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Stimoli per riflettere

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1.12.      Mettere in moto le energie

Il bisogno forte verso il quale muoviamo è mettere in moto le energie delle persone verso fini importanti.

Rantolare nel dolore non è bene. Adagiarsi su quanto ricevuto da altri non è bene. Il bene è cercare un progresso, sia esso un progresso interiore (ricerca spirituale) o tecnico (innovazione) o una performance.

Questo lavoro non tocca solo gli “altri”, ma chiunque, anche noi direttamente. Come sostiene Sant’Agostino, ci stupiamo spesso per i fenomeni naturali e la loro bellezza, viaggiamo per cercarli, ma a volte non consideriamo noi stessi mete degne di altrettanta attenzione ed esplorazione.

Quando una persona si limita a fare su se stessa poco più dell’ordinaria manutenzione, vive senza passioni, con energie ridotte rispetto a ciò che potrebbe essere. Probabilmente in cielo qualcuno soffre per questo.

Dare fuoco alle passioni è invece importante, credere in una causa, trovarla, volere un progetto, desiderare di dare un contributo, evolvere, progredire, migliorarsi.

Non è banale pensare che chi agisce per aiutare le persone a produrre risultati e crescere – come un coach, un formatore, un insegnante, un terapeuta, un consulente, un manager, ma anche un padre, una madre, un fratello – sia eroico, sia guerriero di una causa giusta.

Serve uno sforzo per fare sinergia tra i messaggi ispirativi, evocativi, le esperienze dirette, i dati delle ricerche e quelli che derivano dall’accademia.

Se siamo sufficientemente aperti, i messaggi portati da persone diverse non faranno paura ma aiuteranno solo a riflettere, sebbene possano provenire da religioni che non ci piacciono, da persone che non apprezziamo, da scuole accademiche o sistemi di pensiero a noi antitetici o lontani.

Impariamo ad osservarli comunque come stimoli su cui riflettere, tracce di pensiero di altre menti con cui abbiamo la fortuna di confrontarci liberamente, mantenendo la nostra autonomia di giudizio. Per questo, quanto più varie sono le fonti, tanto maggiore diventa la possibilità di un confronto ricco e produttivo.

Proponiamo questo messaggio che deve far riflettere sulla pienezza del potenziale umano e sul vero senso delle performance.

 

Inno alla vita

di Madre Teresa di Calcutta

 

Vivi la vita

La vita è un’opportunità, coglila.

La vita è bellezza, ammirala.

La vita è beatitudine, assaporala.

La vita è un sogno, fanne una realtà.

La vita è una sfida, affrontala.

La vita è un dovere, compilo.

La vita è un gioco, giocalo.

La vita è preziosa, abbine cura.

La vita è ricchezza, conservala.

La vita è amore, godine.

La vita è un mistero, scoprilo.

La vita è promessa, adempila.

La vita è tristezza, superala.

La vita è un inno, cantalo.

La vita è una lotta, accettala.

La vita è un’avventura, rischiala.

La vita è felicità, meritala.

La vita è la vita, difendila.

 

 

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Copyright, dal Volume:

“Il Potenziale Umano”

Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance

Si avvicina l’uscita del volume Il Potenziale Umano, e nel frattempo volevo condividere e ragionare assieme su una idea di base, che inserirò nel prossimo libro: L’età mentale diversa dall’età fisica. Non è una novità, ma serve qualche approfondimento.

Una persona mentalmente giovane coltiva sogni e aspirazioni, una persona mentalmente vecchia (al di la del suo corpo) ha smesso di sognare e volare con la fantasia, il suo fuoco si sta estinguendo. E questo non solo nell’individuo, ma addirittura in intere aziende o – più su – in intere nazioni.

Una società vecchia vive del passato e nella burocrazia, è ammantata da emozioni negative (paura, sarcasmo, cinismo), difende i propri piccoli spazi di potere ma non guarda oltre. Compie performance difensive, e non proattive. Una società giovane si pone senza paura dei traguardi e ha la forza di emozionarsi per essi. Osserva il mondo in modo attivo, desidera darvi un contributo, non sta seduta a guardarne lo sfacelo e non si intimidisce di fronte alle sfide. Non ha pura di ciò che non conosce ma lo vuole studiare, sperimentare.

Lo stesso accade nelle aziende e nei team sportivi.

Diventa quindi molto interessante per ogni ricercatore vero e per chiunque di noi avere un modello che ci aiuti a rimetterci in moto (per fini personali), o aiutare un team ad ottenere le performance che desidera (per un coach), o ancora lavorare sul funzionamento ottimale delle persone, per scopo terapeutico e di qualità della vita, al di la delle performance che possono ottenere.

La performance come benessere, ascesa, salita, esplorazione: viaggio verso l’Optimal Functioning Il funzionamento ottimale (Optimal Functioning) è la connessione tra aree di ricerca sui problemi (la patologia, l’area negativa) e aree di ricerca sulle performance (le aree dei goals, o positive). Questo nesso è indispensabile per far luce sui metodi che lavorano sul potenziale dell’uomo e dei team (sia sportivi che aziendali).

Ho potuto osservare con grande frequenza che raramente una persona o un team che “funzionano male”, internamente e psicologicamente, offrono prestazioni esterne positive, o se lo fanno questo non dura a lungo.

Dovendo studiare il funzionamento ottimale dell’uomo impegnato in una performance, e lavorando come formatore per migliorare la condizione che di volta in volta trovavo, sono emerse anche interessanti riflessioni sul funzionamento “sbagliato”, sulle patologie e sugli errori che le persone compiono, consapevolmente o meno. Esempi di errori comuni:

1 • l’utilizzo di un archetipo sbagliato; es, per un venditore, considerare se stesso come un “forzatore di acquisti”, anzichè un problem-solver. Questo impedisce di attivare il potere della relazione di aiuto che fornisce energie utili per vendere. Il problema vale anche per uno sportivo, che entri in campo con la voce interiore “non posso assolutamente sbagliare”, anziché “voglio divertirmi e dare il meglio di me”;

2 • il mancato esame dei propri apprendimenti: chi mi ha insegnato a fare le cose come le faccio ora? Da chi ho appreso? Siamo sicuri che vada tutto bene così? Cosa devo disimparare se voglio crescere?

3 • Sè negati: che ruolo vorrei giocare, in campo o nella vita? Sto giocando il ruolo che desidero, o mi sto auto-castrando? Posso provarci? Mi sto auto-impedendo? Sto rispondendo alle aspettative degli altri o do ascolto anche alle mie?

Queste e altre osservazioni possono dare luce ad una nuova forma di scienza di confine, che non sia esattamente nè una scienza dello sport, nè una scienza psicologica, nè un primato delle patologie (es: psicoterapia o medicina), nè una scienza dell’educazione e della formazione, ma una scienza della condizione ottimale dell’essere umano e dei team. In pratica, una scienza che cerchi il denominatore comune del funzionamento positivo umano.

Qualcosa di simile (uscire dal confine ristretto dello studio sulle “patologie”, e da una visione di “malattia”) sta cercando di fare anche la “psicologia positiva” , nuova area di studio della psicologia che studia fenomeni come la felicità, il benessere, la fiducia, la tenacia – area il cui interesse primario è tuttavia verso il funzionamento psicologico, e non per l’intera sfera delle performance umane.

Una scienza delle energie umane e delle performance non è ancora stata realizzata e sviluppata in modo compiuto: ogni disciplina, nel proprio recinto, ne sfiora una parte, ma risulta per tutti difficile cogliere l’unità del senso.

La fatica, le frustrazioni, le cadute, fanno quindi parte del percorso, anche del mio. È parte del gioco. Anche del mio…

Ps…. Sapere di non essere soli in un percorso di ricerca aiuta!

Tante persone e tante aziende sprecano denaro e risorse per nulla. Gettano al vento ore, persone, soldi, senza raggiungere obiettivi o effetti. Due grandi problemi da risolvere sono: 1 – la concentrazione sugli obiettivi (capire bene quali sono i veri obiettivi e depurare il quadro da falsi obiettivi, sia a livello personale che aziendale) 2 – le operazioni da avviare per raggiungere gli obiettivi. La psicologia strategica deve occuparsi di entrambi i fronti. Tuttavia, il contributo essenziale sta nella capacità di depurare il quadro da falsi obiettivi e chiarificare gli effetti che vogliamo produrre e le condizioni di arrivo che vogliamo generare.

Un breve esercizio di concentrazione: con gli occhi chiusi, immaginiamo di voler passare in rassegna tutti i problemi (personali o aziendali) che vorremmo fossero risolti. Man mano che le idee o immagini mentali si materializzano o prendono forma, invece di fissarsi su di esse, immaginiamole volare via, e lasciare spazio a qualche altra immagine o problema. Andiamo avanti sinchè sentiamo che i problemi principali siano stati localizzati. Al termine, lasciamo che la mente vaghi in un luogo immaginario positivo, es, un luogo della natura, per alcuni minuti, come se volessimo riposarci. Finito, riapriamo gli occhi, e scriviamo la lista dei problemi individuati (come punti elenco). Tra un mese ripetiamo la stessa operazione e confrontiamo i due fogli. Dove si è spostata la concentrazione? Quali nuovi problemi entrano? Quali escono? Quali sono solo “autoprodotti”?