La comunicazione interculturale richiede la capacità di percepire il mondo e gli eventi  come esso vengono percepiti da una cultura diversa dalla propria. L’approccio all’empatia interculturale sviluppate nel campo della comunicazione interculturale dall’autore Daniele Trevisani, individua quattro livelli di empatia che qualificano le dimensioni utili per applicare lo sviluppo dell’empatica sul piano della relazione con culture diverse:

  • “Empatia comportamentale interculturale”: capire i comportamenti di una cultura diversa e le loro cause, capire il perché del comportamento e le catene di comportamenti correlati. Ad esempio, capire perché in una certa cultura un funerale viene celebrato come una festa con banchetti e danze.
  • “Empatia emozionale interculturale”: riuscire a percepire le emozioni vissute dagli altri, anche in culture diverse dalle proprie, capire che emozioni prova il soggetto (quale emozione è in circolo), di quale intensità, quali mix emozionali vive l’interlocutore, come le emozioni si associano a persone, oggetti, fatti, situazioni interne o esterne che l’altro vive. Esempio: capire come vive emotivamente la propria religione d’origine una persona che abita in un paese a cultura religiosa dominante diversa.
  • “Empatia relazionale interculturale”: capire la mappa delle relazioni del soggetto e le sue valenze affettive nella cultura di appartenenza, capire con chi il soggetto si rapporta volontariamente o per obbligo, con chi deve rapportarsi per decidere, lavorare o vivere, quale è la sua mappa degli “altri significativi”, dei referenti, degli interlocutori, degli “altri rilevanti” e influenzatori. Esempio: capire come un adolescente immigrato vive l’amicizia nei “gruppi di pari” e con amici della cultura ospitante, o, in campo aziendale, come un “area manager” (manager dell’export) percepisce e costruisce un tessuto relazionale nei paesi in cui opera.
  • “Empatia cognitiva interculturale” (o dei prototipi cognitivi): capire i prototipi cognitivi attivi in un dato momento del tempo in una certa cultura, le credenze di cui si compone, i valori, le ideologie, le strutture mentali che il soggetto culturalmente diverso possiede e a cui si ancora”. Esempio: capire le diverse concezioni del senso del perdono in una persona di religione e cultura Buddhista e quello di religione e cultura Islamica, e come queste possono incidere sui comportamenti sociali e giuridici nel paese ospitante.

Ad esempio, per capire come relazionarsi in Giappone, occorre capire che il Bushido (l’arte del guerriero) si sia trasformato da devozione dei Samurai verso il loro padrone a devozione verso l’azienda per cui operano, e di come i nostri manager ne debbano assolutamente tenere conto. La devozione è un’emozione che assume toni sacri e se non ce ne rendiamo conto rischiamo di compiere gravi errori culturali.

comunicazione interculturale

Nel testo “Parliamoci Chiaro. Il Modello delle Quattro Distanze per una comunicazione efficace e costruttiva“, l’autore spiega alcuni fenomeni di comunicazione interculturale:

Estratto dal testo, copyright Daniele Trevisani e Gribaudo editore

Comunicazione Interculturale – Le limitazioni del linguaggio nell’esprimere i nostri sentimenti e persino nel descrivere oggetti, cosa accade, sensazioni, stati d’animo, esperienze

Ognuno di noi fa un’esperienza della realtà sempre leggermente diversa dall’altra persona, anche se questa fosse vicina, vicinissima.

Questo perché ciò che vedo viene filtrato dalle mie esperienze precedenti, viene giudicato come buono o cattivo in base ai miei valori profondi e alle credenze di superficie, e persino agli stati d’animo del momento.

La percezione, in altre parole, filtra ed esclude parti di realtà.

Se questo non bastasse, esiste un problema “linguistico”: la lingua, la lingua che usiamo (italiano, tedesco, inglese etc) è un “attrezzo” molto antiquato e raccoglie solo un’infinitesima parte di quanto noi “sentiamo dentro” e vorremmo comunicare agli altri.

Avete mai aperto una vostra frase con “è difficile da spiegare”? Se sì, avete avuto un momento di coscienza aumentata, e questo è buono, ma la maggior parte delle persone se ne va in giro senza questa consapevolezza.

I linguaggi emotivi, la possibilità stessa di far capire a qualcuno come stiamo veramente in un certo momento, avrebbero bisogno di una miriade di sfumature in più e noi saremo veramente alfabetizzati solo quando riusciremo a trasmettere anche i più sottili stati d’animo ed esperienze, anche se la trasmissione del pensiero “in fotocopia” è una possibilità per ora relegata a fenomeni telepatici o medianici ancora non supportati dalla scienza. Ma questo non vuol dire che un giorno non lo saranno.

Hookham ci offre una testimonianza.

Attualmente la nostra modalità di esperienza dei fenomeni è molto limitata, e non c’è una parola che non esprima un’idea o un’esperienza ordinaria. Volendo estendere o espandere il nostro modo di sperimentare i fenomeni, le poche parole che dobbiamo usare sono ancora i termini ordinari, con tutti i relativi fraintendimenti, dovuti a limitazioni e imperfezioni. Si finisce per essere costretti a usare le parole in modo piuttosto vago.

Spesso usiamo i termini “generosità” o “bellezza”, tanto per fare un esempio, in modo del tutto ordinario. Se però vogliamo esprimere un senso della generosità o della bellezza più ispirante, allora ci rendiamo conto che non esiste un vocabolario speciale e siamo obbligati a usare ancora una volta le stesse parole, scegliendo un vocabolo “convenzionale” il più possibile vicino a quella qualità ispirante. Pensateci, quali parole possiamo usare invece di “generosità” o “bellezza”, così da poter scavalcare le limitazioni grossolane dovute alla nostra esperienza ordinaria di quelle qualità?

Nel Buddhismo Mahayana si cerca proprio un tipo di linguaggio che permetta di trasmettere energia ispiratrice, ma sappiamo che nessun linguaggio potrebbe essere completamente soddisfacente- usiamo vocaboli quali apertura, chiarezza e sensibilità, spaziosità, consapevolezza e benessere, benché in realtà non ci sia nessun termine che corrisponda a ciò che si vuole descrivere. Queste parole servono solo per indicarci qualcosa. Sembrano avvicinarsi al bersaglio, quali acuti equivalenti concettuali che agiscono come tracce, stimoli o ispirazioni.[1]

Hookham fa poi un esempio con l’utilizzo della parola “benessere” così diversa dall’esperienza occidentale rispetto a quella Buddhista.

Vorrei nuovamente sottolineare che, in questo contesto, per benessere non si intende quell’ordinaria sensazione di tranquilla naturalezza che proviamo in modo imperfetto e limitato. Nondimeno, quella moderata sensazione di benessere, di cui tutti facciamo esperienza, è in relazione con la natura fondamentale di ogni cosa, quel “benessere” che in definitiva non può essere distinto come positivo, negativo o neutro, e per il quale non esiste una descrizione appropriata. Per poter dare una certa idea dell’area di esperienze di cui stiamo parlando, scegliamo l’esperienza più prossima, con la quale c’è una stretta connessione, e usiamo la parola migliore per descriverla.[2]

[1] Hookham, Michael (1992). Openness, Clarity, Sensitivity. Longchen Foundation, Oxford. Traduzione italiana: L’apertua mentale la chiarezza e la sensbilità. Ubaldini editore, Roma, 1995. p 38-39.

[2] Ibidem.

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Comunicazione Interculturale: la distanza semio-linguistica: differenze linguistiche e distanza di codice comunicativo

La seconda distanza tra soggetto A e soggetto B è data codice comunicativo, dal modo di esprimersi. La polarità Semio-Linguistica riguarda la natura del linguaggio: codici linguistici e comunicativi, codici espressivi e di comprensione, disponibili nel repertorio del soggetto – e i contenuti conversazionali.

Si distinguono due grandi categorie: (1) la categoria dei contenuti (il tema della comunicazione, il “di cosa si parla”) e (2) la forma linguistica (il “come” si parla, il codice utilizzato per dare forma ai contenuti, es: lingua italiana, lingua tedesca, e le varie sfumature o stili linguistici entro la stessa lingua).

La distanza di codice non è tuttavia solo linguistica. Tale distanza si differenzia in distanza tra codici verbali, distanza tra codici paralinguistici e distanza tra codici non verbali.

Vediamo un caso molto tipico, la distanza posta da un testo scritto e il suo lettore-tipo. Molto spesso nella scrittura si tende a dimenticare (o a non conoscere) una legge fondamentale della comunicazione: il fatto che bisogna fare frasi brevi, e dare tempo alla mente del lettore o ascoltatore di digerire quanto percepito, prima di passare a nuovo materiale.

Alcuni studi posizionano in 6 (+/-) 2 (sei concetti, più o meno due) il numero massimo di informazioni significative che si possono trasmettere prima di creare un “overflow” o inondamento comunicativo, tale che la persona perde il filo del discorso e smette di seguire il comunicatore e il suo messaggio.

Principio 4 – limite alla lunghezza della frase e punteggiature del discorso per favorire la comprensibilità

La qualità comunicativa interculturale aumenta quando:

  • Si rispetta il limite di 6 +/- 2 concetti trasmessi in ogni “unità di trasmissione”, dopo il quale è necessario fare una breve pausa (nella comunicazione orale) o un punto (nella comunicazione scritta)

I concetti tendono ad essere 6 meno due, quindi quattro e a volte ancora meno, quando ci troviamo davanti ad un interlocutore stanco, o disinteressato, le cui capacità cognitive e di elaborazione sono basse. Diventano 6 più due quando l’audience è composta da persone con forte motivazione all’attenzione, forti capacità di elaborazione del messaggio, e in stato fisico di freschezza, non certo di stanchezza mentale.

Al contrario, si verificano rotture della comprensione e attenzione quando:

  • Si supera il “buffer mentale” di attenzione dell’interlocutore;
  • il pubblico o audience o interlocutore è stanco e/o poco motivato ad elaborare il messaggio, trovandovi poca attinenza con i propri interessi, o per stanchezza fisica e mentale.

La concisione è l’arte di dire molto con poco;

la prolissità, di dire niente con troppo.

(Roberto Gervaso)

 

Vediamo il passaggio di questo testo:

Quand’anche non si ritenesse sussistere l’eccepito difetto di giurisdizione, nel caso di  specie  difetterebbe  l’interesse  a  ricorrere  in  capo  al  Consiglio  nazionale  dell’Ordine degli psicologi ad impugnare il parere del Consiglio superiore di sanità del 12 luglio 2011 che è stato erroneamente annullato dalla sentenza qui oggetto di appello pur se trattavasi di un atto non di amministrazione attiva, ma di una mera “dichiarazione di scienza espressa dall’organo consultivo tecnico del Ministro della Salute” (così a pag. 9 dell’atto di appello), per ciò stesso privo di una autonomia funzionale direttamente contestabile dinanzi all’Autorità giudiziaria.[1]

Ci rendiamo subito conto di quanto sia difficile, se non impossibile, digerire un testo di 9 righe senza un punto. Per quanta sia la volontà di prestare attenzione, l’autore di questo testo non è riuscito a “parlare chiaro”, nonostante le tante iniziative avutesi fino ad ora per la semplificazione del linguaggio amministrativo e legale. Per noi, è fondamentale tenere a mente questo limite, 6 +/- 2 concetti, e non oltre, poi fare un punto, una pausa, e ripartire, per poter dire di avere fatto del nostro meglio per “parlare chiaro”.

La brevità è l’anima stessa della saggezza.

(William Shakespeare)

Comunicazione Interculturale – Differenze semantiche (significato delle parole)

Il caso in cui una persona parli un’altra lingua è evidente nell’interazione tra un italiano e un cinese, ma non è sempre così! Anzi, le distanze tra persone sotto il profilo linguistico sono ben più insidiose e toccano anche persone che abitano nella stessa casa.

Abbiamo pensato al fatto che si può avere una mappa mentale completamente diversa per il concetto di “amore”? Per qualcuno può voler dire dedizione totale e condivisione di azioni (tempo passato assieme), per altri può voler dire pensarsi spesso. La divergenza tra i due concetti è radicale, fondamentale.

Principio 5 – Comprensione delle mappe mentali altrui

La qualità comunicativa aumenta quando:

  • Si ha chiaro in mente cosa l’altro associa a determinate parole o segni (chiarezza semantica);
  • Si comprendono le associazioni mentali che l’altro compie, comprendendo la mappa mentale altrui, sui temi inerenti l’argomento conversazionale in atto;

Al contrario, si verificano incomprensioni e rotture della comunicazione quando:

  • I significati dei termini in uso siano condivisi e uguali dando per scontato che il senso di una parola o segno sia lo stesso che noi vi attribuiamo, mentre non lo è per l’altro comunicatore;

Comunichiamo partendo da due o più mappe mentali diverse senza esserne consapevoli, su un certo tema oggetto della comunicazione interculturale.

[1] Estratto dalla Sentenza del Consiglio di Stato 546-2019 sul Counseling. N. 00546/2019REG.PROV.COLL. N. 01273/2016 REG.RIC. pag. 8-9

Per approfondimenti vedi anche

 

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Formatore e Coach su temi di Sviluppo del Potenziale Personale, Comunicazione Interculturale e Negoziazione Internazionale, Psicologia Umanistica. Senior Expert in HR, Human Factor, Psicologia delle Performance, Comunicazione e Management, Metodologie Attive di Formazione e Coaching.

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