© Articolo in anteprima dal libro “Deep Coaching & Personal Training” di Daniele Trevisani, in lavorazione

Chi pratica Deep Coaching (coaching in profondità) e lavora con impegno ed intensità, deve mettere in conto l’”effetto stanchezza” e l”effetto saturazione” che l’allenamento produce in ogni singola tecnica, poi nell’insieme di una sessione allenante, e ancora in un intero ciclo allenante. Questo vale sia per le skills motorie e training fisico, per le skills mentali e training mentale, e per le skills manageriali e il training manageriale.

Un evento formativo o di crescita personale di durata x deve essere progettato tramite azioni formative di natura molto varia, tali da attaccare le training issues (temi di training) e i change targets (obiettivi di cambiamento da raggiungere) con strumenti multipli, consentendo di aggredire il problema da più angolature, e creare varietà che combatta la monotonia.

Il principio di varietà si prefigge di combattere il fenomeno del ceiling effect, o “effetto tetto”: il raggiungimento di un grado di saturazione oltre il quale una singola tecnica smette di funzionare e produrre risultati.

Persino mangiare dolci, per quanto buoni, ha un suo tetto. Lo stesso vale per ogni tecnica allenante, fisica e mentale.

Il ceiling effect è un fenomeno pervasivo e agisce in molte variabili che riguardano il funzionamento umano. Ad esempio, per l’alimentazione, in un singolo pasto il corpo non può assorbire oltre un certo livello di proteine al giorno, anche in base al lavoro fisico svolto, e il resto viene degradato e può addirittura risultare dannoso. Una dose extra di proteine assunte diventerebbe inutile, mentre invece i canali di assorbimento dei carboidrati, delle vitamine e dei sali minerali potrebbero essere ancora aperti e disponibili all’assorbimento di sostanze.

Lo stesso fenomeno si presenta nella “assunzione di formazione”, nella terapia, nel cambiamento, nello studio e nella didattica.

Un vero coach che pratica Deep Coaching è sempre alla ricerca di “canali di assorbimento aperti” entro i quali far fluire saperi, saper essere, e saper fare.

La fame di risultato e la pulsione neotropica del cliente (voglia di passare da uno stadio attuale ad uno stadio superiore evolutivo) possono comunque innalzare molto questa soglia fisiologica, consentono di aumentare il pressing formativo, ma il Coach deve essere sempre e comunque cosciente che quanto il cliente “vuole” non sempre è quello che gli fa bene, per cui, ancora una volta, emerge il fattore della Leadership, che deve essere del Coach e non del cliente.

In questo caso, il Cliente non ha sempre ragione. Ad avere ragione è il risultato finale che vogliamo produrre entro i limiti di salvaguardia del cliente stesso, nel suo bene, e nel suo interesse esclusivo.

© Articolo in anteprima dal libro “Deep Coaching & Personal Training” di Daniele Trevisani, in lavorazione

Author

Formatore e Coach su temi di Sviluppo del Potenziale Personale, Comunicazione Interculturale e Negoziazione Internazionale, Psicologia Umanistica. Senior Expert in HR, Human Factor, Psicologia delle Performance, Comunicazione e Management, Metodologie Attive di Formazione e Coaching.