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Teoria della progettazione

 

Lo spazio mentale del progetto[1] – Il progetto tra naturale e artificiale

  • Copyright, Articolo a cura di Angelo Rovetta, in: Rivista Communication Research n. 1/2010 a cura di Medialab Research www.medialab-research.com

Nella teoria dei 3 Mondi Popper offre una euristica proposta dei modi con cui interagiscono la conoscenza, le azioni umane e i “dati” del mondo “fuori” dal soggetto che percepisce e che interagisce, che vive.

Il Mondo 1, dunque, è costituito dall’insieme delle “cose” che popolano la natura (dai sassi agli animali, dalle foreste alle vallate, dai monti ai mari). Tutto ciò che è dato prima dell’avvento e delle relazioni con il soggetto.

Il Mondo 2 è il mondo della soggettività percipiente, della coscienza, della introspezione e dell’autonomia, della autoreferenzialità del “io sono”: la coscienza.

Il Mondo 3 è l’insieme degli oggetti “artificiali”, costruiti dai soggetti nel tempo. Si tratta di oggetti fisici  (come gli strumenti e le protesi di cui l’uomo si è dotato nel tempo) o di oggetti “mentali” (le idee, i romanzi e le poesie, le formule matematiche e fisiche). Tutto ciò, insomma, che non era dato “prima”, ma che è stato immesso nel Mondo 1 (nella “natura”) dal Mondo 2 (l’uomo) tramite creatività, immaginazione, lavoro, manipolazione, interazione con i Mondi 1 e 3.

Infatti, la caratteristica “sistemica” dei 3 Mondi è che si influenzano reciprocamente e che gli oggetti del Mondo 3 “modificano” gli altri due Mondi.

Ecco, pertanto, dove si collocano la progettazione umana e i suoi prodotti: nel Mondo 3, ossia tra natura e artificio.

I progetti sono “oggetti” del Mondo 3, non esistenti “prima”, che, una volta creati dall’uomo,  oggettivati, concretizzati  nella materia (un  tempio, una leva, un dipinto, un libro, una formula scritta) e nelle relazioni tra cose e persone, entrano a far parte del Mondo 1, per così dire. Incrociano la sua naturalità, possono diventare essi stessi elementi del “paesaggio naturale” che si presenta alla percezione del soggetto.

Un paesaggio artificiale è “naturale” nella misura in cui diventa “ovvio”, scontato, un “dato”, per il soggetto che lo percepisce, ci vive, lo considera il suo contesto, il contesto – campo che produce il significato dei singoli elementi che lo compongono.

Se l’artificiale diventa “immanente” all’ambiente – contesto in cui è posto, si naturalizza, agli occhi del soggetto che osserva, cioè tende a essere percepito come un elemento del Mondo 1.

Il progetto, pertanto, ha un suo significato dal punto di vista del contesto, cioè dello spazio in cui è prodotto e si oggettiva, come risposta di un soggetto che interagisce con  il contesto – ambiente stesso.

Ha, però, anche un ulteriore significato, di diverso livello e valore logico, dal punto di vista del tempo, della sua durata, della processualità con cui opera nel suo contesto, nel modo in cui, da artificiale, diventa “naturale”.

In questo modo si ordinano i problemi di sempre, relativi ai modi di essere della conoscenza umana e ai rapporti tra soggetto che conosce e ciò che sta “fuori” dal soggetto, nonché ai correlati problemi dei rapporti tra natura, cultura e norma.

Cioè, alle relazioni tra desiderio (aspettative e previsioni), tra eredità (ciò che è dato perché avvenuto e creato nel passato) e intenzionalità, volontà, proiezione, investimento nel futuro (ciò che è possibile, probabile che avvenga domani, o che “deve” avvenire).

E’ in questo immenso campo problematico – sistemico che la mente umana “progetta”.

Lo spazio – mente: in interiore homine si genera il pensiero – progetto

Il soggetto si struttura, nella sua consapevolezza – coscienza, prima di tutto nelle sue relazioni spaziali: ognuno percepisce un “dentro e un fuori”. La percezione del dentro di sé è complessa, pur nel suo essere intuitivo. Vi è una percezione fisica delle proprie parti interne, che, perlopiù, è enfatizzata dal dolore fisico, dal malessere.

Vi sono sentimenti ed emozioni che provengono dal di dentro: nel sogno, e nell’incubo, per esempio.

La percezione interna di un sé psico-corporeo, de-limitato dalla pelle o dall’aura, si costruisce negli anni, con varie esperienze, esplorando il mondo – contesto intorno e costruendo il proprio “interno” come spazio interiore, introiettanto,  e ispezionando (introspezione) gli “spazi” della memoria, del percepito, del sentito, dell’intuito.

La mente e il cuore producono immagini, ma entro un campo – spazio che è l’interno di sé o il sé, autopoietico – autoreferenziale, che sta “dentro” l’involucro fisico, cioè la condensazione energetica che ci sentiamo di essere.

La percezione di pensare, di sentire e di amare sono processi che producono incessantemente immagini.

Le immagini che percepiamo e di cui siamo coscienti (anche quelle di cui abbiamo meno o nulla coscienza) consistono, quando “nascono”, in differenze nell’istante (Bateson).

Il perdurare delle immagini nell’apparato neurologico (memoria, tracce mestiche) genera il tempo, cioè il flusso, l’evoluzione delle forme, la complementarietà delle forme, la sommatoria delle differenze di immagini endogene ed esterne (percezioni di “oggetti esterni” tramite i sensi), antiche (ricordate) e nuove.

Immagine e spazio mentale: rapporti

La forma dell’immagine

Le forme di un’immagine sono bordi – confini: delimitano, definiscono “chiudono” uno spazio, non solo al proprio interno, ma, anche, costruiscono, per complementarietà, un ambiente esterno.

Nella mente nasce lo spazio, dentro e intorno alle forme, in quanto un’immagine che si crea dinamicamente nella mente con-forma lo spazio e produce, al tempo stesso, un campo energetico (l’attesa?) una tensione che costituisce lo spazio – contesto entro cui si manifesta l’immagine stessa.

Il campo – contesto non è necessariamente un a priori, ma tende a co-costruirsi insieme all’immagine che produce e da cui è, contemporaneamente, prodotto.

Si tratta di uno spazio dinamico, nel momento della creazione dell’immagine, cioè metamorfico.

Il “pensiero” è costituito da immagini: la mente è uno spazio riempito e costruito da immagini.

Le immagini creano lo spazio mentale e, se vi è uno spazio mentale previo, “riempiono” lo spazio.

Un certo numero di immagini ricorrenti, ripetute, consolidate, fermano il dinamismo della creazione di spazio e vengono percepite come spazio statico.

La fissazione – cristallizzazione dello spazio in forme “riconoscibili” modifica la percezione degli spazi mentali e di quelli dell’ambiente in cui un soggetto vive.

Il lavoro dei primi mesi di vita: il gioco del rocchetto, dentro fuori, presenza assenza, luce buio, c’è non c’è, costruisce lo spazio mentale e, contemporaneamente, lo spazio dell’ambiente circostante. Non c’è, dunque, diversità di tratti tra lo spazio che è la mente e lo spazio dell’universo sensibile, l’ambiente – contesto in cui ogni mente cresce e con cui si misura dialetticamente.

Dall’indifferenziato alla percezione della differenza: lo spazio si “costruisce” dentro e fuori il soggetto che osserva e conforma l’ambiente mediante i prodotti del mondo 3 di Popper.

Lo spazio è, poi, nell’evoluzione – durata del soggetto percepito come un a priori: da “campo energetico” anonimo (pura potenza – possibilità, virtualità), diventa un ambiente o un paesaggio in cui abitano le singole immagini, è il luogo del riconoscimento di immagini – oggetti attraverso questi processi spaziali di base.

– La categorizzazione: riconoscere forme, esterne al soggetto, per similitudine – analogia con forme consolidate, già esperite dalla mente; la memoria genera il tempo.

– La classificazione : inserire la forma identificata in classi di forme , cioè in “cartelle” – insiemi  individuati da alcune caratteristiche spaziali (qualità e quantità) comuni a tutti gli oggetti o soggetti identificati da quella forma categoriale che struttura lo spazio  mentale tra interno ed esterno.

La classe come astrazione: l’astrazione è una ricorsività, un ritorno di elementi. Ciò comporta un riconoscimento di forme , cioè di ritmi percettivi che si sovrappongono nella mente, nelle tracce mestiche, dando vita all’ ”essere simile a…”, la ripetizione di questo processo dà vita all’astrazione dal contesto di alcuni elementi ricorrenti e alla cartella o classe o decontestualizzazione degli oggetti e alla loro ricollocazione nel contesto classe : la classe è nominata.

La foresta come classe di tutti gli oggetti aventi le caratteristiche che definiscono la classe stessa.

La classe è un principio ordinativo e conoscitivo poiché permette l’attribuzione delle caratteristiche generali di appartenenza ai singoli oggetti che si osservano.

I numeri possono essere considerati classe di classi?

Ogni classe può contenere un numero a piacere di sottoclassi.

La classe della bellezza ha numerose sottoclassi: la classe degli uomini belli, quella delle donne belle, delle automobili, delle case, dei soprammobili, dei paesaggi, dei pensieri belli.

Esempio: il soggetto può riconoscere che un oggetto è un albero perché ha tratti formali (qualità e quantità) che definiscono un tipo di spazio (statico e dinamico). Se lo identifica – categorizza come albero, lo può classificare nell’insieme foresta – bosco, cioè la cartella classe spaziale che raccoglie tutti gli oggetti aventi alcune caratteristiche di definizione dello spazio (foglie verdi e/o gialle rosse, rami tronco, radici, ecc.) rugoso e/o liscio .

Lo spazio – immagini definito foresta – bosco può, a sua volta, avere alcune sue caratteristiche, in quanto insieme, autonome, non indipendenti, rispetto alla categoria del singolo albero. In questo caso, da classe degli oggetti – albero passa a partecipare dei processi di identificazione spaziale delle categorie – categorizzazioni spaziali.

Sette dimensioni per lo spazio –  mente

Nello spazio mentale le immagini di solito vengono create secondo le tre dimensioni dello spazio fisico percepito : altezza, lunghezza e profondità.

Ma l’immaginazione ha la capacità di “trasformare” le immagini inserendovi il dinamismo del tempo e della relativa processualità: le metamorfosi delle forme richiedono il tempo dell’evoluzione delle stesse. Il tempo e il processo sono, dunque, la quarta dimensione dello spazio – mente.

La quinta dimensione è costituita dalla “tenuta” delle forme nel tempo: la memoria permette la ricorsività e il riconoscimento del già esperito una volta. E’, perciò, collegata al tempo e ha una funzione generativa.

La sesta dimensione è costituita dall’intuizione – sintesi, la capacità di cogliere ciò che è invisibile e sottile, le tracce, le ombre della realtà: si tratta del famoso “sesto senso” o del “terzo occhio” posto in mezzo alla fronte e che permette la percezione o la sintesi cosciente dell’impercettibile. L’intuizione è la dimensione, la sorgente da cui sgorga il nuovo: segni e simboli, immagini , che poi l’uomo riesce a rendere oggetti e strutture anche fisiche, che la mente genera a partire dalle immaginazioni intuitivo-sintetiche.

La settima dimensione è strettamente connessa con l’intuizione: si tratta dell’energia vitale che “anima” ogni soggetto, detta anche intelligenza emotiva.

Più semplicemente si può parlare della dimensione erotica, dell’eros, della capacità d’amare, dell’impulso di “essere attratto da”, cioè di prendere dentro (desidero possederti) e lasciarsi prendere dal desiderio altrui (di solito espresso da persona, ma anche da oggetti naturali o artificiali).

L’eros, come dimensione mentale, non va confuso con il cosiddetto appetito sessuale.  L’ ”istinto” sessuale si manifesta, insieme agli altri bisogni primari, come fattore biologico ed esercita la sua funzione evolutiva di mantenimento della specie.

L’impulso sessuale, ormonale, nello spazio mentale interagisce con gli altri spazi immaginativi e diventa dimensione erotica: una modalità specifica di costruire, “generare” immagini e, dunque, di progettare.

Si tratta di una mente pluridimensionale (con molte sfaccettature) o di un unico spazio mentale, integrato, a sette dimensioni?

Ritengo che ci possano essere momenti, nella vita, o persone, che utilizzino in modo non integrato le potenzialità e qualità della mente immaginativa.

Sono, tuttavia, potenzialità che possono essere sviluppate: perciò è utile la formazione.

Raggiungere la capacità d’uso della mente come spazio integrato, in cui le sette dimensioni cooperano alla generazione di progetti (immagini, idee, procedure, pianificazioni), è possibile e fa parte dello sviluppo umano, sia del singolo, sia del genere.

La virtualità, ossia  la speranza del futuro – pre-vedere

Il futuro, nello spazio mente, non fa parte del tempo: nella mente le immagini sono sempre al presente, lì e in quel momento; possono essere archiviate nella memoria, possono subire metamorfosi, ma sono sempre “presenti”.

Del resto, ogni progetto presuppone un tempo in cui potrà, dovrà essere realizzato.

E’ una necessità del progetto implicare la speranza di un futuro in cui il progetto stesso sarà possibile, verrà generato e oggettivato.

Ogni progetto è un investimento su un possibile futuro che gli è dato e dovuto se vuole esserci. Se vuole passare dal possibile al “fattibile” e al realizzabile – realizzato.

Il giudizio di fattibilità indica la potenza del progetto. Fa parte, ancora, della virtualità, che è il modo di essere dello spazio mentale a sette dimensioni, la matrice del progettare.

Lo spazio mentale è uno spazio vuoto. Ma matriciale: è un vuoto gravido di infinite epifanie di immagini: emozioni e idee, segni e simboli, progetti. In questo consiste la virtualità di ogni progetto.

Nel progettare, la mente investe e ipoteca il futuro, lo pre-vede, in un gioco virtuale: “Supponiamo che…”

Un progetto possibile, perché ha investito sulla speranza del tempo futuro, non necessariamente è fattibile a breve, come dimostrano i tanti progetti leonardeschi e i “sogni”, le aspirazioni progettuali di tutti gli uomini.

La mancata realizzazione di tanti progetti dipende, dal punto di vista logico, probabilmente dal fatto che, nello spazio virtuale della mente, ogni progetto partecipa delle sette dimensioni che lo generano, mentre, quando lo si deve realizzare, si opera una violenta riduzione alle tre dello spazio fisico o alle quattro della “realtà” storica.

La tecnologia si sforza di elaborare progetti che ottemperino alla prevedibilità scientifica e, perciò, siano fattibili, in sé diligentemente ricorsivi, algoritmici.

Si tratta, in tutti i modi, di operare una serie di adattamenti e di adeguamenti, di “riduzioni” dimensionali, sino al punto che un progetto può venire “snaturato”, come si dice comunemente.


[1] Per queste riflessioni si sono seguiti i seguenti autori  “sistemici”:

G. Bateson, Una sacra unità, Adelphi, Milano 1997, G. Bateson, Mente e natura, Adelphi, Milano 1984, E. Marconi, Spazio e linguaggio, IPL, Milano 1990, K. R. Popper, Congetture e confutazioni, Il Mulino, Bologna 1972, L. Irigaray, Etica della differenza sessuale, Feltrinelli, Milano 1990.

Autore: Daniele Trevisani. Estratto dal volume “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano, 2009, Copyright

2.5. Le nuove competenze emotive (mood awareness, mood labeling, mood monitoring, cognitive la­beling)

Bisognerebbe tentare di essere felici, non fosse altro per dare l’esempio.

(Jacques Prévert)

L’umore è uno degli elementi più esplicitamente correlati alle energie mentali, e dalle forti capacità “contagiose”, in bene e in male.

Un umore è una condizione emotiva di maggiore durata rispetto al­l’emozione istantanea, e meno collegata ad un singolo evento scatenante.

I tipi di personalità sono invece tratti più duraturi che predispongono a tipi di umore specifici. Lottare contro l’eredità umorale appresa è una sfida nobile.

Secondo Thayer, l’umore è un prodotto di due dimensioni, l’energia e la tensione[1]. Gli umori positivi avvengono in zone di energie elevate e stato di calma, mentre ci sentiamo peggio quando siamo in condizione di basse energie fisiche accompagnate a tensione emotiva.

Bassi livelli di energie mentali sono in genere accompagnati da condizioni umorali negative, tristezza, depressione, mentre alti livelli sono accompagnati da stati positivi, dal rilassamento sino alla gioia e all’euforia.

Ciò che ci interessa maggiormente in termini di coaching analitico è il concetto di mood awareness[2], la consapevolezza dello stato umorale, una capacità specifica ed allenabile, composta da mood labeling (saper etichettare lo stato emotivo in corso) e mood monitoring (saper monitorare l’anda­mento del proprio umore, coscientemente, tener traccia delle variazioni).

Il labeling, in particolare, rappresenta il ponte essenziale tra il sentimento interno e la possibilità di comunicarlo.

Comunicare ad altri come ci si sente è importantissimo, ed è tema di cui si occupano molte ricerche, che giungono a inquadrare il concetto di empatia interna[3], o la capacità di capirsi. Questa dipende anche dalla capacità di trovare etichette (verbali) per gli stati cognitivi e per i sentimenti vissuti.

Conoscere i propri stati e non negarli è essenziale, ma poi serve la capacità di descriverli e – soprattutto –  l’occasione fisica, vera, di parlarne a qualcuno che ci ascolti.  Trovare oggi chi sia in grado da farci da contenitore emotivo è qualcosa di estremamente raro, ma non è su questo che mi voglio soffermare ora. Il fattore tecnico è che anche quando questa occasione di ascolto accade, non siamo sufficientemente capaci di esprimere i nostri veri sentimenti con precisione. Di questo ogni coach, leader o psicologo dovrebbe tenere conto.

Più in generale, la capacità di riuscire a dare nome e descrizione ai processi mentali in corso (cognitive labeling skills) permette di crescere psicologicamente.

Infatti, non è per nulla scontato sapere come ci si sente, riuscire a riflettervi sopra analiticamente, o riuscire a comunicarlo, prima che gli umori diventino distruttivi. Molti subiscono lo stato umorale passivamente, o non riescono a condividerlo, o essere ascoltati, e in questo modo non arrivano a scardinare i meccanismi che lo generano, o replicare stati positivi.

Le energie mentali producono specifici stati umorali. Nella fig. 2 vediamo diverse tipologie.

La domanda primaria rispetto allo schema evidenziato è “come ti senti?” L’attività di scavo deve riguardare invece il “perché ti senti così?”

All’interno delle risposte devono essere notati e scoperti i meccanismi di ragionamento che depotenziano e corrodono l’umore, le azioni e stili di vita che avvizziscono la persona, gli stili cognitivi disfunzionali, le aree su cui lavorare, e tutte le azioni invece positive da consolidare e rinforzare.

La psicoenergetica nel metodo HPM si occupa dei fattori psicologici che producono tali stati soggettivi o livelli di umore.

In questo lavoro, non è possibile astenersi dal giudizio, non è possibile evitare di applicare valori e criteri di riferimento personali.

In questo, il coaching differenzia sostanzialmente dalla psicoterapia non direttiva, in quanto arriva a dare giudizi di valore e indicare strade da perseguire.


[1] Thayer, R. E. (1989), The biopsychology of mood and arousal, Oxford University Press, New York, NY.

Thayer, R. E. (1996), The origin of everyday moods: Managing energy, tension and stress, Oxford University Press, New York, NY.

Thayer, R. E. (2001), Calm Energy, Oxford University Press, New York, NY.

[2] Woodhouse, S. S., Gelso, C.J. (2008), Volunteer Client Adult Attachment, Memory for In-Session Emotion, and Mood Awareness: An Affect Regulation Perspective, Journal of Counseling Psychology, v. 55, n. 2, pp. 197-208, Apr.

[3] Jackson, E. (1986), Internal Empathy, Cognitive Labeling, and Demonstrated Empathy, Journal of Humanistic Education and Development, v. 24, n. 3, pp. 104-115, Mar.

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Copyright, Articolo estratto con il permesso dell’autore, dal volume di Daniele Trevisani “Il Potenziale Umano“, Franco Angeli editore, Milano.2009. Pubblicato con il contributo editoriale di Studio Trevisani Communication Research, Formazione e Coaching.

Negoziare con i Giapponesi. Regole di cerimoniale per evitare spiacevoli inconvenienti.

di Roberto Colella

In: Communication Research, n. 01/2010, Rivista di Psicologia, Comunicazione, Formazione, edited by Medialab Research, www.medialab-research.com con la collaborazione di Studio Trevisani www.studiotrevisani.it

Esistono personalità al mondo che possono essere avvicinate e toccate come ad esempio il Papa, la massima autorità religiosa cattolica. Ne esistono però anche altre altrettanto importanti che non possono essere neanche avvicinate. E’ il caso dell’Imperatore del Giappone di fronte al quale bisogna mantenere una distanza di 3 metri, a differenza dei 2 metri previsti per l’Imperatrice.

Questo è soltanto uno degli aspetti che riguardano il complesso e articolato cerimoniale giapponese.

La cultura giapponese è molto diversa da quella occidentale. Si potrebbe partire dal saluto. Sarebbe grave salutare un giapponese con una stretta di mano, ma a seconda del rango della personalità che si ha davanti, si usa un tipo di inchino che può essere a 45°, a 30° oppure soltanto un cenno.

Durante un incontro di lavoro per i giapponesi sono molto importanti i convenevoli. Risulta molto difficile che un giapponese risponda ad una domanda con un “No” secco, bensì è in grado di elaborare un lungo discorso il cui possibile rifiuto finale si cela dietro alcuni ammirabili ringraziamenti ed apprezzamenti.

Quindi l’esito di una proposta di accordo economico sarà il frutto di un lungo ed articolato discorso. Anche nel momento in cui si invia una lettera ad un manager giapponese evitare sempre di andare subito al sodo. La forma per i giapponesi è qualcosa di sacro!

Solitamente il personale lavora insieme nello stesso ufficio e allo stesso piano. Il manager si trova seduto in una posizione dalla quale riesce ad osservare tutti i dipendenti mentre lavorano. L’orario di lavoro va dalle 9 del mattino alle 17 del pomeriggio.

Se ci si reca in Giapponese durante i mesi di Luglio o di Dicembre, bisogna sapere che sono mesi in cui ci si scambia dei regali. Sul regalo apro una parentesi. Il regalo non va mai incartato con carta bianca perché simboleggia la morte, inoltre non va mai scartato davanti alla persona che ce  lo ha donato.

Per i giapponesi è molto sentita la distinzione tra ambiente esterno e ambiente interno. Prima di entrare in una casa giapponese bisogna togliersi il cappotto e poi le scarpe. In merito alle scarpe bisogna dire che la donna che accompagna l’uomo si fermerà a predisporre le scarpe in direzione di uscita, invertendo quindi la posizione con un movimento rotatorio. L’ospite verrà accolto nella stanza più lontana dalla porta di ingresso. Ricordiamo che una casa giapponese, almeno quelle tradizionali e non i grattacieli di Tokyo, sono costruite in legno, caratterizzate da porte scorrevoli e da almeno una stanza tatami.

Ovviamente anche nei ristoranti si cammina senza scarpe, sui pavimenti di tatami, mangiando la cucina tradizionale con hashi, i bastoncini di legno con i quali non bisogna mai infilzare il cibo. E’ quanto di più maleducato si possa fare.

All’interno dei ristoranti non si richiede il menù, visto che i piatti sono esposti in vetrina. La cucina giapponese resta in assoluto anche quella più internazionale, visto che il Giappone, Tokyo in particolare, è tra le nazioni simbolo della finanza e degli affari. Esempio di una tipica settimana: lunedì (pranzo all’occidentale), martedì (cinese), mercoledì (giapponese tradizionale), giovedì (sashimi), venerdì (curry), sabato (verdura o cibo di mare), domenica (tempura). Dare la mancia non rientra tra le consuetudini dei giapponesi in quanto negli alberghi, nei ryokan (tipici alberghi giapponesi) o nei ristoranti, il conto comprende un’aggiunta del 10-15% per il servizio. Quindi non lasciare mance.

Infine il Giappone è famoso anche per la sicurezza che regna nelle strade delle sue città. Le donne possono girare da sole sia di giorno che di notte e spesso si vedono bambini prendere da soli la metropolitana. Una giacca, una borsa o un portafoglio lasciati sul tavolo di un ristorante in attesa del loro proprietario, né preoccupano, né tentano nessuno.

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Copyright dell’autore, è consentita la riproduzione dell’articolo o di suoi estratti solo previa citazione dell’autore stesso e della fonte.

Come riconoscere le Trappole Mentali, Gabbie Mentali, Trappole Cognitive, Distorsioni della Valutazione, Alterazioni del Giudizio

Obiettivi: capire i meccanismi alla base delle decisioni sbagliate, migliorare le proprie capacità di analisi, decisione e controllo della situazione

La mente umana è uno strumento eccezionale, ma la velocità con la quale siamo chiamati a fare analisi e prendere decisioni in condizioni incerte ci porta a scorciatoie e trappole mentali che, anzichè aiutare, e velocizzare il ragionamento, ci portano in errore. Come evidenzia bene un autore della rete (http://artemisia-blog.blogspot.com/2008/12/trappole-mentali.html)

…”Uno dei vari giochi che propone il professor Motterlini è quello del pallone e delle scarpe da calcio che costano complessivamente 110 Euro. Se le sole scarpe costano 100 euro in più del pallone, quanto costa quest’ultimo? La maggior parte delle persone risponde subito istintivamente che il pallone costa 10 euro. Perché? Il motivo è che nel nostro cervello ci sono due sistemi: il sistema 1, istintivo, veloce, costa poco sforzo, fa fare tante cose insieme e ci porta ad ingannarci, e il sistema 2 più accurato ma lento, pigro, richiede sforzo, concentrazione e quindi ci impedisce di fare più cose insieme, basato su regole apprese con fatica. Il nostro “pilota automatico” (il sistema 1) parte subito e ci fa rispondere che il pallone costa 10 euro e solo dopo aver attivato il sistema 2 ci correggiamo e capiamo che costa 5″…

Questo caso è utile per riflettere, ma la vita ce ne presenta in continuazione e di ben più subdoli. Sembrava persino ovvio e banale perdere tempo a ragionare. Chiedete quante volte un managere ha deciso di andare ad un appuntamento importante preparandosi una lista scritta di ascolto, una serie di domande da fare, una wish-list di informazioni da ottenere. Risposta: raro, rarissimo… siamo disabituati ad ascoltare, a ragionare, a fermare la testa indaffarata nel suo brulicare. Ragionare in modo libero e pulito da condizionamenti è difficile. Liberarsi dai condizionamenti è difficile. E tuttavia, perchè tenerseli, perchè non provarci?

La formulazione del problema spesso trae in inganno. Nei nostri corsi aziendali è fondamentale coltivare precisione e chiarezza del linguaggio, sviluppare doti di focusing (capacità di focalizzare), concentrazione, precisione e lucidità del ragionamento, nella vita aziendale, ma anche per le decisioni da prendere in caso di crisi. Non è un caso se in questo tipo di training vi sia una forte presenza di manager che devono prendere decisioni critiche, forze dell’ordine o militari o servizi di sicurezza, protezione civile, personale medico, e altri ruoli delicati nei quali è indispensabile (non quindi una moda) ripulire il pensiero dalle percezioni errate. Bene, quanti di questi errori compiamo? Quante decisioni aziendali che sembrano logiche, immediate, ovvie, non lo sono? Quante analisi soffrono di distorsione e portano questa distorsione nelle decisioni da prendere, e quindi nelle scelte pratiche, VERE, della vita personale e aziendale? Le opportunità di ragionare sugli errori nelle decisioni e sugli errori nei ragionamenti sono rare. I nostri sistemi difensivi entrano subito in azione. Non ci piace sentire di avere sbagliato, a volte preferiamo conservare un’immagine positiva di noi stessi e alteriamo interi dati di realtà pur di conservare integra l’immagine di “buoni valutatori” e di “buoni manager”, o “buoni decisori”. non solo in azienda, ma anche nelle nostre scelte di vita e nelle scelte professionali quotidiane. esempi di problematiche in cui entrano le trappole mentali: Quanto incidono questi errori sulle scelte critiche di strategia, che fronteggiano le imprese, esempi, in alcune aree: Scelte strategiche Investire su un mercato o un altro, in un settore o in un altro settore? Promuovere un prodotto o lasciarne morire un altro? Quali sono i nostri investimenti prioritari? Cosa ci garantirà un buon equilibrio aziendale? Quali scelte invece sembrano a prima vista vincenti ma ci conducono in trappola? Investimenti materiali: aprire o chiudere uno stabilimento e dove? Avviare una delocalizzazione o accentrare? A quale tipo di struttura ottimale dovremmo tendere? Investimenti immateriali: investire in quale area? In Ricerca tecnologica, in Qualità tecnica, in Qualità del servizio, in Formazione Aziendale, o dove altro? Tagliare quali costi? Perché questi e non altri? Quali sono le due operazioni primarie da fare il prossimo anno? Personale, Risorse Umane Cercare quale tipo di personale? Di quali persone avremmo veramente bisogno? Quali sono i modi migliori per trovarli? Quali sono i modi migliori per fare formazione aziendale, trattenere i talenti, e valorizzarne le risorse in azienda? Che valore vero ha portato, nel suo operato, una certa persona all’azienda? Quali sono le prime due persone che dovremmo mandare fuori dall’azienda, e perchè? Vendita, Commerciale, Marketing, Comunicazione Stiamo facendo le scelte giuste nei punti di vendita o distribuzione? I nostri punti vendita sono come dovrebbero essere? E il nostro posizionamento di mercato? E’ più importante tagliare i prezzi o trovare una differenziazione altrove? E dove? Dove sono i colli di bottiglia che frenano il potenziale di un gruppo di lavoro o dell’intera impresa? Gli assetti attuali sono equilibrati? I numeri raccontano la realtà vera delle cose? Immaginate cosa significa un errore in ciascuna di queste aree. Immaginate cosa significa fare una analisi sbagliata, e prendere quindi la strada sbagliata, in una o più di queste domande? Quanti errori possiamo permetterci prima pagare un prezzo troppo alto? Che benefici concreti possiamo ottenere se riusciamo a fare una buona analisi almeno su un punto chiave per ogni area? Il training esamina le principali scoperte che la psicologia e le scienze cognitive hanno compiuto sul tema delle trappole cognitive, e come queste possono essere applicate nella vita di tutti i giorni nelle proprie scelte, e nelle decisioni aziendali che contano. Il training ci permette di prendere coscienza di quali dati e abitudini, seppure eclatanti o abituali, sarebbe meglio trascurare (depurazione mentale), e quali sono i fattori che sarebbe meglio portare nelle nostre analisi (arricchimento mentale e decisionale). Osservate una riunione aziendale, o un gruppo di persone che decide. Quante volte ci succede di concentrarci su fatti che poi si sono rivelati inutili, e trascurare elementi che contano veramente? Le trappole cognitive sono ovunque, si annidano nelle nostre abitudini comportamentali, vengono assorbite per osmosi e per osservazione, e – come un virus – rendono l’organismo-azienda meno forte, aprono varchi all’ingresso di malessere organizzativo e successive crisi di mercato. Dietro ad ogni prodotto sbagliato c’è un ragionamento sbagliato. Dietro ad ogni decisione sbagliata ci sono modalità di ragionare che possono essere migliorate. Anche le decisioni giuste, o le scelte passate, quando corrette, potevano probabilmente essere ancora migliori, e i tempi per prenderle più ridotti. Per le di attività di formazione e corsi inerenti il miglioramento nell’analisi e nella decisione, siamo in grado di avviare progetti ad hoc – progetti formativi esperienziali, pratici – ma basati su solide conoscenze scientifiche. Questi progetti formativi permettono di avvalersi di casi, pratica, ed esercitazioni specifiche, per migliorare le capacità di analisi, la formazione manageriale sulle decisioni, le tecniche di riconoscimento delle Trappole Mentali, Gabbie Mentali, Trappole Cognitive, Distorsioni della Valutazione, e dare impulso alle priorità che ci permettono di fare passi importanti per consolidare l’azienda che vorremmo essere o il team che vorremmo diventare, o mantenere elevati i fattori attuali di successo. Lo sviluppo di progetti personalizzati viene realizzato dietro preventivazione specifica, per la quale è indispensabile avviare un contatto preliminare nei riferimenti riportati presso il sito Studio Trevisani.

Articolo di Daniele Trevisani

Categoria: Formazione Manageriale Avanzata – Corsi Aziendali Innovativi

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Materiali di analisi storica del discorso persuasivo, discorso politico e public speaking. Di particolare interesse l’utilizzo delle comunicazioni di tipo imagery (stimoli visuali inseriti nella comunicazione verbale).

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Terremoto, morti, competenti, incompetenti, si può prevedere, non si può prevedere? Si poteva fare qualcosa, non si poteva fare? Basta girarci attorno, è anche questione di incompetenze e ignoranza. Provo uno schifo infinto, sento il dolore di chi è stato sepolto da qualcosa che si poteva prevedere… (ops, ci sono anche i teorici dell’imprevedibilità… Palle! Le tecniche previsionali sono assolutamente avanzate, ma se nei posti che contano, nella ricerca, nell’università italiana, nella direzione di strutture nevralgiche, ci sono raccomandati, non ci si può fare niente?)… e se tecnicamente non si potesse prevedere, le case almeno si potevano consolidare, da anni ed anni, nelle zone sisimiche. Ma preferiamo fare grandi opere, cattedrali nel deserto. Provo ad esprimerlo meglio:

http://formazioneaziendale.wordpress.com/2009/04/10/formazione-come-obbligo-morale-di-chi-dirige/

Per chi è su Facebook, ho fondato un gruppo che propone di smettere di spendere soldi pubblici in stupidaggini, e metterli nelle vite degli italiani. http://apps.facebook.com/causes/267783?m=96aaaf39