Tag

territorio psicologico

Browsing

Anteprima dal libro in costruzione. Copyright Daniele Trevisani www.studiotrevisani.it www.danieletrevisani.it www.danieletrevisani.com

Una qualsiasi delle nostre affermazioni o risposte può assumere il valore di “mossa relazionale” se in qualche modo va ad alterare lo scacchiere delle forze in corso tra due persone.

Una mossa di invasione dei territori psicologici è l’uso dell’imperativo, anche se usato in tono pacato es. “fammi questa fotocopia”, il solo affermarlo rende subito la comunicazione di tipo top-down, da superiore ad inferiore, e non è assolutamente detto che funzioni se l’altro non si percepisce tale, anche solo dal punto di vista gerarchico, nell’organizzazione, o nella famiglia.

Una mossa di rispetto dei territori psicologici è invece “se puoi, mentre vai a fare le fotocopie, potresti fare anche questa per me? A buon rendere ovviamente!”, tale mossa, oltre che essere più “leggera” si pone come comunicazione da pari a pari. E non è detto che questo vada bene, se invece la comunicazione deve essere da capo a subordinato.

L’essenziale è capire il valore relazionale e strategico che una mossa comunicativa porta con sé.

Quando B faccia mosse di invasione o appropriazione impropria dello spazio di A, possono accadere sistemi di reazione basati sulla fuga e allontanamento, ma anche di contro-attacco e di aggressione. Le mosse possono essere azioni, atti, messaggi espliciti o impliciti, palesi o semplicemente lasciati intendere.

Un esempio è quello di un cameriere che dia ordini ad un capo-sala, scavalcandone in questo modo il ruolo, e questo è ancora più grave, come ci farebbe notare Goffman, se questo atto avviene in presenza di altri, in pubblico, davanti ad altri membri dello staff.

Un altro esempio è quello in cui in famiglia uno solo dei membri della coppia, il marito o la moglie, si senta all’altezza di sapere quale educazione impartire ai propri figli, e ne escluda di fatto l’altro, deprivandolo di ogni ruolo o potere o voce in merito. Rubare un pezzetto di territorio psicologico altrui si può fare in molti modi, sia forti, evidenti, espliciti, che molto impliciti e subdoli.

L’invasione dei territori psicologici consiste appunto nel percepire un ingresso indebito nella sfera dei propri interessi senza che questo ingresso sia voluto né gradito. Ma anche la mancata consultazione su una materia di nostra pertinenza, quando dovuta, è una forma di non rispetto del territorio psicologico.

 

Esempio. Parlarsi chiaro vuol dire anche far valere dei confini, se questo è eticamente buono e giusto. Ad esempio il direttore del Personale, potrebbe dire al Direttore di Stabilimento

Hai fatto una mail a tutto il personale dicendo dove si può parcheggiare e chi parcheggia dove, senza consultarmi. Pensavo fosse chiaro ma capisco che non lo è. Ogni attività che riguarda le persone in quest’azienda deve passare da questo ufficio, anche e soprattutto i parcheggi privilegiati per i clienti e quelli per il personale. Altrimenti il Direttore del Personale saresti tu, non io. È chiaro? Tu devi far funzionare lo stabilimento e la produzione, non decidere dove parcheggiano i clienti o i fornitori, chiaro?” Non è un fatto personale, è per la chiarezza dei ruoli e zone di responsabilità, cui tengo particolarmente, e per altri evitare futuri malintesi.

 

Principio 2 – Rispetto dei territori psicologici altrui e difesa dei propri

La comunicazione efficace richiede:

  • comprensione di quali siano i territori psicologici altrui;

  • comprensione di quali territori psicologici siano determinati dalla cultura di appartenenza della controparte (etnica, religiosa, professionale);

  • atteggiamenti iniziali di rispetto e limitazione degli ingressi nei territori altrui ove non si siano creati gli spazi di relazione adeguati;

  • difesa attiva dei propri territori psicologici e dei propri confini e margini di decisionalità, quando il non farlo minacci la sovranità del proprio spazio psicologico.

 

Anteprima dal libro in costruzione. Copyright Daniele Trevisani www.studiotrevisani.it www.danieletrevisani.it www.danieletrevisani.com

__________

Per ricevere l’invito alla presentazione del libro, quando disponibile, e il pdf ebook gratuito riservato agli iscritti, è possibile iscriversi al blog

 

 

1.1.       Alchimie tra forze contrapposte: la lotta tra pulsioni di assimilazione, stabilità, rimozione

Il cambiamento positivo è il motore dell’evoluzione e riguarda ogni persona e ogni organizzazione. Il propulsore psicologico può essere un obiettivo da raggiungere, l’orgoglio, volontà, sogni e aspirazioni (motori psicologici positivi), o invece bisogno, sofferenza, necessità di rimuovere uno stato di disagio (motori psicologici negativi).

Chiunque desidera progredire deve mettere in conto un investimento concreto, fatto soprattutto di tempo ed energie mentali, e deve apprendere a ricentrarsi verso le priorità strategiche (azioni di ricentraggio).

Rimanere aperti a nuovi input riguarda indifferentemente la crescita personale, lo sviluppo delle aziende e delle organizzazioni, il mondo del business o quello dello sport. Nelle arti marziali, un Maestro afferma che:

…il praticante deve cercare sempre lo sviluppo delle sue conoscenze e perfezionarle nel corso della sua evoluzione… deve vivere in una perpetua situazione di apprendistato durante la sua esistenza, perché le situazioni e i metodi evolvono costantemente[1].

Secondo questa visione, il cambiamento non è quindi un “atto finito”, ma un “atteggiamento di fondo”, un “amore” verso un percorso fatto di ricerca, di curiosità per il nuovo, di attenzione al nuovo, che mette in atto un meccanismo evolutivo costante.

Siamo sempre in qualche forma di “apprendistato” e possiamo sempre imparare qualcosa di nuovo. Tuttavia, ogni mutamento – volontario o subìto – richiede impegno e presenta un costo (tempo, energie, fatica), e molti non desiderano pagarlo o lo posticipano sino all’ultimo. Le conseguenze in questi casi non tardano ad arrivare.

I “mostri” contro cui lottare sono tanti. Tra questi la regressione verso l’abitudine, un meccanismo involontario che porta le persone a “rintanarsi” e rinchiudersi in riti quotidiani – a volte dannosi. Il “drago” prende anche sembianze di “politico”, attua meccanismi volontari quali il boicottaggio attivo del cambiamento (cercare di bloccare il processo e gli input esterni) e frena l’evoluzione di un sistema, per puro interesse personale.

Abbiamo ancora le resistenze ideologiche, valoriali, o i blocchi che chiunque mette in atto quando sente che altri cercano di attuare un ingresso nel proprio territorio psicologico. Ritroviamo ancora il problema delle energie per cambiare, la cui mancanza può frenare anche le migliori intenzioni. Si presenta inoltre il problema della competenza o incompetenza del consulente o formatore, chiamato ad aiutare il processo evolutivo.

Gli ostacoli possono essere tanti. Questa è solo una breve e incompleta rassegna delle sfide che ci attendono.


[1] Cohen, Alain (2007), Principi I.D.S. Krav Maga, in Budo International, 1/2007.

 

Articolo tratto dal volume di Daniele Trevisani “Regie di Cambiamento”, FrancoAngeli editore, Milano (2007). Copyright, materiale pubblicato su concessione dell’autore www.studiotrevisani.it – utilizzabile solo previa citazione della fonte