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Articolo estratto dal testo “Deep Coaching™, il metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

Il più grande nemico della conoscenza non è l’ignoranza, è l’illusione della conoscenza.

Stephen Hawking

Agire sui saperi tramite il modello X-Y significa chiedersi quale “information gap” vogliamo colmare. Significa chiedersi “cosa deve sapere la persona dopo questo intervento di formazione o coaching, che prima non sapeva?”. I saperi sono importanti ma non sufficienti. Ed inoltre, fare “lezioni” è spesso un metodo insufficiente per creare saperi veri, solidi e interiorizzati.

Trasferire “Saperi” in modalità accademica significa trasmettere conoscenze teoriche, dati, elementi conoscitivi o culturali, tramite il metodo “ad una via”, nel quale un oratore o docente parla e/o scrive su un foglio, espone slides o schemi, legge documenti, e altri metodi similari. È il classico metodo della “lezione frontale” composta da un oratore e da un pubblico (più o meno ricettivo).

La lezione classica o frontale ha numerosi limiti e alcuni pregi. Per i pregi, come evidenzia Castagna (2003). “…. È un momento razionalizzante per antonomasia, perciò necessario nella formazione comportamentale[1].” 

La lezione si presta bene unicamente rispetto all’obiettivo di trasferire schemi, vocabolari, modelli e concetti, prima, durante o dopo un training program, ma non è assolutamente da confondere con la totalità di un training program – da considerare come azione olistica ed esperienziale, ed ancora meno è assimilabile ad un Deep Coaching, un coaching che vada veramente in profondità. 

Agire sui "saperi" tramite il Modello XY e gli obiettivi di apprendimento

Il limite insito nel procedimento della lezione risiede nel ruolo di ascoltatore passivo in cui sono relegati i discenti, limite che facilmente si ripercuote sul loro apprendimento. Come sottolinea Castagna (2003)

“Scarsa memorizzazione dei concetti e rapida caduta del livello di attenzione, derivanti dalla fatica insita nell’ascoltare, sono solo alcuni dei rischi in cui incorre lo spettatore passivo che assiste ad una lezione[2].”

Anche Knowles (2002) fa notare che:

“Coloro che escono dal nostro sistema scolastico non sanno come apprendere, sanno solo come ricevere un insegnamento.” [3]

La tassonomia di Bloom sugli Educational Objectives (obiettivi di apprendimento):

Se vogliamo trasmettere dei saperi, dobbiamo almeno chiederci quale uso desideriamo si faccia degli stessi. Può essere utile tornare qui sulla tassonomia di Bloom[4] sugli Educational Objectives relativa a sei livelli di apprendimento:

  1. remember, recall & knowledge: ricordo, conoscenza dei concetti;
  2. comprehension, understanding: capire veramente il tema;
  3. application: saper applicare il tema o modello ad un problema;
  4. analysis: saper analizzare usando il tema o modello studiato;
  5. synthesis: sintetizzare, saper creare e progettare facendo uso dei concetti appresi e dei modelli dimostrando capacità di sintesi;
  6. evaluation: saper valutare facendo uso dei concetti e modelli appresi.
La Tassonomia di Bloom

Come si nota, le fasi superiori, per concretizzarsi, richiedono una “scalata” dal basso verso l’alto, verso capacità autonome.

Secondo Bloom, definire gli obiettivi o goals formativi in termini di capacità comportamentali aiuta a fissarli meglio[5].

Da questa riflessione sono nate molte applicazioni successive che collegano ogni fase a verbi d’azione che possono essere utilizzati come target di apprendimento. Un primo esempio viene da Huitt[6]:


Target di apprendimento - Huitt

Da questo lavoro di ricerca estrapoliamo il seguente principio del Deep Coaching:

Principio 6: Progressione dei livelli di conoscenza e Modelli di Crescita nel Deep Coaching

Il cambiamento positivo viene favorito dai seguenti fattori:

  1. remember, recall & knowledge: ricordo, conoscenza dei concetti; riuscire a ricordare le variabili chiave di un modello di sviluppo che si intende usare;
  2. comprehension, understanding: capire veramente il tema; capire veramente il cuore e il senso del modello;
  3. application: saper applicare il tema o modello ad un problema;
  4. analysis: saper analizzare un obiettivo o problema usando il tema o modello studiato;
  5. synthesis: sintetizzare, saper sintetizzare le variabili chiave, saper creare e progettare facendo uso dei concetti fondamentali appresi nel modello;
  6. evaluation: saper compiere valutazioni, di persone, aziende o obiettivi e problemi, facendo uso dei concetti appresi nel modello.

Se non compiamo questa scalata che parte dalla conoscenza concettuale fino ad arrivare ad utilizzare pienamente un modello, potremmo dire di avere solo un’effimera illusione di conoscenze, e non conoscenze vere.


[1] Castagna; M (2003). “Role playing, autocasi ed esercitazioni psicosociali” Franco Angeli, Milano, p.16.

[2] Castagna, M (2003). “Progettare la formazione. Guida metodologica per la progettazione del lavoro in aula” Franco Angeli, Milano, p. 46.

[3] Knowles, M (2002). “Quando l’adulto impara: pedagogia e andragogia” Franco Angeli, Milano.

[4] Bloom Benjamin S. and David R. Krathwohl. Taxonomy of Educational Objectives (1956). The Classification of Educational Goals, by a committee of college and university examinersHandbook I: Cognitive Domain. New York, Longmans, Green.
Bloom S. Benjamin (1984). Taxonomy of educational objectives. Allyn and Bacon, Boston, MA. Pearson Education. 

[5] Bloom, Robert S., Stating Educational Objectives in Behavioral Terms, Nursing Forum 14(1), 1975, 31-42. 

[6] Huitt, W. (2004). Bloom et al.’s taxonomy of the cognitive domain. Educational Psychology Interactive. Valdosta, GA: Valdosta State University. Retrieved [16-aug-06], from http://chiron.valdosta.edu/whuitt/col/cogsys/bloom.html

Per approfondire il Modello Deep Coaching™, il metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in e la formazione attivaqui trovi il link relativo al Libro del Dott. Daniele Trevisani edito da FrancoAngeli

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Articolo estratto dal testo “Deep Coaching™, il metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

L’insufficienza del Saper Fare:

Sulla stessa linea, per incrementare il Saper Fare non è sufficiente agire sulla pratica. Se desidero apprendere le competenze necessarie per realizzare un bilancio aziendale, devo studiare e conoscere i vocaboli che utilizzo e i concetti sottostanti. Chiunque con un minimo addestramento può svolgere un’operazione focalizzata come il “prendere il numero della casella A4 e dividerlo per il valore della cella B5” ed ottenere così un risultato. 

La vera differenza sta tra gli esecutori di azioni e i gestori/protagonisti di azioni. Chi “Sa” e non solo Sa Fare può costruirsi un dato mancante partendo dai suoi costituenti primari, può andarsi a cercare i dati mancanti, può agire senza bisogno di supervisione assidua e istruzioni continue. Senza il passaggio sui Saperi, il Saper Fare è pura esecuzione di istruzioni.

Ricorda sempre: ciò che non sai o non sai fare è temporaneo, non hai ancora le conoscenze o le abilità per farlo ma con un buon coaching ci potrai arrivare sicuramente.

Il tuo passato dice molto di te ma il tuo impegno dice ancora di più rispetto a dove potrai arrivare.

Non conta da dove vieni, ma dove stai andando.

Ella Fitzgerald

L’insufficienza del Saper Essere:

Notiamo che per ottenere un cambiamento positivo sul Saper Essere non è sufficiente un lavoro meditativo o di riflessione, e non basta la volontà di cambiare. Molte persone passano la vita con la volontà di cambiare ma non riescono a farlo.

“Saper Essere” il direttore marketing di una azienda richiede molto di più dei soli concetti di marketing che chiunque possiede dopo aver superato un esame universitario, e molto di più dei singoli Saper Fare (es: saper fare un’intervista ad un cliente, saper fare un piano pubblicitario, e altre skills). 

Il Saper Essere di un Direttore Marketing è anche Saper Essere un leader (condottiero, punto di riferimento) della sua squadra, saper essere un buon team-player con gli altri direttori, saper essere utile alla missione aziendale e al clima dell’azienda. 

Ma il nostro messaggio va oltre: non è possibile incrementare il Saper Essere senza disporre di Saperi correlati e Saper Fare correlati. 

Facciamo un esempio nella terapia: Saper Essere più positivo, meno negativo, più ottimista, e meno pessimista. L’intervento del terapeuta può avere successo molto limitato se il cliente non riesce poi a saper tradurre questo diverso modo di essere in un momento pratico quale tagliare con felicità un ramo di un albero mentre si fa giardinaggio (anziché vivere il momento con nervosismo e irritazione), o non prova il piacere di sentire il proprio corpo lavorare mentre si allena. 

E del resto, come è possibile cambiare il Saper Essere se il quadro delle credenze, dei saperi, risulta immutato? Il Saper Essere è frutto di una cultura personale, e non toccando questa cultura il cambiamento può essere solo effimero. Il Deep Coaching punta quindi ad una immissione di Saperi, di Saper Fare e di Saper Essere, in modo sinergico e correlato, per arrivare ad un vero cambiamento positivo della persona.

Il segreto per andare avanti è iniziare.

Mark Twain
I punti di arresto del percorso

I punti di arresto del percorso:

Un cliente può lavorare per anni sul Saper Essere (diventando più centrato, più calmo e riflessivo, meno impulsivo, meno obbligato a fingere e più sé stesso) ottenendo grandi risultati dallo skills training psicolinguistico e bioenergetico, ma prima o poi si incontra un punto di arresto del percorso.

Arrestarsi di fronte alla “soglia dei Saperi” significa non accendere il fuoco sacro della curiosità intellettuale: perché ottengo questo risultato? Mi interessa solo il risultato o anche capire perché succede ciò che mi succede? 

Il passaggio dalla “soglia dei risultati” (vedere il cambiamento che funziona) alla “soglia dei Saperi” (capire i perché dei meccanismi) è ciò che fa la differenza tra il cambiamento di superficie e il cambiamento consapevole.

Altro esempio in campo aziendale, Saper Essere un leader. Alcuni confondono tremendamente la leadership con l’aggressività, dimenticando che un leader puramente aggressivo finirà per tenere con sé solo gli yes men o i “manager di convenienza”, quelli che abitano vicino all’azienda e non hanno voglia di traslocare, o quelli che hanno una bella visuale dall’ufficio e per questa riescono a digerire anche i climi organizzativi peggiori, e altri casi di questo tipo.

Allontanare i migliori non è un risultato. Ecco, quindi, che Saper Essere un leader richiede anche una cultura della leadership (uno studio delle teorie, modelli e esperienze altrui, una visuale ampia) e uno studio dei Saper Fare inerenti la leadership, come il Saper Fare un piano motivazionale, saper ricompensare psicologicamente (rewards psicologici), realizzare un Total Compensation Plan (piano di remunerazione e incentivazione), e altri saperi pratici. Nessun Saper Essere può dirsi completo se privo di capacità pratiche (a valle) e conoscenza/cultura (a monte).

Un Saper Essere privo di cultura (Saperi) e di traduzione in capacità pratiche (Saper Fare) è pura teoria, è un contenitore vuoto.

Saper essere costanti e perseveranti nel proprio viaggio di crescita personale è un obiettivo di portata superiore a qualsiasi skill operativa.

Cadendo, la goccia scava la pietra, non per la sua forza, ma per la sua costanza.

Lucrezio

Rimuovere i catalizzatori negativi dal processo di cambiamento: i vettori di sviluppo formativo:

Ogni stato specifico (Saperi, Saper Fare, Saper Essere) diviene vettore di crescita.

Rimuovere i catalizzatori negativi dal processo di cambiamento: i vettori di sviluppo formativo

Un progetto può concentrarsi:

  • sul bisogno di Sapere di più (o conoscere cose nuove), 
  • sul bisogno di Saper Fare di più o di cambiare il modo di fare, 
  • sul bisogno di Saper Essere diversi e migliori in alcune situazioni particolari della vita professionale, soprattutto quelle più sfidanti.

Tuttavia, occorre sempre ricordare che:

  • i nuovi saperi possono entrare in conflitto con i precedenti. Quando si pensava che la terra fosse piatta, immaginiamo la reazione verso un formatore intento a sostenere che la terra fosse sferica. Poiché io la vedo piatta, la penso piatta, e tutti dicono che è piatta, come posso crederti? Chi sei tu per dire che è una sfera? Sei pazzo?
  • i cambiamenti proposti sul modo di agire possono essere rifiutati per regressione verso l’abitudine, paura del cambiamento (costo del cambiamento), o per rifiuto della fonte della proposta (effetto boomerang);
  • i cambiamenti desiderati sulle componenti più profonde (atteggiamenti, valori, spiritualità, credenze, opinioni) possono non avvenire a causa delle inerzie comportamentali e attitudinali che agiscono sul soggetto stesso, o del rifiuto di cambiamento.

I catalizzatori negativi del cambiamento uccidono il cambiamento e la crescita. 

Nel metodo HPM abbiamo identificato diversi catalizzatori negativi, tra cui esponiamo solo i più critici e frequenti.

  • catalizzatori negativi di sufficienza: pensare di sapere già abbastanza, non avere “sete” o “fame”;
  • catalizzatori negativi di ipo-stimolazione: chiudersi progressivamente agli stimoli esterni;
  • catalizzatori negativi di dogmatismo di appartenenza: aderire a sistemi che eliminano il bisogno di pensare, poiché qualcuno ha già pensato per te, e non si ha voglia di tollerare una possibilità di autocritica o di critica alla scuola di appartenenza: “la mia scuola formativa mi ha insegnato che…  e quindi questo non può essere vero”, oppure “io sono una terapeuta sistemico-relazionale e quindi… non posso essere d’accordo su…”;
  • catalizzatori negativi di esperienza: pensare di sapere perché “faccio questo mestiere già da x anni”;
  • catalizzatori negativi di risultato: pensare di essere “a posto” perché in un certo momento o per un certo periodo si stanno ottenendo dei risultati positivi, dimenticando che possono esservi influenze ambientali che generano tale positività, e i trend mutano nel tempo;
  • catalizzatori negativi di autoefficacia: pensare che “è troppo difficile” e non valga nemmeno la pena tentare;
  • catalizzatori negativi di locus-of-control: pensare che “è un fattore che dipende dal destino, o dagli altri, io non posso farci niente” e allargare questo pensiero anche alla sfera degli interventi possibili;
  • catalizzatori negativi di self-image: pensare che “io non sono adatto per questo ruolo, è qualcosa per persone più brave di me”.

Ricordatevi di guardare le stelle, e non i vostri piedi. Per quanto difficile possa essere la vita, c’è sempre qualcosa che è possibile fare, e in cui si può riuscire.

Stephen Hawking

Per approfondire il Modello Deep Coaching™, il metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in e la formazione attivaqui trovi il link relativo al Libro del Dott. Daniele Trevisani edito da FrancoAngeli

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Articolo estratto dal testo “Deep Coaching™, il metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

I Catalizzatori Formativi:

Nel metodo HPM, il formatore/consulente o coach non deve mai dare per scontato che per ottenere cambiamento su una leva sia sufficiente toccare quella singola leva. In sostanza:

  • per agire sui Saperi non è sufficiente lavorare sui Saperi;
  • per agire sul Saper Fare non è sufficiente lavorare sul Saper Fare;
  • per agire sul Saper Essere non è sufficiente lavorare sul Saper Essere.

Lo spirito di riuscita è parte del Metodo HPM così come lo spirito di rinuncia non ne fa parte ed anzi è qualcosa da cui stare alla larga.


Non rinunciare a provare a fare ciò
che vuoi veramente fare. 
Dove c’è amore e ispirazione,
non credo che si possa sbagliare.

Ella Fitzgerald

Per tentare nuove strade della vita e progetti in cui riversare amore e ispirazione dobbiamo mettere in sinergia diversi campi di forze e diverse “sostanze”.

Nel campo della chimica è noto il fenomeno per cui due sostanze, semplicemente mescolate tra di loro, possono non legarsi affatto e rimanere divise. Se prendi delle palline di ferro e le metti in un bicchiere il ferro non si scioglierà nell’acqua, ma rimarrà sotto forma di palline. Se versi una pastiglia di aspirina nel bicchiere invece questa si scioglierà e avrai ottenuto un liquido diverso dalla semplice acqua.

Perché le strutture delle diverse molecole si leghino tra di loro profondamente è necessaria la presenza di un catalizzatore. La Catalisi è quindi il fenomeno per cui alcune reazioni chimiche vengono accelerate (catalisi positiva) o ritardate (catalisi negativa) dalla presenza di alcune sostanze, i catalizzatori.

Lo stesso accade nella formazione e nel cambiamento. Se prendiamo la “sostanza umana”, l’essere umano, e vi aggiungiamo nuovi concetti per “mere exposure” (semplice esposizione), il soggetto non li farà mai veramente propri. 

La nostra esperienza ci porta alla consapevolezza della necessità di utilizzare i catalizzatori positivi (es. l’azione concreta in cui sia necessario utilizzare veramente i nuovi concetti), così come di rimuovere i catalizzatori negativi dal processo formativo.

I Catalizzatori Formativi, l'insufficienza dei saperi e i momenti della verità

L’insufficienza dei saperi:

Per incrementare i Saperi non è sufficiente un ascolto one-way o una pura esposizione (mere exposure), per prolungata che sia, ma è necessario utilizzare catalizzatori formativi – ad esempio l’azione su progetti e il problem solving che richiedano di mettere sul campo i nuovi saperi. 

Ad esempio, un preparatore sportivo sta studiando i principi dell’integrazione alimentare, frequenta seminari sugli integratori, legge libri e riviste da anni, ma tutto “scorre” nozionisticamente senza entrare veramente nel patrimonio di abilità personali.

Solo nel momento in cui egli debba preparare un piano di integrazione per uno sportivo potrà veramente mettere “a sistema” i suoi saperi, e scoprire le sue lacune. Nel momento in cui la realtà ci pone di fronte ad un problema che ci obbliga a “sapere”, il sapere diventa urgente e indispensabile. 

Lo stesso discorso vale per il lavoro sulle competenze e saperi manageriali. Possiamo leggere cento libri sulla comunicazione che ci parlano degli “stili comunicativi”, e scoprire che ne esistono tanti, esempio:

  • Poetico
  • Empatico
  • Assertivo
  • Ottimista
  • Pessimista
  • Ingegneristico
  • Anglofono

…e ogni altro stile praticabile. Finché lo leggiamo, sarà solo un vago concetto. Quando invece con tecniche di “active training” qualcuno ce li farà interpretare, ce li farà provare ed allenare, per quanto sia lo sforzo di cambiare stile comunicativo, allora e solo allora il concetto si farà strada in noi e inizierà a passare da un vago “sapere” ad un più concreto “saper fare” e “saper essere”.

Per cambiare davvero e assimilare il nuovo bisogna provare, bisogna sperimentare, bisogna agire, bisogna mettere in conto di fallire, di essere goffi, di apprendere per prova ed errore, fino a raggiungere l’eccellenza.

Sbagliare, in questo metodo, non è veramente sbagliare, ma un passo in più verso il successo.

L’arte di vincere la si impara nella sconfitta.

Simon Bolivar

Test di realtà, reality check, momenti della verità:

Credere di potere è essere già a metà strada.

Theodore Roosevelt

I test di realtà (reality check) sono una tecnica di coaching e formativa sviluppata nel metodo HPM, con la quale si cerca di osservare i comportamenti sul campo di una persona o di un’azienda, in condizioni reali, per acuire la consapevolezza dello stato di cose reale.

Questo vale anche per testare i propri personali comportamenti in prove di verifica dei livelli di competenza ed abilità raggiunti, e fare il punto di un percorso di Deep Coaching.

Un reality check può essere svolto anche per via telefonica per testare la qualità del servizio di un’azienda o di un operatore, o tramite canali digitali o ancora tramite canali interpersonali.

Cosa andiamo ad osservare in un reality check? Questo è un esempio di livelli di analisi per valutare la qualità di un servizio di customer service telefonico:

Reality check applicato alla qualità del servizio telefonico di un contact center con specifica attenzione alle capacità di ascolto.

  1. Cosa voglio (per che motivo sto attivando un contatto)?
  2. Chi contatto?
  3. Attraverso quale canale?
  4. Cosa capiscono di quello che mi serve veramente?
  5. Come ascoltano o come sanno ascoltarmi?
  6. Quanto capiscono?
  7. Come si comportano?
  8. Che principi guida latenti usano?
  9. Da cosa si evince?
  10. Come si sarebbero dovuti comportare?
  11. Che dissonanze emergono?

Un approccio simile è esistente da tempo nel marketing, ad esempio sotto forma di ghost customer technique, dove vengono svolti acquisti reali presso aziende concorrenti, per misurarne la performance, la capacità di servizio e la qualità relazionale. L’applicazione con finalità formative e di coaching si deve (per quanto di nostra conoscenza) a nostre sperimentazioni.

Ad esempio, in un modulo formativo o di coaching dedicato al tema dell’ascolto ed empatia, si può procedere con dei reality check telefonando a concessionarie d’auto per verificare con quanta attenzione i venditori ascoltino i nostri bisogni, o se li ascoltino affatto. Si può verificare se ci offrono una prova di guida, se ci tengono ad avere i nostri dati per richiamarci in caso di bisogno, e tanto altro. 

Dopo una serie di telefonate dove si sarà constatato con mano che le persone non sanno ascoltare o non sono formate ad ascoltare, l’urgenza di un lavoro sull’ascolto aumenta molto. E soprattutto, nasce da una sperimentazione concreta avuta dagli allievi, e non solo da un concetto teoricamente esposto come possibile dal coach o formatore.

L’applicazione che ne realizziamo a fini formativi ha dato eccellenti riscontri in termini di apertura al cambiamento del partecipante all’evento formativo. 

reality check possono essere sia rivolti a sé stessi (es: cercare di risolvere un problema), sia sulla propria organizzazione (vedere come essa risponde, come le singole persone rispondono) o su altri (realizzando un apprendimento che deriva dall’osservazione mirata di comportamenti altrui).

Grazie agli auto-test di realtà (vedere se si è in grado di risolvere un problema reale), posso scoprire qualcosa di me, posso “sapere di non sapere”. Ad esempio, se voglio diventare un preparatore atletico, grazie al test di realtà prendo consapevolezza di avere molta conoscenza teorica sui singoli integratori nutrizionali, ma di non avere ben chiaro come funzioni la relazione tra diversi integratori, la sinergia tra sostanze, cioè se rischio di mandare il mio cliente all’ospedale con un’intossicazione associando diverse sostanze tra di loro.

Posso anche scoprire di sapere molto su quali integratori siano utili per uno sport di potenza, ma la realtà può mettermi di fronte un atleta di karate che abbisogna di velocità esplosiva e non di molta massa muscolare, e questo può mettere in crisi la mia presunzione iniziale di conoscenza.

Ecco, quindi, che solo dopo avere affrontato molti casi in cui devo mettere alla prova e rivedere le mie conoscenze potrò dire di possedere veramente le nozioni (i Saperi) sugli integratori. Senza il passaggio sul “saper fare” questo non sarebbe stato possibile. E l’esempio degli integratori per un preparatore atletico è solo un esempio, lo stesso principio si potrebbe applicare ad un problema manageriale, o di leadership, o di comunicazione, e a qualsiasi altro obiettivo.

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Studio Trevisani – Formazione Aziendale blog con aggiornamenti giornalieri
Website Dr. Daniele Trevisani (English)
Comunicazione Aziendale
Intercultural Negotiation (English)

Altre risorse online:

Pubblicazioni e libri dott. Daniele Trevisani (Books published)
Rivista online gratuita di Comunicazione, Potenziale Umano e Management
Canale YouTube
Coaching World Federation (CWF)
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