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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Negoziazione interculturale. Comunicare oltre le barriere culturali. Dalle relazioni interne sino alle trattative internazionali”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

Le differenze tra comunicatori

Una delle principali aree della comunicazione interculturale è lo studio delle differenze tra emittente e ricevente del messaggio. In cosa “io” e “tu” siamo diversi? Nei rapporti tra aziende, dove sono le diversità tra “noi” e “voi”?

Nel nostro metodo utilizzeremo due variabili primarie che costituiscono differenze tra comunicatori, quindi due principali differenze culturali :

  1. il codice di comunicazione e
  2. la visione del mondo (World-View)

Dopo una attenta analisi, proporremo alcune considerazioni sui limiti della comunicazione. In particolare, le implicazioni riguardano:

  • l’aspetto tecnico della qualità comunicativa, cioè, l’esattezza o accuratezza dello scambio di informazioni tra persone di culture diverse (understanding), e 
  • il risultato della comunicazione in termini di accordo (agreement) sui contenuti e sulle visioni espresse fra i comunicatori. 

Il codice di comunicazione

La cultura è considerata in questo metodo come un insieme di modelli di pensiero, categorizzazione, comportamento e comunicazione, che vengono sia appresi (durante la crescita dell’individuo) che ereditati (frutto del codice genetico comportamentale). Questi modelli influenzano la percezione del mondo, la comunicazione ed il comportamento. 

In una prospettiva semiotica, l’ unità fondamentale di analisi ed il primo componente della comunicazione percepito durante l’ interazione è il segno, la più vasta categoria inclusiva di entità di significato. 

I segni sono ciò che emettiamo, e costituiscono il comportamento comunicativo esterno percepito da un ricevente o osservatore. 

Sono quindi segni i comportamenti verbali, i comportamenti non-verbali (immaginiamo ad esempio la postura corporea che assumiamo di fronte ad un interlocutore, e i suoi significati non detti), la comunicazione scritta, i simboli, le immagini che utilizziamo per comunicare. 

I segni (usati per comunicare) ed il significato della comunicazione, sono collegati da un codice di comunicazione, che a sua volta si compone di sottocodici. 

Un codice di comunicazione quindi è inteso come sistema di regole impiegate per collegare le espressioni (qualsiasi segno usato per comunicare, sia verbale che non verbale) ai significati sottostanti. 

La consapevolezza dei codici multipli della comunicazione è essenziale per la qualità comunicativa. 

Ogni comunicatore/negoziatore consapevole sa che il proprio corpo emette segnali in continuazione, e che questi segnali possono essere incongruenti o congruenti con i segnali verbali (parole o frasi dette). 

Possiamo dire – a parole – di essere sereni, ma trasmettere con il corpo la sensazione di essere tesi e nervosi, e i nostri interlocutori se ne accorgeranno.. Possiamo esprimere verbalmente piacere e trasmettere inconsciamente repulsione. 

Il problema dei codici comunicativi è soprattutto un problema di stile comunicativo, che richiede la scelta del tipo di linguaggio da utilizzare. Quale stile, quale linguaggio utilizziamo per esprimere il messaggio?

Ogni negoziatore, ogni comunicatore, consapevolmente o meno, utilizza uno stile linguistico. 

Lo stile si nota in ogni fase del discorso e della conversazione, in ogni comunicazione scritta e persino nei supporti fisici (materiali, oggetti). 

Un negoziatore può aprire la conversazione con un interlocutore di business affermando:

  • «Siamo qui per valutare come sia possibile costruire un progetto assieme» (linguaggio cooperativo);
  • «È necessario valutare la feasibility e l’eventuale break-even point di una nostra joint-venture» (linguaggio managerialese anglofono);
  • «Ok, siamo qui, adesso tagliamo corto, ditemi le vostre condizioni e sbrighiamoci, non ho tempo da perdere» (linguaggio aggressivo);
  • «Cerchiamo di esplorare i nostri orizzonti comuni e vedere se tra noi può sorgere un alba, spero non un tramonto » (linguaggio poetico-ironico).

La consapevolezza dei codici e degli stili utilizzati è indispensabile, poiché codici e stili possono essere antitetici o simili, funzionali o disfunzionali rispetto agli obiettivi.

La visione del mondo (World-View)

Un secondo componente della cultura è “World-View” – la “visione del mondo” 

La visione del mondo è considerata negli studi antropologici come un insieme di credenze, valori e atteggiamenti, impiegati dagli attori sociali per interpretare e categorizzare la realtà, dando significato agli eventi, stabilire rapporti tra di essi e guidare il comportamento. 

La visione del mondo è un concetto talmente personale da essere difficilmente classificabile in schemi rigidi, tuttavia le esigenze (o tentativi) di fornire classificazioni hanno condotto alcuni scienziati sociali a produrre delle categorie attraverso le quali leggere le culture.

La classificazione delle differenze culturali

Tra i classici della comunicazione interculturale si citano spesso le categorie di Hofstede, come parametri per differenziare e categorizzare le culture.

Le categorie di Hofstede possono essere un punto di partenza interessante per avviare una riflessione sulle differenze culturali.

Tuttavia, il rischio che si produca una generalizzazione è elevato, e non è auspicabile usarle per fini predittivi automatici. Sarebbe estremamente sbagliato giungere alla conclusione che – poichè una persona ha un certo passaporto o una certa nazionalità – la sua semplice appartenenza ad un paese ci permetta di prevedere con certezza come si comporterà.

Più utile ci sembra ragionare su come queste categorie ci possono aiutare a capire con chi abbiamo a che fare quando negoziamo, basandoci sui comportamenti concreti che osserviamo, e senza lasciarci annebbiare da automatismi di giudizio. Suggeriamo quindi di utilizzare le categorie soprattutto come strumenti per analizzare le culture organizzative con cui si viene a contatto.

Categorie di Hofstede

  • Power distance: Distanze tra strati sociali e tra ruoli – Distanza tra individui a livelli diversi di una gerarchia – Accettazione delle ineguaglianze – Rigidità delle gerarchie
  • Individualismo-collettivismo : Grado con cui le persone agiscono come individui piuttosto che in gruppo – Spazi per l’espressione individuale e l’iniziativa personale
  • Mascolinità vs femminilità: Divisione dei ruoli e prevalenze di valori Valori maschili : (assertività, successo, competizione) e Valori femminili (qualità della vita, relazioni, aiuto, prendersi cura)
  • Uncertainty avoidance : Misura il bisogno di situazioni strutturate, di regole e schemi Vs. l’accettazione delle diversità, del caos, la  tolleranza per le ambiguità

Power distance

Riguarda il grado con cui una cultura “mantiene le distanze” tra i diversi strati della popolazione, ma anche la rigidità delle gerarchie all’interno di una organizzazione.

Secondo Hofstede, i paesi con low-power distance (basso grado di distanza relazionale, come Canada, USA) sono ritenuti più egualitari nella distribuzione del potere, mentre i paesi con high power distance (Giappone, Sud Corea, Hong Kong, etc.) possiedono strutture organizzate in modo più gerarchico.

Anche a distanza di pochi metri, possiamo avere aziende caratterizzabili come low-power distance e altre come high power distance, e lo stesso vale per le culture familiari.

Individualismo-collettivismo

Le culture individualiste caratterizzano i sistemi nei quali i legami tra individui sono deboli, variano nel tempo, e ognuno deve badare sostanzialmente a se stesso, o al massimo alla propria famiglia ristretta. 

Le libertà individuali sono elevate, e la sicurezza sociale sostanzialmente scarsa, la possibilità di ascesa sociale e carriera elevata, così come il rischio di fallire e cadere senza reti e protezioni.

Le culture collettiviste invece inglobano l’individuo nel gruppo, in modo molto coesivo, offrendogli protezione in cambio di lealtà e fedeltà, dando sicurezza ma limitando al tempo stesso la libertà di espressione e le deviazioni dalla norma. L’individuo è molto controllato.

Il negoziatore interculturale avanzato non dovrà mai dare per scontato che una controparte sia individualista o collettivista (o in qualsiasi altro modo caratterizzata) solo perché classificato in termini di nazionalità e stereotipi.

Mascolinità vs femminilità

Questa dimensione ha dato luogo a molte controversie, perché considerata sessista e discriminatoria. La volontà di Hofstede era invece semplicemente di analizzare come categoria culturale un comportamento di genere, quale il “caring” (prendersi cura dei figli), derivante dalla storia biologica del genere umano femminile, vs. il ruolo maschile prototipico nelle società arcaiche legato alla difesa, agonismo, caccia e lotta.

Identificando fenomeni legati al genere, possiamo notare nazioni come il Giappone ove esistono forti aspettative di ruolo, ci si attende dagli uomini una diversità dal comportamento delle donne, una “presa in carica” (“in-charge” role). Per contrasto, in paesi come la Norvegia, o la Svezia, la dimensione è più femminilizzata, il che significa che i ruoli tra uomini e donne sono molto più fluidi e interscambiabili nelle organizzazioni sociali. 

La visione del ruolo della donna è certamente una variabile ancora forte che differenzia alcune culture (ove ad esempio si impedisce alle donne di comparire in pubblico a volto scoperto) da altre ove una donna è incoraggiata ad assumere ruoli di visibilità e responsabilità nella scala sociale.

Uncertainty avoidance

L’evitazione dell’incertezza, la tolleranza dell’ambiguità. Distingue il bisogno di regole chiare, di procedure, di responsabilità lavorative ben identificate (alto grado di evitazione dell’incertezza), dalla capacità/condizione dell’agire in condizioni di regole incerte o imprecise, senza responsabilità ben identificate o in climi di caos organizzativo, o in ambienti poco strutturati (basso grado di evitazione dell’incertezza). 

Questa variabile è correlata al “bisogno di strutturazione” e alla “tolleranza per l’ambiguità” che varia in modo elevato nelle culture, o tra classi sociali, e persino tra famiglie, e quindi anche tra negoziatori di culture diverse.

L’interculturalità apre anche la strada all’esistenza di altri “modi di essere”, di nuovi modi di vivere la vita, e può essere molto terapeutica.

Il vero problema della psicologia culturale è riconoscere quanta parte di assorbimento culturale ha inciso sulla propria personalità, e riappropriarsi di un modo di essere diverso, sia esso meno “ansioso” o “più dinamico”, con la consapevolezza che non è possibile “avere tutto”, essere allo stesso tempo indaffarati e rilassati. 

La comunicazione interculturale, vista nel metodo ALM, pone la sfida della “multiesistenzialità interna” – la nuova capacità di vivere in stati diversi della personalità assorbendo il meglio di culture diverse –  es: saper essere frizzanti e dinamici in certi momenti, rilassati in altri, ed include la capacità di evitare i trascinamenti esistenziali e culturali, es: vivere con ansia e stress da iperprogrammazione una vacanza, o al contrario non saper vivere in un sistema che richiede scadenze e programmazione, quando necessario.

Si può dire che la dimensione interculturale apre le porte a nuove frontiere dell’essere umano, che (almeno nelle società occidentali) per la prima volta nella storia può scegliere di aderire o meno ad una cultura, può modificare il proprio modo di essere e di vivere.

Altre dimensioni di differenza culturale

Altre dimensioni importanti da considerare nella visione del mondo per il metodo ALM sono:

  • cultura dei tempi personali e priorità temporali: inserire tra le priorità la ricerca di emozioni (goals intangibili) o di goals tangibili; il vissuto temporale e le dominanze temporali, la consapevolezza delle differenze tra cultura personale (dell’individuo), cultura organizzativa e cultura nazionale: come io vivo il tempo, come lo vive la mia azienda, come lo vive la mia cultura nazionale – nella fretta o nel relax, nella pianificazione o nel caos. In questo ambito, tra gli obiettivi principali del metodo ALM vi è la riappropriazione del senso di piacere del tempo, eliminando i condizionamenti forzati prodotti dai prototipi cognitivi della propria cultura (autodeterminazione dei tempi);
  • le credenze religiose, sia nella differenza tra religioni, ma soprattutto nel grado di religiosità palese o latente che l’individuo esperisce e applica nella vita quotidiana e lavorativa;
  • le ideologie politiche;
  • la concezione dell’essere umano e il motivo profondo dell’esistenza;
  • la concezione dei rapporti interpersonali (sfruttamento, utilità, condivisione, simbiosi, competizione) e la poliedricità dei rapporti interpersonali (capacità di vivere più livelli, caratterizzati da sistemi motivazionali diversi);
  • la concezione dei rapporti tra uomo e natura, il grado di spiritualità vs. materialismo;
  • l’orientamento all’interno (autoesplorazione, esplorazione del mondo interno e psicologico, introspezione) vs. l’orientamento all’esterno (esplorazione del mondo esterno);
  • l’orientamento all’essere vs. l’orientamento all’avere;
  • l’orientamento verso la positività o la negatività;
  • l’orientamento al passato, al presente o al futuro (e altri quadranti specifici identificati nel modello proprietario T-chart del metodo ALM);
  • la competitività personale e l’orientamento verso la competitività;
  • l’egocentrismo, etnocentrismo, egoismo, centratura sul self o sui propri bisogni, vs. eterocentrismo, altruismo, centratura anche sull’altro e sui bisogni altrui.

Il miglioramento della comunicazione

L’esattezza dello scambio dell’informazione può essere migliorata riducendo la distanza lungo la dimensione “codice”, il che equivale alla riduzione della distanza linguistica. 

Questo significa in alcuni casi imparare una lingua straniera, un dialetto o subdialetto entro un nazione, ma anche apprendere un linguaggio professionale, un codice non verbale che caratterizza altre culture, gestualità e modalità prossemiche, cadenze e aspetti paralinguistici della comunicazione.

L’accordo può essere migliorato con la diminuzione del grado differenza fra comunicatori nei valori, miti, credenze, atteggiamenti e ideologie – differenze che possono avere conseguenze negative nel processo di comunicazione. 

Inoltre, essendo i due elementi altamente correlati, un aumento nella comprensione di codice aumenterà l’ abilità della comprensione di visione del mondo, e viceversa. 

I livelli interculturali e i limiti della comunicazione

Il codice e le dimensioni di visione del mondo dovrebbero essere considerati non sempre completamente differenti o completamente uguali, in quanto variando lungo un continuum di differenze/similarità. 

I livelli interculturali dipendono dalla quantità e qualità di differenza nella  visione del mondo e nel codice comunicativo. 

In generale, la capacità di interpretazione del comportamento umano aumenta in situazioni nelle quali i codici culturali sono meno rilevanti e i codici biologici prendono il sopravvento, come quelle situazioni che riguardano la sopravvivenza (aggressione) e altri comportamenti più istintivi (come cibarsi o nel sesso).

In altre parole persone di differente cultura o creature appartenenti a differenti specie hanno l’abilità di percepire il comportamento aggressivo o amicale non verbale di un membro di un’altra cultura o specie, mentre comportamenti più culturali saranno meno interpretabili. 

Ogni essere umano condivide a livello basilare ed istintuale la tendenza a riprodurre la specie, il tentativo di non morire di fame o di freddo, la protezione dei figli, ed in genere i comportamenti degli esseri viventi biologicamente evoluti. 

L’evoluzione verso l’autorealizzazione è poi uno degli stati che maggiormente caratterizza ogni essere umano, come sottolinea Carl Rogers[1], e le culture e le religioni stabiliscono solamente diverse modalità o “variazioni sul tema” di questa tendenza di fondo verso l‘autorealizzazione.

Le tecniche di empatia (apprendere a capire la visione del mondo altrui) e una maggiore attenzione all’ottimizzazione dei codici di comunicazione possono dare un’enorme contributo allo sviluppo della comunicazione interculturale. 

Il miglioramento della comunicazione interculturale, a sua volta, genera un impulso enorme alla realizzazione di progetti di sviluppo comuni tra stati, culture e paesi – progetti che non abbiano barriere e confini geografici, ma accomunino le persone verso una comune tendenza alla autorealizzazione personale, sociale ed economica.

Il comportamento umano è determinato da due tipi di forze: dal condizionamento culturale (ontogenetico, appreso durante la crescita) e dal condizionamento biologico ereditario (filogenetico, ricevuto dal DNA), e gli apprendimenti ontogenetici (culturali) si innestano sempre su una base filogenetica, che costituisce il nostro patrimonio comune, e nessuna cultura potrà mai scalfire, ma tuttalpiù potrà coprire, far dimenticare.

Allo stesso tempo, l’impossibilità di codice completamente uguale deriva dalla grande profondità e varietà semantica dei segni (il campo semantico é l’estensione e la gamma dei possibili significati di un segno).

Il significato attribuito ai segni non è un elemento stabile o “dato”, ma è frutto di un accordo simbolico tra individui, è il prodotto cioè della socializzazione e di accordi interpersonali e intergruppo, ma la socializzazione varia in continuazione nel tempo, nello spazio, e tra individuo e individuo, gruppo e gruppo, e quindi variano continuamente anche i significati dei segni.

I segni, e i codici, sono vivi, e mutano. Ogni diade di individui, ogni gruppo, crea nel tempo un proprio codice di comunicazione attribuendo significati peculiari a segni utilizzati.

Ciò avviene, e spesso inconsciamente, all’interno delle aziende. L’errore si determina quanto viene dato per scontato che l’interlocutore dell’azienda controparte possieda un codice condiviso. Questo problema richiede un grande lavoro di metacomunicazione, quella attività comunicativa che serve per spiegare il significato attribuito ai segni emessi e verificare l’esattezza del significato percepito nei segni ricevuti.

Così come per il codice, nessun individuo, nessun gruppo organizzato, possiede esattamente la stessa gamma di valori, comportamenti, atteggiamenti, visioni del mondo, credenze, posizioni ideologiche, sull’intera gamma di oggetti e situazioni che divengono oggetto di comunicazione.

Riconoscere la diversità è il primo strumento utile per poterla affrontare.


[1] Rogers (1961).

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©Copyright. Estratto dal testo di Daniele Trevisani “Psicologia della libertà. Liberare le potenzialità delle persone”. Roma, Mediterranee. Articolo estratto dal testo e pubblicato con il permesso dell’autore.

Trovare le parole per capirsi. Concetti di Coaching e Counseling, Psicologia e Comunicazione

Esponiamo alcuni concetti chiave a mò di glossario, anticipando tuttavia in tutta franchezza che la comprensione di questi concetti e soprattutto la loro vera assimilazione nella tua personale vita, richiedono un lavoro personalizzato, in presenza, e sicuramente non sono sufficienti letture frettolose e ricette facili. 

Possono aiutare ad avvicinarsi al concetto, ma non il suo “embodiment”, il fatto che il concetto “ti entri” nei comportamenti reali.

Esponiamoli comunque nella speranza di poterci incontrare in vita e sperimentarne la potenza per il benessere e la libertà che possono generare.

  • Calco comportamentale. Un’esperienza che ti entra e resta tale, anche quando la ragione di questo calco è finita. Consolidamento di un modello che è nato per un motivo ma rimane anche senza quel motivo scatenante
  • Sequestro sensoriale. Il corpo è costantemente coinvolto in una vastità di segnali, il sequestro avviene quando veniamo avviluppati senza la nostra volontà esplicita in una determinata sensazione corporea o emotiva e non riusciamo a liberarcene o a capirla
  • Flessibilità esistenziale ed energie mutevoli. Per vivere a pieno, dobbiamo mantenere il grounding (radicamento solido nel terreno e nella nostra identità) ma farlo in modi di volta in volta diversi, con libertà di cambiare 
  • Stile comunicativo: che tu te ne accorga o no, hai uno stile, un “modo” nel chiedere le cose, più o meno assertivo o supplichevole o invece arrogante, o invece razionale, o ancora assertivo, o poetico. Esiste un modo nel dire le cose, piuttosto deciso o invece cortese, o esitante o confuso, qualsiasi sia questo “modo” esso influisce su quello che gli altri fanno di te e con te. Scoprire il proprio stile comunicativo e lavorarvi sopra è una grandissima conquista da adulti consapevoli. Questo, anche nel dialogo interiore. Breve nota di riflessione. Questo vale anche nei linguaggi d’azienda. Il politically correct aziendale consiste nell’usare 155 parole per dire quello per cui ne basterebbero 10, deviando allo stesso tempo un’analisi vera del problema e spostandola su temi di massima in cui, alla fine, non si capisca nulla. Entropia comunicativa allo stato puro, che porta i problemi a rimanere tali e le aziende a chiudere. Usarlo con se stessi, è farsi del male. Meglio che i problemi emergano e li guardiamo in faccia, piuttosto che lasciarli marcire nel silenzio, perché da dentro, non affrontati, corrodono.
  • Assertività esistenziale. Decido di costruire situazioni e ambienti ecologicamente buoni per me, decido di liberarmi di quelli che mi intossicano. Questo comprende anche fenomeni molto pratici come il quanto insistere se una persona non mi risponde subito al telefono (per alcuni il numero di chiamate massime è “1 poi se vuole mi richiama”, per altri “lo chiamo 13 volte o finché non mi risponde chiamo”. Non esiste un giusto o sbagliato, esiste solo una grande presa di coscienza su cosa va bene per noi in un certo momento e in una certa situazione.
  • Preparazione Mentale e Presenza Mentale, alla presenza dell’altro possiamo “esserci mentalmente” o essere “altrove”. La presenza mentale è fondamentale durante l’esecuzione di compiti e attività, la non-distrazione, la totale assenza di pensieri interferenti che impediscono il fluire dell’azione e il successo dell’azione. Questo è uno dei motivi per cui, ad esempio, il mio scrivere un libro funziona meglio se in una biblioteca spaziosa e tranquilla, magari in un tavolo da solo, piuttosto che in un ufficio dove 100 altri stimoli possono distrarmi e dai quali, se voglio mai scrivere, devo usare energie per schermarmi. Nella biblioteca ideale, invece, le energie che non sono costretto ad usare si liberano e diventano energie per la scrittura. E la biblioteca ideale probabilmente esiste solo dopo averne visitate dieci che non andavano bene e nelle quali non sarei riuscito a scrivere. Questo concetto di attenzione al setting, alla preparazione mentale, al contesto, vale in ogni ambito della vita.
  • Pattern corporei, modelli corporei, es. curvatura del dorso, posizioni del corpo, posizioni delle spalle, tipo di camminata, velocità o lentezza dei movimenti, modelli di body language, danno luogo a veri e propri modelli psico-corporei alcuni dei quali vanno bene mentre su altri è necessario lavorare per ripristinare condizioni di equilibrio psicologico e fisiologico.
  • Pattern comportamentali. Accorgersi di quando siamo in condizione di disagio, di come facciamo a cacciarci nei casini da soli e finire nel disagio, a volte involontariamente; accorgersi di quali comportamenti automatici mettiamo in campo, di quando vanno bene, e cosa vogliamo imparare a cambiare e automatizzare.
  • Battle Rhythm. Nella vita facciamo tante cose, ma le facciamo con il ritmo e per il tempo giusto? Esempio, per fare un lavoro corporeo sano, è bene allenarsi tutti i giorni o al massimo a giorni alterni, e servono strategie, piuttosto che stare fermi per 6 giorni e massacrarsi di iper-allenamento una domenica mattina. Non funziona così! Eccedere porta a distruggendosi con il malsano pensiero di recuperare l’intera settimana. Una “dose allenante” sana al giorno invece fa bene, benissimo. Lo stesso vale per il Training Mentale e l’allenamento di facoltà mentali. Perdere il Battle Rhythm in qualsiasi area della vita significa dimenticare per troppo tempo una certa attività e farla arrugginire. Tenere il Battle Rhythm significa invece tenere “sotto pressione” un certo problema fino a che non se ne sia andato o eliminato in modo sensibile. In altre parole, finché non hai vinto tu.
  • Vettore memetico. Un “meme” è una traccia mentale, un ricordo, una credenza, può essere persino un ritornello o una frase del tipo “prima il dovere poi il piacere”. E’ tutto quello che abbiamo appreso sinora e ci circola nel “database mentale”. A volte questa traccia, sotto forma di persona o di messaggio, ti trascina o vuole portare la tua vita verso un determinato stato. Quello stato è buono per te? Lo vuoi davvero? Ti fa bene? Se dici di no ma lo fai per dispetto sarebbe possibile invece dire si? O ancora, dici un si “forzato” che non senti veramente dentro, e vorresti imparare a dire un sano no?

Ciò che importa è notare quando, grazie a un lavoro di Coaching e Counseling, alcuni meccanismi di funzionamento del soggetto si sono rimessi in moto, ed è in atto un percorso di ricerca, di esplorazione di nuove possibilità di vita, una ricerca che ha una sua direzionalità positiva.

La presa di coscienza di nuove aree di crescita personale e organizzativa, legate a competenze mai prima prese in considerazione, è uno dei fattori che permette lo sviluppo, la crescita personale, il viaggio verso il benessere, la libertà.

Quando le azioni di formazione, di coaching e counseling iniziano a prendere piede, si nota anche un riverbero (osmosi positiva) tra aumento di micro-competenze apprese su vari livelli. In altre parole, un lavoro sul corpo porta spesso ad un benessere collaterale sulle emozioni. E un lavoro sulle emozioni o sulle scelte di vita può ridare energie al corpo o cambiare e migliorare il sonno. Nel corpo, nella respirazione, o nelle relazioni umane, come la gestione di incontri e riunioni, tutto è collegato.

La sensazione di avere un orizzonte temporale nuovo, non più rigidamente legato a abitudini vecchie e obsolete, offre un senso di “movimento” interno che si può trasformare anche in movimento esterno, fino al camminare, correre o viaggiare.

Tutti questi dati vengono da descrizioni soggettive, sensazioni interne, ed è esattamente questo il livello che ci interessa in questo momento: quanto una persona senta o meno voglia di viverespirito vitale, slancio, quanto pensa di poter far fronte a sfide o stress, quanta voglia di fare e di esistere ha in circolo o si senta invece finito, annientato, bruciato, spento, svuotato.

Per realizzare una consulenza alla persona, al team o all’organizzazione, è indispensabile individuare i vettori su cui lavorare.

Bisogna scoprire come guardare in modo da riuscire a vedere tutte le cose che accadono all’esterno e all’interno di noi come un processo unitario, un movimento totale.

Jiddu Krishnamurti, La domanda impossibile

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Altre risorse online

© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

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L’importanza della variabile “credibilità della fonte” nella persuasione è stata sottolineata già dai primi studi sulla materia, i quali avvalorano l’ipotesi seguente: un’alta credibilità della fonte ha più effetto, nel persuadere un’audience, che una fonte a bassa credibilità

L’ascolto attivo ha una forte componente persuasiva. Devo persuaderti che vale la pena raccontarmi le tue cose, le tue situazioni, dati, sentimenti, fatti accaduti, qualsiasi cosa sia oggetto del colloquio. 

Allora, la verità comincerà a fluire e l’ascolto a funzionare

Nel coaching, per quanto la fase di comunicare esprimendo dati sia inferiore al tempo passato nell’ascoltare, l’intero “apparato uomo”, l’intera persona come sistema, è una “fonte” che comunica qualcosa di sè, e come tale, soggetta ad esame di credibilità.  

Il coach è una fonte di ascolto, una fonte di consigli, una fonte intesa anche come fonte di saggezza, un porto sicuro nel mare in tempesta. Se non fornisce questa immagine, diventa dissonante. 

Se parliamo di ascolto, possiamo dire senza ombra di dubbio che – ove manchi credibilità spontanea – l’unico modo per ottenere informazioni sarebbe un interrogatorio. E questo non è certo quello che deve fare una persona che voglia praticare ascolto attivo. 

Quello che ci interessa è invece riuscire a creare un ambiente collaborativo e facilitante per l’ascolto. La nostra parte in questo consiste nell’essere persone con una forte credibilità, dovuta a due specifici meccanismi evidenziati dalla psicologia sociale: 

  1. Trustworthiness (o Trust): letteralmente “essere degni di fiducia”, essere persone attendibili; 
  1. Expertise: essere visti come persone competenti ed esperte sul tema che trattiamo, o nel processo di coaching stesso. 

Nel coaching e consulenza, la competenza ricercata è la capacità di analisi, e non tanto l’essere delle persone competenti nel campo merceologico di cui si occupa il cliente. Se ad esempio il cliente produce barche, ma noi siamo coach in azione per lavorare sulla leadership, deve emergere che sappiamo esperti in leadership, e non che siamo esperti di barche.  

Lo stesso vale per il public speaking, dove il fatto di parlare in una banca, in una fabbrica, in un teatro, o in un campo di gioco, non cambia la sostanza forte delle questioni su cui lavorare. 

La dinamica di ascolto va però adattata in funzione delle culture e delle persone.  

Se facciamo ascolto attivo a livello internazionale, sappiamo che un CEO aziendale giapponese pretenderà cenni di rispetto e di cortesia estrema, e non pacche sulla spalla. Il contatto fisico sarà da evitare, almeno nelle prime fasi. Se siamo negli USA, sappiamo che avremo a che fare con una cultura molto diretta, che non apprezza i convenevoli, importanti invece nelle culture latine ed arabe. 

Il fattore expertise (considerato come “competenza” tecnica o “qualificazione”) si riferisce alla conoscenza e preparazione tecnica della fonte riguardo i fatti presentati nel messaggio. 

Il fattore Trustworthiness si riferisce alla percezione che la persona dica o meno la verità che conosce (oppure dia solo una versione parziale dei fatti), con lo scopo di manipolare le controparti a loro insaputa. 

Queste due dimensioni possono essere combinate costruendo una matrice di analisi della credibilità per formare quattro diverse tipologie di percezioni della fonte:

  1. alta expertise- alta trustworthiness: la fonte più credibile, essendo percepita come competente e affidabile; 
  2. alta expertise- bassa trustworthiness: fonte inaffidabile; 
  3. bassa expertise- alta trustworthiness: fonte inesperta; 
  4. bassa expertise- bassa trustworthiness: fonte inaffidabile e inesperta. 

L’intento di passare all’ascolto attivo e non essere quindi spettatori disinteressati ci porta al tema dell’intento di coaching e intento comunicativo e stile comunicativo che ne deriva. 

Tutti si rivolgono a coach, esperti e consulenti per risolvere problemi, o aumentare le loro prestazioni. Il problema avviene quando il cliente pretende di sapere già quale sia la soluzione, e magari cerca una scorciatoia “rapida e indolore” per un obiettivo che richiede invece impegno e continuità. 

Nel momento in cui il professionista accondiscende ad offrire soluzioni che possano portare si alla performance desiderata, ma con grave danno per la persona stessa, l’etica deve far dire no.  

"Ascolto Attivo ed Empatia" di Daniele Trevisani

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  • barriere semantiche
  • capire cosa motiva le persone
  • training attivo
  • raggiungere risultati
  • rompere le barriere dell’incomunicabilità
  • abilità comunicative
  • abilità conversazionali
  • capacità attentive
  • adattamento interculturale
  • sistemi culturali
  • dialogo tra aziende
  • approcci culturalmente diversi
  • contesti culturalmente diversi
  • tecniche di gestione della conversazione
  • know-how
  • leadership
  • negoziazioni strategiche
  • pensare da professionisti
  • comportarsi da professionisti
  • conoscere noi stessi
  • conoscere gli altri
  • attenzione strategica all’interlocutore
  • identificare informazioni di importanza critica
  • La rappresentazione di sé e l’ascolto
  • image building
  • autenticità dell’ascoltatore
  • La credibilità delle fonti e la credibilità personale
  • ascolto attivo e persuasione
  • creare un ambiente collaborativo
  • Trustworthiness
  • Expertise
  • adattamento della dinamica di ascolto alla cultura
  • intento di coaching
  • intento comunicativo
  • stile comunicativo
  • etica e professionalità

Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Nell’articolo a seguire tratteremo diversi argomenti: in primis si parlerà della formazione alla comunicazione efficace, successivamente si tratterà l’irrigidimento cognitivo, come riconoscerlo e superarlo, ed infine si approfondirà il tema della cultura come stato di coscienza.

Un progetto o corso/percorso sulla comunicazione efficace e sullo sviluppo personale può e deve insegnare alle persone a scoprire ciò che non sanno, le cosiddette “incompetenze inconsapevoli”.

I grandi capitoli formativi per apprendere a ridurre l’incomunicabilità sono:

  • la nostra identità e le identità multiple, il nostro ruolo e i ruoli multipli e il modo in cui influenzano la nostra comunicazione.
  • codici comunicativi e gli stili comunicativi, sul piano sia verbale che paralinguistico e non verbale, sino alla comunicazione polisensoriale e multicanale. Imparare a comunicare anche con codici comunicativi diversi dai nostri abituali è fondamentale, poiché la comunicazione è una competenza, e va allenata portando le persone fuori dalla zona di comfort, a sperimentarsi su nuove modalità comunicative. 
  • comprendere come si manifestano i nostri valori, le convinzioni, le credenze più profonde e gli atteggiamenti centrali e periferici e come trasmetterli nel modo più efficace. Imparare a cercare la base comune (common ground). 
  • comprendere come il nostro vissuto relazionale, esperienziale ed emotivo può essere elaborato e analizzato per scoprire lezioni di vita e auto-casi.
  • Cercare momenti di vita vissuta comuni, common ground sul piano delle emozioni vissute o altri tipi di common ground esperienziale. 
  • imparare l’ascolto, l’empatia e le tecniche di ascolto attivo. 

Tutto ciò deve essere fatto tramite la formazione attiva ed esperienziale che ci porti verso il nostro obiettivo e risultato. La formazione in comunicazione è un’arte espressiva, deve dare voce alla comunicazione degli aspetti emotivi così come a quelli informativi, perché la realtà è composta da entrambi. 

Lo sviluppo della capacità comunicativa parte sempre dal rendersi conto che non sappiamo fare qualcosa (1), per poi prenderne atto (2), lavorarci sopra anche se l’esecuzione è ancora incerta (3), proseguire fino a che l’esecuzione diventa fluida (4).

Questa operazione di crescita personale continua può farci arrivare anche allo stato di flusso (flow), lo stato di grazia e di piacere che può accompagnare una performance, anche difficile, quando sentiamo che il nostro corpo e la nostra mente stanno rispondendo perfettamente e riusciamo ad entrare in risonanza con l’azione.

Uno dei punti importanti che un corso di comunicazione e sviluppo personale affronta, quando ben condotto, è il fatto di affrontare l’incomunicabilità.  Questo ci aiuta a cambiare la modalità che usiamo nel rapportarci agli altri, uscendo dalla nostra corazza pesante di stereotipi e aprendo nuovi canali di comunicazione, aiutandoci anche ad affrontare situazioni comunicative in cui si insinuano rabbia, litigi, incomprensioni. 

Gli errori o i fallimenti diventano momenti di apprendimento.

Il progresso nelle competenze porta con sé una forza espansiva, aumenta la nostra zona di comfort, fa entrare questioni prima per noi impossibili entro la nostra area di sfida, amplia la nostra visione di ciò che è possibile.

Un corso di comunicazione e sviluppo personale può incidere su: 

  1. le nostre credenze potenzianti e limitanti; 
  2. le nostre convinzioni più radicate su come sia bene agire; 
  3. le nostre abitudini
  4. la nostra identità e come la esprimiamo al di fuori dei nostri contatti comunicativi; 
  5. i nostri valori profondi, inserendovi il valore di una comunicazione di qualità come nuovo riferimento per una vasta gamma di situazioni di vita. 

Possiamo anche affrontare: 

  1. distorsioni comunicative
  2. ambiguità
  3. finzioni, anche attraverso l’osservazione dei segnali deboli che le persone emettono; 
  4. metafore e figure logiche, cioè gli strumenti che danno forza ed enfasi al messaggio, lo rendono più bello, meglio strutturato, più potente ed efficace. 

Quando una persona migliora la propria comunicazione, questo miglioramento si estende ad ogni ambito e territorio della vita, in famiglia e nel lavoro. È bene sviluppare le abilità, coltivare i talenti, dare spazio al potenziale personale di ciascuno, in qualsiasi direzione esso si possa esprimere.

Il problema dell’incomunicabilità ha origini sociali. Nel pieno dello sviluppo della propria espressività, il bambino e l’adolescente imparano che ad essere sinceri nascono problemi, e che dedicare tempo agli altri è una perdita di tempo, o almeno così viene loro fatto credere. Mentre i sistemi educativi formali sostengono l’importanza dell’espressività e della comunicazione, i comportamenti educativi reali insegnano invece esattamente il contrario.

Anche le aziende insegnano questo: la regola basilare del “non fidarsi” è tramandata dall’esperienza degli “anziani” d’azienda ai giovani, creando una condizione di allerta permanente, un clima di sospetto che permea ogni avvio di relazione e ogni comunicazione. 

Tuttavia, tale condizione di “allerta” deve diventare una scelta tattica consapevole da applicare in alcuni momenti, non sempre, e non uno stato costante fissato a priori, una “ingessatura inamovibile” o un blocco cognitivo che impedisce un percorso di crescita. 

Poco a poco, il blocco delle espressioni esterne diventa incapacità di riconoscere ciò che ci accade all’interno e all’esterno. La realtà dei fatti è piena di persone che non riescono a spiegare il proprio bisogno (se si acquista) o il proprio valore (se si vende). 

In queste condizioni, il manager ingessato si trova a fare business, a negoziare, a dover comunicare, esprimersi, a volte persino a dover capire gli altri e ascoltare, e non ci riesce.  Esiste quindi un meta-obiettivo per ogni persona e gruppo: lo sblocco delle rigidità cognitive

È indispensabile lavorare per riconoscere i propri stereotipi e le proprie credenze, agire attivamente per capirli, identificare i propri stati di incomunicabilità, impegnarsi per eliminarla o ridurla, non attendere che la comunicazione migliori passivamente o “per miracolo”, ma impegnarsi in prima persona, come se fosse una priorità assoluta. 

La comunicazione può essere concepita come un contatto tra diversi stati di coscienza, un ponte tra universi mentali distanti.  Ogni cultura mette il soggetto nella condizione di prestare più attenzione a certi aspetti del mondo e di trascurarne o ignorarne altri. 

Secondo l’ipotesi Sapir-Whorf e gli studi di psicolinguistica, lo stesso linguaggio forma una struttura della realtà e plasma la realtà che vediamo. 

Ogni essere umano percepisce la realtà in modo diverso, per cui non esiste “una realtà” ma più realtà, a seconda degli schemi mentali utilizzati per la percezione (multiple reality theory). Un fenomeno esterno (presunta realtà oggettiva) non produce automaticamente la stessa esperienza soggettiva del fenomeno (realtà percettiva). 

Questo per alcuni è inaccettabile: il rifiuto di tale concetto produce rigidità umana e manageriale. L’incomunicabilità nasce persino all’interno dell’individuo stesso, che si trova dissociato tra il proprio Sé cosciente e il proprio inconscio.  

L’individuo che non comunica con sé stesso ha difficoltà a riconoscere i propri stati emotivi, non capisce alcuni dei suoi comportamenti o non sa darsene una spiegazione, vorrebbe essere in un modo e si trova nella condizione opposta. 

Allo stesso tempo, l’individuo che “non si conosce” agisce senza consapevolezza di quali norme, principi, precetti, canoni, direzioni, usanze, linee guida o teorie implicite stia utilizzando. 

In conclusione, il successo della comunicazione dipende: 

  • dalla capacità di mettere in contatto tra di loro le componenti intraindividuali e sbloccare la comunicazione tra le diverse componenti del soggetto stesso; 
  • dal grado di consapevolezza acquisita dal soggetto stesso rispetto alla propria cultura, in termini di valori, credenze, schemi, atteggiamenti e altri tratti culturali acquisiti; 
  • dalla capacità di rimuovere il “rumore di fondo” intrapsichico e attuare una forte presenza mentale durante gli incontri e scambi comunicativi. 
libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi:

Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Nell’articolo di oggi andremo ad elencare le diverse tipologie di scambio transazionale tra i vari stati dell’Io, ponendo particolare attenzione alla reazione transazionale e alle sue conseguenze.

Secondo Berne, le singole transazioni comunicative avvengono tra un determinato stato dell’Io e l’altro. Ad esempio, un interlocutore potrà rivolgersi con il proprio stato G allo stato B dell’interlocutore, dicendo “non dovresti fare questo”, e l’interlocutore a sua volta risponderà utilizzando uno dei tre stati (Genitore, Adulto, o Bambino).  

Una transazione rivolta ad un determinato stato dell’Io presuppone che l’interlocutore risponda utilizzando lo stato dell’Io al quale è indirizzato il messaggio, poiché ciò significa che egli ha accettato la relazione di ruolo.

Tuttavia, l’interlocutore potrebbe rifiutare il ruolo attribuito e rispondere con un altro stato, ribaltando la situazione. Il risultato può essere un breakdown comunicativo (cessazione della comunicazione) oppure uno scontro comunicativo, oppure, nel migliore dei casi, il tentativo di passaggio ad uno stato diverso, per esempio ad Adulto. 

Analizziamo ora le diverse tipologie di scambio transazionale, che si dividono in:  

Complementari

  • orizzontali parallele  
  • oblique parallele 

Non complementari 

  • incrociate 
  • bloccanti 

Plurime 

  • multiple (bull‘s eye
  • doppie (nascoste) 

Possiamo tranquillamente condividere il fatto che il “modello comunicativo” che una persona assume, il suo modo di dare stimoli e risposte, e la natura di questi stimoli, compongono un vero e proprio stile comunicativo e questo diventa il suo personal branding comunicativo, la sua unicità espressiva, riconoscibile tanto quanto un marchio lo è sul mercato. La natura degli stili comunicativi ha valore di “marcatore di immagine personale” ed è necessario lavorare su di essa per migliorare la propria comunicazione.

Transazioni orizzontali parallele

Nelle transazioni orizzontali parallele, le persone comunicano utilizzando lo stesso stato dell’Io. Pertanto, i segnali emessi sono prodotti utilizzando un codice simile e provengono da un sistema di valori simile, che permette una facilità di comprensione, comunicazione e relazione.  

Transazioni oblique parallele

Avvengono tra stati diversi dell’Io, e il ricevente accetta la relazione di ruolo del mittente. Le transazioni oblique, quando sono complementari, non sono conflittuali, in quanto le relazioni di ruolo vengono accettate da entrambi, e possono essere soddisfacenti in termini di risultati.

Transazioni incrociate (conflittuali) 

Sul diagramma transazionale, quando stimolo e reazione si incrociano, la parte della personalità che risponde è diversa da quella alla quale il mittente si è rivolto. L’interlocutore, in pratica, rifiuta il ruolo che l’emittente gli attribuisce e si genera un conflitto che può sfociare con il termine della comunicazione o con uno scontro.

Un altro esempio si ha nel caso in cui un soggetto cerca aiuto e protezione, mentre l’altro, non volendo o non essendo in grado di fornirli, si pone anch’esso in una situazione di richiesta di aiuto o protezione. Le aspettative reciproche, pertanto, non vengono soddisfatte. 

Transazioni bloccanti

Servono per uscire da una transazione incrociata e superare i momenti difficili derivanti da comunicazioni molto forti da parte dei nostri interlocutori e inaccettabili per noi. Il tentativo è in genere quello di indirizzare le comunicazioni verso lo stato voluto, particolarmente verso lo stato A.  

Transazioni multiple (bull’s eye)

Si indirizzano a diversi stati dell’io contemporaneamente, all’interno di una stessa frase. Per esempio: “tutti uguali voi professionisti, non pagate mai le tasse”. Risposta di tipo bull’s eye: “sì, ammetto che in alcuni casi è vero, e mi dispiace veramente (B-G), tuttavia credo che la realtà sia più complessa: per alcune categorie di professionisti l’evasione è di fatto impossibile, e assieme possiamo anche esaminare alcuni dati che mi sembrano interessanti (A-A). Ma al di là di questo, credo che prima di dare dei giudizi sarebbe opportuno documentarsi meglio (G-B)”. 

Questo tipo di transazione può porre il ricevente in una situazione di dissonanza, di confusione, di spiazzamento. Una transazione multipla non si indirizza necessariamente a tutti gli stati della personalità, ma può indirizzarsi solo a quelli appropriati per la situazione.  

Transazioni nascoste

Le transazioni nascoste sono costituite da una transazione reale e da una transazione apparente. Lo stesso messaggio, in pratica, ha due chiavi di lettura: quella apparente (cioè quella denotata dalla frase utilizzata) e quella reale (cioè il messaggio implicito o nascosto che passa comunque).

Le transazioni nascoste possono essere caratterizzate da: 

  • complicità: entrambe le persone percepiscono la transazione nascosta; 
  • manipolazione: una delle due persone non percepisce la transazione nascosta, ma ne subisce l’influenza. 
libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi: