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Concetti di formazione aziendale e risorse umane

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Business Coaching e ricentraggio delle priorità

Dalla volontà al ricentraggio per la crescita personale e organizzativa

Il concetto del ricentraggio è stato analizzato in campo aziendale nel metodo ALM (Action Line Management), concentrato sulla ricerca di un senso di missione profondo e di strategia adeguata a concretizzarlo[1]. Lo stesso concetto vale in ambito di coaching personale, formazione, leadership nei team.

Occorre supporto sia alle persone che ai team, concetti che aiutino a “ricentrarsi” e andare avanti con uno spirito nuovo, supporti che non siano solo d’emergenza, o “pacche sulle spalle”, ma modelli di formazione e coaching strutturali, su basi scientifiche, con variabili ben inquadrate.

Per ogni ora passata a lamentarsi (spesso giustamente) su cosa non va, occorrerebbe un’ora di propositività, passata a cercare strade, ricentrarsi, progettare idee su come e cosa fare, ideare ipotesi o soluzioni, cercare strade, andare oltre. Ricentrarsi non significa tornare agli status preesistenti ma trovare una nuova centratura o equilibrio entro nuovi principi cardine, più efficaci.

Il ruolo vero del supporto attivo consiste nell’accogliere stati di disagio oppure obiettivi sfidanti, e trasformarli in piani d’azione concreti, pratici, ancorati a principi validi e solidi, che fanno da perno per le operazioni di ricentraggio.

Occorre dare supporto serio ai risultati personali, dei team, delle organizzazioni, di chi agisce sotto pressione, su sfide difficili, e opera in ambiti estremi, competitivi, o agonistici, e soprattutto per chi opera per una causa nobile, qualsiasi essa sia.

Le energie mentali, tema centrale di questo lavoro, sono collegate al sapere di agire per una causa giusta. Chi di noi veda, in strada, un tentativo di rapire un bambino indifeso, troverebbe energie per difenderlo che nemmeno sospetta di avere. Per quella causa vale anche la pena morire, le energie saranno enormi.

Quando invece si deve lavorare per persone che si disprezzano nel profondo, o per aziende che non si amano, o in team spenti, o per progetti in cui non si crede, persino alzarsi dal letto diventa difficile.

Il modello HPM è sviluppato per dare concretezza, scientificità ed efficacia alle azioni di formazione e coaching avanzate, o come qui definite, analitiche, riguardanti l’una o l’altra sfera di intervento (performance o potenziale).

Tocca quindi la crescita personale, i team, l’azienda, lo sport, le imprese umane. Le applicazioni sono trasversali: ovunque esista voglia e bisogno di crescere, andare verso risultati e nuove sfide, e non fermarsi, di onorare la sfida umana della ricerca, e una causa giusta, di qualsiasi natura essa sia.

Il metodo ha al centro del proprio progetto la persona, la creatura vivente, l’essere umano con il suo enorme spazio e orizzonte di possibilità da scoprire, base fondamentale e imprescindibile da cui partire.

Il metodo HPM vuole anche porsi in antitesi (1) alla visione delle “sette dello sviluppo personale”, la cui letteratura rifiuta la validazione scientifica, e (2) ai guru del management e del coaching motivazionale, autoproclamati (soprattutto americani), che trattano questi temi superficialmente, in un supermercato delle banalità, un crescendo di frasi fatte, di arroganza e supponenza, spesso di bugie, senza fornire un minimo di verificabilità delle affermazioni.

Per questo motivo i passaggi fondamentali del sistema HPM sono formulati tramite principi, ipotesi di lavoro, ciascuno dei quali contiene affermazioni che possono essere sottoposte a verifica (hypothesis testing) da parte della comunità scientifica. Ma, soprattutto, arrivano da ricerca ed esperienza pratica, e questo aiuta. La verificabilità dovrebbe essere un obiettivo per ogni scuola di pensiero, ogni sistema o modello utilizzato nell’educazione o nella formazione deve essere trasparente, aperto, suscettibile di critiche, di discussione e di miglioramento, sforzandosi di realizzare una comunicazione trasparente.


[1] Per la versione aziendale del metodo ALM sono state pubblicate sinora le seguenti opere:

Trevisani, D. (2000), Competitività aziendale, personale, organizzativa: strumenti di sviluppo e creazione del valore, FrancoAngeli, Milano.

Trevisani, D. (2001), Psicologia di marketing e comunicazione: pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management, FrancoAngeli, Milano.

Trevisani, D. (2003), Comportamento d’acquisto e comunicazione strategica: dall’analisi del Consumer Behavior alla progettazione comunicativa, FrancoAngeli, Milano.

Trevisani, D. (2005), Negoziazione Interculturale: comunicazione oltre le barriere culturali. FrancoAngeli, Milano.

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Materiale in anteprima dal libro di Daniele Trevisani (2008), Psicologia delle Performance e del Potenziale Umano, FrancoAngeli Editore, Milano. Copyright. Pubblicato per concessione dell’autore da www.studiotrevisani.it. E’ consentita la riproduzione solo con citazione dell’autore e del volume originario.

Prima di acquistare un biglietto per una vacanza, occorre decidere il tipo di esperienza che si vuole vivere. È necessario ispirarsi ad una visione, a volte questo significa sognare, guardare oltre, decidere se si desidera viaggiare per far raccolta di fotografie o di emozioni, se stare da soli o in compagnia, e di chi. In altre parole, serve una visione ispiratrice. Anche nel cambiamento organizzativo siamo di fronte a questa scelta di fondo.

Un meta-modello, una visione ispiratrice che governa i modelli specifici di cui ci occupiamo, è il modello metabolico.

Nella nostra prospettiva, ogni soggetto (persona, team o azienda) – impegnato in un percorso di cambiamento – può essere assimilato ad una cellula. Una cellula che “respira” è viva, una cellula chiusa, imprigionata in se stessa, è morta.

Il sistema-cellula scambia informazioni o sostanze con l’ambiente esterno muta, evolve, si sforza di far entrare nutrienti, e cerca di espellere cataboliti (materiali di scarto), veleni o sostanze tossiche.

Agire sul cambiamento significa dare impulso a tali dinamiche.

Ogni sistema vivente, piccolo o grande – se desidera vivere – deve continuamente lavorare per mantenere i suoi equilibri interiori in un ambiente che cambia senza sosta. Il funzionamento descritto assomiglia molto a quello di una macchina, o di un’unità biologica, tuttavia la dinamica del cambiamento psicologico, culturale e organizzativo, non è estranea a questi processi.

Diversi approcci alla psicologia, come la Bioenergetica, riconoscono questo tipo di funzionamento:

un qualsiasi organismo, per quanto complicato, funziona sempre, nel suo insieme, come un’unica cellula. Le funzioni vitali dell’organismo quali l’espansione e la contrazione, la tensione verso l’esterno ed il ritiro in sé o all’indietro, l’assorbimento e l’emissione, sono regolate da quello che è conosciuto come principio del piacere[1].

In altre parole, il cambiamento positivo cerca di portare tendenzialmente una persona o un sistema verso uno stato di maggiore piacere e soddisfazione (“andare verso”), rifuggendo da dolore e disagio (“allontanarsi da”).

Questo prototipo di funzionamento generale ha tuttavia delle aberrazioni pratiche e apparentemente illogiche, come la persistenza volontaria in uno stato di disagio, l’assunzione di sostanze (fisiche) o pensieri (mentali) che causano danni all’organismo.

Nel capitolo sull’omeostasi esamineremo come questi fatti siano da collegare ai meccanismi di regressione verso l’abitudine, il tentativo di mantenere equilibri, anche se precari o dannosi, mosso dalla pulsione umana verso la sedentarietà o dalla difesa del carattere da attacchi esterni. Lottare contro questi antagonisti del cambiamento, tra cui la “resistenza” e la regressione, fa parte di un’analisi registica del cambiamento.

In termini metaforici, possiamo evidenziare in un sistema umano che cambia tre differenti attività prima di tutto mentali, che corrispondono ad altrettante operazioni psicologiche concrete: acquisire, consolidare, espellere.

Nel metodo delle regie il cambiamento è visto come un meccanismo nel quale è necessario far luce su (1) cosa sia bene acquisire, far entrare (2) cosa sia bene mantenere, consolidare e (3) di cosa sia invece opportuno disfarsi, abbandonare, lasciare.

Si tratta del principio di base del metabolismo, la cui sostanza vale in ogni processo di cambiamento personale o aziendale, terapeutico o formativo.

Riepilogando, le tre aree di analisi principali individuate nel “modello metabolico” sono:

 

·       Zona 1: rimuovere, abbandonare, disapprendere, lasciar andare, disfarsi di…

·       Zona 2: consolidare, mantenere, aggrapparsi a, rafforzare, ancorarsi a…

·       Zona 3: acquisire, imparare, apprendere, assimilare, far entrare…


[1] AA.VV. (2007), Bioenergetica, in Wikipedia, enciclopedia online (al 4/1/2007).

 

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Articolo tratto dal volume di Daniele Trevisani “Regie di Cambiamento”, FrancoAngeli editore, Milano (2007). Copyright, materiale pubblicato su concessione dell’autore www.studiotrevisani.it – utilizzabile solo previa citazione della fonte

Nonostante le avversità che incontriamo, l’evoluzione è – e rimane – un fattore di sopravvivenza. In un certo senso siamo tutti “forzati del cambiamento”, costretti dall’ambiente a non fermarci, ad adattarci, a mutare, poiché il territorio fisico e sociale attorno a noi – e quello psicologico dentro di noi –  cambia, è in costante evoluzione. Il movimento del terreno sul quale una persona poggia permette solo due cose: cadere, o trovare nuovi assetti ed equilibri.

Noi ci rivolgiamo a quelli che vogliono farsi trovare pronti nelle sfide, ricercano il grounding (radicamento, sentirsi fisicamente e psicologicamente ancorati) e allo stesso tempo possiedono spirito di ricerca e si sentono diretti verso un fronte positivo, un orizzonte, e amano lottare per questo.

Il “metodo registico” intende offrire strumenti e concetti utili a chi si occupa di cambiamento positivo e “formazione” nel suo senso più vasto, ma anche di evoluzione assertiva (guidata da principi), trasformazioni del modo di essere, di sistemi di apprendimento e di sviluppo organizzativo, e ancora di potenziale individuale, human potential e human performance, crescita e maturazione individuale o delle imprese.

I tre soggetti-tipo cui si indirizza il metodo sono (1) chi desidera praticare un percorso di evoluzione personale con maggiore consapevolezza dei meccanismi che lo governano; (2) i clienti e ruoli istituzionali strategici coinvolti in progetti sul cambiamento, sviluppo e formazione (dirigenti, leader e manager); (3) i professionisti esterni (consulenti organizzativi, formatori, coach, allenatori e direttori di team, aziendali e sportivi) chiamati a supportare e produrre performance, ad avviare relazioni di aiuto per “cambiare le cose” e “far crescere” (una persona, una squadra, un sistema).

Ognuna di queste persone deve essere aiutata ad acquisire le abilità e capacità fondamentali (key-learning) per far fronte a nuove sfide prioritarie (key-challenges). Cambiare e formarsi serve anche per poter affrontare le sfide.

La realtà ci presenta (nei casi migliori) organizzazioni e persone già pronte ad un cambiamento, anche forte. Ci offre anche organizzazioni e persone restie, o persino contrarie, e che tuttavia hanno bisogno di variare il proprio assetto perché non più adeguato. Nell’uno e nell’altro caso, dobbiamo capire come poter procedere, quale strategia adottare, e come muoverci per essere efficaci.

Nei box “cosa fare” – esposti durante il testo – evidenziamo alcuni suggerimenti operativi su vari temi che riguardano il facilitare il cambiamento, connessi agli argomenti trattati. Vediamo quindi il box seguente:

Riflessioni operative:

·            analizzare se e quanto un soggetto (persona o sistema) possa permettersi di non cambiare, alla luce delle sfide ambientali e sociali che lo attendono, o sia invece nella necessità di dover migliorare o progredire;

·            inquadrare i key-learning (apprendimenti chiave) in risposta alle key-challenges (sfide prioritarie) che attendono la persona (o sistema organizzativo);

·            valutare quanto il soggetto (persona o sistema) sia intenzionato ad impegnarsi in un percorso di cambiamento;

·            capire quali sono i blocchi verso il cambiamento;

·            creare un clima positivo verso il percorso di cambiamento, legato ai benefits che il percorso può produrre.

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Articolo tratto dal volume di Daniele Trevisani “Regie di Cambiamento”, FrancoAngeli editore, Milano (2007). Copyright, materiale pubblicato su concessione dell’autore www.studiotrevisani.it – utilizzabile solo previa citazione della fonte

1.1.       Alchimie tra forze contrapposte: la lotta tra pulsioni di assimilazione, stabilità, rimozione

Il cambiamento positivo è il motore dell’evoluzione e riguarda ogni persona e ogni organizzazione. Il propulsore psicologico può essere un obiettivo da raggiungere, l’orgoglio, volontà, sogni e aspirazioni (motori psicologici positivi), o invece bisogno, sofferenza, necessità di rimuovere uno stato di disagio (motori psicologici negativi).

Chiunque desidera progredire deve mettere in conto un investimento concreto, fatto soprattutto di tempo ed energie mentali, e deve apprendere a ricentrarsi verso le priorità strategiche (azioni di ricentraggio).

Rimanere aperti a nuovi input riguarda indifferentemente la crescita personale, lo sviluppo delle aziende e delle organizzazioni, il mondo del business o quello dello sport. Nelle arti marziali, un Maestro afferma che:

…il praticante deve cercare sempre lo sviluppo delle sue conoscenze e perfezionarle nel corso della sua evoluzione… deve vivere in una perpetua situazione di apprendistato durante la sua esistenza, perché le situazioni e i metodi evolvono costantemente[1].

Secondo questa visione, il cambiamento non è quindi un “atto finito”, ma un “atteggiamento di fondo”, un “amore” verso un percorso fatto di ricerca, di curiosità per il nuovo, di attenzione al nuovo, che mette in atto un meccanismo evolutivo costante.

Siamo sempre in qualche forma di “apprendistato” e possiamo sempre imparare qualcosa di nuovo. Tuttavia, ogni mutamento – volontario o subìto – richiede impegno e presenta un costo (tempo, energie, fatica), e molti non desiderano pagarlo o lo posticipano sino all’ultimo. Le conseguenze in questi casi non tardano ad arrivare.

I “mostri” contro cui lottare sono tanti. Tra questi la regressione verso l’abitudine, un meccanismo involontario che porta le persone a “rintanarsi” e rinchiudersi in riti quotidiani – a volte dannosi. Il “drago” prende anche sembianze di “politico”, attua meccanismi volontari quali il boicottaggio attivo del cambiamento (cercare di bloccare il processo e gli input esterni) e frena l’evoluzione di un sistema, per puro interesse personale.

Abbiamo ancora le resistenze ideologiche, valoriali, o i blocchi che chiunque mette in atto quando sente che altri cercano di attuare un ingresso nel proprio territorio psicologico. Ritroviamo ancora il problema delle energie per cambiare, la cui mancanza può frenare anche le migliori intenzioni. Si presenta inoltre il problema della competenza o incompetenza del consulente o formatore, chiamato ad aiutare il processo evolutivo.

Gli ostacoli possono essere tanti. Questa è solo una breve e incompleta rassegna delle sfide che ci attendono.


[1] Cohen, Alain (2007), Principi I.D.S. Krav Maga, in Budo International, 1/2007.

 

Articolo tratto dal volume di Daniele Trevisani “Regie di Cambiamento”, FrancoAngeli editore, Milano (2007). Copyright, materiale pubblicato su concessione dell’autore www.studiotrevisani.it – utilizzabile solo previa citazione della fonte