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Comunicazione e negoziazione interculturale

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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Negoziazione interculturale. Comunicare oltre le barriere culturali. Dalle relazioni interne sino alle trattative internazionali”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

Analisi della Conversazione. Distinguere le fasi della negoziazione

Per avviare una analisi seria e produttiva della negoziazione, dobbiamo innanzitutto distinguere almeno tre fasi diverse[1]:

  • fase di preparazione alla negoziazione: briefing, raccolta di dati, analisi degli interlocutori e delle posizioni, preparazione di una piattaforma negoziale da discutere, preparazione dell’elenco delle argomentazioni e ordini del giorno, role-playing di preparazione negoziale, sviluppo e test delle action-lines (linee d’azione);
  • fasi di negoziazione comunicativa e front-line: la fase del contatto face-to-face; lo scambio di informative e messaggi mediati (email, corrispondenze), contatti diretti telefonici o videoconferenze, incontri personali;
  • fasi di analisi e debriefing: analisi degli esiti della negoziazione preparazione alle fasi successive.

La fase di preparazione richiede lo studio del numero più ampio possibile di informazioni affinché sia possibile entrare nella fase di contatto con cognizione di causa (consapevolezza situazionale) e conoscenza degli elementi culturali di base (consapevolezza culturale).

La fase di negoziazione, soprattutto nel face-to-face, rappresenta il terreno negoziale, il “momento della verità” in cui avvengono le azioni più significative, e poiché avvengono “durante” la conversazione, irreversibili. 

Mentre è possibile ritardare una risposta ad una email per riflettere, ciò che avviene “durante” la negoziazione frontale è sempre nel “qui ed ora”.

La fase di debriefing serve per metabolizzare le informazioni e comprende (almeno) 

  • un debriefing comportamentale: cosa è accaduto là, analisi dei propri comportamenti, ricerca degli errori, analisi dei comportamenti altrui, e 
  • un debriefing strategico: implicazioni pratiche, analisi degli esiti, preparazione delle prossime mosse. 

La negoziazione in genere richiede diversi cicli di praparazione-contatto-debriefing, per cui possiamo assimilarla ad un processo ciclico.

Tutte le fasi evidenziate sono critiche, e per ciascuna esistono strumenti e metodologie appropriate. In questo volume dedichiamo la nostra attenzione alla fase di contatto front-line, utilizzando soprattutto alcuni spunti metodologici offerti dalla Conversation Analysis (CA), o Analisi della conversazione (AC). 

L’AC è una delle discipline utilizzate nelle scienze della comunicazione per comprendere come le persone interagiscono nei rapporti faccia-a-faccia.

Dal punto di vista linguistico, utilizzando alcuni prestiti dalla AC e numerose addizioni originali, nel metodo ALM cerchiamo di “smontare” la conversazione analizzandola come un insieme di atti conversazionali, per studiarne la struttura e applicarla ai problemi concreti delle aziende e organizzazioni che devono negoziare efficacemente.

Dal punto di vista semiotico, possiamo chiederci

  1. quali siano i significati e interpretazioni di senso che ciascun attore attribuisce alle singole mosse, sul piano della relazione (semantica relazionale), e
  2. quali sono gli effetti pratici sulla relazione stessa (pragmatica relazionale). 

Dall’analisi delle mosse conversazionali sino ad interi brani di interazione, è possibile sviluppare le capacità dei manager e negoziatori nella decodifica della conversazione, e nell’acquisizione di maggiori capacità conversazionali. Inoltre, possiamo formare e acculturare i negoziatori a produrre una strategia conversazionale più efficiente e consapevole anche all’interno della propria cultura di partenza.

Analisi della conversazione. Le Mosse conversazionali

Le mosse conversazionali rappresentano specifiche azioni o “emissioni” poste in essere da un interlocutore. 

Il senso di “mossa” – assimilabile alla mossa nel gioco degli scacchi – rende bene il concetto strategico che si ritrova in ogni azione comunicativa.

Alcune mosse conversazionali (non definite in questi termini nei lavori di AC, ma da una nostra interpretazione estensiva) sono:

  • affermare,
  • anticipare,
  • attaccare,
  • cedere il turno,
  • chiedere una precisazione, fare domande di puntualizzazione,
  • chiedere per ampliare, fare domande di apertura,
  • conquistare o prendere il turno,
  • decentrare l’argomento della conversazione,
  • difendere altri,
  • difendersi,
  • negare,
  • non riconoscere l’altro o una sua emissione/messaggio (disconferma relazionale),
  • precisare,
  • ricentrare la conversazione su un argomento,
  • riconoscere l’affermazione dell’altro (conferma relazionale),
  • riparare (un errore, un fraintendimento, una mossa precedente),
  • ritrattare,
  • rivedere quanto detto (aggiustare il tiro),
  • scusarsi,
  • sollevare dubbi,
  • spostare l’argomento della conversazione (topic-shifting),
  • tirare le somme.

La negoziazione può essere vista, sotto questo profilo, come un insieme di mosse. Ogni cultura fa propri alcuni di questi repertori e li amplia, rigettandone altri, o relegandoli a pochi ambiti comunicativi. 

Nella cultura giapponese, ad esempio, dire un “no” secco è considerato un atto più scortese di quanto non sia nella cultura americana, ma questo non significa che anche un manager giapponese non metta in pratica, o possa apprendere, l’azione del dire “no” secchi. Basarsi su semplici stereotipi e prenderli come certezze è un errore.

Ogni mossa è correlata sia alle mosse precedenti del soggetto, che alle mosse altrui.

Nel campo intra-culturale esistono specifici repertori e regole conversazionali generalmente condivise, mentre in campo interculturale aumenta la diversità anche per via delle diverse modalità con cui in ogni cultura vengono gestite le mosse conversazionali.

Ad esempio in una conversazione tra adolescenti italiani può essere estremamente normale e corretto sovrapporre il parlato, stare sul parlato altrui, mentre in una conversazione tra gentlemen anglosassoni in un ricevimento diplomatico la sovrapposizione sul parlato altrui è negativa, e se fatta richiede comunque la messa in scena di mosse di riparazione.

In termini negoziali, a seconda della valenza relazionale, possiamo prestare attenzione soprattutto a:

  • mosse di avvicinamento (segnali di simpatia, amicizia, affetto, volontà di collaborare, segnali di unione), e
  • mosse di allontanamento (distacco, antipatia, rifiuto, volontà di tenere le distanze).

Sotto il profilo dei contenuti della conversazione negoziale, invece, è importante distinguere tra:

  • mosse di apertura (esplorazione informativa, allargamento, ampliamento del campo conversazionale), e
  • mosse di chiusura (tentativo di conclusione, di concretizzazione);

ed ancora tra:

  • mosse di ascolto (empatia, domande, raccolta di informazioni), e
  • mosse di proposizione (affermazioni, posizioni, richieste).

Analisi della conversazione. Deferenza, contegno, cortesia

La comunicazione interculturale, sia sul piano diplomatico che di business, richiede una particolare attenzione alle regole di cortesia, al rispetto dei ruoli, al riconoscimento delle identità altrui. 

Dal punto di vista scientifico, le ricerche di Goffman sulle regole di cortesia hanno evidenziato che esistono precisi rituali e comportamenti in ogni cultura tali da far ritenere una persona cortese e affidabile, oppure, in caso di scarsa cortesia, inaffidabile e quindi pericolosa.

Le culture occidentali urbane tendono a “ridurre le distanze” sul piano interpersonale, a “dare del tu”, a trattare le persone da eguali. Sotto il profilo antropologico, tali culture sono definite a basso contesto – low context cultures.

In molte culture di business e diplomatiche, invece, così come in molte nazioni, o nelle culture generazionali precedenti, la cultura è generalmente ad alto contesto (high-context culture); è importante il rispetto delle distanze e dei ruoli, o il mantenimento di confini finché la controparte non offra il permesso di passare ad un livello più amicale, meno formale[2].

Nelle culture ad alto contesto, inoltre, si dà più spazio all’allusione, piuttosto che alle affermazioni dirette come avviene nelle culture a basso contesto, più informali. Inoltre, le culture ad alto contesto utilizzano maggiormente parabole, proverbi, understatements (affermazioni di tono basso, poco “urlate” o “blatanti”) e antifrasi (affermazioni in negativo).

Le culture a basso contesto invece privilegiano modalità di rapporto più dirette (dirsi le cose in faccia, essere espliciti), sono prevalentemente “loud” (toni alti, overstatement), privilegiano frasi positive. 

Cortesia e rispetto sono parametri altamente dipendenti dalle regole culturali e dalle prassi locali, e generano regole a volte incomprensibili dall’interno della propria visione culturale.

Non è praticamente possibile fornire regole certe per ogni cultura con la quale si entra in contatto, anche perché le culture variano oggi molto più rapidamente grazie ai media globali, e non si può dare per scontato che un soggetto adotti esso stesso le regole del sistema del quale è parte.

Alcune regole generali della negoziazione interculturale pertanto sono dettate dal semplice buon senso, mentre altre devono essere acquisite da soggetti informati sulla cultura locale. Le regole minime di cortesia sono:

  • chiedere a soggetti informati come le persone desiderano essere chiamate (es: dottore, professore, ingegnere, presidente, ed altri titoli, oppure se amano un rapporto basato sul tu);
  • chiedere direttamente alle persone come desiderano essere chiamate, in mancanza di informatori;
  • non abbreviare il nome (non usare nomignoli) o usare il nome di battesimo senza il permesso diretto del soggetto;
  • usare titoli quali “Mr.” o “Miss.”, o altri titoli di cortesia, specialmente con interlocutori più anziani;
  • rispettare i ruoli (es: Presidente, Direttore) anche con persone più giovani che ricoprono ruoli istituzionali;
  • evitare di interrompere.

Le regole di deferenza e contegno si esprimono sia sul piano verbale, che con la comunicazione non verbale, ad esempio con un accenno di inchino nell’atto della stretta di mano, evitando generalmente manifestazioni smodate e pacchiane, ma soprattutto informandosi su quali comportamenti risultano normali o invece offensivi nelle culture altrui.

Prendere per scontati i precetti culturali senza saper capire il contesto rischia di produrre errori.

Analisi della conversazione. Le linee di conversazione

Le linee di conversazione rappresentano gli assi ideali che congiungono due soggetti impegnati nella conversazione. 

  • Interrompere due persone che parlano significa rompere la loro immaginaria linea di conversazione. 
  • Dare il turno ad una persona significa stabilire una linea di conversazione tra se stessi e un altro soggetto. 
  • Invitare due persone a confrontare un punto significa stabilire una linea di conversazione tra i due soggetti.

Le linee di conversazione possono essere sia manifeste ed evidenti (tramite il sistema verbale) che sotterrane e sottilmente mascherate (tramite il sistema non verbale, segnali, gesti, cenni). Anche il solo fatto di fare un cenno di assenso o diniego verso una persona presente all’interazione significa stabilire – anche se per brevi istanti, frazioni di secondo – una linea di conversazione, attuata in questo caso come dialogo non verbale.

Analisi della conversazione . a gestione dei turni di parola

I meccanismi di gestione dei turni di parola sono estremamente complessi, sebbene praticati da ciascuno di noi ogni giorno. Uno dei principali obiettivi del training negoziale nel metodo ALM è quello di stimolare il negoziatore ad ascoltare, a non interrompere o farlo il meno possibile e solo per motivi estremamente seri e consapevoli. 

Il flusso informativo che proviene dagli interlocutori è estremamente prezioso, e richiede l’abbandono di una “strategia di inondamento informativo” tipica della vendita aggressiva, verso una strategia dell’ascolto.

Il training alla gestione dei turni sviluppa le capacità del negoziatore nel:

  • riconoscere i meccanismi di gestione dei turni negoziali;
  • saper come entrare nella conversazione rispettando le regole;
  • identificare i momenti e strategie di ingresso e di uscita dalla conversazione;
  • creare le mosse di riparazione adeguate (repair) a fronte di mosse che possono essere percepite come offensive;
  • applicare una leadership conversazionale, consistente nel prendere le redini dei turni e divenire gestore di turni.

Analisi della conversazione. La gestione dei contenuti conversazionali

Mentre il problema dei turni riguarda soprattutto il “chi parla”, la gestione dei contenuti riguarda soprattutto il “di cosa si parla”.

Distinguiamo innanzitutto le capacità di topic setting (fissare gli argomenti conversazionali), da quelle di topic shifting(letteralmente, “slittare di argomento”, “spostare l’argomento”).

Entrambe le strategie si inseriscono in una più generale abilità di “gestione dei contenuti” (content management) della conversazione :

  • la capacità di riconoscere “di cosa stiamo parlando”: dettagli, visioni, aspirazioni, richieste, offerte, dati, emozioni. Ogni elemento conversazionale ha una connotazione. Capire “cosa abbiamo sul tavolo” in un certo momento della conversazione, “cosa sta accadendo” è uno dei principi di base della competenza comunicativa;
  • la capacità di generare fasi diverse della conversazione, ad esempio saper produrre un adeguato small talk (chiacchiere su argomenti di interesse vario, convenevoli) per riscaldare il clima conversazionale, capire se e quando ricorrere allo small talk o quando entrare direttamente sul merito; saper distinguere le fasi di apertura e raccolta informativa dalle fasi di chiusura e concretizzazione;
  • la capacità di far procedere la negoziazione lungo assi di contenuto desiderati o prefissati, seguire un ordine del giorno o uno schema mentale;
  • la capacità di modificare i contenuti della conversazione direttamente sulla base di quanto emerge durante l’interazione (modifiche contestuali, adattamenti situazionali, on-the-fly).

La negoziazione è un processo che ha tempi ristretti – quantomeno non tendenti all’infinito come nella conversazione poetica o amorosa – e i costi della comunicazione sono elevati. Ogni incontro negoziale si carica di costi precedenti (viaggi, appuntamenti, costi organizzativi e di struttura, costi delle risorse umane), di costi  cognitivi e di attenzione, e pertanto il tempo negoziale è prezioso.

Analisi della conversazione. Ricentraggio della conversazione

Il ricentraggio della conversazione è una variante “dura” delle tecniche di content management e topic-shifting. Il ricentraggio consiste nel riportare la conversazione su punti che le controparti non stanno considerando, o dai quali vogliono sfuggire, o che semplicemente non riescono a cogliere[3].

Il ricentraggio può essere preceduto e seguito da adeguate mosse di repair (riparazione, scuse, anticipazione). Nei casi estremi il ricentraggio può anche avvenire senza far ricorso a repair, generando in questo modo una situazione pre-conflittuale che obbliga la controparte a scegliere se accettare un ruolo di sottomissione conversazionale o non accettarlo e porsi in conflitto aperto.

Analisi della conversazione aziendale.

Mosse conversazionali e difficoltà nel dialogo tra aziende

La difficoltà comunicativa esiste quotidianamente nel dialogo tra aziende.

Ad esempio, in una trascrizione – non riportando la sovrapposizione del parlato, o ancora le esitazioni di chi parla[4] e le espressioni facciali che accompagnano la voce – tutto sembra ridursi ad un semplice ping-pong comunicativo mentre la realtà di una conversazione è più complessa e ricca.

Ogni mossa porta con se un’enorme mole di significati e di sistemi di significazione (sistemi culturali sottostanti).

Ogni mossa ha una valenza specifica, può essere o meno collaborativa, più o meno strategica, ma assume comunque importanza.

Proseguendo, le divergenze culturali di fondo emergeranno con ancora maggiore forza, sino alla possibile conclusione, che sarà un conflitto aperto di culture, un nulla di fatto, o un accordo.

Tuttavia, senza “smontare” la comunicazione (in questo caso, riconoscere la valenza culturale e strategica delle mosse) l’esito sarà un probabile fallimento.

La negoziazione interculturale richiede quindi una grande attenzione alle mosse conversazionali, prima ancora che a grandi strategie negoziali che possono fallire se male applicate sul campo. 

La negoziazione tra aziende si misura nel teatro vero della comunicazione che è la conversazione negoziale.

Principio – Gestione delle mosse conversazionali

Il successo della comunicazione interculturale dipende dalle competenze comunicative di:

  • gestione strategica delle proprie mosse conversazionali;
  • riconoscimento delle mosse conversazionali altrui e del loro intento strategico sottostante;
  • smontaggio ed esplicitazione (immissione aperta sul tavolo negoziale) dei sistemi di significazione della controparte.

Ogni mossa ha il suo peso.

Ancora una volta sottolineiamo come il successo nella negoziazione, o meglio la probabilità di successo, possa essere accresciuta solo da un’adeguata preparazione sulle communication skills interculturali, che comprenda sia l’analisi dei meccanismi della comunicazione efficace (elemento trasversale ad ogni negoziazione), che il suo adattamento cross-culturale (specifico rispetto alla cultura con la quale si deve interagire). 

Esistono numerosi strumenti seri per la formazione alla negoziazione interculturale[5], nei quali si apprende ad interagire con consapevolezza. Tuttavia, nelle aziende – in nome della costante mancanza di tempo – si materializza la ricerca della scorciatoia, il ricorso a regolette semplici con cui inquadrare un campo che nulla ha di semplice, un approccio da “one minute management” di assoluta superficialità, per trattare problemi che richiedono invece estrema dedizione.

Una regola va adattata al contesto in cui si applica (spazio, tempo, luogo, situazione, persone) e da cui è scaturita. I mutamenti culturali oggi sono così rapidi che la reale nuova competenza non è quella derivante da regolette comportamentali dell’ultimo minuto, ma da una competenza aumentata e allargata a tutto il processo comunicativo e dalla capacità di adattare le proprie risorse caso per caso.

Analisi della conversazione. Le difficoltà nel dialogo interpersonale

La negoziazione interpersonale è un fenomeno pervasivo e quotidiano.

Spesso ci troviamo a dover lavorare sul proprio rapporto e apprendere ad utilizzare una modalità conversazionale più consapevole: come e dove trattare certi argomenti, come accorgersi che sta nascendo il conflitto, come disinnescarlo e affrontare i problemi con reale efficacia. 

Tra persone, così come in azienda, esiste una dimensione negoziale apparente, formalizzata, ritualizzato, e una latente, pervasiva, onnipresente, sottile. Per una coppia, ad esempio, quando questa dimensione latente non viene colta, i due possono ritrovarsi dopo diversi anni in un clima d’inferno, e lanciarsi in una sequenza di accuse reciproche sull’essere – ciascuno per l’altro – la fonte della propria infelicità.

Principio – Riconoscimento della negoziazione latente

Il successo della comunicazione negoziale dipende:

  • dal riconoscimento della dimensione negoziale (riconoscere che – di fatto – stiamo negoziando);
  • dalla volontà di riappropriarsi della scelta di momento e luogo (setting) della negoziazione, decidere il setting più appropriato (locus-of-control del setting negoziale).

[1] Capitolo a cura di Daniele Trevisani, con il contributo di Fabrizio Bercelli (Scienze della Comunicazione, Università di Bologna) sul tema della Analisi della Conversazione.

[2] La distinzione tra culture high-context e culture low-context, sviluppata da Edward Hall, viene illustrata dall’autore in modo diverso, e seppure criticata perché troppo generalista, può essere comunque utile per caratterizzare diversi tratti culturali.

[3] Antonio Greci, uno dei principali cultori italiani di “ricentraggio della conversazione”,  identifica il ricentraggio come una delle principali aree di contaminazione tra conversazione terapeutica direttiva e conversazione negoziale.

[4] Vedi Yotsukura (2003), p. 49

[5] Vedi ad esempio il modello ICNS, in Samp, Jennifer (1995). The Intercultural Communication Negotiation Simulation: An Instructional Model for Teaching/Training Intercultural Communication Skills. Paper presented at the Annual Meeting of the International Communication Association (45th, Albuquerque, NM, May 25-29, 1995).

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Altre risorse online

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Le parole chiave di questo articolo L’analisi della conversazione nella negoziazione sono :

  • Analisi della conversazione
  • Capacità conversazionali
  • Communication skills interculturali
  • Content management
  • Contenuti conversazionali
  • Decodifica della conversazione
  • Fase di negoziazione 
  • Fase di preparazione
  • Fese di analisi e debriefing
  • Linea di conversazione
  • Mosse conversazionali
  • Mosse di riparazione
  • Negoziazione interpersonale
  • Regole di cortesia e rispetto
  • Regole di deferenza e contegno
  • Ricentraggio della conversazione
  • Strategia conversazionale
  • Strategia dell’ascolto
  • Strategia di inondamento informativo
  • Topic setting
  • Topic-Shifting 
  • Turni di parola

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Negoziazione interculturale. Comunicare oltre le barriere culturali. Dalle relazioni interne sino alle trattative internazionali”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

La Cooperazione conversazionale

Il risultato della mancanza di una formazione adeguata del negoziatore è il fallimento. 

Come evidenzia Zorzi (1996)[1], la comunicazione richiede cooperazione conversazionale e lavoro sulla negoziazione dei significati:

“Analizzando incontri interculturali  si è visto come l’interazione fra persone di culture diverse sia marcata da una serie di momenti di asincronia, che si manifestano in silenzi, sovrapposizioni, reazioni impreviste, interruzioni, ecc. che mostrano la difficoltà di stabilire e mantenere una cooperazione conversazionale a causa delle differenze nel background culturale e nelle convenzioni di comunicazione. 

I partecipanti, normalmente inconsapevoli sia delle conoscenze socioculturali sia delle convenzioni comunicative che contribuiscono alla loro interpretazione (e, normalmente, inconsapevoli anche delle proprie convenzioni conversazionali), hanno solo la percezione di un incontro fallimentare, le cui cause sono raramente identificate. 

Spiegano quello che è accaduto più spesso in termini psicologici che in termini sociologici o culturali, percependo l’altra persona come non cooperativa, aggressiva, stupida, incompetente o con spiacevoli caratteristiche personali. 

Ripetuti incontri interculturali falliti con diverse persone portano nel tempo, alla formazione di stereotipi culturali negativi (Chick, 1990: 253 e sgg[2]).”

La competenza interculturale consiste nel raggiungere un reciproco adattamento (e non solo l’adeguamento dell’apprendente ai modelli linguistici e culturali del paese ospitante). 

Obiettivo primario della pedagogia interculturale – di conseguenza – è trovare strategie didattiche perché soggetti di origini culturali diverse possano imparare a comunicare fra loro indipendentemente dalle differenze di lingua, comportamenti culturali e credenze. L’attenzione si sposta, quindi, dal lavoro che fa il singolo apprendente al modo con cui due persone di culture diverse riescono a negoziare significati e relazioni tramite un mezzo linguistico in cui hanno competenze molto sbilanciate.

Esiste quindi un common ground linguistico che permette ai negoziatori di uscire dall’impasse della mancanza di un vocabolario condiviso. Cercare di condividere il significato dei termini, di uscire dalla “indeterminatezza semantica”, dalla “confusione semantica”, dalle “penombre connotative” è uno degli strumenti principali del negoziatore interculturale.

Le parole chiave e come eliminare il fraintendimento

Ogni parola molto radicata nel vissuto sociale – poniamo la parola “educare” – porta con sè una enorme varietà di significati possibili: educare come “plasmare”, come “ricondurre il comportamento alle regole”, far diventare il soggetto “come io lo voglio”, educare come “irreggimentare oppure educare come “far emergere il potenziale personale”, e altre. 

Anche la frase “crescita aziendale” porta con se un intero, enorme, spettro di possibili significati. Per un imprenditore può significare “far aumentare il fatturato”, per un altro ancora “avere una organizzazione migliore”, per un altro “essere leader nel proprio settore come capacità di immettere nuovi prodotti sul mercato”.

Ogni parola porta con sè evocati mentali (immagini mentali) del tutto soggettivi.

L’uscita dalla indeterminazione e il confronto sulla semantica è uno degli steps primari di ogni progetto che parte da basi diverse.

La regola pratica richiede di “mettere sul tavolo” della negoziazione le parole più forti e cariche di significato che stanno alla base del negoziato stesso, e chiarirle rispetto ai loro tanti significati possibili.

Nel caso di un progetto di formazione sulla leadership svolto in Cina da formatori italiani, dovremmo chiarire ad esempio il significato dei termini primari “formazione” e “leadership”. Nulla sarà possibile senza questo chiarimento iniziale.

Ogni negoziazione porta con se la necessità di chiarire i termini di base su cui si fonda e confrontare le rispettive “semantiche” (i significati possibili).

La chiarificazione dei concetti e la precisione del linguaggio

Sul piano interculturale, come abbiamo notato, anche concetti relativamente semplici e dati per scontati (es: “casa”, “lavoro”, “amicizia”) subiscono fraintendimenti. È opportuno quindi svolgere attività di fissazione dei confini semantici (fissazione dei significati) che permettano di precisare il linguaggio.

Costruire la base comune linguistica richiede una precisazione a più livelli. Ogni parola chiave, ogni parola o concetto in generale, può essere letto attraverso almeno quattro filtri descrittivi. 

Realizziamo un esempio sulla parola italiana “gondola”. Gli attributi possibili sono: 

  • Percettivi: è lunga e stretta:
  • Funzionali: si usa per trasportare i turisti;
  • Associativi: mi fa pensare a Venezia;
  • Socio-Simbolici: ricorda un’esperienza romantica, per persone di classe;
  • Enciclopedici: è composta di legno, viene usata dall’anno ….., è costruita così….

Lo stesso problema accade sul piano aziendale. Immaginiamo di realizzare una “consulenza di marketing” per conto di un cliente indiano, coreano o cinese. Dovremmo innanzitutto confrontare le due immagini mentali della parola “marketing”, capire a quale delle due diverse concezioni del marketing sta pensando il cliente.

Ad esempio:

Concezione A : marketing come strumento operativo

Analisi:

  • Percettiva: il marketing equivale alla pubblicità e promozione, alla vendita, alla pubblicità
  • Funzionale: si usa per vendere di più
  • Associativa: è uno strumento del capitalismo e del consumismo
  • Socio-Simbolica: è per aziende avanzate, grandi, tecnologiche o molto manageriali
  • Enciclopedica: tratta concetti quali il marketing mix, la customer satisfaction, la promozione.

Concezione B : marketing come strumento strategico

Analisi :

  • Percettiva: il marketing equivale alla ricerca di prodotti nuovi o migliori soddisfare i bisogni umani
  • Funzionale: si usa per progettare meglio i prodotti e i servizi
  • Associativa: è uno strumento di ricerca
  • Socio-Simbolica: richiede rispetto per il cliente e volontà di soddisfarlo, può essere usato da chiunque
  • Enciclopedica: tratta concetti quali il marketing mix, la customer satisfaction, la promozione, ma soprattutto la ricerca di mercato, la creatività, l’orientamento al cliente

Avviare una negoziazione interculturale significa prima di tutto fare chiarezza sulle concezioni semantiche, sui significati latenti delle parole, sulle associazioni mentali, e non darle per scontate.

Tramite le tecniche associative, è possibile inoltre ricercare gli “stereotipi” che le persone possiedono rispetto ai concetti trattati.

Ad esempio, trattare la formazione di un venditore significa prima di tutto fare chiarezza su quale sia l’immagine mentale del nostro interlocutore, capire cosa ci sia dietro alla parola “venditore”.

Ad esempio,

Diversa concezione di due culture di vendita:

  • il venditore : deve parlare molto – deve essere un pò stupido e lavorare sodo, non importa che sia laureato – non deve fare strategia, la strategia la facciamo noi – deve stare in giro tutto il giorno – deve portarci i risultati,

oppure

  • Il venditore : deve ascoltare molto – deve essere intelligente e creativo – deve essere stratega del suo territorio, rispettando le linee guida – deve agire con appuntamenti mirati – dobbiamo metterlo nelle condizioni di dare i risultati migliori.

Senza chiarire questi punti ogni azione rischia di essere basata su concezioni sbagliate e fraintese.

Le aree di applicazione della negoziazione interculturale

La negoziazione interculturale è un fenomeno sempre più pervasivo a causa della globalizzazione e dell’intensificarsi dei rapporti interetnici, interreligiosi, internazionali, di business, culturali o sociali. 

Rimanendo nel campo del business, i casi nei quali la negoziazione interculturale diventa più evidente sono:

  1. Vendita all’estero nelle culture prossime e nelle culture distanti.
  2. Acquistare all’estero o costruire accordi di fornitura (supply management), negoziazione con i fornitori esteri.
  3. Accordi di business per la distribuzione all’estero di beni o servizi
  4. Joint ventures (costruzione di aziende dirette da più partners di nazionalità diversa) per insediamenti produttivi all’estero.
  5. Fusioni tra aziende e acquisizioni di aziende in cui le culture organizzative di provenienza siano sostanzialmente diverse (come avviene nella quasi totalità dei casi, sia a livello intra-nazionale, che a livello di acquisizioni e fusioni internazionali).
  6. Gestire le forze di lavoro nei paesi terzi.
  7. Gestire le forze di lavoro straniere che operano nella propria azienda.
  8. Fare formazione multinazionale, programmi di formazione che riguardano risorse umane operanti in diversi paesi.
  9. Formazione interculturale: diversità culturali tra formatore e partecipanti, o diversità culturali all’interno del gruppo di allievi.
  10. Coordinare gruppi di lavoro internazionali.
  11. La negoziazione diplomatica e gli accordi internazionali.
  12. Il Peacekeeping, il mantenimento della pace, la prevenzione e la risoluzione dei conflitti.
  13. La contrattualistica internazionale, la negoziazione giuridica cross-culturale.

Sul fronte delle comunicazioni mediate, vediamo l’urgenza di un approccio interculturale ogni volta che emergono problemi di:

  1. Campagne di comunicazione informativa in culture distanti.
  2. Comunicazione pubblicitaria diffusa in culture diverse e su mercati internazionali.
  3. Creazione di messaggi persuasivi e promozionali su scala internazionale.
  4. Sviluppo di concept di prodotto di valenza internazionale, destinati a funzionare su mercati globali e diversi tra di loro.
  5. Sviluppo di concept di prodotti finalizzati unicamente ad una area linguistica-culturale, la cui progettazione avvenga in una diversa cultura di partenza.
  6. Costruire strutture distributive e di vendita su paesi diversi.
  7. Creare sistemi di incentivazione e motivazione del personale adeguate alla cultura locale.

Sul fronte sociale, vediamo invece una urgenza delle abilità di negoziazione e comunicazione interculturale quando si affrontano i seguenti problemi:

  • Inserimento scolastico di bambini stranieri.
  • Terapia psicologica interculturale e counseling interculturale.
  • Dinamiche dell’adattamento etnico.
  • Dialogo interreligioso.
  • Progetti di sviluppo internazionale.
  • Campagne di comunicazione sociale (sanità pubblica, prevenzione di malattie, educazione alimentare, droga, e altre) condotte in aree culturalmente diverse.

Oltre venti aree di problematiche forti ed urgenti caratterizzano il campo della comunicazione interculturale. La vastità e gravità dei problemi sottostanti – in questa incompleta lista – evidenzia l’urgenza di un’attenzione elevata verso la dinamica di comunicazione interculturale.

I metodi e gli strumenti per l’efficacia negoziale interculturale

Data la vastità del campo, preferiamo fornire una prima visione delle aree e strumenti di soluzione.

Le tecniche di base utili in ogni contesto interculturale sono:

  • empatia e ascolto attivo: capire in profondità i comportamenti, atteggiamenti, emozioni, i sistemi di pensiero dell’interlocutore;
  • dinamiche di ascolto multi-livello: la capacità di disaggregare le componenti multiple del messaggio, tenere “corta” la distanza comunicativa – e quindi il margine di incomprensione – tra gli interlocutori;
  • ricerca della condivisione valoriale e di risultato, approccio win-win: valutazione delle “impossibilità di non comprendersi” su alcuni temi per costruire un approccio win-win, in cui entrambi gli interlocutori possano trarre beneficio dalla negoziazione. Partire dalla considerazione che per  chiedere molto ci si deve preoccupare di dare molto;
  • approccio grounded, sperimentale e role-playing: testare sul campo, sperimentare e affinare le proprie strategie comunicative prima di metterle in azione in situazioni di non ritorno;
  • consapevolezze macro-culturali: capire i macro-fondamenti della cultura con la quale si interagisce;
  • analisi del contesto: capire le intenzioni e goals dell’interlocutore, il punto di arrivo desiderato, lo scenario nel quali egli si muove e come questo lo condiziona;
  • piattaforme negoziali flessibili e line d’azione adattive: costruire spazi negoziali flessibili nei quali potersi muovere;
  • consapevolezze micro-culturali: capire la dimensione culturale nascosta e poco evidente nelle manifestazioni della cultura del nostro interlocutore;
  • diagnosi e stratificazione del comunicatore: disaggregare le componenti multiple dei messaggi per comprendere quali messaggi sono da attribuire alla cultura di provenienza del nostro interlocutore, quali alla sua personalità individuale, quali al ruolo giocato e quali ad altri fattori di contesto;
  • centratura emozionale e rimozione del rumore di fondo psicologico (Mental Noise): predisporsi a negoziare con spirito di analisi, attenzione, liberi da pregiudizi; sapersi liberare da stress fisici e psicologici, per poter dare la migliore prestazione negoziale possibile.

[1] Zorzi, Daniela (1996). Dalla competenza comunicativa alla competenza comunicativa interculturale. Babylonia 2/1996.  46 -52.

[2] Chick, J.K. (1990). “Reflections on language, interaction and context: micro and macro issues“, in Carbaugh, D. (ed.) Cultural communication and intercultural contact. Hillsdale NJ, Lawrence Erlbaum. 

[3] Blommaert, J. (1991). “How much culture?” in Blommaert, J. & J. Verschueren (eds.) The pragmatics of international and intercultural communication. Amsterdam/Philadelphia, Benjamins

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Le parole chiave di questo articolo Le strategie e le dinamiche della negoziazione interculturale sono :

  • Analisi del contesto
  • Approccio win-win
  • Ascolto attivo
  • Associativo
  • Associazioni mentali
  • Competenza interculturale
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  • Socio-simbolico

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Negoziazione interculturale. Comunicare oltre le barriere culturali. Dalle relazioni interne sino alle trattative internazionali”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

La cultura come stato di coscienza

La comunicazione interculturale può essere concepita come un contatto tra diversi stati di coscienza, un ponte tra universi mentali distanti. 

Lo stato del sonno è uno stato di coscienza, così come lo è la veglia, o il rilassamento, l’agitazione e l’ansia, il fantasticare o sognare ad occhi aperti. 

La cultura italiana è uno stato di coscienza, così come lo è la cultura americana, o cinese. 

Ogni cultura mette il soggetto nella condizione di prestare più attenzione a certi aspetti del mondo e di trascurarne o ignorarne altri.

Gli esquimesi vedono oltre dieci tipi di neve e hanno parole per ciascuno di essi. Noi vediamo una singola neve. Per noi la neve è la neve, e basta. Facciamo fatica anche solo a pensare che esistano dieci nevi. 

Secondo l’ipotesi Sapir-Whorf e gli studi di psicolinguistica, lo stesso linguaggio forma una struttura della realtà e plasma la realtà che vediamo. 

Ogni essere umano percepisce la realtà in modo diverso, per cui (per quanto difficile sia da accettare) non esiste “una realtà” ma più realtà a seconda degli schemi mentali utilizzati per la percezione (multiple reality theory).

Dieci persone diverse, in un viaggio comune, daranno dieci resoconti diversi dello stesso viaggio, pur essendo stati esposti agli stessi fenomeni esterni. Un fenomeno esterno (presunta realtà oggettiva) non produce automaticamente la stessa esperienza soggettiva del fenomeno (realtà percettiva).

Questo per alcuni è inaccettabile, il rifiuto di tale concetto produce rigidità umana e manageriale, conflitti, guerre, disastri economici, e fallimenti aziendali.

L’incomunicabilità nasce persino all’interno dell’individuo stesso, che si trova dissociato tra il proprio Sè cosciente (ad esempio l’identità professionale) e il proprio inconscio (sede dei sogni, aspirazioni, pulsioni ancestrali ed istinti). 

L’individuo che non comunica con se stesso (ad esempio, nel dialogo interiore tra componente razionale, emozioni e istinto animale) ha difficoltà a riconoscere i propri stati emotivi, non capisce alcuni dei suoi comportamenti o non sa darsene una spiegazione, vorrebbe essere in un modo – es: estroverso, assertivo, tranquillo, integrato, a suo agio, sicuro, flessibile – e si trova nella condizione opposta, non riuscendo a capire perché.

Allo stesso tempo, l’individuo che “non si conosce” applica regole e schemi culturali senza esserne conscio, agisce senza consapevolezza di quali norme, principi, precetti, canoni, direzioni, usanze, linee guida o teorie implicite stia utilizzando.

Principio – Incomunicabilità interna all’individuo stesso

Il successo della comunicazione dipende:

  • dalla capacità di mettere in contatto tra di loro le componenti intra-individuali, e sbloccare la comunicazione tra le diverse componenti del soggetto stesso (livelli conscio, subconscio e inconscio);
  • dal grado di consapevolezza acquisita dal soggetto stesso rispetto alla propria cultura, in termini di valori, credenze, schemi, atteggiamenti e altri tratti culturali acquisiti;
  • dalla capacità di rimuovere il “rumore di fondo” intrapsichico (ansie, preoccupazioni, fissazioni, rumori psicologici) e attuare una forte presenza mentale durante gli incontri e scambi comunicativi.

La memetica

Una vita sana (personale ma anche aziendale) richiede consapevolezza di quali credenze, valori o insegnamenti stiamo mettendo in pratica, e soprattutto riconosce il fatto che essi sono stati acquisiti dall’acculturazione, sono stati assimilati dall’ambiente circostante – dalla famiglia alla scuola alla religione – sono “entrati” ed il soggetto stesso ne è impregnato. 

Gli esseri umani sono pieni di “memi”[1], di tracce mentali, idee, credenze, apprese dagli altri esseri umani (face-to-face) o da fonti mediate. Anche le aziende sono piene di “idee” o “tracce mentali” spesso subìte più che costruite.

La memetica – come nuova disciplina nel panorama delle scienze sociali – si occupa di come le idee o “memi” si trasmettono da persona a persona, da gruppo a gruppo, al pari di come la genetica si occupa della trasmissione dei geni e dei patrimoni ereditari.

Le idee di cui ciascuno di noi è portatore sono state apprese da qualcuno (in larga parte), e noi stessi le abbiamo in parte modificate, divenendo portatori di memi. Chi ha portato queste idee dentro di noi? Chi le ha portate nell’azienda? Come si sono diffuse? Chi ne è portatore sano? Sono tutte buone o alcune di queste sono virus dannosi?

Non appena due culture si incontrano, scopriamo che i nostri memi sono diversi da quelli altrui, ma in termini “riproduttivi” cerchiamo di replicare i nostri piuttosto che di accettare quelli degli altri. 

Al centro della negoziazione interculturale non c’è solo la questione di chi “abbia ragione” sui dettagli, ma addirittura il tentativo di far sopravvivere i propri “memi”, di riprodurre la propria visione delle cose, a volte di imporla. Questo comportamento dal punto di vista etologico, dell’“animale umano”, è normale, risponde ai principi di conservazione della specie.

Come ogni essere animale cerca di riprodurre i propri geni, l’essere sociale cerca di riprodurre le proprie idee (“memi”) e di trasmetterle ad altri. 

Il concetto di “memetica” (espresso da diversi scienziati) si presta bene a studiare come le idee si trasmettono da persona a persona, da gruppo a gruppo, al pari di quanto fa la “genetica” con la trasmissione e replicazione dei geni.

La negoziazione interculturale non consiste solo in un incontro tra posizioni diverse nei dettagli, ma nello scontro tra soggetti portatori di una “memetica” diversa, di una “genetica culturale” o patrimonio personale diverso. 

Esiste quindi una prima forte consapevolezza che rende il negoziatore interculturale più efficace: la consapevolezza della propria cultura, dei propri “memi” attivi. 

Questa consapevolezza non significa rifiuto e non deve produrre automaticamente rifiuto di quanto appreso culturalmente, ma solo e semplicemente consapevolezza di quanto appreso (cosa), delle fonti (da chi), e della storia dei propri apprendimenti (quando).

La consapevolezza della propria cultura e delle fonti

Principio – Consapevolezza delle proprie fonti culturali

Il successo della comunicazione dipende dalla consapevolezza:

  • delle fonti personali (persone fisiche) che hanno realizzato imprinting significativi sul proprio sistema di credenze e comportamenti;
  • delle fonti mediate (media, libri, letture, films) che hanno inciso sulla propria cultura personale;
  • dei tempi dell’assimilazione e delle sue fasi significative e pietre miliari;
  • della profondità di assimilazione nel Self delle diverse regole culturali, norme, guide, leggi e insegnamenti che si adottano;
  • dalla capacità di riconoscere i fattori e le persone da cui si sono assimilate specifiche abilità, atteggiamenti e comportamenti oggi praticati sul lavoro e a livello professionale (es: dove e da chi si sono appresi gli stili e comportamenti di negoziazione e di relazione oggi usati).

Si può accettare di tenere con sè una regola culturale, o si può decidere consapevolmente di tentare di eliminarla dal proprio modo di essere, ma solo dopo avere preso coscienza della sua esistenza (autodeterminazione culturale).

Nel metodo ALM, l’individuo è visto come una cellula in grado di applicare osmosi positive (scambiare con l’ambiente flussi di sapere e di esperienze). 

Come in ogni cellula, senza scambio non esiste nè nutrimento nè eliminazione di tossine. Così, anche nella comunicazione interculturale è necessario saper eliminare le tossine culturali che impediscono il buon funzionamento del Self, e sapersi aprire all’immissione di nuovi elementi.

Principio – Autodeterminazione culturale e locus-of-control interno culturale

Il successo della comunicazione dipende:

  • dalla capacità del soggetto nello scegliere quali regole culturali e tratti culturali mantenere nel proprio bagaglio personale (set culturale);
  •  dalla capacità del soggetto nello scegliere quali regole culturali e tratti culturali eliminare dal proprio set;
  • dalla capacità del soggetto nello scegliere quali nuove regole culturali e nuovi tratti acquisire nel proprio bagaglio personale;
  • dalla consapevolezza di fondo del fatto che sia possibile svolgere un’analisi di scoperta e consapevolezza della propria cultura, per riprendere il controllo delle regole culturali che si applicano. Questa conquista dipende dalla revisione del senso di controllo sul proprio destino, sugli eventi, e persino sulla propria cultura, vista come qualcosa su cui il soggetto può agire (locus-of-control interno).

Il negoziatore interculturale è vivo – come una cellula biologica – quando aperto al proprio cambiamento e allo scambio con l’ambiente. È morto e produce esiti nefasti quando rifiuta di accettare che le diversità esistono e devono essere capite e analizzate.

Tanto maggiore la sua capacità di scambio e osmosi con l’ambiente, quanto maggiore il livello di fitness psico-fisiologico.

L’essere interculturale è altrettanto morto quando non possiede una propria identità, accetta incondizionatamente la “memetica” altrui e rifiuta il proprio patrimonio, disperdendo quanto di buono esso abbia da offrire alla ricchezza relazione.

Come in molte delle attività umane, un buon esito richiede la capacità di trovare un equilibrio tra 

  1. tendenza alla accettazione incondizionata della cultura altrui (ipocrisia culturale) e
  2. tendenza all’imposizione incondizionata della propria cultura verso l’altro (imperialismo culturale).

Gli stati di coscienza alimentano le identità culturali.

Essere italiano ed essere stato cresciuto nella cultura italiana produce una visione del mondo assimilabile ad uno stato di coscienza, e alcuni comportamenti – ad esempio sedersi tutti a tavola in famiglia – entrano nella sfera della normalità di quello stato di coscienza. 

Arrivare a tavola tardi e andarsene prima non è culturalmente corretto nella cultura italiana standard, ma è normale nella cultura americana, passare la nottata al computer center è positivo per uno studente americano, orribile per un italiano. Per lo studente americano copiare è riprovevole, per l’italiano è da furbo. Si tratta di “memi” diversi che circolano: “se copi sei furbo” vs. “se copi sei un fallito”. Ogni negoziazione interculturale porta con se “memi” diversi.

Il problema delle culture è che le loro norme non scritte entrano “senza bussare”, per osmosi, e queste norme diventano tangibili solo quando avviene un contatto con una cultura diversa.

Ad esempio, uno studente italiano che offra ad un collega americano di copiare i propri compiti, per renderselo amico, anziché rafforzare un legame verrà additato, rifiutato e relegato.

Anche le aziende hanno culture tra loro diverse, così come le aree aziendali (amministrazione, vendite, acquisti, produzione) hanno culture proprie e distinte. A causa della grande varietà di input a cui si è esposti, non esiste una creatura che ragioni con gli stessi identici schemi mentali di un’altra.

In questo contesto, le persone si trovano a negoziare e a comunicare.

La ricerca del Common Ground

Due soggetti che possiedono visioni identiche e obiettivi identici, due cloni mentali, non hanno bisogno di entrare in una vera negoziazione e non potranno costruire nulla di originale e “più creativo del singolo”, lavorando assieme, essendo il loro bagaglio identico.

Quando invece emergono diverse visioni, diverse concezioni, esigenze diverse, la negoziazione entra in campo, così come la possibilità di costruire creativamente attingendo da più bagagli diversi.

Negoziare significa impegnarsi attivamente nella ricerca di una soluzione che soddisfi due o più interlocutori che partono da posizioni  culturalmente diverse, facendo emergere (1) le differenze latenti e (2) le basi comuni su cui poggiare.

Stiamo negoziando mentre trattiamo un prezzo o un acquisto – e questo è evidente – ma anche mentre si discute su quale film vedere (sentimentale o d’azione), o cosa fare nel weekend o in vacanza (mare, montagna, riposo, lavoro, visite familiari, sport) partendo da gusti e preferenze diverse. 

Principio – Prerequisiti negoziali

Il successo della comunicazione negoziale dipende:

  • dal grado di impegno/volontà di ciascun soggetto per la ricerca attiva di una soluzione di reciproca soddisfazione (approccio win-win);
  • dalla capacità di riconoscere esattamente i fattori che rendono diversa la posizione di partenza o gli interessi delle parti (riconoscimento delle diversità);
  • dall’utilizzo delle diversità passate allo stato cosciente, come motore propulsivo e creativo;
  • dalla ricerca e costruzione delle basi comuni (common ground) su cui costruire gradualmente una soluzione.

In una famiglia, una negoziazione su “quale vacanza fare” sarà ampiamente improduttiva se parte dalla discussione di specifici dettagli quale il nome dell’albergo o della località, e non si addentra – prima di tutto – sulla ricerca del common ground esperienziale: quale tipo di vacanza vogliamo fare assieme? Che tipo di esperienza vuole l’uno e quale vuole l’altro? Nella nostra mente quali sono le aspirazioni relative alla vacanza (relax, avventura, esplorazione, ozio, cura, sicurezza, rischio, vicinanza, lontananza, vacanza esotica, etnica, culturale, e altri elementi di fondo), e dove sono le nostre divergenze di fondo?

Anche tra aziende, è inopportuno e rischioso avviare una negoziazione sui dettagli (prezzo, ore, date, luoghi) senza aver definito quale tipo di relazione si desidera (anche solo “desidera”, non necessariamente “impone”). Ad esempio, in ogni negoziazione d’acquisto/vendita sarà necessario capire se stiamo parlando di una vendita “una tantum”, di una “prova del prodotto”, della ricerca di un “fornitore di continuità”, della ricerca di un “partner scientifico di ricerca e sviluppo”, e altre connotazioni di fondo.

Dettagli apparenti e sistemi di significazione

Si negozia in azienda anche sui dettagli apparenti.

I dettagli apparenti contengono una diversa visione del mondo. 

Quando si deve decidere quale formato dare ad un corso di formazione – scegliendo di fare otto ore in una giornata intera o fare il corso nei ritagli di tempo – si manifesta una cultura della formazione e una cultura dell’uomo.

Possiamo avere opinioni diverse sul fatto che sia più produttivo un intervento formativo di forte intensità in full-immersion (es: cinque giorni interi), o che sia meglio fare una giornata al mese; possiamo discutere sul fatto che sia meglio trattare i partecipanti con i guanti (tratto culturale “il cliente ha sempre ragione”), o agire con forte decisione per ottenere un cambiamento profondo. 

Di un possibile progetto, abbiamo esposto un piccolo dettaglio, ma possiamo avere diverse opinioni su una innumerevole mole di altri dettagli. 

Questi dettagli apparenti – va ricordato – non rappresentano solo dettagli – ma intere visioni del mondo

Ogni dettaglio  è – dal punto di vista semiotico – un sistema di significazione, un’antenna che comunica il contenuto di interi mondi sottostanti.

Principio – Dettagli come indicatori di visioni del mondo

Il successo della comunicazione negoziale dipende:

  • dal riconoscimento dell’importanza dei dettagli come indicatori di visioni del mondo (dettagli come sistemi di significazione allargata);
  • dalla capacità di gestire i dettagli con attenzione strategica.

Tornando all’esempio, il grado di “morbidità” dell’intervento formativo è considerato talmente un dettaglio da non essere a volte nemmeno discusso in una progettazione corsuale, ma dietro al dettaglio si colloca la visione più o meno marziale dell’educazione e della vita, la storia e le esperienze delle persone, e la loro visione del mondo. 

Dietro alla concentrazione temporale di un intervento formativo, o la sua distribuzione in più fasi, si colloca la filosofia del tempo, una filosofia del cambiamento graduale vs. una cultura dei risultati immediati. 

La modalità stessa con cui un corso viene comunicato, preparato, ritualizzato – oppure banalizzato, denota una diversa visione delle risorse umane e l’intera cultura dell’essere umano che lavora.

Ogni dettaglio apparente contiene una possibile diversa visione del mondo. 

È per questo motivo che la negoziazione – intesa come “costruire qualcosa assieme” – richiede impegno e scienza, partendo dalle questioni di fondo sino ai dettagli.

Esiste anche un modo diverso di osservare la negoziazione. Possiamo concentrarci sul livello di negoziazione interpersonale o su un livello di negoziazione organizzativa (aziendale, o tra enti/istituzioni). In entrambi i casi, ciò che conta è cogliere la diversa dimensione culturale e di visione del mondo che gli interlocutori possiedono.

Comunicazione, negoziazione e seduzione

Negoziare richiede la capacità di sedurre. Una seduzione per nulla sessuale, ma nei fatti assimilabile al corteggiamento: la proposta deve contenere “appeal”, deve rispondere a pulsioni ed esigenze dell’interlocutore. Una proposta forzata non è negoziazione in senso stretto ma imposizione. Una condizione mal digerita, inoltre, si presta molto di più ad essere rifiutata a posteriori, disattesa, o non applicata.

In ogni negoziazione esiste una componente di seduzione.

Da migliaia di anni, i teorici di ogni disciplina stimolano le persone ad adattare la propria arte alle situazioni diverse in cui dovranno operare, riconoscendo la necessità di tarare la strategia verso l’interlocutore, creando una comunicazione centrata sui destinatari.

Aristotele, nella Retorica, si occupa di seduzione pubblica e persuasione. Invita il politico ad usare dinamicamente ethos(credibilità), logos (arte dialettica) e pathos (capacità di suscitare emozioni) centrando il pubblico nel suo essere più intimo.

Come evidenziano ricerche sulla accuratezza delle valutazioni interculturali[2], l’errore di giudizio (sbagliare nel capire con chi si ha a che fare, o decodificare male un messaggio) – un errore già presente a livello intra-culturale – viene potenziato dalle distanze culturali, ed è uno dei fattori più distruttivi nella negoziazione. 

La strategia comunicativa deve tenere conto dei tratti culturali della controparte.

La comunicazione interculturale richiede impegno, a livello di:

  • comprensione del sistema culturale con il quale si interagisce;
  • conoscenza dei valori di fondo e delle credenze dell’interlocutore;
  • identificazione sociale: quale status possiede l’interlocutore nel suo sistema di appartenenza;
  • modalità di comunicazione non verbale;
  • analisi e risoluzione di conflitti.

Ogni negoziatore interculturale dovrebbe avere nel suo curriculum forti competenze su queste materie[3].

Per superare i judgment biases o errori di giudizio è necessario attivarsi, prepararsi. 

Principio – Formazione alla comunicazione interculturale

Il successo della comunicazione negoziale dipende:

  • dalla profondità del training comunicazionale;
  • dalla capacità di mettere in pratica competenze comunicative di valenza trans-culturale;
  • dalla capacità di identificare peculiarità comunicative e tratti culturali specifici dell’interlocutore cui prestare attenzione.

[1] Per il concetto di “mema” e di “memetica” vedi ad esempio:  Downes, Stephen (1999), “Hacking Memes”, in: First Monday, volume 4, number 10 (October 1999), URL: http://firstmonday.org/issues/issue4_10/downes/index.html

Gabora, Liane (1997), “The Origin and Evolution of Culture and Creativity”, in: Journal of Memetics – Evolutionary Models of Information Transmission, 1.

[2] Gelfand, MJ, Christakopoulou S. (1999), “Culture and Negotiator Cognition: Judgment Accuracy and Negotiation Processes in Individualistic and Collectivistic Cultures”, in: Organizational Behavior & Human Decision Processes, Sep;79(3):248-269

[3] Yu, Yanmin (2000). Curriculum Project: Intercultural Communication. Fulbright-Hays Summer Seminars Abroad Program, (Egypt and Israel). Report for the Center for International Education, Washington DC.

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