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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Il Valore Totale Percepito

Uno dei passaggi più critici nella preparazione negoziale è comprendere come si forma il possibile valore totale percepito (VTP), sommatoria di vari segmenti di valore (SV).

Il valore percepito, nel metodo ALM, viene considerato come una sommatoria di credenze positive, che si addizionano nella mente dell’acquirente mentre valuta le proposte o condizioni. 

Le caratteristiche distintive dell’offerta sono una combinazione di segmenti di valore che formano il valore complessivo. Ad esempio, un’impresa chimica che negozia una gomma speciale fonoassorbente con un produttore di auto, può creare valore percepito adducendo:

  • il valore dell’unicità: essere i primi a disporre di tale tecnologia;
  • il valore della rapidità: essere tra i pochi a poter consegnare il prodotto in tempo per il lancio dei nuovi modelli di auto sui quali si potrebbe applicare;
  • il valore della ricerca e sviluppo: poter realizzare varianti su richiesta della ditta costruttrice, a seconda delle aree di utilizzo (assorbimento del rumore degli interni, del motore, etc.);
  • il valore dell’affidabilità: dare garanzie di poter consegnare i volumi previsti poiché si è produttori diretti e non semplici distributori del prodotto;
  • … altri valori identificabili da una analisi accurata.

La sommatoria di tali valori potenziali o segmenti di valore (SV) crea il valore percepibile totale. Il valore “percepibile” non verrà però colto nella realtà, se non si crea una comunicazione adeguata. 

Soprattutto, ciascuna caratteristica dell’offerta diventa valore solo ed unicamente se la diagnosi è adeguata. In caso contrario, l’informazione che non tocca la mappa mentale del cliente passa da valore a rumore (noise).

Principio 6 – Valore Totale Percepito (VPT) come sommatoria di Segmenti di Valore (SV)

Il successo della negoziazione dipende:

  • dal valore totale percepito nella controparte rispetto alla nostra identità e alle nostre possibilità di intervento;
  • dalla capacità di costruire, far emergere ed essere consapevoli dei Segmenti di Valore (SV) che compongono la propria offerta;
  • dalla capacità di trasferire i SV all’interlocutore durante la comunicazione;
  • dalla capacità di creare fitting (adattamento, centratura) tra i segmenti di valore offerti e i bisogni della controparte che emergono dalla diagnosi.

Il negoziatore dovrà quindi essere estremamente attento a testare il grado di fitting tra i Segmenti di Valore proposti (ciò che propone) e ciò che nella mente del cliente è realmente importante, centrando le Key Variables (variabili valutative critiche).

Ogni acquirente utilizza variabili critiche (Key Variables) che influenzano il processo decisionale:

il prodotto osservato viene comparato con un’immagine mentale del prodotto ideale, e con altri possibili prodotti. L’azienda consapevole dei processi mentali del cliente sa investire nelle variabili più “pesanti”, quelle che producono effetti e non dà priorità a variabili che il consumatore non utilizza o utilizza poco nelle proprie scelte.

Lo sviluppo di una linea d’azione di successo

Alcuni dei macro-errori della negoziazione:

  • mancata conoscenza dei valori condivisi e analisi delle divergenze valoriali: impostare un rapporto senza una adeguata e reciproca conoscenza delle rispettive missioni e valori condivisi;
  • tenere attivi dei fraintendimenti e non affrontarli subito: non è possibile fare affari solamente con soggetti o aziende delle quali si condividono tutti i valori e la missione. Capita spesso, anzi, di trattare con persone o imprese che non dispongono di una precisa visione. Tuttavia ciò va considerato in quanto fonte di possibili fraintendimenti rispetto agli obiettivi finali del progetto e alle modalità di svolgimento, i quali – senza un esame rapido, possono dare luogo ad aspettative contrastanti e divergenti;
  • dare per scontati i modelli mentali del cliente: pensare che “sicuramente il suo ragionamento è…”, senza testarlo nella realtà;
  • mancata pianificazione di percorsi alternativi: lanciarsi in una Action Line senza avere esplorato le alternative;
  • mancata definizione dei possibili ostacoli di percorso e trappole (Traps);
  • mancata preparazione e test della negoziazione (training sulle Action Lines attuato tramite giochi di ruolo, Role Playing);

Per realizzare una Action Line di successo è necessario:

  • essere consapevoli della propria missione, del proprio valore, della propria distintività;
  • essere consapevoli e comunicare tutti i singoli segmenti di valore che formano il Valore Totale Percepito;
  • definire il punto di partenza e l’obiettivo da raggiungere o punto di arrivo (goal setting negoziale), ciò che vorremmo, i nostri punti di arrivo, chiarire ciò che ci renderebbe orgogliosi come risultato raggiunto;
  • definire diversi percorsi alternativi per raggiungere l’obiettivo o goal (con un minimo suggerito di tre alternative);
  • valutare i pro e contro delle alternative;
  • sperimentare il percorso scelto alla ricerca di Traps e possibili Breakdown;
  • scegliere la linea che massimizza il risultato ricercato (valutando sia il costo economico che organizzativo).

La linea di azione comunicativa

La linea di azione comunicativa si compone di una serie di “mosse relazionali” che ci avvicinano alla meta, verso l’effetto ricercato. 

Ogni comportamento è un messaggio. È messaggio un ritardo nel rispondere o la prontezza nel rispondere, è messaggio una comunicazione aperta o una comunicazione criptica, così come il tono adirato o conciliante, o la cura dell’impaginazione di una lettera o di una email, o la sua trascuratezza.

Le persone e i clienti traggono informazione da tutto.

Per questo, la linea di azione comunicativa deve presidiare ogni fronte dal quale il cliente ricava messaggi e formula la sua immagine e le sue decisioni.

La linea di azione richiede inoltre studio ed analisi. Include soprattutto la ricerca di informazioni sugli interlocutori, sui reali potenziali di business, sui bisogni manifesti e latenti, e sulle leve di valore che maggiormente possono essere efficaci. 

Ogni negoziazione comprende una componente di seduzione e persuasione.

Come osserva un classico della seduzione:

La cortigiana dovrebbe dapprima inviare i massaggiatori, i cantanti e i giocolieri che eventualmente siano al suo servizio o, mancando questi, i Pithamardas ovvero confidenti e altri, a indagare sui sentimenti dell’uomo e sul suo stato d’animo. Per mezzo di tali persone, la cortigiana si accerterà se l’uomo è puro o impuro, se è amabile o meno, capace di attaccamento o indifferente, generoso o gretto;[1]

Ogni negoziazione, al di la della metafora provocatoria, contiene elementi di somiglianza e similarità con un corteggiamento, o con un matrimonio o fidanzamento. Con chi ci stiamo fidanzando? Chi sono le persone con cui stiamo trattando? Che carattere hanno? Che storia hanno? Cosa vogliono realmente? Di cosa hanno bisogno adesso?

Quando sia appurata la qualità potenziale dell’interlocutore, la gestione della comunicazione deve dare dimostrazioni di interesse così come la seduzione crea un rapporto tra due controparti.

Regole stereotipate e linee di azione ragionate

La tentazione di ricorrere a regole preconfezionate, nella negoziazione, è grande.

Sarebbe molto bello poter dire “quando parli con un Cinese, fai…, quando invece sei in America Latina fai x non fare y, e vedrai che il successo è garantito…”

Le regole comportamentali rigide rifiutano di prendere in considerazione la realtà dell’imprinting (matrice) culturale, la varietà di personalità, il lato emotivo dei soggetti e la loro identità multipla: un cinese può avere lavorato per multinazionali americane ed avere maggiore cultura di business anglosassone di un americano del midwest, può essere adirato o felice, può avere avuto esperienze positive o negative in passato con persone della nostra nazione, e questo non lo possiamo né sapere a priori né stereotipare.

Nessuna regola vale per sempre e con tutti.

Le regole stereotipate possono andare bene solo in una società non globalizzata. Oggi i mix culturali producono una multi-stratificazione di culture in ogni individuo che ha contatti con altre culture, per cui non è più possibile dare regole comportamentali certe. Quello che serve è un approccio flessibile, che tenga conto della realtà incontrata e non degli stereotipi, poiché nella negoziazione non esistono regole culturali assolute.

Le realtà che si possono incontrare sono le più diverse, e, come accennato, il grado di varianza intra-culturale non è minore di quello inter-culturale. 

Le poche regole certe devono essere quelle di:

(1) disporre di una “minima condotta efficace trans-culturale, o minimo comune denominatore del comportamento negoziale cross-culturale”, un approccio di qualità conversazionale che possiamo pensare di poter applicare ovunque, es: non interrompere inopportunamente, non offendere la “faccia” e immagine altrui, non esporsi con affermazioni pericolose in campo valoriale e religioso, cercare di capire gli interessi della controparte, e 

(2) conoscere le poche basi culturali generali dell’area geografica o merceologica ove si opera: il background culturale probabilistico che si potrà incontrare, le regole probabili (e sottolineiamo probabili, non certe) che vigono in una certa cultura geografica, etnica o professionale – anche queste da prendere con le pinze.

Occorre cambiare paradigma, passare dalle regolette certe alla flessibilità del comunicatore, occorre un cambiamento di atteggiamento.

Soppesando i pro ed i contro di diverse opzioni di contenuto, è necessario giungere alla definizione di quale messaggio dia la maggiore probabilità di successo.

Probabilità e non certezza. 

Dobbiamo quindi studiare la linea di azione con i minori ritorni negativi latenti, prevedere e anticipare i rischi di effetto boomerang.

Se siamo invitati da un commerciante arabo nella sua casa, spetta a noi capire, inquadrare (attività di framing) se sembra essere una famiglia tradizionalista, ortodossa, integralista, o informale o ancora dove e quanto ha studiato questo commerciante, che potrebbe non avere istruzione formale o avere invece due lauree prese a New York o Sidney. Solo applicando un atteggiamento di apertura ed ascolto possiamo interagire efficacemente.

La produzione di una linea di azione comunicativa non può ricorrere a stereotipi (es: “se sei attaccato, contrattacca”) e non avviene per pura intuizione creativa: essa è frutto di studio, di confronto, consultazione, scambio di pareri tra colleghi e tra colleghi e consulenti. 

Richiede ricerca, esplorazione di opzioni, valutazioni di fattibilità e anticipazione degli effetti. Richiede, in altre parole, l’umiltà del negoziatore professionale, che è sempre proteso a testare le proprie strategie e mosse, pronto con umiltà a confrontarsi con colleghi e consulenti sulla loro possibile efficacia, prima di lanciarsi nell’azione ciecamente seguendo stereotipi. 

Questa umiltà rappresenta il vero fattore distintivo del negoziatore professionale rispetto al “negoziatore rampante” :

  • distingue il prototipo del negoziatore arrogante che pensa di avere sempre ragione e usa stereotipi, da chi si siede ad un tavolo per analizzare e costruire qualcosa;
  • distingue chi si fa forte di leve contrattuali (potere, denaro, legislazioni, politica) da chi ricerca realmente un approccio win-win, di vantaggi reciproci;
  • distingue chi ritiene che il successo sia sempre dovuto e venga in tasca automaticamente, da chi pensa di dover costruire attivamente il proprio successo;
  • distingue chi si scava lentamente la sua fossa, da chi crea qualcosa per gli altri e non solo per se stesso.

Per costruire Action Lines di successo, è quindi necessario il confronto, concretizzato tramite diverse sessioni di brainstorming e di role-playing nelle quali esporre e testare le possibili linee di azione comunicative, per poi scegliere la linea a maggiore probabilità di riuscita.

Struttura delle linee di azione

Ciascuna linea di azione è suddivisibile in Steps, fasi temporali durante le quali si articola il processo di comunicazione. L’insieme dei passi attuati costituisce il percorso della linea di azione (Path). Ogni step prevede diverse comunicazioni, che vanno sottoposte ad esame e prova tramite role-playing (simulazione) o expert review (valutazione da parte di esperti).

Una Action Line Analysis (ALA) si può definire come l’analisi comparativa di una serie di tattiche alternative per il raggiungimento di un obiettivo. 

I fattori strutturali caratterizzanti una ALA sono (a) il numero di linee di azione comparate, e (b) il numero di steps per ciascuna linea.

Per ogni linea devono essere determinate le possibilità di successo, gli errori e trappole (traps), la fattibilità pratica, le ripercussioni sull’immagine di chi la metterà in pratica.

L’importanza della message strategy è la scelta accurata di una linea comunicativa che associ il messaggio a concetti mentali desiderati. Nel costruire una strategia del messaggio, dovremo anche fare attenzione ad associazioni che possano inquinare il marchio e il comunicatore con immagini mentali negative. 

Ogni parola emessa elicita (fa scaturire) costrutti mentali che sono contigui ad essa.

Le scienze cognitive hanno evidenziato che i messaggi non sono recepiti in modo isolato, ma si inseriscono sempre in una mappa mentale del soggetto, una mappa che associa il messaggio a concetti e immagini mentali. 

Per esprimere tale concetto, Shaw e Gaines fanno riferimento al concetto di “Geometria dello Spazio Psicologico”[2] espresso da Kelly (Psicologia dei costrutti personali): ogni messaggio si inserisce in spazi mentali e si associa alle aree contigue.

La message strategy richiede consapevolezza che ogni messaggio aziendale, ogni comportamento comunicativo della linea d’azione, produce immagini evocate, le quali creano un’anticipazione di eventi futuri nei nostri interlocutori (“come sarà lavorare con questa azienda?”) e attribuzioni di significati agli eventi stessi (“perché avranno detto questo?” “se si comportano così ora, cosa faranno dopo?”).

Trappole e problemi della negoziazione

Una delle caratteristiche della negoziazione interculturale è quella di non sapere bene con chi si sta trattando, a meno che non si tratti di noti marchi multinazionali. E anche nel caso di marchi noti, i ruoli possono essere talmente vari da richiedere un approfondimento.

Anche in questo caso, quindi, una dose di attività di analisi rimane fondamentale. Nella negoziazione si aprono numerosi rischi – solo per citarne alcuni – divulgando notizie ad interlocutori non noti, ma anche realizzare gratuitamente lavoro e attività che in altre situazioni andrebbero pagate.

Due riflessioni fondamentali sulla comunicazione.

La prima riguarda come i messaggi che lanciamo o che gli altri lanciano rafforzano o distruggono la sensazione di fiducia. I messaggi e le corrispondenze che noi inviamo o gli altri inviano contengono sempre elementi che possono creare credibilità (segnali di credibilità o credibility cues) così come possibili segnali che mettono in allerta e denotano caduta di credibilità (segnali che producono sfiducia o distrust cues).

La seconda riguarda l’appropriatezza del canale comunicativo. Uno dei suggerimenti più importanti del metodo action line, sul fronte negoziale, è quello di considerare attentamente l’economia della comunicazione, l’appropriatezza dei canali comunicativi rispetto al risultato che vogliamo raggiungere. Si può informare qualcuno con un SMS ma non certo negoziare tramite SMS.

Ogni canale informativo ha un costo comunicativo (alto o basso, in funzione del tempo o risorse necessarie) e una portata informativa (alta o bassa).

La comunicazione interpersonale, faccia a faccia, ha un alto costo relazionale, di tempo, e richiede impegno logistico elevato (bisogna spostarsi, trovarsi fisicamente nello stesso luogo alla stessa ora), ma possiede una enorme portata informativa: possiamo comunicare con tutto il corpo, con il body language, con i canali visivi, non verbali, emotivi, e ogni altro canale umano. Una email, al contrario, è un esempio di canale comunicativo di basso costo (temporale ed economico), ma di ridotta portata informativa reale. È difficile scambiare realmente emozioni o decodificare la controparte, partendo solo da un testo scritto.

Il metodo ALM invita quindi a porsi diverse domande sulla appropriatezza del canale rispetto al task (compito) da svolgere. Le domande chiave:

  • il canale che intendo utilizzare è adeguato al tipo di messaggio?
  • devo inviare solo flussi di informazione o devo anche chiederne?
  • i tipi di dati da trasferire sono solo tecnici (es: informazioni di prodotto, servizi, prezzi) o anche relazionali (comunicare per conoscersi, verifica di affidabilità, incremento della conoscenza reciproca, affiatamento relazionale)?
  • serve un dialogo interattivo o è sufficiente un ping-pong comunicativo?
  • che tempi ho a disposizione?
  • cosa rischio se sbaglio canale informativo?
  • che cosa mi permette di fare il canale che ho scelto?
  • che cosa non mi permette di fare? Quali sono i suoi limiti?

[1] Kamasutra, p. 152, 153. Edizione Mondadori, 1977, Milano.

[2] Shaw, M.L.G, e Gaines, B.R. (1992).”Kelly’s “Geometry of Psychological Space” and its Significance for Cognitive Modeling”. The New Psychologist, Oct. 1992, pp. 23-31.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Target audience

Quando vuoi comunicare la tua azienda o il tuo prodotto, prima di tutto devi chiederti “a chi”. E “cosa vuoi generare in loro”.

L’approccio pragmatico richiede alla campagna di comunicazione una sola cosa: risultati concreti, misurabili, tangibili.

Lo schema Who do you Want to do What (chi vuoi che faccia cosa) esprime chiaramente l’orientamento pratico della campagna.

La comunicazione deve cambiare comportamenti o deve introdurre comportamenti, deve cambiare o introdurre atteggiamenti, deve far accadere situazioni o creare condizioni favorevoli affinché accadano.

E ancora una volta, ricordiamo che il semplice “informare” non equivale a persuadere. Siamo persuasivi solo quando cambiamo uno stato di cose pre-esistente.

Ragionare e convincere, com’è difficile, complicato e laborioso! Suggestionare? com’è facile, veloce ed economico!

(Santiago Ramón y Cajal)

Anche le campagne di comunicazione puramente istituzionali e legate all’immagine devono connettersi a specifici comportamenti da introdurre o modificare. L’imperativo è quindi “comunicare per cambiare”, “comunicare per far accadere”, e non comunicare per se stessi. 

In una tribù, i corteggiamenti hanno successo quando arriva l’accoppiamento, e chi possiede già l’attenzione del “cliente” è ostile e ultra-aggressivo verso chi prova ad avvicinarsi. Difende il territorio. Perciò i messaggi devono riuscire a passare questi innumerevoli “firewall tribali” se vogliono avere successo. 

Questo accade anche nelle aziende, dove i decisori, i VP e CEO sono circondati da appositi branchi di scimmie pagate per tenere lontani nuovi intrusi, di cui hanno paura, soprattutto paura che prendano il loro posto. 

Quindi, la conquista dell’attenzione dei decisori diventa un fattore persino più importante del messaggio.

message in the bottle

Il messaggio arriva dopo.

Dire che sei bravo, che sei “leader” (di cosa… se lo dicono tutti), che hai “qualità” equivale a dire niente. Prova a dire che problemi risolvi, che sogni aiuti a concretizzare, che benefici psicologici e materiali hanno le tue soluzioni. Crea una “storia” che parli al cuore di chi la riceve, non limitarti a seminare slogan.

La definizione delle target audience richiede la delimitazione dei confini comunicazionali.

Identificazione corretta del pubblico obiettivo, del target di marketing e target di comunicazione

Nella campagna di comunicazione risulta indispensabile distinguere tra target di marketing e target di comunicazione

Il Target di Marketing (TM) é costituito dal gruppo di persone, pubblici obiettivo, consumatori o rappresentanti di organizzazioni, dai quali si intende ottenere un effettivo comportamento d’acquisto (esempio, la firma di un contratto, il recarsi presso un punto di vendita e effettuare un acquisto).

Il Target di Comunicazione (TC) é invece dato dalle persone, gruppi o aziende sulle quali viene esercitata una forma di comunicazione, necessaria affinché si produca il risultato di marketing (vendita).

Analizziamo caso per caso le diverse situazioni :

  • TM=TC : target di marketing e target di comunicazione coincidono quando le azioni comunicative sono esercitate esclusivamente ed esattamente sui potenziali clienti.
  • TM è maggiore del TC : la strategia di comunicazione prevede azioni comunicative rivolte ad un numero di soggetti minore rispetto agli acquirenti previsti.

Il principio su cui si basa questa modalità è l’effetto di diffusione, il passaparola, secondo modelli di Two-Step Flow o Multi-Step Flow, spesso basati sul ruolo degli Opinion Leaders. 

In questa situazione comunicativa, il messaggio si rivolge a pochi soggetti per ottenere un effetto su molti.

  • TM minore del TC : quando il TC (Target di Comunicazione) è più ampio del TM (Target di Marketing), siamo di fronte al caso in cui cerchiamo di creare consenso, lavoriamo sul clima esterno al cliente potenziale, affinché si creino delle azioni di push che portino il cliente all’azione. 
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Un caso esemplificativo è la pubblicità di scarpe che si illuminano camminando, destinata come target comunicativo ai bambini, affinché i genitori vengano stimolati ad acquistarle.

Ma anche, nel Business to Business, le azioni di KLE (Key Leader Engagement) in cui si “lavorano ai fianchi” gli influenzatori affinché siano loro a rivolgersi ai decisori e stimolarli a compiere un’azione o un acquisto.

Molte culture aziendali e addirittura nazionali sono fondate su un forte network di relazioni personali. In questo caso, conquistare la fiducia dei decisori, degli influenzatori, portarli ad agire a nostro favore, è larga parte del vero sforzo di una campagna e richiede ottimi specialisti di KLE.

Siamo in un mondo tribale, anche nel business

Il mondo è molto più tribale di quanto sembri, le persone si fidano di più del suggerimento di una persona che conoscono rispetto a mille spot o brochure, per cui il successo spesso richiede un ritorno a forme di contatto umano personale, face to face.

I canali interpersonali di tipo telefonico, o videoconferenza, possono essere un sostituto ma solo in parte. Sempre e comunque quanto più il rapporto diventa veramente face to face, in vera presenza fisica, quanto più la probabilità di successo aumenta. Questo, paradossalmente, quanto più il mondo si digitalizza, il contatto umano fa la differenza perché diventa più “raro”, e quindi più “prezioso”, come ogni merce.

Durante il contatto umano, accadono più cose, anche perché in presenza fisica è più facile svolgere “lie detection” (scoprire bugie comunicazionali e atteggiamenti sottili) rispetto ad una mail o una telefonata, per non parlare dell’ignoranza vera e da ammettere senza colpe, rispetto al sapere quanto accade veramente nella mente di una persona che vede uno spot o una brochure, un banner, un video, una nostra pagina web, in nostra assenza, e cosa pensa veramente.

Molte aziende non comprerebbero da te nemmeno acqua pura mentre stanno morendo di sete, se non gli piaci a pelle, e questo va contro ogni ragionamento logico, eppure è reale. Vale anche per te quando entri in un ristorante. Se c’è un’atmosfera che non ti piace, magari grigia e facce che non ti piacciono, te ne andrai ancora prima di sapere cosa c’è nel menù. 

Ogni azienda compra tramite “cordate tribale di consenso” e ciascuno cerca di far entrare i propri “fornitori amici” e far fuori gli amici dei propri nemici.

Siamo in un mondo tribale, anche nel business, e nella comunicazione dobbiamo tenerne conto. Nessuno fa niente per niente.

Il dettaglio fondamentale del libero mercato è che nessuno scambio ha luogo senza ch’entrambe le parti ne traggan beneficio. Milton Friedman

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Centrare i bisogni psicologici del target

Ci sono persone che comprano un fuoristrada anche se viaggiano solo su strade asfaltate. Ve ne sono altre che comprano grandi berline ma fanno 100 km al mese. Altri ancora esigono di avere il modello più ecologico esistente sul mercato, al di la di ogni altra considerazione, o a costo di sacrifici.

Evidentemente, dobbiamo pensare che la mente razionale non abbia sempre il sopravvento, ma la mente emozionale suggerisca bisogni diversi, che vengono poi coperti da una “coltre” di raziocinio.

Centrare i bisogni profondi, che muovono veramente le persone, è un tema della comunicazione strategica.

Siamo animali evoluti, con bisogni speciali, ma la nostra natura animale non va dimenticata.

La psicologia degli esseri umani è parte della psicologia degli animali in generale. 

Gareth Matthews

I bisogni nascosti, quelli non detti apertamente, quelli che pulsano ma non si vedono, dettano il successo di una campagna di comunicazione strategica.

Lo psicologo svizzero Carl Jung ha individuato alcuni di questi bisogni umani, e questi diventano per noi “temi narrativi”, ovvero, temi “sovraordinati”, strutture superiori al singolo messaggio, ancoraggi a cui ogni messaggio deve connettersi e rispettare.

Jung ha identificato quattro motivazioni fondamentali ed universali in cui le persone si possono identificare: 

  • Il bisogno di sicurezza, che ci spinge a cercare la struttura e la stabilità. 
  • La necessità di auto-realizzazione, che ci spinge a cercare la conoscenza e l’avventura. 
  • La necessità di autostima, che ci spinge a cercare una migliore performance e la padronanza delle cose. 
  • Il bisogno di appartenenza, che ci fa sentire il bisogno di sentirsi attraenti, essere apprezzati, in armonia con gli altri.

In qualsiasi momento della vita, un certo bisogno “pulsa” più di un’altro, lo sentiamo, e riempie di senso la nostra ricerca e le nostre giornate.

 “L’uomo può realizzare delle cose stupefacenti se queste hanno un senso per lui.”

Carl Gustav Jung

Centrare i bisogni di un target e collegarli al nostro messaggio strategico è una scienza.

Quali bisogni di base vogliamo mettere come ancoraggio per la nostra comunicazione strategica? Su quali il target è sensibile e agirà? Che guadagno ne trae il target audience rispetto alla sua area di bisogni?

Collegamento tra bisogni e “archetipi”, le strutture primordiali cui le persone desiderano appartenere

Ognuno di noi dentro di sè ha un’anima che si “agita” per essere qualcosa, per diventare qualcosa, per poter dire “io sono questo”.

Gli archetipi si aggirano nell’ombra e spesso non siamo consapevoli di quali archetipi ci guidano. Pertanto, ogni comunicatore, deve prima di tutto fare i conti con se stesso, con chi veramente è.

“Conoscere la propria oscurità è il metodo migliore per affrontare le tenebre degli altri.”

Carl Gustav Jung

Questo vale ovviamente anche per il conoscere le proprie bellezze, le proprie luci, le proprie aree che splendono e vogliono esprimersi

Se un messaggio, un prodotto, o un marchio (brand) riescono ad avvicinarsi e persino interpretare, diventare protagonisti dell’espressione di questo bisogno, saranno persuasivi oltre ogni limite.

harley

Un vero Harleysta (proprietario di una moto Harley Davidson, frequentatore di raduni e “credente” del marchio) vede nel suo essere alcuni tratti distintivi: potere, esplorazione, essere diversi dai mediocri, un tocco di attrattività, aiutata da tatuaggi e abbigliamento di pelle, e tanta fratellanza. A questo “codice d’onore” si collega semanticamente una grande bevuta di birra (e non poca o birra analcolica), o uno scarico speciale, una gomma posteriore maggiorata, e un messaggio come “vivi la tua strada” o altri inni di libertà fuori dalle regole.

Ma vediamo un altro esempio

I guerrieri Pashtun nel sud dell’Afghanistan hanno un proprio codice d’onore (Pashtunwali). Pashtunwali (in pashto: پښتونوالی), è un codice consuetudinario ed etico non scritto nonché stile di vita tradizionale che segue il popolo Pashtun indigeno.

Comprende il dovere di essere coraggiosi guerrieri e sfidare i più forti di loro. Per cui, se qualcuno dicesse loro, “arrendetevi, siamo più di voi e meglio armati”, farebbe un grande regalo al loro archetipo, che di questi messaggi si nutre. E invece di arrendersi, il Pashtun combatterebbe con ancora più coraggio.

Il Pashtunwali è un codice d’onore, un codice comportamentale non scritto, e comunicare ai Pashtun senza conoscerlo è come offrire una grigliata ad un vegetariano, il messaggio potrebbe persino diventare offesa.

Quindi, la domanda è: quale codice comportamentale attiva il tuo target?

A che archetipo si ispira il tuo target?

Sulla base dei diversi bisogni, si configurano specifici modi di essere, chiamati archetipi.

L’archetipo è un’immagine mentale, una sorta di prototipo universale per i modi di essere, attraverso il quale l’individuo interpreta la realtà, percepisce e crea i propri bisogni.

Nel linguaggio degli archetipi, questi sono i tipi principali:

  • Ruler. Il guidatore, il leader. si nutre di potere e autorità
  • Creator. Il Creatore: si nutre di novità e creatività
  • Innocent. L’innocente: si nutre di purezza, rinnovamento
  • Sage: il saggio. Si nutre di intelletto e curiosità
  • Explorer. L’esploratore. Si nutre di avventura ed esplorazione
  • Magician. Il mago. Si nutre di trasformazioni e sviluppo di sè
  • Rebel. Il ribelle. Si nutre di sfida all’autorità e alle convenzioni
  • Hero. Eroe. Si nutre di coraggio, sfida e determinazione
  • Lover. L’amante si nutre di attrazione e sensualità
  • Jester. Il Folle. Si nutre di divertimento e spontaneità
  • Regular guy/gal: il ragazzo/a per bene, a volte individuato anche come l’Orfano. Si nutre di affidabilità e lealtà
  • Caregiver. L’aiutante si nutre del portare cura, sollievo, aiuto.
archetipi

Gli archetipi rappresentano anche una modalità per inquadrare un target di comunicazione, o la percezione di un marchio. 

Ogni marchio o “brand” si radica in uno o più di questi archetipi dominanti. Ogni marchio oltretutto subisce variazioni di percezione che lo associano all’interno di questa mappa di archetipi.[1]

La comunicazione strategica consiste proprio nell’associare la propria idea, la propria iniziativa, o il proprio marchio, in una zona specifica della mappa degli archetipi

“Il sogno dei vostri clienti è una vita migliore e più felice. Non muovere prodotti, arricchisci le loro vite”. 

“Your customers dream of a happier and better life. Don’t move products. Enrich lives“.

Steve Jobs


[1]

Margaret Mark, Carol Pearson (2001)). The Hero and the Outlaw: Building Extraordinary Brands Through the Power of Archetypes. McGraw Hill

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

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