonismo positivo in azienda, la sfida, la motivazione
  • Carisma e autorità
  • Team ad alte prestazioni e team building
  • Sviluppo personale
  • Comunicazione efficace nei team
  • Creare team-players e sviluppare i potenziali personali
  • Resistenza e Resilienza
  • Mental Training: i metodi di Training Mentale utilizzati in campo sportivo per favorire concentrazione, lucidità, consapevolezza tattica e situazionale

I metodi derivano da una forte base scientifica e pratica, visualizzabili anche nella letteratura specifica pubblicata dagli autori. In particolare:

Concetti e testi principali per approfondire la conoscenza della psicologia degli archetipi

Introduzione, bibliografia di approfondimento e selezione di volumi con schede su IBS, curata da Daniele Trevisani (www.studiotrevisani.it)

La psicologia degli archetipi identifica i modelli fondamentali che guidano il nostro pensiero e comportamento, il nostro modo di vivere, di agire e di scegliere, di decidere cosa è importante o meno. Ognuno di noi è una miscela unica e irripetibile di diversi archetipi che ci vivono dentro, una miscela formulata in base a diversi archetipi primari che – mescolandosi – danno luogo alla nostra personalità e al nostro modo di vivere la vita.

Nel lavoro di Carol Pearson, tra gli autori recenti più interessanti, esempi di Archetipi sono;

  • l’Innocente (che crede nella bontà anche contro le evidenze, ha fiducia),
  • l’Orfano (dominato da ansia, insicurezza, senso di mancanza),
  • il Martire (votato al sacrificio di sè, al darsi per gli altri),
  • il Viandante (ricercatore, esploratore, curioso di fare scoperte su sè, sugli altri e sul mondo),
  • il Guerriero (dominato dalla competizione e dalla sfida contro o per qualcosa)
  • il Mago, cercatore di autenticità, completezza, dominatore degli elementi che circonda.

Ciascuno di questi archetipi può essere più o meno attivo in un certo momento della nostra vita o persino della nostra giornata. Essere coscienti di quali sono gli archetipi attivi in nli, di se come noi stiamo o meno dominando la loro evoluzione verso uno stadio nuovo di vita, è un fattore di crescita personale importante.

Il Viaggio Eroico consiste nella ricerca di un modo di essere più proficuo per sè e per gli altri, in uno spostamento da archetipi che ci danneggiano ad archetipi che ci migliorano, sia sul piano personale che con importanti implicazioni anche nel management (ad esempio, l’archetipo usato da un leader per dirigere la sua squadra). Questo spostamento non è mai tuttavia definitivo e prevede piuttosto “percorsi” nei quali si sperimentano nuovi modi di essere, ritorni a modi di essere precedenti, assimilazioni progressive, e una profonda voglia di cambiare in meglio ed esplorare il nostro potenziale.

Intervenire sui propri archetipi, e riconoscerli (prima di tutto) è un modo molto efficace, profondo e proficuo per ottere cambiamento positivo diretto verso nuovi traguardi personali e professionali.  Utile per riflettere e trovare spunti eccellenti per chiunque si occupa di formazione, di consulenza manageriale, di psicologia, comunicazione, management e potenziale umano, ma anche di psicoterapia, counseling e relazioni d’aiuto, didattica e sviluppo organizzativo, risorse umane e sviluppo dei team.

L’eroe dentro di noi. Sei archetipi della nostra vita
Pearson Carol S., 1990, Astrolabio Ubaldini – Libro consigliato per chi desidera trovare una buona sintesi e ottimi spunti di riflessione. Contiene inoltre schemi ed esercitazioni applicative per esercizi di sviluppo.
€ 13,50

   
Risvegliare l’eroe dentro di noi. Dodici archetipi per trovare noi stessi
Pearson Carol S., 1992, Astrolabio Ubaldini
€ 20,00

   
Altre letture consigliate sul tema dell’archetipo
L’alchimia delle parole. Un approccio archetipico al linguaggio
Kugler Paul, 2002, Moretti & Vitali
€ 18,00

   
Archetipi
2009, Edizioni XII
€ 19,50

   
Archetipi
Zolla Elémire, 2002, Marsilio
€ 6,50

   
 
Gli archetipi dell’inconscio collettivo
Jung Carl G., 1977, Bollati Boringhieri
€ 8,80 (Prezzo di copertina € 11,00 Sconto 20%)

   
 
 
Archetipi di territorio
Marson Anna, 2008, Alinea
€ 18,70 (Prezzo di copertina € 22,00 Sconto 15%)

   
Archetipi e citazioni nel fashion design
Benelli Elisabetta, 2006, Firenze University Press
€ 19,50

   
Archetipo, attaccamento, analisi. La psicologia junghiana e la mente emergente
Knox Jean, 2007, Ma. Gi.
€ 24,00

   
Complesso, archetipo, simbolo nella psicologia di C. G. Jung
Jacobi Jolande, 2004, Bollati Boringhieri
€ 20,00

   
 
La dea. Creazione. Fertilità e abbondanza. La sovranità della donna. Miti e archetipi
Husain Shahrukh, 1999, EDT
€ 15,00

   
 
Dioniso. Archetipo della vita indistruttibile
Kerényi Károly, 2010, Adelphi
€ 22,00

   
 
La donna ferita. Modelli e archetipi del rapporto padre-figlia
Leonard Linda S., 1985, Astrolabio Ubaldini
€ 12,50

   
 
Dora e il drago. Strutture archetipiche e psicoanalisi applicata
Marchetti Enzo, 1994, Schena
€ 12,91

   
 
Elia e al Khidr. L’archetipo del maestro invisibile
2004, Medusa Edizioni
€ 28,00

   
 
L’era dello spirito. Archetipi, metafore, simboli per un tempo nuovo
Vannucci Giovanni, 1999, Servitium
€ 7,75

   
L’eterno fanciullo. L’archetipo del Puer aeternus
Franz Marie-Louise von, 2009, Red Edizioni
€ 10,50

   
 
Il fanciullo e la core: due archetipi
Jung Carl G., 1981, Bollati Boringhieri
€ 8,80 (Prezzo di copertina € 11,00 Sconto 20%)

   
Il filo di paglia, il tizzone e il fagiolo. Differenze e costanze archetipiche in diverse culture
Franz Marie-Louise von, 2000, Moretti & Vitali
€ 15,00

   
 
La maschera inevitabile. Attualità dell’archetipo della maschera
Meroni Bruno, 2005, Moretti & Vitali
€ 14,00

   
 
Miti e archetipi. Vol. 2
Corradini Domenico, 1995, ETS
€ 20,66

   
 
Nel profondo dell’anima. La dimensione archetipica del sè
Godino Antonio, Majorello Carla, 2002, Quattroventi
€ 16,00

   
 
Opere. Vol. 9/1: Gli archetipi e l’Inconscio collettivo.
Jung Carl G., 1997, Bollati Boringhieri
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Opere. Vol. 9/1: Gli archetipi e l’Inconscio collettivo.
Jung Carl G., 1980, Bollati Boringhieri
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Parola & psiche. Saggio per un collegamento fra gli indirizzi linguistico e archetipico in psicodinamica
Fratini Antoine, 1999, Armando Editore
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Processi archetipici in psicoterapia
2007, Ma. Gi.
€ 22,00

   
 
La psiche e gli archetipi dello spirito
2003, Moretti & Vitali
€ 17,00

   
 
 
Sette archetipi per il quarto millennio. Psicoanalisi, simboli, scultura
Tranchina Paolo, Arcuri Luigi, 1994, Centro Documentazione Pistoia
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Strutture antropologiche dell’immaginario. Introduzione all’archetipologia generale
Durand Gilbert, 2009, Dedalo
€ 22,00

   

Autore: Daniele Trevisani. Estratto dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano, 2009, Copyright

2.4. Ricerca dei drivers motivazionali

Come si può notare, il tema esistenziale (meaninglessness vs. ricerca dei significati) è centrale non solo per il fronte psicoenergetico, ma anche per la costruzione di una Vision e di una progettualità.

Perché questo? Perché la mancanza di un senso può produrre effetti devastanti, dalla carenza di scopi personali al senso di inutilità dell’agire, sino a bloccare la ricerca di nuovi orizzonti esterni (ricerca esteriore) o interni (ricerca interiore). La mancanza di senso produce il limitarsi delle energie mentali alla pura sopravvivenza, e spesso nemmeno a quella.

Kinnier e altri autori individuano dieci credenze dominanti che fungono da ancoraggi o interpretazioni della vita[1]:

1. La vita è gioire della vita e vivere l’esperienza della vita

2. la vita è amare, aiutare, servire gli altri

3. La vita è un mistero

4. La vita è senza significato                      

5. La vita è servire Dio e prepararsi all’aldilà

6. La vita è fatica

7. La vita è contribuire a qualcosa più grande di noi stessi

8. La vita è auto-realizzarsi

9. Ognuno deve creare da solo un senso personale della vita

10. La vita è assurda o è uno scherzo.

Ciascuno di questi driver (motori profondi) interagisce con la cultura individuale e con la propria personalità.

In un soggetto possono scatenare una forte produzione psicoenergetica alcuni di questi (es.: 1, 2, 7, 8) mentre altri sono in grado di distruggere o minare la sua voglia di vivere (10, 6, 4), e per ciascuno esistono sfumature diverse. Naturalmente, ogni analisi vale nel tempo in cui è svolta, e il quadro può cambiare, anzi, deve cambiare in seguito ad un buon coaching o ad una formazione di qualità, in cui la revisione di priorità è risultato positivo e ricercato. Purtroppo, sul piano della relazione con se stessi, non conoscere quali sono i driver che ci attivano, è una lacuna gigantesca.

Ogni coach professionale deve localizzare quali sono i driver del cliente o del team in grado di accrescerne le energie mentali, e riuscire inoltre nell’operazione difficoltosa di inserire nuovi driver all’interno dei costrutti mentali già esistenti.

Questa operazione di arricchimento delle fonti di energia psicologica e motivazionale è di straordinario interesse e notevole complessità tecnica.

Operazioni di arricchimento sono possibili su più piani.

Es.: Per un atleta… tu non gareggi più solo per i soldi che guadagni ma anche per… un contributo ad una causa, per scoprire i tuoi limiti, per dimostrare chi sei, per riscattarti da quello che eri…

Per un praticante di fitness… tu non ti alleni più per dimagrire, il grasso e la pancia sono i falsi nemici, il tuo nemico vero è la noia, l’apatia, la tristezza, la vita dimezzata di uno che vive in catalessi nella pigrizia…

Per un operatore sociale… tu non stai accudendo un anziano, stai dando un senso alla tua esistenza…

Per un agonista…voglio che quando esci dal campo tu sia orgoglioso di come hai giocato, non dei punti che hai fatto…

Per un manager… voglio che, quando qualcuno ti chiede cosa hai fatto quest’anno nella tua zona, tu possa dire “ho costruito una buona squadra, ne sono orgoglioso”…

Per un ricercatore… tu scrivi, ma ricordati… non stai facendo una pubblicazione, a nessuno frega niente della tua pubblicazione, se non stai facendo qualcosa che serve veramente agli altri più che a te, stai sprecando tempo… se non è qualcosa di cui essere orgoglioso fai a meno… allora, cosa vuoi fare…?


[1] Kinnier, Richard T., Kernes, Jerry L., Tribbensee, N., Van Puymbroeck, Ch. M. (2003), What Eminent People Have Said About The Meaning Of Life, Journal of Humanistic Psychology, Vol. 43, No. 1, Winter.

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Copyright, Articolo estratto con il permesso dell’autore, dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano.2009. Pubblicato con il contributo editoriale di Studio Trevisani Communication Research, Formazione e Coaching.

Autore: Daniele Trevisani. Estratto dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano, 2009, Copyright

2.3.  Potenziare la corteccia prefrontale sinistra

Le neuroscienze insegnano che il cervello risponde agli stimoli con meccanismi molto simili a quelli dei muscoli: le aree usate frequentemente lavorano, si rafforzano, si “irrobustiscono”, si potenziano; le aree inutilizzate diminuiscono di tono e volume sino a divenire quasi inesistenti (chi ha avuto lunghe ingessature si è potuto rendere conto direttamente di quanto il non-utilizzo produca riduzione del volume della zona ingessata).

Lo stesso meccanismo accade nella mente. Una sequenza di momenti positivi e sensation windows positive (SW) allena e tiene attiva la corteccia prefrontale sinistra, la cui attività si correla a emozioni positive (gioia, capacità di cogliere le positività, sensazioni, energia, coscienza)[1]. Al contrario, una sequenza di SW negative allena la corteccia prefrontale destra, maggiormente specializzata nel cogliere emozioni negative.

Addirittura, i neuro-scienziati hanno dimostrato un effetto sull’induzione di percezione e ricordo positivo, tramite stimolazioni magnetiche dirette (repetitive transcranial magnetic stimulation) della zona orbitofrontale sinistra[2].

In termini di coaching formativo, non volendo confondere i ruoli (le  stimolazioni tramite attrezzature biomedicali sono sfera medica), preferiamo indurre una uguale e maggiore capacità (persino più duratura) tramite apprendimento esperienziale, per vivere i goal e obiettivi positivi, generando stimoli allenanti ed esistenziali adeguati. Questi effetti non sono banali.

Va da se che se alleniamo molto un braccio e l’altro no, avremmo degli scompensi. Così come se avessimo una gamba potente e muscolosa e un’al­tra de­bole e avvizzita, la nostra camminata sarebbe zoppicante, e l’equilibrio dell’or­ganismo si farebbe deficitario. Ogni disequilibrio fisico porta a ripercussioni negative su tutto l’apparato scheletrico e muscolare, ed ogni disequilibrio mentale a malfunzionamento del pensiero, malessere e sofferenza psichica.

Il funzionamento ottimale dipende perciò anche dalla capacità di creare equilibri e simmetrie, e un potenziamento “stupido”, che non tenga conto degli equilibri, ma cerchi solo “potenza”, è dannoso, distruttivo.

Lo stesso accade nella mente. Dobbiamo imparare ad allenare e stimolare la corteccia prefrontale sinistra e in generale a vivere le emozioni positive non solo in seguito ad eventi enormi (lotterie, vincite) ma anche e soprattutto in attività che altrimenti non coglieremmo. Dobbiamo programmare spazi e tempi in cui farlo. È questione di sopravvivenza.

Disintossicare la mente non è quindi più solo arte ma anche scienza.

È importante quindi non solo generare spazi e tempi dedicati, ma anche cogliere sensazioni positive (sensation windows), esperienze che sfuggono anche se limitate o non eterne, e il dono che ne deriva.

La vita ci offre continuamente doni, anche se limitati.

Per dono limitato si intende la sensazione che anche un semplice gesto o atto può portare per pochi istanti, senza pretendere che esso duri per sempre.

Ed ancora, apprendere a cogliere energie da una capsula spaziotemporale (il dono di un frame), fa parte di nuove abilità da coltivare in sé e negli altri.


[1] Vedi, tra i contributi di ricerca sul tema: Davidson, R. J. (1998), Understanding Positive and Negative Emotion, in LC/NIMH conference proceedings “Discovering Our Selves: The Science of Emotion”, May 5-6, 1998, Decade of The Brain Series, Library of Congress, Washington DC.

[2] Schutter, D. J., van Honk, J. (2006), Increased positive emotional memory after repetitive transcranial magnetic stimulation over the orbitofrontal cortex, Journal of Psychiatry and Neuroscience, Mar. 31 (2), pp. 101-104 (Department of Psychonomics, Affective Neuroscience Section, Helmholtz Research Institute, Utrecht University, Utrecht, NL).

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Copyright, Articolo estratto con il permesso dell’autore, dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano.2009. Pubblicato con il contributo editoriale di Studio Trevisani Communication Research, Formazione e Coaching.

Autore: Daniele Trevisani. Estratto dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano, 2009, Copyright

2.2. Gli effetti positivi delle immissioni di energie sui livelli di performance e di aspirazione

In termini di psicologia positiva notiamo che l’immissione di energia in una qualsiasi cella può apportare maggiori energie al sistema, e quindi riflettiamo sul fatto che esistono molteplici modi e strade, enormi opportunità, per poter accrescere le energie personali e fare coaching e formazione di qualità.

La liberazione da una catena, o “togliere un sasso dal proprio zaino”, può aprire le strade della volontà per una scalata ulteriore. In generale, le immissioni di energie in un certo stadio aumentano il livello di fiducia in se stessi, autostima e percezione di autoefficacia. Aumenta il senso di libertà.

Le osmosi energetiche portano ad una maggiore propensione dell’indi­viduo verso l’assunzione di rischio positivo, di accettazione di sfide che prima il soggetto riteneva impensabili o troppo pericolose. Per rischio positivo intendiamo azioni che non siano minate da un livello di aspirazione malato, superumano e maniacale, condotte col cuore ma anche con la ragione.

I livelli di aspirazione sono decisamente correlati alle energie circolanti.

Gli studi scientifici di Bresson individuano il livello di aspirazione come “il risultato che un soggetto si dà per un fine da raggiungere, in un compito che ammette diversi gradi di realizzazione”[1].

A bassi livelli di energie personali corrispondono bassi livelli di aspirazione. Le energie si abbassano drasticamente, e i compiti o goal che l’individuo sente di poter gestire si richiudono sempre più entro una nicchia, sino ad implodere, se la tendenza non viene invertita.

Quando mancano le energie, ogni rischio assume sembianze mostruose, persino lo scendere in strada, o l’incontrare altre persone. Al contrario, forti osmosi energetiche positive (contaminazioni positive tra energie fisiche, mentali, competenze, volontà) conducono alla voglia e consapevolezza di poter accettare sfide e rischi superiori, persino lanciarsi con un paracadute, o condurre una operazione chirurgia al cervello (per un medico), o accettare la sfida di avere figli in un mondo difficile (per ogni genitore), o iniziare a pensare di potersi laureare, per qualcuno che aveva rinunciato a questa idea non sentendosi all’altezza, e tante altre occasioni di crescita.

Per questo motivo, nel metodo HPM, quando i canali per introdurre energie sono bloccati da un certo lato (poniamo i valori, o le competenze), è possibile sia teoricamente che concretamente aggirare questo ostacolo. Potremo partire dalla base delle energie fisiche, o da altri canali aperti o apribili, per incrementare le energie totali del sistema. È un lavoro sperimentato e funzionante nella pratica, di cui troviamo crescente supporto teorico.

Avviare il lavoro, e sbloccare i meccanismi, è più importante che fare un lavoro ingegneristicamente perfetto ma – nei fatti – solo teorico, vuoto.

L’effetto di trascinamento e di osmosi positiva avrà riverberi anche sugli altri stati altrimenti inaccessibili per via diretta.


[1] Bresson, F. (1965), Rischio e personalità. Il livello di aspirazione, in Trattato di Psicologia Sperimentale, a cura di Paul Fraisse e Jean Piaget (1978), Einaudi, Torino, p. 458. Edizione originale: Traité de Psychologie Expérimentale. VIII. Langage, communication et décision, 1965, Presses Universitaires de France, Paris.

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Copyright, Articolo estratto con il permesso dell’autore, dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano.2009. Pubblicato con il contributo editoriale di Studio Trevisani Communication Research, Formazione e Coaching.