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sistemi di credenze

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© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

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Restando sempre all’interno dell’area tematica dell’ascolto attivo, introduciamo le domande potenti, che possono essere utilizzate per analizzare interiormente l’interlocutore, oltre che noi stessi, e per capire la sua rete relazionale.

Mentre ascoltiamo sappiamo che ogni parola o frase non esiste da sola, ma si inserisce in reti e nodi mentali preesistenti, che vengono toccati (sollecitati) dalla comunicazione. 

  1. Ogni messaggio che tocca un nodo di una rete di significati stimola i significati vicini ad essa
  2. I messaggi che attraversano le reti cognitive e i sistemi di credenze dell’individuo possono modificare la struttura della rete stessa

Le domande potenti, quelle che scavano nel profondo, possono cambiare la mente. Non solo possono dare luce ai mondi interiori delle persone, ma possono cambiarle agendo sull’incremento della consapevolezza del cliente. È sufficiente avere il permesso di farle, o la richiesta, come avviene nelle sessioni di psicoterapia. 

Alcune domande potenti sono qui portate ad esempio, ma vanno usate con intelligenza, con il permesso di farlo e con pratica professionale: 

  1. Da quanto tempo non ti senti felice? 
  2. Che atmosfera si vive a casa tua? 
  3. Cosa credi sia possibile e cosa credi che sia impossibile nella tua vita? 
  4. Che fase è questa, nella tua vita? 
  5. Con cosa non hai ancora fatto i conti nella tua vita? 
  6. Cosa dà senso alla vita per te? 
  7. Tra quanto tempo vorresti sentirti felice? 
  8. Qual è la cosa peggiore che nella tua vita non deve capitare? 
  9. Quali sono stati i momenti peggiori della tua vita?  
  10. Perché siamo arrivati li? 
  11. Da quanto tempo non ti senti spensierato? 
  12. Con chi ti senti bene? 
  13. Quando ti senti bene? 
  14. Quali sono le persone che ti danno energia e quelle che te ne tolgono? 
  15. Ti senti capace nel programmare il tuo futuro?  
  16. In genere programmi qualcosa nella giornata, settimana, mese, anno, più anni, mai? 
  17. Qual è l’offesa più mortale che potrebbero farti? 
  18. Cosa rappresenta per te un rifugio esistenziale, quel posto dove vai a curare te stesso? 
  19. Cosa vorresti fare nella vita prima di morire, cosa non vuoi dire di non aver provato, o fatto? 
  20. Come ti senti in presenza di X? (dove X è una persona significativa) 

Alcune di queste domande possono essere compiute con tecniche speciali di training mentale, ad occhi chiusi, da distesi, ma questo richiede un tipo di formazione speciale, in quanto la profondità nella lettura di sé stessi, in quella condizione, aumenta, e aumentano anche le risposte emotive, incluse emozioni che portano al pianto, alla rabbia, alla sofferenza, alla gioia. 

Per saper gestire queste reazioni occorre un training speciale, come minimo una scuola di counseling o di coaching avanzato. 

Far uscire queste risposte e le emozioni che le accompagnano fa bene, poiché rompe la “Spirale del Silenzio”, che come un morbo attanaglia persone, aziende e organizzazioni, sino ad intere società. 

Il network cognitivo è l’insieme dei concetti, idee e pensieri che portiamo con noi. 

Dietro ad ogni decisione ci sono “suggeritori occulti”, persone la cui reazione viene immaginata e anticipata, per capire se un sì o un no possono urtare gli equilibri relazionali e mentali esistenti. Es. Cosa avrebbe detto mio padre di fronte a questa scelta? (o qualsiasi altro referente mentale attivo nella mente della persona). 

Un ascolto attivo e avanzato cerca quindi di capire quale sia il network umano che sta dietro alla persona, le persone che la influenzano, il quale può emergere sempre attraverso l’uso di domande potenti come:

  • Secondo lei chi dovremmo coinvolgere in questa decisione?
  • Chi può essere dispiaciuto o rallegrarsi di questa decisione o scelta?
  • Di chi ti piacerebbe avere l’approvazione se fosse possibile averla?
  • In caso di bisogno economico, su chi pensi potresti contare per un aiuto? 
  • In una situazione di bisogno materiale, ad esempio rimanere a piedi con l’auto, chi chiameresti per avere un primo aiuto? 
  • Chi sono le persone che vedi di più
  • Di chi ti fidi in questa fase della tua vita? 
  • Chi ha deluso le tue aspettative? 
"Ascolto Attivo ed Empatia" di Daniele Trevisani

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© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

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Nell’articolo di oggi parleremo delle “Means-End Chains“, o “catene mezzi-fini“, strategia che ha l’intento di scavare a fondo nel sistema di credenze dell’interlocutore per poter comprendere le motivazioni che si nascondono dietro alle parole, ai comportamenti e agli atteggiamenti.

Le convinzioni sono il motore del comportamento. Le convinzioni, o credenze, possono essere utili (es, se mangio frutta e verdura mi farà bene) o letali (es, vado forte in auto tanto a me non succederà niente). 

Ascoltare le credenze significa setacciare l’ascolto andando alla ricerca delle convinzioni (beliefs, credenze radicate o periferiche) di cui la persona è portatrice. Le credenze sono in parte consce, ma in larga parte inconsce e non espresse, non verbalizzate. 

Come un vento vorticoso, le credenze attorniano le persone e non gli offrono spazio per guardare oltre. Se guardo una persona sollevare un attrezzo (un peso), penso che non abbia altro da fare che farsi del male, o cerco di comprendere e capire perché lo fa. Molto probabilmente quel gesto meccanico, nella sua visione delle cose, ha il fine di stimolare il muscolo, bruciare grassi, ottenere migliore forma fisica e quindi piacere di più, fino ad auto-accettarsi di più. Benvenuti, siamo in una palestra. Adesso quel gesto fisico assume un senso, o almeno una parte del senso totale. Difficilmente, però, se chiediamo a questa persona cosa stia facendo, dirà: “voglio essere più seduttivo e auto-realizzato”. Molto più probabilmente risponderà: “sto facendo palestra, per stare in forma”. Possiamo quindi dire che dietro ad ogni parola (mezzo), o azione che osserviamo, esiste un fine che possiamo scoprire. La Means-End Chain (catena mezzi-finalità) è il meccanismo basilare attraverso il quale si crea un valore. 

Vediamo un’analisi svolta relativamente al prodotto “yoghurt magro”. 

La catena esposta nella figura vede presenti diverse “promesse” (sulla destra), che il cliente percepisce, associate ad altrettanti “stati” del prodotto (sulla sinistra), sino al punto in cui si trasformano in valori. 

Notiamo: 

  1. un attributo concreto (concrete attribute: bassa percentuale di grasso); 
  1. un attributo più intangibile e derivato, ad esso collegato (abstract attribute: meno calorie); 
  1. delle conseguenze funzionali (functional consequences: un dimagrimento); 
  1. conseguenze psicosociali (psychological consequences: superiore accettazione sociale); 
  1. valori strumentali (instrumental value: maggiore fiducia in se stessi – aumento della self confidence o fiducia in sè); 
  1. I valori terminali e più profondi dell’individuo (terminal values): l’incremento del grado di autostima (self-esteem). 

L’analisi delle Means-End Chains ci illumina su un punto critico: ascoltare le parole, di per sé non significa nulla, finché esse rimangono scollegate da sfere semantiche (aree di significato) ed emozioni che vi stanno dietro.  

Servono almeno 5 “Perché?” per arrivare ad un valore terminale. E spesso di più. 

Le catene mezzi-fini sono anche fondamentali per fare domande in profondità, in un approccio di ascolto attivo. 

Il basso contenuto di grasso di uno yoghurt non è positivo o negativo, può essere entrambe le cose: per un muratore cui servono le energie necessarie ad affrontare un lavoro faticoso, il basso potere calorico è assolutamente negativo, mentre per una modella farcita di immagini mentali di magrezza, ossessionata a mantenere la linea, rappresenta un elemento positivo. La catena sopra esposta può essere una delle diverse catene in azione che creano valore semantico del prodotto, ma soprattutto, è soggettiva. Possiamo anche sbagliare nel comprenderla, soprattutto quando cerchiamo di completarne i nodi con le nostre personali credenze. 

Saper ascoltare in profondità significa arrivare a capire il perché le persone fanno ciò che fanno, e quindi arrivare a capire le loro catene mezzi-fini. Finché non capiamo le catene mezzi-fini attive, non riusciremo mai a guidare una persona in un cambiamento, perché siamo come barche che cercano un’isola circondate da una coltre di nebbia. Ascoltare le catene mezzi-fini significa invece fare luce sui motivi dei comportamenti. Questa tecnica è anche fondamentale per “coltivare motivazione” all’interno di sessioni di coaching, e scatenare la motivazione verso obiettivi positivi. Perché le domande, quando sono attive e in profondità, non sono mai neutre verso il destino. Le domande cambiano le persone. 

"Ascolto Attivo ed Empatia" di Daniele Trevisani

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 1.7. Amplificare l’espressività

Esprimersi è importante. In letteratura si distingue un’espressività positiva (generativa di idee e progetti) e un’espressività negativa (poter manifestare stati di disagio, lasciare fuoriuscire le emozioni negative), su cui il patrimonio mentale ricevuto dai genitori ha notevole effetto (Kolak & Volling).

Esiste quindi uno sfondo importante del potenziale personale, il Modeling familiare e sociale: esempi, pensieri,  modelli comportamentali e mentali cui siamo stati esposti ci fanno da sfondo e agiscono spesso a nostra insaputa. Tutti subiamo in qualche misura un imprinting psicologico (modellamento precoce al quale siamo stati esposti nella crescita).

In questo substrato si trovano apprendimenti positivi e negativi.

Prendere coscienza di cosa di buono abbiamo assimilato nella nostra crescita (risorse attive), di cosa invece non abbiamo assimilato (risorse assenti), e dei modelli sbagliati appresi, i modelli che ci danneggiano, la spazzatura mentale che ci circola dentro, è un’operazione eccezionale.

Se potessimo passare al setaccio ogni nostra debolezza, timore, paura, insuccesso, riusciremmo ad arrivare alla radice delle credenze “tossiche” per il nostro sistema, le idee acquisite che ci appartengono ma ci danneggiano.

Ogni singola credenza dannosa che ci assedia da dentro è come un sasso nel nostro motore. Rompe gli ingranaggi, inceppa, arresta, frena, distrugge.

Es: la credenza “devo sempre essere il massimo in ogni campo, sempre” a lungo termine sviluppa ansia, manie, depressione, tensione permanente e corrosiva. La sua impossibilità materiale di concretizzarsi genera frustrazione continua, e non solo stimolo positivo. Se lo portiamo dentro, da dove viene? Quando l’abbiamo imparato? Da chi?

O ancora: “la fortuna dipende solo dal destino: puoi fare ciò che vuoi, ma tanto tutto è già scritto”, produce disimpegno verso lo studio e l’imprenditorialità, genera lassismo e pressapochismo. Se tutto è già scritto, a cosa serve impegnarsi per qualcosa?

Da dove viene questa spazzatura? Quando e da chi è stata appresa?

Oppure immaginiamo quanto la credenza “devi farcela da solo, se chiedi sei un debole” possa impedire ad un leader di apprendere a delegare correttamente, o invece produrre un accentratore incapace di gestire davvero un team, o di fidarsi nel assegnare un obiettivo.

Un caso ancora: il problema dell’utilizzare larga parte del proprio tempo libero a guardare programmi stupidi in televisione anziché dedicarlo alla propria crescita o a contenuti attivi. Da dove viene? Dove lo abbiamo appreso?

Al Modeling sociale precoce, che non è frutto di una scelta o libero arbitrio, il sistema HPM vuole aggiungere un modeling diverso, frutto di una decisione della persona, un atto di coraggio, un grido di emancipazione. Si tratta di una scelta di come e dove utilizzare il proprio tempo positivamente, di quali credenze liberarsi, di quale “cultura” nutrirsi invece di “digerire” a forza ciò che il sistema culturale dominante a ha sinora passato.

HPM lavora soprattutto come metodo di sviluppo nel quale la persona possa valutare la propria situazione in termini di energie, smontare alcune delle “celle” del proprio sistema, capire come radicarsi, e poi procedere in avanti: essere protagonista del proprio sviluppo. Lavora inoltre come sistema di riferimento per i coach e trainer che vogliono assistere le persone e le imprese in questo viaggio.

Che si usi come sistema di analisi della persona la piramide HPM, o altri sistemi più classici  – come la tassonomia di Bloom centrata sui “saperi”, “saper essere”, e “saper fare” – l’essenziale è localizzare in quale direzione sono possibili avanzamenti, e dove agire.

Trovato un buon livello di ancoraggio, o grounding (radicamento), è possibile per ogni persona osare oltre, dare spazio alla propria espressività.

È decisamente vero, quindi, che l’espressività è un tratto in parte appreso, e riceviamo in eredità un dono (se presente, forte, ben accessibile) o un handicap sociale (se inibita, castrata, amputata).

In particolare la figura paterna ha un ruolo leggermente prevalente nell’esprimersi in progetti costruttivi (espressività positiva), mentre la figura materna ha un ruolo leggermente prevalente nel fare da contenitore emotivo, insegnando l’espressività negativa, cioè la nostra capacità di liberare le emozioni negative e non trattenerle dentro a macerare.

Se il patrimonio genitoriale o culturale non è così fortunato, cosa si dovrebbe fare? Arrendersi? Non è il nostro progetto. E se invece fosse magnificamente fortunato, perché non chiedersi cosa possiamo noi conquistare ancora, al di là di quello che abbiamo ricevuto? E come praticare una self-contribution, o contributo autonomo, invece di adagiarsi su quanto ricevuto da altri? Ciò che si conquista vale sempre più di ciò che si riceve gratis.

Riuscire ad esprimersi in progetti, in risultati, nello sport, nel lavoro, nella leadership, o nel comunicare, è qualcosa che si può decidere di apprendere, non è solo questione di genetica o di fortuna.

Nella nostra visione, dobbiamo concentrarci su quello che possiamo fare, e non solo sui limiti. Esistono sfere della vita che sono in nostro potere, zone di obiettivi su cui si può intervenire. Non farlo è sprecare la vita.

Fare focusing (focalizzare e ri-focalizzare), in questo caso, significa prendere coscienza di nuovi traguardi, fare luce su cosa sia vero e falso, esaminare la quantità di bugie e abbagli annidate nelle presunte sfere di impossibilità e possibilità, fare un bilancio, dirigersi verso nuovi orizzonti.

      


Kolak, Amy M., Volling, Brenda L. (2007), Parental Expressiveness as a Moderator of Coparenting and Marital Relationship Quality, Family Relations, v. 56, n. 5, pp. 467-478, Dec.

Bloom Benjamin, S., Krathwohl, David R. (1956), Taxonomy of Educational Objectives. The Classification of Educational Goals, by a committee of college and university examiners. Handbook I: Cognitive Domain, New York, Longmans, Green.

Wong, Maria S., Diener, Marissa L., Isabella, Russell A. (2008), Parents’ Emotion Related Beliefs and Behaviors and Child Grade: Associations with Children’s Perceptions of Peer Competence, Journal of Applied Developmental Psychology, v. 29, n. 3, pp. 175-186, May-Jun.

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Copyright, dal Volume:

“Il Potenziale Umano”

Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance