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© Tratto dal libro di Daniele Trevisani “Team Leadership e Comunicazione Operativa” http://amzn.to/2dPB0cD

Team Leadership e Comunicazione Operativa

La leadership emozionale

La leadership emozionale propone di inserire tra i fattori di successo della gestione di un gruppo la capacità del leader nel “leggere le persone” sotto il profilo emozionale, capire i propri stati interiori e quelli altrui.

Questo permette di muovere il cursore della comunicazione con consapevolezza, tra le polarità (entrambe necessarie) della direttività (fronte hard) e la polarità dell’empatia e della relazione d’aiuto (fronte soft).

Quali implicazioni pratiche nella direzione dei team? La prima e più forte considerazione viene dalla natura biologica dell’essere umano che opera in azienda. Le emozioni sono risposte psico-biologiche dell’organismo e non possono essere “spente” a comando.

Ad un livello “immaturo” di leadership emozionale, possiamo al massimo pensare di attutire e “camuffare” la manifestazione esterna delle emozioni, ma non impedire il loro prodursi. Ad un livello “intermedio” possiamo affinare le sensibilità propriocettive (la percezione interna) ed agire sulle intensità emotive diventando più abili nel gestirle. Ad un livello “avanzato” possiamo ristrutturare completamente le nostre risposte emotive agli stimoli esterni.

Quando predominano emozioni negative, la produttività scende al di sotto di qualsiasi soglia di accettazione, la leadership stessa viene vissuta come una condizione di frustrazione, e la partecipazione al gruppo diventa sempre più un obbligo (dal quale sfuggire prima possibile). Se predominano emozioni positive possiamo invece aspirare alla “condizione di flusso”, uno stato nel quale il lavoro viene vissuto come una gioia – una sensazione piacevole dello scorrere del tempo e dei rapporti con le persone – una condizione esistenziale che trasforma il lavoro: da gabbia a luogo di espressione ed autorealizzazione.

Le implicazioni per la produttività sono immediate, enormi, ma questo è nulla a fronte della rivoluzione sociologica che questo passaggio può implicare: il lavoro come liberazione cessa di essere utopia ed entra nella sfera del possibile. Ovviamente, non bastano trucchi e scorciatoie per raggiungere questo stato, e chiunque creda/proponga soluzioni “da un minuto” o altre ricette facili e pronte per l’uso sta compiendo un grave falso e un errore di sottovalutazione.

Le implicazioni pratiche per il Counseling Aziendale

In azienda si può vivere meglio, rendere di più, ed essere più felici.

Rispetto alle possibili interrelazioni tra i diversi temi, il metodo HPM evidenzia come il successo nel gestire un team dipenda largamente dalla capacità di riconoscere e valorizzare le dinamiche conversazionali che avvengono nelle interazioni quotidiane dei gruppi. Allo stesso tempo, viene evidenziata la necessità di sviluppare la componente emotiva che inevitabilmente accompagna le relazioni umane e le comunicazioni interne.

La qualità della vita all’interno di un gruppo è fortemente influenzata da due fattori:

  • L’ecologia della comunicazione: l’analisi e gestione del clima psicologico all’interno di un gruppo dipende largamente dalla comunicazione e dagli stati conversazionali che intercorrono tra i membri. Non possiamo pensare di “acquistare” climi positivi: si tratta di una merce non in vendita. E’ invece necessario sforzarsi nella direzione dell’ampliamento delle competenze comunicative e conversazionali.
  • La leadership emozionale, la capacità di attingere con successo alle risorse emotive della persona e del gruppo per coordinare e dirigere i team e i progetti, richiede competenze comunicative “ad-hoc”. Larga parte del lavoro richiede un dis-apprendimento (unlearning) di schemi mentali assimilati durante la crescita, nei quali è stato creato il “blocco espressivo emozionale” (tappo, o coperchio all’espressione delle emozioni) che l’adulto trascina con se come un fardello per il resto della sua esistenza.

Date queste premesse, è necessario approfondire gli strumenti operativi e pragmatici che permettono di agire su due fronti.

Sul versante aziendale:

  • cambiare la qualità della vita e i risultati aziendali agendo sulle variabili comunicative dei gruppi;
  • produrre climi comunicativi positivi in un gruppo di lavoro intento a raggiungere un obiettivo;
  • migliorare la prontezza di risposta aziendale verso le sfide esterne, agendo sui processi di comunicazione interna e direzione.

Sul piano individuale e della crescita personale:

  • capire i fattori del proprio successo all’interno delle dinamiche di gruppo;
  • dotarsi di strumenti operativi nella direzione dei team;
  • crescere sotto il profilo della capacità di creare relazioni profonde, empatiche, emozionalmente ricche, nei rapporti umani, relative ai gruppi personali o familiari di cui si faccia parte.

© Tratto dal libro di Daniele Trevisani “Team Leadership e Comunicazione Operativa” http://amzn.to/2dPB0cD

Team Leadership e Comunicazione Operativa

© Tratto dal libro di Daniele Trevisani “Team Leadership e Comunicazione Operativa” http://amzn.to/2dPB0cD

Team Leadership e Comunicazione Operativa

Ci sono persone e situazioni in cui ci si sente affiatati, in cui per comunicare basta uno sguardo, o anticipiamo una telefonata in arrivo come se lo sapessimo… beh, in alcuni casi nella comunicazione si genera un caso speciale della fisica chiamato “entanglement”

Neuroni Specchio ed Entanglement. Nuove Frontiere per la comunicazione

Quanto poco sappiamo della realtà fisica che ci circonda…

Nuovi studi di fisica quantistica evidenziano fenomeni strani, relativi all’ “entanglement”, la connessione a distanza tra particelle che in modalità sconosciute comunicano tra di loro: “Se due particelle sono preparate in modo da essere entangled, la misurazione su una particella fa immediatamente collassare lo stato dell’altra, posta a una distanza arbitraria dalla prima, come se ci fosse un’informazione in grado di propagarsi con velocità virtualmente infinita”[1].

In pratica, si osserva un fenomeno che non dovrebbe accadere secondo le conoscenze attuali, si prende atto e si buttano via tutti i libri di fisica e comunicazione studiati finora.

Un’”informazione in grado di propagarsi con velocità virtualmente infinita” non e’ cosa da poco per chi studia la comunicazione… stiamo dicendo che in pratica se vi fossero due cervelli che possano essere resi “entangled” in 2 galassie diverse, potrebbero sentire l’uno quello che pensa l’altro e viceversa, avremmo la comunicazione istantanea a distanze impossibili da pensare ora. E questo potrebbe persino succedere tra persone nella stessa stanza.

Si apre la strada al fatto che vi sia un’influenza diretta tra attività cerebrali di persone che sono in contatto tra loro ma anche in distanza, che lo stato mentale di una persona possa trasferirsi, con meccanismi ancora non noti, alle persone vicine, ma persino a persone lontanissime.

Questo per quanto riguarda aspetti che la scienza deve mettere a fuoco. I meccanismi noti, quelli dei neuroni specchio, sono già ora sufficienti a farci capire che gli esseri umani sono veramente sensibili agli stati emotivi che vedono o con cui entrano in contatto. I neuroni specchio sono le aree cerebrali che ci permettono di ricevere e sentire emozioni, vissute da altri esseri viventi. Sono in pratica le aree cerebrali che permettono l’empatia[2].

Noi abbiamo aree mentali deputate a “farci sentire” e “farci provare” le emozioni che vediamo negli altri, o che sentiamo attraverso l’udito e i nostri stessi sensi, come se il loro stato diventasse il nostro, con una trasmissione e attivazione di zone cerebrali senza nessuna nostra approvazione esplicita o consenso esplicito.

I neuroni specchio sono una classe di neuroni che si attivano quando un individuo (agente) compie un’azione e quando l’individuo (osservatore) osserva l’azione, e svolgono un ruolo chiave nella percezione emotiva e nella comunicazione emotiva. Attraverso studi di risonanza magnetica, si è visto che i neuroni attivati dall’esecutore durante l’azione sono attivati anche nell’osservatore della medesima azione.

Questa classe di neuroni è stata individuata nei primati, in alcuni uccelli e nell’uomo. E questo spiega perché sia possibile ad esempio “sentire” le emozioni dia persona che piange, o che ride, persino di un cane, o che un cane senta le nostre, avendo meccanismi di sintonizzazione simili. Questo, ancora maggiormente tra esseri umani.

Siccome questi meccanismi sono spesso “sottili” e non per forza macroscopicamente urlati, anche in questo caso si apre la strada a nuove competenze da acquisire, sulla micro – detection dei segnali, e sul “cosa fare” con questa nuova informazione in ingresso, affinché si possa utilizzare ma senza sovraccaricare i sistemi emotivi e di information processing delle persone.

[1]Dylan H. Mahler, Lee Rozemal, Kent Fisher, Lydia Vermeyden, Kevin J. Resch, Howard M. Wiseman, and Aephraim Steinberg (2016), Quantum Mechanics. Experimental nonlocal and surreal Bohmian trajectories.  In Science Advances  19 Feb 2016: Vol. 2, no. 2.

[2] Matteo Rizzato, Davide Donelli, Io sono il tuo specchio. Neuroni specchio ed empatia, Edizioni Amrita, 2011. Rizzolatti G., Sinigaglia C., (2006), So quel che fai, Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Raffaello Cortina Editore. Iacoboni Marco, (2008), I neuroni a specchio. Come capiamo ciò che fanno gli altri, Bollati Boringhieri.

© Tratto dal libro di Daniele Trevisani “Team Leadership e Comunicazione Operativa” http://amzn.to/2dPB0cD

Team Leadership e Comunicazione Operativa
Il contatto con le proprie sensazioni interne è spesso sfuggente, accadono, non ne siamo pienamente coscienti finchè non bussano con forza e superano la nostra soglia di attenzione. Esiste un metodo, tuttavia, per affinare la nostra capacità di “sintonizzarci” e ascoltare le nostre sensazioni, dargli spazio, accoglierle, non giudicarle troppo presto, e lasciare che ci indichino strade e percorsi.

Focusing

Rielaborato con modifiche Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

Il termine Focusing (ingl. mettere a fuoco) indica in psicoterapia, nel counseling, e nell’area consulenziale, la capacità del paziente di prestare attenzione a sensazioni e desideri che non sono ancora stati espressi in parole.

Il termine è stato introdotto dallo psicoterapeuta Eugene T. Gendlin, allievo e collaboratore di Carl Rogers[1]

Origini

Il Focusing nasce negli anni ’70 dall’osservazione e dall’esperienza clinica di Eugene Gendlin (Vienna, 25 dicembre 1926) psicoterapeuta e filosofo della scienza, professore dell’Università di Chicago e collaboratore di Carl Rogers, fondatore della Psicologia umanistica. Gendlin, ascoltando le registrazioni di migliaia di ore di colloqui di psicoterapia, notò che alcuni pazienti avevano una predisposizione naturale ad ascoltarsi (natural-focuser) a differenza degli altri, che permetteva loro di cambiare, di trovare nuove soluzioni. Notò che questo avveniva perché non si limitavano al racconto della loro storia ma la esponevano arricchendola delle loro sensazioni fisiche vissute in quel momento (felt-sense), queste davano luogo ad un cambiamento corporeo (body-shift) che portava ad un ulteriore felt-sense[2].

Ascoltando sistematicamente le registrazioni di questi colloqui, di qualunque orientamento psicoterapeutico esse fossero, Gendlin si accorse che poteva prevedere già dai primi colloqui quali pazienti avrebbero avuto un beneficio dalla psicoterapia e si rese conto che questo modo di mettersi in ascolto di sé, era possibile insegnarlo. Quindi sistematizzò e formalizzò tale processo in sei passi, con lo scopo di renderlo utilizzabile anche al di fuori del set psicoterapeutico. Il Focusing è infatti uno strumento utile in diversi contesti ed è utilizzabile per sbloccare delle situazioni, per rilassarsi, per favorire la creatività, per promuovere un cambiamento[2].

I sei passi del focusing

1. Creare uno spazio: Per creare uno spazio occorre fare silenzio e restare con sé stessi dedicando qualche minuto al rilassamento. Questo è raggiungibile ascoltandosi: partendo dai piedi, le gambe, i glutei, la schiena, le spalle, il collo, la nuca, gli occhi, il naso fino a percepire l’aria che si respira; così facendo portiamo l’attenzione all’interno del corpo, nelle zone del petto e dello stomaco e sentiamo cosa succede. Con qualunque sensazione si incontra è possibile fare due cose: spostarla fuori ponendola in un luogo ritenuto da noi adatto, ad esempio al nostro fianco; oppure domandarsi: “‘come va la mia vita?”, “cosa è importante adesso per me ?”,e vedere cosa succede lasciando che la risposta provenga lentamente dalla percezione del corpo senza analizzarla; così facendo liberiamo, o meglio creiamo, uno spazio tra noi e quello che sentiamo.

2. La sensazione sentita: Tra le tante sensazioni se ne sceglie una sulla quale fare focusing senza analizzarla, portando l’attenzione nel punto esatto di dove si sente nel corpo, in modo di avere la percezione indefinita dell’intero problema.

3. Simbolizzare: Successivamente si lascia che dalla stessa sensazione emerga una parola, una frase, un gesto, un’immagine, un suono che la descriva perfettamente: come ad esempio si fa quando usciamo di casa con l’impressione di non aver fatto qualcosa, cercando di far combaciare quello che si sente con quello che non si è fatto, esempio: non abbiamo chiuso il gas, oppure abbiamo lasciato le finestre aperte, etc., fino a che non si trova la risposta che si adatta perfettamente a quello che si prova.

4. Risuonare: Ora si verifica la sensazione che si sente con la parola, la frase, il suono, l’immagine o il gesto, per vedere se risuonano e coincidono: questo produce solitamente un piccolo segnale fisico, un senso di sollievo o rilassamento, come ad esempio succede quando ci si ricorda di non avere chiuso le finestre prima di uscire di casa.

5. Porre domande: Di seguito è corretto chiedersi cosa qualifica il problema nel modo che lo si è appena descritto: ad esempio, “cosa c’è nella sensazione che ho sentito?”, o “che cosa rende il problema come lo sento?”, oppure “qual è la cosa più paurosa, disagevole, sgradevole, se si è sentito paura, disagio, sgradevolezza…?”. Si rimane con questa sensazione, riportando l’attenzione al corpo e integrandola ancora una volta, fino a che non avviene un ulteriore cambiamento (body-shift), come ad esempio un leggero sollievo o un rilassamento.

6. Accogliere: A questo punto si può accogliere il cambiamento, anche se è un piccolo rilassamento o un leggero sollievo, e questo è un punto di partenza di un ulteriore felt-sense.

Approcci contemporanei al focusing

Una metodologia contemporanea di Focusing è proposta dal ricercatore Daniele Trevisani nel metodo “Regie di Cambiamento[3] Il metodo invita a sviluppare azioni di focusing su tre specifiche aree del “felt sense” orientate alla crescita personale:

1. “Focusing sulla Rimozione”: gli aspetti dell’individuo sui quali la persona “sente” sia bene lavorare per farvi una pulizia interiore, gli elementi caratteriali dai quali ripulirsi, i comportamenti da rimuovere dalla propria sfera di vita e dal proprio repertorio comportamentale. Su questa sfera l’oggetto può essere vastissimo, e soggettivo, ad esempio, un individuo potrà trovare importante, dopo una fase di focusing, rimuovere il senso di fretta eccessivo che lo accompagna durante la giornata, mentre un altro individuo potrebbe trovare importante rimuovere un comportamento specifico, esempio, la procrastinazione (posticipazione continua delle decisioni).

2. “Focusing sugli Ancoraggi”: gli elementi che l’individuo “sente” gli appartengano e dei quali non vuole liberarsi, esempio, un valore personale forte e al quale non si vuole rinunciare.

3. “Focusing sugli Apprendimenti e Immissioni Positive”: gli elementi che l’individuo riesce a focalizzare come importanti per la crescita di nuove capacità, abilità, atteggiamenti, lo sviluppo di nuove conoscenze, competenze, l’ingresso di nuovi modi di essere, come l’ottimismo, o l’assertività, o la capacità di meditazione o gestione dello stress, apertura a nuove relazioni umane e sociali, e ogni altro elemento soggettivamente importante da far entrare nel proprio “sistema aperto”.

3 zone

Ne metodo delle “Regie di Cambiamento” lo stesso processo viene applicato anche al cambiamento organizzativo e risorse umane, per capire le traiettorie di sviluppo importanti per l’organizzazione e le azioni da intraprendere sulla rimozione, sugli ancoraggi e sugli apprendimenti organizzativi che coinvolgono il fattore umano dell’organizzazione.

Note

  1. ^ Ann Weiser Cornell, e Barbara McGavin, The Focusing Student’s and Companion’s Manual. Part One, Calluna Press, 2008, ISBN 0-9721058-0-8.
  2. ^ a b E. T. Gendlin. Focusing. Second edition, Bantam Books, 1982. ISBN 0-553-27833-9.
  3. ^ Daniele Trevisani, 2007, dal cap. 2, ” Principi delle regie di cambiamento, dal focusing al ricentraggio delle energie mentali”, Regie di cambiamento. Approcci integrati alle risorse umane, allo sviluppo personale e organizzativo e al coaching, ISBN 9788846483775

Bibliografia

  • (EN) E. T. Gendlin. Focusing. Second edition, Bantam Books, 1982. ISBN 0-553-27833-9.
  • (EN) E. T. Gendlin. Focusing-Oriented Psychotherapy: A Manual of the Experiential Method. Guilford Publications, 1996. ISBN 0-89862-479-7.
  • (EN) Ann Weiser Cornell. The Power of Focusing New Harbinger Publications, 1996.
  • Daniele Trevisani, Regie di cambiamento. Approcci integrati alle risorse umane, allo sviluppo personale e organizzativo e al coaching, FrancoAngeli, 1° edizione 2007, ISBN 9788846483775

Estratto con modifiche dall’autore, dal testo “Strategic Selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse“, © Franco Angeli editore, Milano. Di Daniele Trevisani

image025Mosse conversazionali, opportunità e difficoltà nel dialogo tra aziende

La difficoltà comunicativa esiste quotidianamente nel dialogo tra aziende, vediamo questo caso di micro-dialogo[1] tra C – un consulente e I – un imprenditore, i quali si trovano presso l’azienda di I una mattina su richiesta di I stesso:

Sequenza conversazionale

C1: Quindi lei mi diceva che vorrebbe fare un intervento di formazione sulla Sua rete di vendita?

I1: Sì, vorrei fare un pò di sana formazione.

C2: Su quali problemi vorrebbe agire? Quali sono le problematiche principali dei venditori al momento?

I2: Beh, sa, è gente preparata…con esperienza… ho persone di alto livello…

C3: Uhm, bene, ha già un’idea precisa dei tempi in cui vorrebbe fare la formazione?

I3: Beh, penso che in un paio di giorni si potrebbe fare no? Oppure possiamo fare alcuni pomeriggi. Quante ore servono secondo Lei?

C4: Mah, forse bisognerebbe prima cercare di capire quale impostazione dare all’intervento. Lei è interessato ad un intervento sulle risorse umane personalizzato e dedicato solo a voi, o a far partecipare i suoi venditori ad un corso a catalogo in cui i suoi siano “mescolati” ad altri partecipanti?

I4: Mahh, che differenza ci sarebbe?

C5: Beh, sicuramente la personalizzazione è diversa.

I5: Voi quanti corsi sulla vendita avete fatto ad aziende nel nostro settore?

C6: Guardi, abbiamo fatto molti corsi, non credo però che sia importante in quale settore, la formazione sulla vendita è una formazione sulla comunicazione, i temi da trattare sono di psicologia della comunicazione, comunque. Quale prodotto si venda non è in realtà così significativo.

I6: Ma, sa, io non vorrei un corso troppo teorico, mi serve qualcosa di applicato al mio settore, avete un elenco delle vostre referenze?

 

Sappiamo che questa trascrizione non può riportare tutta la ricchezza di un vero dialogo. Ad esempio, in una trascrizione – non riportando la sovrapposizione del parlato, o ancora le esitazioni di chi parla[2] e le espressioni facciali che accompagnano la voce – tutto sembra ridursi ad un semplice ping-pong comunicativo mentre la realtà di una conversazione è più complessa e ricca. Tuttavia anche con queste limitazioni, un brano si presta a riconoscere alcune mosse, alcune strategie dei comunicatori.

Ogni brano di questa conversazione può essere analizzato come un insieme di mosse conversazionali. Ogni mossa porta con se un’enorme mole di significati e di sistemi di significazione (sistemi culturali sottostanti).

Ogni mossa ha una valenza specifica, può essere o meno collaborativa, più o meno strategica, ma assume comunque importanza.

Vediamo subito che B rifiuta di esporre i problemi della sua rete di vendita (mossa I2, traducibile come un rifiuto nel dare una risposta diretta), e allo stesso tempo nella mossa I3 espone una visione di formazione come “fare ore”, non come “processo di crescita”.

Nella conversazione, C si concentra sulla analisi delle esigenze del cliente, mentre I attua un depistaggio conversazionale che sposta il focus sul curriculum di C, e lo distoglie sui suoi bisogni di formazione (mossa I5, dove l’imprenditore chiede al consulente quanti corsi abbiano già svolto per aziende simili alla sua).

C cerca di riportare il dialogo sull’asse dell’impostazione da dare al corso, (tentativo di ricentraggio conversazionale), mentre I – nella mossa I6 – continua nelle sue manovre di spostamento della conversazione dal bisogno formativo della sua rete vendita all’analisi del curriculum del consulente.

Nella mossa I6 inoltre esegue un primo attacco (sebbene velato) verso C, dichiarando che non è interessato ad un corso teorico, e quindi dando per scontato che il corso – senza la sua opera di inquadramento – sarebbe stato impostato in modo teorico.

Proseguendo, le divergenze culturali di fondo emergeranno con ancora maggiore forza, sino alla possibile conclusione, che sarà un conflitto aperto di culture, un nulla di fatto, o un accordo.

Tuttavia, senza “smontare” la comunicazione (in questo caso, riconoscere la valenza culturale e strategica delle mosse) l’esito sarà un probabile fallimento.

La negoziazione interculturale richiede quindi una grande attenzione alle mosse conversazionali, prima ancora che a grandi strategie negoziali che possono fallire se male applicate sul campo. La negoziazione tra aziende si misura nel teatro vero della comunicazione che è la conversazione negoziale.

 

Principio 11 – Gestione delle mosse conversazionali

Il successo della vendita dipende dalle competenze comunicative di:

  • gestione strategica delle proprie mosse conversazionali;

  • riconoscimento delle mosse conversazionali altrui e del loro intento strategico sottostante;

  • smontaggio ed esplicitazione (immissione aperta sul tavolo negoziale) dei sistemi di comunicazione della controparte.

 

© Copyright dott. Daniele Trevisani, Communication Research, www.studiotrevisani.it

[1] Ricostruzione di un dialogo reale tratto da affiancamenti consulenziali. Nel dialogo esposto di seguito, ogni “turno conversazionale” viene etichettato con un codice (es: C3 = turno 3 del C, consulente).

[2] Vedi Yotsukura (2003), p. 49

Le tecniche conversazionali (introduzione)

Estratto con modifiche dall’autore, dal testo “Strategic Selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse“, Franco Angeli editore, Milano. Di Daniele Trevisani —-

image025Cosa significa “tecnica conversazionale”? Significa dare una strategia alla nostra conversazione.

Dobbiamo innanzitutto capire che una interazione di vendita e una negoziazione sono basate – nel face to face – su specifici meccanismi della conversazione. Tra questi:

  • la gestione dei turni di conversazione (turn management)
  • il ricentraggio degli argomenti di conversazione: riportare la conversazione sui temi che noi vogliamo trattare, e accorgersi quando i temi deviano dalla traccia del “talking points” che vorremmo trattare
  • le tecniche di “ammorbidimento” delle relazioni (repair), ma soprattutto
  • la produzione di domande (dare ascolto), opposta alla produzione di emissioni persuasive o informative (ottenere ascolto).

Riuscire a bilanciare il flusso che esiste tra dare ascolto e ottenere ascolto (balancing) è una precisa tecnica conversazionale.

Nella vendita classica il conflitto è “per parlare”, e lo scopo è parlare più dell’altro o sovrastarlo con le proprie argomentazioni.

Nella vendita consulenziale troviamo il gioco opposto, il gioco diventa “chi fa parlare di più l’altro”, e lo scopo strategico è indurre il cliente in uno stato di “apertura” per poter ottenere le informazioni indispensabili a costruire un pacchetto consulenziale o di offerta.

Ottenere uno stato di apertura significa aprire sempre più il “flusso empatico” – il flusso di attenzione verso l’interlocutore che lo porta a fare delle aperture (disclosure), a dischiudere le proprie informazioni o posizioni. Tale tecnica è denominata nel nostro metodo Info-Bleeding (trasudazione informativa) e permette di ottenere informazioni indispensabili a rifinire la strategia e formularla.

Questo risultato richiede precise tecniche conversazionali, che nel nostro metodo assorbiamo dalle scienze di Analisi della Conversazione (Conversation Analysis), dalle tecniche di intervista degli informatori (Humint), dalle tecniche di intervista clinica in psicoterapia, e da altre fonti scientifiche, non ultime le tecniche utilizzate nelle investigazioni, opportunamente adattate al fatto di non volere in nessun modo creare una sensazione di “interrogatorio”.

Dietro ad ogni incontro tra realtà personali (incontro tra persone) e tra realtà aziendali (incontro tra aziende) esistono enormi potenziali da esplorare e questa consapevolezza alimenta chiunque non si accontenta della superficie, in ogni manifestazione dell’essere umano e della conoscenza umana.

La consapevolezza di sè (self-awareness) include il “come io comunico”, l’analisi di “qual è il mio stile conversazionale in una negoziazione”, ed è il tratto più importante della capacità di vendita, poiché in ogni vendita una persona porta con sè “se stesso”, i propri limiti, i propri principi morali e le sue esperienze ed abilità pratiche.

Le caratteristiche dell’azienda cliente e del sistema cliente – in senso più generale – sono estremamente importanti, ma (senza sminuirle) di minore importanza strategica rispetto alla costruzione di una buona conoscenza di sè e della propria azienda, poiché questo “lavoro” viene riutilizzato in ogni relazione di vendita, mentre lo studio di un cliente specifico è un investimento essenziale ma che trova rientro in una sola ed unica relazione di vendita.

La consapevolezza dell’istituzione che rappresentiamo, delle sue persone, dei suoi confini, delle sue forze e debolezze, è un anello forte della vendita consulenziale che ci accompagna in ogni trattativa, ma esso non verrà mai valorizzato se non è sostenuto dallo sviluppo delle proprie competenze comunicative.

Copyright dott. Daniele Trevisani

Già… notavo….una questione di stile… lo stile comunicativo di TESLA, notate qualche differenza con FCA? Io si, e tante – prima di tutte, la Motivazione di esistere di un prodotto e delle sue scelte messa al centro di tutto e come premessa… non male davvero…

Iniziamo dal nuovo e dal Buono. Più autentico, più genuino, e sopratutto, che spiega il suo motivo di esistere al momento attuale, il perchè sociale. Perchè esistiamo? E da questo fa derivare ciò che facciamo. NON viceversa.

Nel libro Psicologia di Marketing e Comunicazione ho evidenziato chiaramente che le persone, per acquisti importanti come l’auto, non sono unicamente alla ricerca di un mezzo che li porti da A a B, ma vogliono dimostrare l’adesione ad un “modo di essere” che quell’auto rappresenta. Un’auto può rappresentarti o meno per i valori che sono ad essa associati, e questo vale per ogni prodotto.

Tesla ha fatto l’operazione più scientifica esistente, mentre altri si limitano a scrivere una “patacca” sul retro di una normalissima sputagas con su scritot “Blue…” o “Eco…” mentre con quei gas di scarico puoi uccidere un intero reggimento per pura inalazione.

Lo stile di comunicazione compassato, un pò molto rigido, che io percepisco come Brutto, con (purtroppo dal punto di vista umano) svenimento conclusivo, del CEO BMW (ma qualsiasi altro marchio sarebbe andato bene)

http://www.youtube.com/watch?v=XUcU4PeP-As

Il Cattivo. Adesso scelgo… è che sono troppi….

Iniziamo da questo, il (EX) Ceo di Volkswagen (che controlla anche Audi) che di fronte al Dieselegate “truffa globale” dice che non ne sapeva niente, anzi rincara la dose “Volkswagen does not tolerate any kind of violation of laws whatsoever ” e mentre legge, si coglie l’occhio che scorre il testo che sta leggendo, e si vede, eccome (Indice di totale genuninità?) Ma… se fino ad un secondo prima aggredivi la Grecia per le sue difficoltà, dove lavoravi? In un Garden a fare i Bonsai? Ma certe cose fondamentali, in azienda, le sanno tutti quelli che contano, vieni a raccontare le favola in casa dei pifferai???

Lascio a voi la ricerca di altri stupendi brani …

Poi ci sono quelli che fai fatica a categorizzare… perchè suscitano emozioni miste

Qui non si sa cosa dire….da un lato la voglia di tornare a gioire per un marchio come Alfa, amore sfrenato di tanti Italiani onesti e veri, poi la rabbia per l’attesa di un modello che leggo “in uscita” da troppi anni sulle riviste del settore, pre non parlare del “Suv Alfa” di cui il concessionario mi “anticipa” da 12 anni circa… e  il non capire perchè escano modelli che non si ripagheranno mai e poi mai (un 2500 benzina, senza sistemi almeno ibridi, oggi è pura follia industriale)… e ancora, si notano altri modelli senza nessuna speranza di vendita reale che escono per essere poi ritirati dopo pochi mesi (con costi di progettazione ovviamente mai ammortizzati davvero, vedi la “Nuova Non Nuova Thema”)… e fa male anche il vedere leggere dal palco anzichè dentro, nel cuore, insomma, tanti aspetti comunicazionali da migliorare.

Ma noi continuiamo a tifare “Forza Italia” nel mondo della mobilità e vogliamo vedere un gruppo Italiano un giorno superare Tesla, in quanto, come patria di Leonardo da Vinci, in un Italia come principale paese mondiale esportatore di cervelli in fuga, e di tecnologie qui inventate e altrove sviluppate, come il Common Rail, la Radio, e quasi tutto ciò che si poteva inventare… avremmo tutte – davvero tutte – le risorse che servono.

Andiamo avanti… Mercedes… Di questo tipo di proclami poi, siao stanchissimi… cosa dire… continuare a proclamare che “in un futuro” uscirà un’auto elettrica che si guida da sola mentre nel “presente” esiste già (esempio il modello Toyota di Google) sta diventando patetico… video realizzati con rendering, Photoshop, no grazie, basta! Fateci vedere i modelli quando sono pronti, come fa Tesla, e rendeteli accessibili alla popolazione e non solo agli sceicchi di Dubai, perchè se voglio vedere un video alaborato col computer vado al cinema…, e in genere, non vado a sciare dentro ad un grattacielo con neve artificiale, la tuta da sci dentro e 50 gradi fuori, l’Italiano, non ha questa abitudine purtroppo.

…ma torniamo da dove siamo partiti… quando si annuncia una Car che sia un Concept vero, e la si FA PROVARE in un evento diventato Social… e la si può ordinare online da subito, allora la comunicazione aziendale ha fatto un passo in avanti enorme

…cosa dire in merito? La gente è stanca di proclami di “auto che verranno” e le vuole vedere e provare con le sue mani, come ha fatto Tesla…

Tornando alla questione di fondo su come i Valori Percepiti nel Prodotto portano ad un grado di repulsione  verso un marchio…

L’atto di acquisto comprende una valutazione sottostante di distanza valoriale. La distanza valoriale misura quanto distante sia l’immagine (ed i valori correlati) espressa dal prodotto rispetto all’immagine (ed i valori correlati) ricercati dall’acquirente. In essa rientra la riflessione condotta dal consumatore tra i propri valori sociali e valori percepiti nel prodotto, o nell’impresa venditrice (Daniele Trevisani, Psicologia di Marketing e Comunicazione)

E come meravigliarsi se il mondo ora, dopo lo scandalo del Dieselgate e delle emissioni truccate, ha una percezione diversa di Volkswagen e Audi? E come non sorprendersi che nel 2016 un gruppo come Fiat-Chrisler non abbia in listino un’auto ibrida. E come non meravigliarsi ancora di più per l’assenza di un qualsiasi modello di auto Ibrida Plug In con ricarica da pannelli solari  montanti su garage, tetti, e persino di un normalissimo tetto includente pannello solare? Forse qualcuno ha fastidio per il fatto che un’auto stando ferma in un piazzale possa ricaricarsi di energia al sole anzichè “solo” diventare un forno?

Dove è finita l’analisi che anticipa i sogni e volontà del cliente basandoso sulle sue esigenze latenti, anzichè aspettare che qualcuno esplicitamente e consapevolmente ti dica cosa fare della tua ricerca e sviluppo?

Fig. 6.2 – Consonanze e dissonanze valoriali nel prodotto

valori del prodotto e condivisione valoriale

Tornando alla Psicologia del Marketing espressa nel volume Psicologia di Marketing e Comunicazione:

La vicinanza valoriale produce gradimento aumentato, affetto e identificazione con il prodotto. Al crescere della distanza valoriale si innescano invece fenomeni prima di disinteresse, poi di disprezzo, sino al boicottaggio attivo dei prodotti per ciò che essi significano politicamente e culturalmente. Ad esempio, fenomeni di boicottaggio hanno riguardato i prodotti sudafricani durante l’apartheid[1], il cui acquisto era visto come un modo di supportare il regime razzista, le banane delle multinazionali, il cui acquisto veniva (e viene) considerato un modo di finanziare lo sfruttamento dei paesi poveri, o i prodotti della Microsoft, assunti da diversi gruppi hacker a simbolo di imperialismo culturale nel campo del software. Questi, e molti altri casi di boicottaggio valoriale dei prodotti permeano tutta la storia dell’economia occidentale (Daniele Trevisani)

[1] Regime di separazione tra popolazione bianca e nera, in vigore in Sudafrica sino agli anni ’80.

Articolo a cura di Daniele Trevisani, Consulenza in Customer Dreams Analysis per il Marketing www.studiotrevisani.it

 

 

 

 

 

 

 

Certe idee si diffondono, altre si estinguono, come le specie del mondo naturale; certe mode si propagano come i virus, le epidemie; l’ambiente culturale di una società può prosperare o inaridire come un territorio fisico.

Si tratta solo di un’analogia, ma alcuni biologi e studiosi di intelligenza artificiale hanno suggerito che l’evoluzione biologica prosegua e acceleri come evoluzione culturale, che le idee e i segni si comportino entro certi limiti alla stessa maniera dei geni del mondo animale, cioè come ‘macchine capaci di ricopiarsi’, la cui sopravvivenza dipende dalla propria capacità di produrre e diffondere copie di se stesse.

È l’ipotesi dei ‘memi’, come Richard Dawkins ha battezzato gli elementi minimi di questa evoluzione immateriale.

Tutti gli esseri viventi sono immersi in una sottile pellicola che avvolge la terra, in cui sono conservate le condizioni fisiche e chimiche necessarie alla loro sopravvivenza: una certa temperatura, una certa quantità di ossigeno ecc. questo strato propizio alla vita, spesso alcuni chilometri e vasto come l’intera superficie terrestre, è chiamato biosfera.

Gli esseri umani, per sopravvivere come tali, hanno bisogno non soltanto di questo supporto biologico, ma anche di un ambiente comunicativo o culturale. Nelle ricerche del dott. Daniele Trevisani, si parla di “Aquario Esistenziale” per indicare il tipo di esperienze fisiche ed emotive in cui siamo immersi.

Per analogia con la biosfera, è possibile chiamare “semiosfera” il complesso dei fenomeni comunicativi e di pensiero che ci circondano e da cui dipendiamo, e “acquario comunicativo” il sistema di parole, immagini, suoni, musiche, messaggi che ti arrivano, consapevolmente o meno, e ti avvolgono come una pellicola.

E tu, in che pellicola sei avvolto? concepto-de-semiotica-300x173

Funzioni e princìpi del discorso persuasivo (fonte: Wikipedia)
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Anzitutto, uno sguardo preliminare alle funzioni che deve assolvere un discorso, che vengono così indicate da Quintiliano:[84]

  • docere et probare, ovvero informare e convincere;
  • delectare, catturare l’attenzione con un discorso vivace e non noioso;
  • movere, commuovere il pubblico per far sì che aderisca alla tesi dell’oratore.

Inoltre, Reboul riassume in tre princìpi fondamentali le regole che devono essere seguite dal retore per essere persuasivo:

  • Principio di non parafrasi. Anzitutto, un discorso efficace non deve essere parafrasabile, cioè non si deve poter sostituire i suoi enunciati portanti con altri enunciati senza che vi sia una perdita di informazioni, o comunque un’alterazione del senso. Questo principio, osserva Reboul, diventa più chiaro se si prendono in esame i tropi e le figure, le quali perdono di significato se tradotte in un’altra lingua o se si tenta di cambiarne le parole.[85]
  • Principio di chiusura. All’impossibilità di essere parafrasato si accompagna l’irrefutabilità del discorso. In altre parole, per un avversario deve essere impossibile – o quasi – ribattere a quanto detto dall’oratore, a meno che anch’egli non trovi un argomento che si colloca sul medesimo livello. Un esempio sono le formule, come gli slogan pubblicitari, la cui forza risiede nell’impossibilità di replicarvi, se non appunto ricorrendo a un altro slogan.[86]
  • Principio di trasferimento. Infine, il discorso persuasivo, per essere tale, deve avere come punto di partenza una convinzione accettata dall’uditorio e trasferita sull’oggetto del proprio discorso. Un’opinione radicata nelle menti di molte persone, infatti, benché relativa apparirà comunque vera agli occhi dei più, e la sua forza aumenterà con l’aumentare degli elementi affettivi e intellettuali a suo favore. In questo modo anche i desideri diventano in qualche misura reali, e il retore deve essere in grado di sfruttare questa ambiguità per persuadere chi gli sta di fronte.[87]

Argomentazione e persuasione

Per «argomento» si intende una proposizione atta a farne ammettere un’altra,[89] e quindi a indurre qualcuno ad accettare la bontà di ciò che si sta dicendo. Argomentazione e persuasione (peithó) sono dunque collegate, ma detto ciò bisogna precisare che il rapporto non è esclusivo, poiché si può ottenere la persuasione anche da una dimostrazione o da un atto di seduzione. Vediamone le differenze. La dimostrazione, il cui modello sono le scienze esatte, ha la caratteristica di essere rigorosa e oggettiva, e quindi di mirare a conclusioni che siano inattaccabili. Decisamente irrazionale è invece la seduzione, che mira semplicemente ad influenzare e manipolare gli altri facendo ricorso a sentimenti e sensazioni. Tra queste due si colloca l’argomentazione, oggetto della retorica, la quale mira sì a persuadere facendo leva sulle passioni, ma cerca di farlo in maniera rigorosa, attraverso un’arte. Ciò che differenzia l’argomentazione dalla dimostrazione è il carattere non necessario degli argomenti che vengono portati a supporto della tesi: il retore infatti si rivolge sempre a delle persone specifiche, delle quali prende in considerazione le opinioni e le sensazioni, e il punto di partenza del suo discorso sono premesse non evidenti ma verisimili (eikota) che portano a conclusioni relative e confutabili. Inoltre, nell’argomentazione il nesso logico tra gli elementi che la compongono non è rigoroso, e la sua validità è valutata in base all’efficacia.[89]

Mentre lo scienziato, dunque, sostiene la propria teoria ricorrendo a dati oggettivi presentanti per mezzo di un linguaggio simbolico, il retore cerca di persuadere gli altri attraverso le parole e il linguaggio naturale, trovando e ordinando i possibili elementi di persuasione. A questo scopo, il retore deve tener presenti non solo gli aspetti razionali, ma anche quelli emotivi ed etici. Oltre al discorso (logos) in sé e per sé, che persuade attraverso prove vere o apparentemente tali, a ricoprire un ruolo importante è il carattere (ethos) dell’oratore, che deve saper dimostrare di essere attendibile e di conoscere a fondo l’oggetto di cui sta trattando, così da accattivarsi la fiducia del pubblico; inoltre, è importante saper suscitare emozioni (πάθη) di piacere o dolore negli ascoltatori, poiché i sentimenti influenzano inevitabilmente la capacità di giudizio del pubblico.[90]

La disposizione: la struttura del discorso

Cicerone pronuncia un’orazione in Senato

La seconda parte del sistema della retorica riguarda la dispositio (in greco τάξις, taxis, oppure οἰκονομία, oikonomía), cioè l’organizzazione del discorso: le parti di cui si compone il discorso, l’ordine in cui presentare i contenuti e le idee, l’ordine delle parole per presentare gli argomenti.[96]

Con particolare attenzione alla retorica giudiziaria, la retorica classica ha formulato uno schema per strutturare i discorsi, il quale può essere seguito rigorosamente o meno. L’orazione prevede quattro parti, nell’ordine:

  1. exordium, esordio, tentativo di accattivarsi l’uditorio delectando e movendo con ornamenti;
  2. narratio, esposizione, esposizione dei fatti, per docere l’uditorio, in ordine cronologico o con una introduzione ad effetto in medias res;
  3. argumentatio, argomentazione, dimostrazione delle prove a sostegno della tesi (confirmatio) e confutazione degli argomenti avversari (refutatio);
  4. peroratio, epilogo, la conclusione del discorso, muovendo al massimo gli affetti dell’uditorio e sviluppando pathos.

Esordio

L’esordio (προoίμιον, exordium) è la parte che apre l’orazione, in cui viene esposto, sempre che non sia già noto, l’oggetto di cui ci si intende occupare (πρότασις). Il suo scopo è quello di accattivarsi i favori del pubblico (captatio benevolentiae) e annunciare le ripartizioni che si stanno per adottare nello svolgimento dell’orazione (partitio).[97] Se la situazione lo permette, è possibile chiedere esplicitamente all’uditorio di essere benevoli, altrimenti si deve ricorrere all’insinuatio, entrare nell’animo degli ascoltatori per via sotterranea, evitando di parlare dei propri punti deboli per mostrare invece quelli degli avversari. Inoltre, è importante rendere subito nota la struttura dell’orazione e l’ordine degli argomenti, così da rendere il pubblico partecipe dei termini del discorso ed evitare che sembri troppo lungo.

Per accattivare e rendere più partecipi le giurie – nel caso dell’orazione giudiziaria greca, in particolare – all’interno del προoίμιον venivano inserite talvolta espressioni o periodi che sottolineavano la presa di coscienza da parte dell’oratore della difficoltà dell’argomento trattato o della sentenza da emettere (ad es. “mi rendo conto di quanto sia difficile per voi, o Ateniesi, giudicare…”).[21]

Si tenga presente che, nel caso si intenda trattare l’argomento in medias res, l’esordio e l’epilogo possono essere evitati.

Esposizione

L’esposizione (διήγησις o anche ῥῆσις, narratio) è il resoconto succinto, chiaro e verisimile dei fatti che vengono affrontati, così che sia funzionale all’argomentazione. Due sono i generi di disposizione dei contenuti: l’ordo naturalis, che segue lo svolgimento logico e cronologico degli eventi, e l’ordo artificialis, orientato più alla resa estetica tramite l’uso di figure retoriche, digressioni e altri procedimenti stilistici. Quest’ultimo è anche più intellettuale, poiché rompe la linearità del tempo per assecondare le esigenze della situazione e dell’argomento.[98]

Nell’esposizione dei fatti è inoltre necessario perseguire quello che è il «giusto mezzo», non essere cioè troppo prolissi ma nemmeno tanto brevi da tralasciare qualcosa di importante. Bisogna poi ricordare che è essenziale la verosimiglianza dei fatti, i quali devono essere attendibili e devono essere disposti in maniera tale da assolvere alle tre funzioni della retorica: docere, movere e delectare.

Argomentazione

Cuore del discorso persuasivo è l’argomentazione (πίστις o ἀπόδειξις, argumentatio), il resoconto delle prove a sostegno della tesi, che può prevedere anche un affondo contro le tesi avversarie. La sua struttura interna si compone di due parti: propositio e confirmatio, a cui può seguire una terza, l’altercatio. La propositio è una definizione ristretta della causa (o delle cause) da dibattere, subito seguita dalla confirmatio, l’elenco delle ragioni a favore, nell’ordine: dapprima quelle più forti, in seguito le più deboli e infine le più forti in assoluto. Talvolta, specie durante un processo, la confirmatio può essere interrotta dall’intervento di un avversario, come ad esempio un avvocato di parte opposta: in questo caso si parla di altercatio, un dialogo serrato tra il retore e il suo avversario.[99]

Epilogo (perorazione)

L’epilogo (ἐπίλογος, peroratio) è la parte conclusiva dell’orazione, e si muove su due livelli: riprende e riassume le cose dette (enumeratio e rerum repetitio), tocca le corde dei sentimenti (ratio posita in affectibus). Da un lato, il retore deve concludere dando un’idea d’insieme di quanto è stato detto e sostenuto, richiamando alla memoria i punti fondamentali; dall’altro, ha luogo la perorazione vera e propria, che fa leva sui sentimenti dell’uditorio ricorrendo a dei loci prestabiliti (in genere atti a creare indignazione o commiserazione).[100]

L’elocuzione: lo stile

Miniatura quattrocentesca del De oratore

L’elocuzione (elocutio in latino, λέξις, lexis in greco) è la parte che riguarda l’espressione, la forma da dare alle idee. L’elocutio si occupa dello stile da scegliere affinché il discorso risulti efficace, studiando quindi la parte estetica dell’espressione, la scelta (electio) e l’ordine (compositio) da dare alle parole. Sotto questo aspetto la retorica invade il campo della poetica, riprendendone gli elementi di ornamento, tra cui le più importanti sono le figure (vedi oltre).

La composizione

La parte centrale dell’elocutio è rappresentata dalla cosiddetta compositio, operazione che consiste nella scelta e combinazione dei termini. Affinché il discorso possa risultare efficace, è necessario tenere conto nella fase di composizione di quattro qualità o requisiti fondamentali, meglio noti come virtutes elocutionis:

  • l’aptum (in greco πρέπον, prépon), l’adeguatezza del discorso al contesto in cui deve essere pronunciato;
  • la puritas (o latinitas), la correttezza sintattica e grammaticale;
  • la perspicuitas, la chiarezza, necessaria affinché il discorso sia comprensibile;
  • l’ornatus, gli ornamenti e tutti gli altri mezzi atti a rendere il discorso più bello e quindi più gradevole.

Tutte queste caratteristiche devono essere presenti, applicate o a singole parole o a intere frasi. Talvolta il mancato rispetto di una delle virtutes può essere giustificato da determinate esigenze espressive, e in questo caso si parla di licenza (licentia); in caso contrario, la mancanza viene sanzionata come errore (vitium).[101]

Gli stili

L’espressione varia a seconda degli argomenti e della situazione in cui il discorso deve essere pronunciato. Per questo motivo, la retorica classica distingue tre stili (genera elocutionis):

  • nobile o sublime (genus sublime o grave),
  • umile (genus humile o tenue),
  • medio o moderato (genus medium).

Il sublime è lo stile nobile, elevato, e viene utilizzato per trattare di argomenti seri facendo leva sui sentimenti (movere), suscitando forti passioni; l’umile ha lo scopo di docere et probare, mentre lo stile medio, misto dei due precedenti, deve delectare attraverso un atteggiamento moderato che tenga conto dell’ethos.[102]

La memoria

La mnemotecnica, la scienza che mira a sviluppare la memoria attraverso una serie di regole, è molto antica: tra gli intellettuali che si interessarono di questa disciplina ricordiamo il sofista Ippia di Elide e i filosofi Raimondo Lullo, Pico della Mirandola e Giordano Bruno. Nel corso del Seicento la mnemotecnica classica finì per essere assimilata alla ars combinandi, teoria della combinazione degli elementi associata al calcolo matematico.[103]

Jean-Jules-Antoine Lecomtedu Nouy, Demostene si esercita a recitare un’orazione

La memoria entra a pieno titolo nel sistema della retorica classica a partire dal Libro III della Rhetorica ad Herennium (I secolo a.C.), e ricopre un ruolo importante in funzione della recitazione, poiché permette di mandare a mente la struttura e gli argomenti del discorso senza dover ricorrere ad appunti scritti, risultando particolarmente utile quando la situazione richiede di improvvisare. Generalmente si distinguono due tipi di memoria: la memoria naturale e quella artificiale. La prima è la dotazione naturale di cui dispongono tutti gli individui, mentre la seconda, che ha lo scopo di rafforzare la prima, viene appresa tramite una tecnica – la mnemotecnica, appunto – che funziona attraverso immagini e punti di riferimento fissi, ai quali vanno associati gli oggetti da ricordare: in questo modo l’atto del ricordare diventa una scrittura mentale, in cui ad ogni immagine corrisponde un oggetto e quindi un significato.[103]

La recitazione

Infine, il retore deve anche essere in grado di recitare la propria orazione di fronte a un pubblico. Questo momento prende il nome latino di actio o pronunciatio (in greco ὐπόκρισις, hypókrisis), e la sua efficacia è legata al modo in cui chi parla si presenta di fronte all’uditorio. Al retore è dunque richiesto di essere anche attore, di avere cioè buone capacità di recitazione, così da coinvolgere il pubblico attraverso la gestualità e il tono di voce. La sua indubbia importanza è stata tuttavia messa in secondo piano dai retori e dai teorici, che nei loro trattati preferiscono concentrarsi su inventio, dispositio ed elocutio, specie in riferimento alla produzione di testi scritti.[104]

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Le vendite complesse sono il frutto di buone analisi

Copyright dott. Daniele Trevisani, dal volume “Strategic Selling”, Franco Angeli, Milano.

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Il mondo della vendita e del marketing è fatto di scelte.

Come osserva Mick, “il sistema di macromarketing è in larga misura la funzione di molte decisioni di micro marketing prese ogni giorno”[1].

E, per ogni micro-decisione, occorre che la mente sia preparata a svolgere analisi rapide, a volte persino istantanee.

La vendita complessa è in larga misura la funzione di molte abilità comportamentali e strategiche micro (come la capacità di condurre una conversazione, o osservare dettagli non verbali) e macro (fare analisi di scenario, planning, realizzare progetti e report).

La mente da analista non si ferma al lavoro a tavolino (deskwork), entra in ogni contatto, in ogni stretta di mano, in ogni riunione, in ogni analisi.

Niente viene trascurato.

Comprende anche abilità macro, quali la capacità di compiere analisi socioeconomiche e di progettare piani complessi, elaborare dati, svolgere un’intera analisi di scenario e impostare una strategia.

Nessuno può pretendere di concludere affari o realizzare progetti complessi senza applicare un atteggiamento di analisi profondo, senza avere e coltivare una “mente da analista”.

Un analista si chiede molto spesso “perché”. Nota segnali e sintomi, sviluppa ipotesi, si documenta, svolge ricerca, vuole capire.

Questo atteggiamento, che ho denominato empatia strategica[2], include diversi livelli di comprensione, di attenzione strategica al sistema/cliente al quale ci stiamo avvicinando o che stiamo gestendo:

(1) empatia comportamentale (capire i comportamenti del sistema con cui vogliamo lavorare e interagire),

(2) empatia cognitiva (capire come ragiona l’altro),

(3) empatia emozionale (capire gli stati emotivi dell’altro) e

(4) empatia relazionale (capire la rete di relazioni in cui vive l’altro).

Immaginate il contrario:

–       non capire i comportamenti altrui o non coglierne il senso,

–       subire azioni le cui ragioni ci sfuggono, e ancora,

–       non capire che ruolo gioca la controparte,

–       non capire come ragiona l’altro e dare per scontato che ragioni come noi vorremmo o “come si dovrebbe ragionare secondo la (nostra) logica”.

Immaginiamo anche cosa significhi portare con se il fardello di una insensibilità emotiva, l’incapacità di cogliere sfumature, non capire se una persona con cui trattiamo sia triste o felice. Oppure, essere indifferenti verso le reazioni emotive che l’altra persona ha nei riguardi di una scelta o ad alcuni aspetti del progetto che trattiamo, e cosa in specifico la preoccupa, o cosa la interessa.

E ancora, i problema delle gaffe culturali che possono offendere un dirigente straniero centrale per il successo della trattativa.

Altro grande tema: l’insensibilità al quadro “tribale” della decisione, i rapporti di forza in essere, la matrice dei poteri (Power Matrix), il rischio di non capire se stiamo trattando con un vero decisore o con un semplice emissario, un influenzatore, o con un puro “parafulmini”, qualcuno che non ha alcun potere. Perdere tempo non è piacevole per nessuno.

A catena, la mancanza di una mente da analista può portarci a perdere di vista persone e ruoli aziendali che dovremmo coinvolgere in un progetto e magari stiamo trascurando completamente.

E, peggio, non afferrare il sistema nelle sue inter-relazioni, ad esempio non capire che esiste un centro di gravità (persone fisiche, o concetti chiave su cui far leva) in ogni acquisto, in ogni decisione.

Possiamo avere di fronte a noi “clan aziendali” e altre forme tribali che si oppongono al nostro ingresso in azienda così come la compresenza di possibili “amici”, persone che ne vedono invece dei vantaggi.

Larga parte delle trattative complesse consiste nel “portare dalla nostra parte” i centri di gravità della decisione, con – ancora una volta – abilità nel condurre incontri personali e sviluppo di rapporti umani.

In un mondo difficile, solo persone preparate e con una “mente da analista” possono penetrare sistemi ostili, individuare le priorità e la “sequenza di mosse” utili per poter spostare l’ago della bilancia decisionale a nostro favore.

Cosa fa una mente da analista

Una mente da analista si chiede “Perché dice questo?”, “Perché lo dice adesso?”, “Cosa c’è dietro a questa domanda?”, “Perché non è qui il dott. X… mentre all’altro incontro era presente?”, “Per quali motivi potrebbero dirci di no?”, “Cosa abbiamo di distintivo da proporre?” E tante altre domande, non stereotipate, mai uguali.

I sistemi di contatti e di relazioni in un progetto complesso richiedono visione d’insieme.

Avere visione d’insieme è una capacità, cogliere il senso di un macro-progetto, capire quando è il momento di fare un incontro, individuare quali sono le informazioni critiche che ci servono (Info-Gap), e arrivare ad esaminare il micro-dettaglio di ogni negoziazione.

Le capacità nell’analisi micro sono altrettanto fondamentali: come viene condotta una telefonata, un incontro, una stretta di mano, un’occhiata, un gesto, per poi tornare al macro, e, quando serve, ripensare un’intera strategia.

In altre parole, il successo di un’impresa dipende non solo dalle grandi strategie ma anche dalla capacità di portare a casa risultati in ogni singola vendita, e diventare abili in ogni singola conversazione e contatto che costituiscono la linea di vendita. Buoni numeri arrivano solo da buone azioni.

La linea d’azione della vendita (Action Line), così come la linea d’azione negoziale, richiedono una specifica sensibilità. Sensibilità alla comunicazione “olistica”: ogni azione, comportamento, o non-azione, comunica qualcosa.

Questa sensibilità è da praticare contatto dopo contatto, nelle negozia­zioni, negli incontri, nelle telefonate, o nei comportamenti tenuti a tavola.

Riguarda persino il modo di parcheggiare in prossimità dell’impresa cliente, le attenzioni nell’aprire la porta o meno a qualcuno, offrire un caffè o un dono.

I professionisti della vendita strategica e delle negoziazioni complesse adottano un modo di lavorare che è anche un modo di essere.

Colossi aziendali e piccole imprese, nelle loro negoziazioni Business-to-Business, con i distributori, i fornitori, con le reti di vendita, con i buyer aziendali, hanno continui “momenti della verità”: gli incontri faccia a faccia, le discussioni, le mail, le presentazioni, le risposte a domande.

Per ciascuno di essi diventa essenziale curare le abilità di relazione, le capacità personali di analisi e di comunicazione in chi si deve interfaccia


[1] Mick D.G., Bateman T.S., Lutz R.J. (2009), Exploring the Pinnacle of Human Virtues as a Central Link from Micromarketing to Macromarketing, in Journal of Macromarketing, Volume 29 Number 2, June 2009, 98-118, Sage Publications.

[2] Trevisani D. (2005), Negoziazione Interculturale: Comunicazione oltre le barriere culturali, Milano, FrancoAngeli.

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