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… questa azienda, il cui CEO ha un bomberino di pelle e non cravattone dei CEO tipici dell’Europa piccolo borghese e provinciale… questa comunicazione così diretta, così diversa da tante realtà aziendali italiane, sta realizzando i processori che salveranno le vite a chi guida. E senza contributi statali. Alitalia invece, con Luca di Montequalcosa, e tanti altri casi di parapubblico, CDA intrisi nello Champagne, stipendi da favola, se non si alimentano dallo Stato non stanno in piedi… ma lasciamo che le aziende siano guidate da gente con i bomber per favore

https://www.youtube.com/watch?v=SvlEq2kTNKI&spfreload=10

(c) Di Daniele Trevisani

I fondamenti del Metodo

  1. Una persona senza corpo non può fare niente. Ma anche senza motivazione, non potrà fare niente.
  2. Se anche hai un corpo che funziona perfettamente e la voglia di fare cose incredibili, devi avere un “saper fare”. In caso contrario, i tuoi sogni rimarranno sempre nel cassetto.
  3. E se non hai sogni, ideali, volontà di lasciare un contributo al mondo, nemmeno la tua vita ha alcun valore.
  4. Tutte le tue energie sono collegate tra di loro.
  5. La tua capacità di arrivare al tuo pieno potenziale, dipende da come riesci a capire la connessione tra tutti questi strati del tuo essere e come funzionano in te, come creatura specifica che ha dinamiche uniche, irripetibili, diversa dalle altre nel come attiva la connessione tra queste celle di energia interna.

Le nostre energie umane sono in realtà racchiuse “Celle Energetiche”
Sono strati e sistemi enormemente diversi. Iniziano dal corpo fisico, dalle energie di ogni singola cellula, e arrivano agli ideali astratti e più elevati.
Tutta questa complessità è un dono immenso se lo saprai cogliere, ti serve solo di voler veramente lavorare su te stesso, sulle tue capacità.

  • L’efficienza non è un concetto astratto. Si tratta di pura energia in azione. Si tratta di pura focalizzazione del pensiero sulle priorità.
  • Ma efficienza e performance, senza benessere, non valgono a nulla.

A cosa serve vincere una gara per morire appena tagliato il traguardo. A cosa serve per una azienda essere “profitabile”, generare profitti, se semina dolore? A cosa serve una grande carriera se i tuoi rapporti umani sono inesistenti o miserabili? A cosa serve un bel corpo in una mente stupida o priva di valori? A cosa serve avere grandissimi ideali e valori se poi non sappiamo trasformarne almeno una piccola, piccola parte, in qualcosa di concreto che lasci un segno nel mondo?

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  • dal volume Self Power, di Daniele Trevisani (Copyright)

Lo schema a sei celle del metodo HPM espone un possibile schema di riferimento. Il lavoro sulle sei variabili primarie permette di amplificare il potenziale personale, conseguire performance, ricercare un funzionamento ottimale (Optimal Functioning), stimolare un ricentraggio delle proprie attività, degli stili di vita e di relazione, dello stile di pensiero e di azione.

metodo HPM Dr. Daniele Trevisani

Ciascuno di questi macrouniversi contiene intere costellazioni, sistemi e mondi da esplorare.

Trovando i giusti livelli di attenzione, sapendo dove è possibile intervenire, lo sviluppo personale diventa un fatto perseguibile, non più solo un sogno o un desiderio.

Si è trattato e ancora si tratta di un “viaggio” di scoperta ed analisi, in un campo di studi sterminato.

Trattando un tema di frontiera, ampio, multidisciplinare, le fonti devono necessariamente essere altrettanto variegate. Ogni singola esperienza, di ogni uomo, è fonte di conoscenza.

Ogni pensatore del passato o del presente può darci un contributo. Ogni singola anima può contenere spirito vitale, e portare contributi.

 

Sei miliardi di persone al mondo, 6 miliardi di anime, ma a volte ne basta 1 sola.

Dal film: “One tree hill”

 

Un viaggio che riguarda anche te

Man mano che gli studi aumentano e l’analisi di casi concreti sul tema delle performance avanza, si fa più forte l’evidenza che il “viaggio” nella psicologia delle performance non riguarda solo le élite, i campioni, le aziende leader, i manager di alto livello, ma ha implicazioni in ogni processo di crescita della persona, in ogni attività umana. La performance comprende una sfida piccola o grande, sia sportiva che manageriale, o di vita, e in ogni forma di scoperta o avventura umana. Per cui, che tu sia un campione o ti stia addentrando in un nuovo ramo della vita, ti riguarda.

I suggerimenti degli esperti e dei praticanti, in ogni campo, se osservati bene e ripresi nella vita quotidiana, possono insegnare molto anche fuori dalle competizioni. Ci insegnano un approccio che va ben fuori dalle gare o degli impegni massimali e tocca la vita stessa.

È utile saper “estrarre” le conoscenze, farne un distillato, ed utilizzare queste pozioni alchemiche ovunque siano utili e produttive. Le indicazioni che arrivano da una certa disciplina possono andare ben oltre la fonte originaria, e dobbiamo chiederci come renderle utili e produttive anche in altri campi.

Ad esempio, se prendiamo lo sport della corsa di resistenza, e riusciamo a chiarirne alcune dinamiche psicologiche, possiamo applicarne il distillato anche ad altre aree che richiedono resistenza, come il lavoro manageriale, o l’essere genitori.

In campo atletico, Massini, ad esempio, osserva come nella preparazione dei corridori esista un training psicologico, un allenamento che aiuti a saper perseverare, tenere il ritmo e non mollare durante la propria preparazione[1]. La dottrina militare, similmente parla del Battle Rythm come una cadenza di attività indispensabili per tenere sotto pressione il nemico.

In sostanza, saper gestire una fase di stress anziché venirne schiacciati.

Per l’atleta vengono predisposte fasi di allenamento che cercano di far crescere le persone su questo piano.

Se prendiamo altre discipline, come le arti marziali, possiamo ricavarne molto: la sacralità di un allenamento al di la del fattore fisico, il bisogno di condurre uno stile di vita coerente con i propri obiettivi, la necessità di avere test di realtà (combattimenti realistici), sapere affrontare la propria preparazione con un lavoro variegato, variarne le modalità e le intensità, ma soprattutto trovare una soddisfazione intrinseca in ogni allenamento.

Viene da chiedersi quanta utilità potrebbe esserci nell’applicare queste ed altre tecniche di coaching anche nelle aziende. E non solo, quanto sia veramente indispensabile allenare e coltivare le capacità di apprendere, in ogni persona, anche e soprattutto fuori dallo sport, dalla tenera età in avanti.

Tra le diverse discipline che si occupano di crescita e sviluppo, le contaminazioni possibili sono molte, e non vanno solo dallo sport verso le imprese, ma possono anche compiere il viaggio inverso. Ad esempio, le tecniche proposte dalla formazione di tipo esperienziale (Experiential Learning) offrono eccezionali strumenti per rendere un allenamento sportivo più coinvolgente e produttivo, e per creare atleti e praticanti più consapevoli e motivati.

Una delle tecniche di base dell’Experiential Learning aziendale (la formazione aziendale di tipo attivo ed esperienziale) è data dal ciclo briefing-attività-debriefing, il che significa:

Spiego cosa andremo a fare e perché, su quali aree di capacità andremo a lavorare oggi.

Lavoriamo e ci alleniamo.

Dopo aver lavorato, riflettiamo sull’esperienza appena svolta, sulle difficoltà incontrate, sugli insegnamenti che ho tratto oggi, su quello che non è andato bene, su cosa invece ha funzionato ed è stato utile.

Si tratta di un ciclo basilare in tre fasi, che potrebbe essere utilizzato in numerosissime attività sportive, soprattutto nei settori giovanili, con un enorme beneficio. Purtroppo, questo succede molto raramente.

I diversi mondi delle performance – sport, management, scuola/università, forze di sicurezza, ricerca – raramente dialogano tra loro e si scambiano esperienze di successo.

Quando il dialogo si interrompe, quando si crea stasi, vi sono solo due possibilità: una positiva, la meditazione o riflessione positiva, ed una negativa, la depressione. In questo senso dobbiamo ricordare che il semplice fatto di essere impegnati in un percorso di miglioramento è di valore in quanto azione positiva.

 

L’uomo è nato per l’azione,

come il fuoco tende verso l’alto e la pietra verso il basso.

Non essere occupato e non esistere è per l’uomo la stessa cosa.

Voltaire

 

La forza della preparazione

Mick, in campo aziendale, osserva il bisogno di coltivare maggiormente le doti di saggezza manageriale, anziché riempire i manager di skills e concetti che poi verrebbero applicati male o senza coscienza[2]. Anche questo contributo va ben oltre l’azienda e si estende alla vita di ogni organizzazione o team.

La cultura in se non serve a niente se non viene messa al servizio di qualcosa di importante.

Come si osserva in questo dialogo di Thomas Henry Huxley, siamo sempre al servizio di qualcosa, per cui è bene decidere cosa merita e cosa no:

 

– Vescovo anglicano di Oxford: Ma è da parte di padre o di madre che voi discendete dalla scimmia?

– Huxley: Preferisco discendere da una scimmia che da un uomo di cultura che ha prostituito il sapere al servizio del pregiudizio e della falsità.

[1] Massini, Fulvio (2008). Hard Run. I suggerimenti del coach per atleti d’alto livello. In: Runner’s World, gennaio 2008, p. 32.

[2] Mick, David & Thomas Bateman (2006), The Ultimate Virtue. Article Proposal for the Harvard Business Review, Version: 15 February 2006. McIntire School of Commerce, University of Virginia.

Sono stato da sempre condannato a sentire le forze della natura che mi circondano. Serve un certo coraggio per decidere di “sentire” piuttosto che di tapparsi occhi, naso e visceri, di questo coraggio ho parlato in un libro particolare, Il Coraggio delle Emozioni.

E’ un coraggio che ti chiede di sentire. Sentire Energia che sale dal tenere i piedi in un ruscello di montagna, o scende da una cascata sottile, per risalire da una vallata, e altrove cogliere le onde che si frangono sul bagnasciuga, e l’odore dell’erba. Sentire cosa uno sguardo vuole dirti.

In altri luoghi scarichi di energie, sento il malessere pulsante di città grigie, in cui persone con il volto grigio camminano con le spalle curve, e come un contagio emotivo, questo cambia il mio modo di essere e le mie energie.

Deve esistere una modalità per cui l’essere umano impari a tornare a contatto con le forze più potenti della natura senza per forza scalare l’Everest o pescare da uno yacht con la canna dorata. Servono modi per entrare davvero a contatto con la dimensione della natura, perchè quellaeè l’unica dimensione che guarisce dentro, guarisce l’anima, guarisce lo spirito.

Eco-Counseling e l’Eco-Coaching si occupano di questo. Espongo volentierli un breve saggio di una collega e amica ci offre alcuni spunti di riflessione.

Buona lettura, Daniele Trevisani

©  Articolo Copyright by Francesca Marchegiano

Durante un corso di Counseling frequentato a Milano due anni fa, mi sono imbattuta in una parola che improvvisamente mi ha aperto un mondo, e ha dato senso a tante considerazioni sparse che da tempo facevo tra me, in modo disorganizzato. La parola è: Ecopsicologia.
L’Ecopsicologia è nata nel 1989 a Berkley e il primo libro ufficiale sul tema è stato di Theodore Roszak, della California State University, dal titolo: “The voice of the Earth”. In Italia, l’Ecopsicologia è approdata nel 1999, all’interno del convegno internazionale “L’uomo e il paesaggio”, e un libro reperibile nella nostra lingua, sul tema, è di Marcella Danon (la capostipite dell’Ecopsicologia, in Italia), dal titolo: “Ecopsicologia. Crescita personale e coscienza ambientale”.

Con il termine “Ecopsicologia”, si intende dunque una nuova scienza che unisce la psicologia all’ecologia, che lavora sull’interdipendenza tra l’uomo e la natura (già questa divisione, che usiamo fin da piccoli, è sbagliata, in quanto l’uomo è natura)  e che, favorendo i processi di conoscenza del sé nelle persone, stimola e facilita le connessioni, o ri-connessioni, con quanto è parte del mondo esterno.

Diversi studi hanno dimostrato, infatti, quanto molti malesseri psicofisici siano dovuti alla lontananza e all’assenza di contatto con gli ambienti naturali. Se un uomo trascorre il suo tempo in un contesto esclusivamente urbano, dove la natura è piegata al ruolo di decorazione e gli animali sono prevalentemente pezzi di carne in vendita al supermercato, necessariamente quell’uomo sarà alienato anche dalle sue stesse radici, dalle sue sorgenti di energia, dai suoi fiumi emotivi e dalla possibilità di sentirsi, in sé, un Universo complesso e in equilibrio, tanto quanto quello che vede (sfocato dall’inquinamento luminoso) sopra il capo, la sera. Allo stesso modo, un uomo magari immerso in un contesto naturale, che non venga stimolato a riflettere su di sé e sulle interrelazioni che la sua interiorità ha con quanto lo circonda, sarà qualcuno che si comporterà, sulla Terra e nelle relazioni, da padrone o miope utilizzatore di risorse (anche interne), che non sono destinate a durare.

L’Ecopsicologia entra in questo tipo di realtà sociale e ambientale, al fine di stimolare e promuovere l’equilibrio sia interno, della persona, che dei suoi legami con quanto la circonda.  Perché essi sono necessariamente interdipendenti, e a una maggiore conoscenza di sé, corrisponderà una migliore relazione e presa in carico dell’ambiente e degli altri esseri che vi abitano, mentre viceversa, una maggiore conoscenza della natura, dei suoi abitanti ed equilibri, porterà anche una migliore empatia tra la persona stessa e le diverse parti di sé, anche quelle più selvatiche, lontane e sconosciute.

Le sedute e le supervisioni dell’Eco-Counselor o del Green-Coach, avvengono preferibilmente in contesti naturali (anche un piccolo giardino va bene), utilizzando, alla parola, anche l’apporto “silente” che la natura offre, con i suoi messaggi di generosità gratuita, di equilibrio, di connessione e di trasformazione.

Credo che, oggi, un professionista della relazione d’aiuto, non possa esimersi dall’approfondire anche l’Ecopsicologia, perché è un tema che non amplia solo le conoscenze legate al sostegno del cliente, ma lavora sui fili invisibili che da quella persona si estendono verso i suoi legami, i suoi luoghi e gli altri esseri viventi. Sono fili legati al futuro delle prossime generazioni, che saranno evolute solo se avranno avuto qualcuno, davanti, che avrà trasmesso loro l’importanza di un lavoro di potenziamento, cura e protezione delle proprie risorse fisiche, mentali e spirituali, che necessariamente dovranno interagire, proteggendole, con le risorse di quella che tutti chiamiamo Madre: la Terra.

“Tutte le cose sono connesse le une alle altre, e sacra è la loro connessione”.
(Marco Aurelio, 150 d.C).  

©  Articolo Copyright by Francesca Marchegiano

Scopo di questo libro è dimostrare che il fenomeno “intelligenza” può essere scomposto in una serie finita di abilità umane distinte, di distinte intelligenze:

  • intelligenza linguistica,
  • intelligenza musicale,
  • intelligenza logico-matematica,
  • intelligenza spaziale,
  • intelligenza corporeo-cinestetica,
  • intelligenza personale e
  • intelligenza interpersonale.

gardner intelligenze multiple

Caso per caso, Gardner esamina quali siano i componenti e lo sviluppo di ogni particolare forma di intelligenza, gli aspetti neurologici e quelli interculturali.

Negando il concetto unitario di intelligenza, Gardner mira tra l’altro a mettere in discussione l’assunto che l’intelligenza possa essere misurata mediante test verbali e a proporre una tecnica capace di applicazioni in campo educativo.

Questo libro, che per la sua originalità e vivacità di stile ha ricevuto riconoscimenti in tutto il mondo, ha segnato una svolta negli studi sull’intelligenza, ed è oggi considerato una pietra miliare negli studi sull’apprendimento.

 

…il mondo della #formazione è strano, negli USA sono passati dalla Psicologia Umanistica di Carl Rogers, un’impostazione seria, centrata sul Counseling, che sostiene l’umiltà, il non bisogno di apparire a tutti i costi, il valore delle persone, l’introspezione, la ricerca di un modo di essere autentico e personale, a modelli plastificati e stile “il successo è facile”, “se vuoi puoi… se sei fai… se prendi è  tuo” stile #Robbins e followers di ogni natura, che – di formazione – non hanno niente ma, probabilmente, assomigliano alle giostre di paese, con personaggi sempre microfonatissimi… sempre carichi, sempre al Top del Glam del Top, e se non hai un’isola personale, non sei in connessione con l’Universo… no no no, non usate la parola formazione per questi eventi di massa del mondo dello spettacolo –  siamo su due pianeti diversi…

Focusing: Focalizzare i bisogni di sviluppo

image021Estratto con modifiche dall’autore, dal testo “Regie di Cambiamento“, © Franco Angeli editore, Milano. Di Daniele Trevisani

Fare focusing è necessario per ridurre il gap di autoconoscenza, e – se un focusing attuato dal singolo è utile – un focusing aiutato da un professionista o consulente è spesso più efficace.

Riflessioni operative:

  • realizzare focusing (autoanalisi e analisi assistita) per far emergere aree di lavoro, lasciando fluire le proprie sensazioni in un ambiente psicologico non giudicante e di massima accoglienza, non valutativo;
  • raccogliere quanto emerge dal focusing per identificare possibili target di cambiamento.

Nel focusing auto-diretto, si corre il rischio di incontrare un forte gap di autoconoscenza: non conoscersi a sufficienza o illudersi di conoscersi.

È estremamente difficile riuscire ad auto-osservare lucidamente il proprio bisogno di cambiamento, passare dal livello di “sensazione” di un disagio o di una ambizione alla corretta localizzazione del dove, come, quando agire.

Il problema tocca anche l’azienda. A livello di autoanalisi troviamo un gap di consapevolezza anche per la Direzione Risorse Umane e per i leader di team, quando l’osservatore non coglie bene il quadro reale, e le “verità” si offuscano dietro a sintomi e sensazioni imprecise o falsi target.

Da questo derivano problemi a cascata, ad esempio

  • sbagliare il piano formativo di una persona o di una azienda;
  • usare una strategia formativa meravigliosa ma praticabile solo sulla carta;
  • progettare utilizzando assunti e presupposti sbagliati;
  • scollegarsi dalla realtà, sfuggire il “come sono le cose realmente”.

 

Riflessioni operative:

  • considerare che la propria conoscenza sullo stato di cose può non essere corretta, o può essere viziata da distorsioni e autoinganni;

  • considerare quanta distanza è presente tra la “sensazione” vaga di un disagio o problema e la sua corretta identificazione, a livello di sede e di cause;

  • considerare che le prime sensazioni o “letture” – senza focusing adeguati – portano spesso a distorsioni, abbagli, valutazioni errate;

  • ricercare punti di vista e confronto multipli per ridurre il margine di errore;

© Copyright dott. Daniele Trevisani, Communication Research, https://www.studiotrevisani.it

Già… notavo….una questione di stile… lo stile comunicativo di TESLA, notate qualche differenza con FCA? Io si, e tante – prima di tutte, la Motivazione di esistere di un prodotto e delle sue scelte messa al centro di tutto e come premessa… non male davvero…

Iniziamo dal nuovo e dal Buono. Più autentico, più genuino, e sopratutto, che spiega il suo motivo di esistere al momento attuale, il perchè sociale. Perchè esistiamo? E da questo fa derivare ciò che facciamo. NON viceversa.

Nel libro Psicologia di Marketing e Comunicazione ho evidenziato chiaramente che le persone, per acquisti importanti come l’auto, non sono unicamente alla ricerca di un mezzo che li porti da A a B, ma vogliono dimostrare l’adesione ad un “modo di essere” che quell’auto rappresenta. Un’auto può rappresentarti o meno per i valori che sono ad essa associati, e questo vale per ogni prodotto.

Tesla ha fatto l’operazione più scientifica esistente, mentre altri si limitano a scrivere una “patacca” sul retro di una normalissima sputagas con su scritot “Blue…” o “Eco…” mentre con quei gas di scarico puoi uccidere un intero reggimento per pura inalazione.

Lo stile di comunicazione compassato, un pò molto rigido, che io percepisco come Brutto, con (purtroppo dal punto di vista umano) svenimento conclusivo, del CEO BMW (ma qualsiasi altro marchio sarebbe andato bene)

http://www.youtube.com/watch?v=XUcU4PeP-As

Il Cattivo. Adesso scelgo… è che sono troppi….

Iniziamo da questo, il (EX) Ceo di Volkswagen (che controlla anche Audi) che di fronte al Dieselegate “truffa globale” dice che non ne sapeva niente, anzi rincara la dose “Volkswagen does not tolerate any kind of violation of laws whatsoever ” e mentre legge, si coglie l’occhio che scorre il testo che sta leggendo, e si vede, eccome (Indice di totale genuninità?) Ma… se fino ad un secondo prima aggredivi la Grecia per le sue difficoltà, dove lavoravi? In un Garden a fare i Bonsai? Ma certe cose fondamentali, in azienda, le sanno tutti quelli che contano, vieni a raccontare le favola in casa dei pifferai???

Lascio a voi la ricerca di altri stupendi brani …

Poi ci sono quelli che fai fatica a categorizzare… perchè suscitano emozioni miste

Qui non si sa cosa dire….da un lato la voglia di tornare a gioire per un marchio come Alfa, amore sfrenato di tanti Italiani onesti e veri, poi la rabbia per l’attesa di un modello che leggo “in uscita” da troppi anni sulle riviste del settore, pre non parlare del “Suv Alfa” di cui il concessionario mi “anticipa” da 12 anni circa… e  il non capire perchè escano modelli che non si ripagheranno mai e poi mai (un 2500 benzina, senza sistemi almeno ibridi, oggi è pura follia industriale)… e ancora, si notano altri modelli senza nessuna speranza di vendita reale che escono per essere poi ritirati dopo pochi mesi (con costi di progettazione ovviamente mai ammortizzati davvero, vedi la “Nuova Non Nuova Thema”)… e fa male anche il vedere leggere dal palco anzichè dentro, nel cuore, insomma, tanti aspetti comunicazionali da migliorare.

Ma noi continuiamo a tifare “Forza Italia” nel mondo della mobilità e vogliamo vedere un gruppo Italiano un giorno superare Tesla, in quanto, come patria di Leonardo da Vinci, in un Italia come principale paese mondiale esportatore di cervelli in fuga, e di tecnologie qui inventate e altrove sviluppate, come il Common Rail, la Radio, e quasi tutto ciò che si poteva inventare… avremmo tutte – davvero tutte – le risorse che servono.

Andiamo avanti… Mercedes… Di questo tipo di proclami poi, siao stanchissimi… cosa dire… continuare a proclamare che “in un futuro” uscirà un’auto elettrica che si guida da sola mentre nel “presente” esiste già (esempio il modello Toyota di Google) sta diventando patetico… video realizzati con rendering, Photoshop, no grazie, basta! Fateci vedere i modelli quando sono pronti, come fa Tesla, e rendeteli accessibili alla popolazione e non solo agli sceicchi di Dubai, perchè se voglio vedere un video alaborato col computer vado al cinema…, e in genere, non vado a sciare dentro ad un grattacielo con neve artificiale, la tuta da sci dentro e 50 gradi fuori, l’Italiano, non ha questa abitudine purtroppo.

…ma torniamo da dove siamo partiti… quando si annuncia una Car che sia un Concept vero, e la si FA PROVARE in un evento diventato Social… e la si può ordinare online da subito, allora la comunicazione aziendale ha fatto un passo in avanti enorme

…cosa dire in merito? La gente è stanca di proclami di “auto che verranno” e le vuole vedere e provare con le sue mani, come ha fatto Tesla…

Tornando alla questione di fondo su come i Valori Percepiti nel Prodotto portano ad un grado di repulsione  verso un marchio…

L’atto di acquisto comprende una valutazione sottostante di distanza valoriale. La distanza valoriale misura quanto distante sia l’immagine (ed i valori correlati) espressa dal prodotto rispetto all’immagine (ed i valori correlati) ricercati dall’acquirente. In essa rientra la riflessione condotta dal consumatore tra i propri valori sociali e valori percepiti nel prodotto, o nell’impresa venditrice (Daniele Trevisani, Psicologia di Marketing e Comunicazione)

E come meravigliarsi se il mondo ora, dopo lo scandalo del Dieselgate e delle emissioni truccate, ha una percezione diversa di Volkswagen e Audi? E come non sorprendersi che nel 2016 un gruppo come Fiat-Chrisler non abbia in listino un’auto ibrida. E come non meravigliarsi ancora di più per l’assenza di un qualsiasi modello di auto Ibrida Plug In con ricarica da pannelli solari  montanti su garage, tetti, e persino di un normalissimo tetto includente pannello solare? Forse qualcuno ha fastidio per il fatto che un’auto stando ferma in un piazzale possa ricaricarsi di energia al sole anzichè “solo” diventare un forno?

Dove è finita l’analisi che anticipa i sogni e volontà del cliente basandoso sulle sue esigenze latenti, anzichè aspettare che qualcuno esplicitamente e consapevolmente ti dica cosa fare della tua ricerca e sviluppo?

Fig. 6.2 – Consonanze e dissonanze valoriali nel prodotto

valori del prodotto e condivisione valoriale

Tornando alla Psicologia del Marketing espressa nel volume Psicologia di Marketing e Comunicazione:

La vicinanza valoriale produce gradimento aumentato, affetto e identificazione con il prodotto. Al crescere della distanza valoriale si innescano invece fenomeni prima di disinteresse, poi di disprezzo, sino al boicottaggio attivo dei prodotti per ciò che essi significano politicamente e culturalmente. Ad esempio, fenomeni di boicottaggio hanno riguardato i prodotti sudafricani durante l’apartheid[1], il cui acquisto era visto come un modo di supportare il regime razzista, le banane delle multinazionali, il cui acquisto veniva (e viene) considerato un modo di finanziare lo sfruttamento dei paesi poveri, o i prodotti della Microsoft, assunti da diversi gruppi hacker a simbolo di imperialismo culturale nel campo del software. Questi, e molti altri casi di boicottaggio valoriale dei prodotti permeano tutta la storia dell’economia occidentale (Daniele Trevisani)

[1] Regime di separazione tra popolazione bianca e nera, in vigore in Sudafrica sino agli anni ’80.

Articolo a cura di Daniele Trevisani, Consulenza in Customer Dreams Analysis per il Marketing www.studiotrevisani.it

 

 

 

 

 

 

 

image022© Copyright dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Consulting, dal libro Il Potenziale Umano

Capacità di automotivazione e accesso ai drivers in­te­rio­ri (sicurezza, riscatto, autorealizzazione, esplorazione, sfi­da)

Le energie mentali, la voglia di fare, aumentano certamente quando il soggetto “ha fame”.

Fame di riuscire, voglia di riscatto, bisogno di affermarsi, volontà di lasciare un’impronta e un ricordo, bisogno di immortalità (in senso spirituale), sono energie mentali che, ben canalizzate, producono grande carica psicoenergetica.

Questi motori psicologici, se utilizzati male, o se prendono il sopravvento sul senso profondo della vita e la fagocitano, possono invece distruggere.

I bisogni individuati da Maslow nel modello denominato “Gerarchia dei Bisogni” (o Piramide di Maslow) sono utili per inquadrare grandi categorie di bisogno: bisogno di sopravvivenza, bisogno di sicurezza, bisogni sociali e di immagine, bisogni di amore, bisogni di autorealizzazione e di trascendenza (la pienezza umana)[1].

In termini generali, ogni tipo di bisogno compete con gli altri in termini di priorità, ma alcuni bisogni, soprattutto primari come la sopravvivenza, diventano dominanti, sino a che non sono soddisfatti. Per questo motivo il coaching non può dimenticare il bisogno di sicurezza dell’individuo e il suo viaggio verso l’emanci­pazione, anche rispetto bisogno economico, o di trovare un assetto su cui poggiare (grounding personale) per poi andare avanti.

Vogliamo ricordare una citazione di Orwell, secondo cui:

La maggior parte dei socialisti si limita a evidenziare che una volta instaurato il socialismo saremo più felici in senso materiale e presuppone che ogni problema venga a cadere quando si ha la pancia piena. Invece è vero il contrario: quando si ha la pancia vuota non ci si pone altro problema che quello della pancia vuota. È quando ci lasciamo alle spalle lo sfruttamento e la dura fatica che cominciamo davvero a farci domande sul destino dell’uomo e sulle ragioni della sua esistenza.

George Orwell (da Come mi pare)[2]

Le cariche energetiche mosse dalla motivazione sono enormi ma funzionano in buona parte dei casi con andamenti ad U inversa. Livelli troppo bassi di attivazione non producono energia, livelli intermedi producono la massima energia, e livelli troppo alti producono eccesso di energia al punto che il soggetto non riesce a gestirla, non riesce a dissiparla e tradurla in azione, e questa implode sull’individuo stesso (stato di implosione o fibrillazione).

I drive o driver sono pulsioni verso o pulsioni contro, sentimenti che possono andare dalla rabbia al bisogno spirituale, dalla curiosità sino alla voglia di riscatto. Sono motori psicologici che alimentano le energie mentali combattive, agonistiche, ed energie ancestrali che tutti abbiamo dentro.

Queste energie per troppe persone sono drammaticamente coperte da una coltre di apatia, di depressione, di rinuncia. Sollevare questa coltre e lasciarle scorrere è urgente.

Principio 5 di Trevisani per il Potenziale Umano e il Coaching – Motivazione ed energie mentali

Le energie mentali si relazionano (con modalità diverse in ciascun individuo e traiettorie variabili), alla presenza dei seguenti bisogni:

  • bisogni materiali: l’individuo trae energie mentali dal fatto di avere necessità materiali ancora non risolte;
  • bisogno di incrementare la propria sicurezza; il senso di insicurezza motiva verso l’azione quando si canalizza in goal pratici e fattibili;
  • bisogno di lasciare un ricordo di sé o traccia significativa;
  • bisogno di raggiungere un’immagine sociale più elevata o status superiore rispetto a quello attuale;
  • bisogno di riscatto da fatti e situazioni subite in passato, riguardanti egli stesso o propri familiari o altri referenti significativi (es.: riscatto del far laureare i figli non avendo potuto egli stesso studiare, etc.);
  • bisogno di esplorazione e/o superamento dei propri limiti;
  • bisogno di autorealizzazione o raggiungimento di uno stato autorealizzativo ulteriore;
  • bisogno di trascendenza, bisogno di spiritualità, sentirsi parte di un insieme religioso, spirituale, mistico, o universale, bisogno di ricercare un’energia superiore, di slegarsi dalla materialità quotidiana, di elevazione morale.
  • Per tutte le variabili sopra menzionate, è necessario considerare relazioni non lineari (andamenti ad U o U inversa tra variabile e livello di energie mentali attivata), e l’effetto-paradosso che collega bisogno ed energie: anche la liberazione dal bisogno (es.: essere riusciti ad estinguere un debito pesante) può generare energia o rendere disponibile l’energia esistente verso nuovi scopi.

Le energie mentali aumentano quando:

  • l’individuo sviluppa la volontà di risolvere bisogni ancora irrealizzati. Essi possono essere inerenti la sicurezza, salute, status, ambienti di vita e di lavoro, climi psicologici, stati esistenziali, stati di incertezza o insoddisfazione considerati psicologicamente e culturalmente inaccettabili per se stessi (drive negativi), o ambizioni personali evolutive (drive positivi);
  • l’individuo ha fame di risultato e necessità irrisolte verso le quali si attiva prima di tutto emotivamente (attivazione emozionale) e in seguito pragmaticamente (attivazione comportamentale concreta); quando i drive positivi o negativi vengono canalizzati verso un goal o obiettivo, articolato in passi identificati (attivazione comportamentale step by step), le energie aumentano;
  • esiste o viene fatto scoprire il desiderio di trascendenza (da obiettivi materiali a obiettivi spirituali e immateriali) che conduce a esplorazione e ricerca;
  • si attivano connessioni forti tra i propri valori di fondo e i risultati attesi in un progetto o goal (empowerment morale e valoriale sull’obiettivo).

 

In ogni individuo esistono, in vari momenti della vita, necessità non risolte, desideri, ambizioni, ma anche urgenze cui dare risposta, inerenti il bisogno di autoimmagine, il bisogno di socialità, di status, il bisogno di riscatto, il bisogno di esplorazione o superamento dei limiti personali, o bisogni economici e materiali, così come spirituali e trascendentali.

Se se tali stati di insoddisfazione o aspirazione vengono canalizzati verso obiettivi o goal positivi, fattibili, può scattare un’attivazione sana.

Le necessità o bisogni hanno un doppio effetto (sia negativo che positivo) sulle energie mentali. Ad esempio, il bisogno di riscatto può produrre energie e mobilitare all’azione (voglia di emergere, voglia di “far vedere chi sono” o “far vedere cosa valgo”, “dimostrare che ce l’ho fatta”), ma allo stesso tempo la sua eliminazione può liberare energie prima racchiuse e concentrate in quel drive e renderla utilizzabile per altri obiettivi.

Il problema è quindi se il drive motivazionale assorba la giusta dose di energie e ne lasci altre disponibili. Il concetto di Self-Leadership Motivazionale, riguarda la capacità del soggetto nel liberarsi dalla “frenesia di risultato” e trovare motori profondi per i propri obiettivi, gestendoli senza farsi gestire da essi.

[1] Maslow, A. (1954), Motivation and Personality, trad. (1973) Motivazione e personalità, Roma, Armando.

Maslow, A. (1943), A Theory of human motivation, Psychological Review, 50, pp. 370-398.

[2] Fonte: http://it.wikiquote.org/wiki/George_Orwell.

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image022© Copyright dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Consulting, dal libro Il Potenziale Umano

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© Fonte: Estratto dal libro Negoziazione interculturale. Comunicare oltre le barriere culturali.

Empatia e tecniche di ascolto empatico. Verso l’ascolto aumentato.

L’ascolto è una delle abilità più critiche delle competenze umane e lo vediamo negli ambiti della negoziazione e della vendita. Lo stereotipo classico del venditore intento a “parlare sull’altro”, a “vincere nella conversazione”, ad avere sempre l’ultima parola, è sbagliato.

L’approccio empatico prevede una concezione opposta: ascoltare in profondità per capire la mappa mentale del nostro interlocutore, il suo sistema di credenze (belief system), e trovare gli spazi psicologici per l’inserimento di una proposta.

Nel metodo ALM distinguiamo alcuni tipi principali di empatia:

In base agli angoli di osservazione:

  1. Empatia comportamentale: capire i comportamenti e le loro cause, capire il perché del comportamento e le catene di comportamenti correlati.
  2. Empatia emozionale: riuscire a percepire le emozioni vissute dagli altri, capire che emozioni prova il soggetto (quale emozione è in circolo), di quale intensità, quali mix emozionali vive l’interlocutore, come le emozioni si associano a persone, oggetti, fatti, situazioni interne o esterne che l’altro vive.
  3. Empatia relazionale: capire la mappa delle relazioni del soggetto e le sue valenze affettive, capire con chi il soggetto si rapporta volontariamente o per obbligo, con chi deve rapportarsi per decidere, lavorare o vivere, quale è la sua mappa degli “altri significativi”, dei referenti, degli interlocutori, degli “altri rilevanti” e influenzatori che incidono sulle sue decisioni, con chi va d’accordo e chi no, chi incide sulla sua vita professionale (e in alcuni casi personale).
  4. Empatia cognitiva (o dei prototipi cognitivi): capire i prototipi cognitivi attivi in un dato momento del tempo, le credenze, i valori, le ideologie, le strutture mentali che il soggetto possiede e a cui si ancora.

Fig. 20 – Tipologie di empatia nel metodo ALM

empatia

© Modello Copyright dott. Daniele Trevisani, Studio Trevisani Consulting, Estratto dal libro Negoziazione interculturale. Comunicare oltre le barriere culturali.

Impact Factor: Risonanza e applicazioni internazionali del modello di Empatia a 4 Livelli di Trevisani.

Wikipedia in Inlese. Il modello è stato citato nella voce “Empatia” di wikipedia in lingua inglese, con la creazione di un apposito capitolo “Intercultural Empathy”. Di seguito la citazione della voce

Empathy (Intercultural)

Intercultural empathy is the ability to perceive the world as it is perceived by a culture different from the subject’s own. Empathy interculturally regards a variety of issues, such as the approach to time perception (deadlines, temporal precision, perspective time), how to negotiate with people from different cultures and organizations, and be able to integrate all possible difference of communication styles due to differences in culture. The literature distinguishes four levels of empathy, identified by the Italian researcher Daniele Trevisani (2005) that examines the dimensions useful for applying empathic component on the intercultural setting:

  1. Behavioral empathy: understanding the behavior of a different culture and its causes, the ability to understand why the behavior is adopted and the chains of related behaviors.
  2. Emotional empathy: being able to feel the emotions experienced by others, even in cultures different from one’s own, to understand what emotions the culturally different person feels (which emotion is flowing), of which intensity, which are the emotional lives, how emotions are associated to people, objects, events, situations, in private or public aspects of different cultures.
  3. Relational empathy: understanding the map of the relations of the subject and its affective value in the culture of belonging, to understand with whom the subject relates whether voluntarily or compulsorily, who has to deal with that subject in order to decide, in work or life, what is his map of “significant others “, the referents, the interlocutors, “other relevant “and influencers affecting their decisions, who are enemies and friends, who can affects his/her professional and life decisions.
  4. Cognitive empathy (understanding of different cognitive or prototypes): understanding the cognitive prototypes active in a given moment of time in a certain culture in a single person, the beliefs that generate the visible values, ideologies underlying behaviors, identifying the mental structures that the individuals own and which parts are culturally-depending” (Trevisani, 2005).[164]

Altri utilizzi:

The concept of “Intercultural Empathy” has been advanced as a specific subset of Intercultural Communication Competence by the Italian researcher Daniele Trevisani, who proposes four specific dimensions, that allow the specific Intercultural Competence Empathy Traits to be used in Intercultural Training Projects:. Intercultural empathy is the ability to perceive the world as it is perceived by a culture different from the subject’s own. The dimension identified by Trevisani are:

  1. Behavioral empathy (IBE – Intercultural Behaviors Empathy): understanding the behavior of a different culture and their causes, the ability to understand why the behavior is adopted and the chains of related behaviors.
  2. Emotional empathy (IEE – Intercultural Emotions Empathy): being able to feel the emotions experienced by others, even in cultures different from their own, understand what emotions feels the culturally different person (which emotion is flowing), of which intensity, which are the emotional lives, how emotions are associated to people, objects, events, situations, in private or public aspects of different cultures.
  3. Relational empathy (IRE – Intercultural Relationship Empathy): understanding the map of the relations of the subject and its affective value in the culture of belonging, to understand with whom the subject relates whether voluntarily or compulsorily, who has to deal with that subject in order to decide, in work or life, what is his map of “significant others “, the referents, the interlocutors, “other relevant “and influencers affecting their decisions, who are enemies and friends, who can affects his/her professional and life decisions.
  4. Cognitive empathy (ICE – Intercultural Cognitions Empathy): understanding of different cognitive structures, understanding the cognitive prototypes and archetypes active in a given moment of time in a certain culture in a single person, the beliefs that generate the visible values, ideologies underlying behaviors, identifying the mental structures that the individuals own and which parts are culturally-depending” (Daniele Trevisani, 2005).”

Citazione nella voce italiana “Empatia” in Wikipedia, sezione Approccio Interculturale

Empatia

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

L’empatia è la capacità di comprendere a pieno lo stato d’animo altrui, sia che si tratti di gioia, che di dolore. Empatia significa “sentire dentro”[1], ad esempio “mettersi nei panni dell’altro”, ed è una capacità che fa parte dell’esperienza umana ed animale.

Origini del termine

La parola deriva dal greco “εμπαθεία” (empatéia, a sua volta composta da en-, “dentro”, e pathos, “sofferenza o sentimento”),[2] che veniva usata per indicare il rapporto emozionale di partecipazione che legava l’autore-cantore al suo pubblico.

Il termine empatia è stato coniato da Robert Vischer, studioso di arti figurative e di problematiche estetiche, alla fine dell’Ottocento. Tale termine nasce perciò all’interno di un contesto legato alla riflessione estetica, ove con empatia s’intende la capacità della fantasia umana di cogliere il valore simbolico della natura[3]. Vischer concepì questo termine come capacità di sentir dentro e di con-sentire[4], ossia di percepire la natura esterna, come interna, appartenente al nostro stesso corpo. Rappresenta quindi la capacità di proiettare i sentimenti da noi agli altri e alle cose, che percepiamo.

Il termine empatia verrà utilizzato da Theodor Lipps, il quale lo porrà al centro della sua concezione estetica e filosofica, considerandolo quale attitudine al sentirsi in armonia con l’altro, cogliendone i sentimenti, le emozioni e gli stati d’animo, e quindi in piena sintonia con ciò che egli stesso vive e sente.

Concetto

Il termine “empatia” è stato equiparato a quello tedesco Einfühlung.[5] Coniato, quest’ultimo, dal filosofo Robert Vischer (18471933) e, solo più tardi, tradotto in inglese come empathy. Vischer ne ha anche definito per la prima volta il significato specifico di simpatia estetica. In pratica il sentimento, non altrimenti definibile, che si prova di fronte ad un’opera d’arte. Già suo padre Friedrich Theodor Vischer aveva usato il termine evocativo einfühlen per lo studio dell’architettura applicato secondo i principi dell’Idealismo.[6]

Nelle scienze umane, l’empatia designa un atteggiamento verso gli altri caratterizzato da un impegno di comprensione dell’altro, escludendo ogni attitudine affettiva personale (simpatia, antipatia) e ogni giudizio morale. Fondamentali, in questo contesto, sia gli studi pionieristici di Darwin sulle emozioni e sulla comunicazione mimica delle emozioni, sia gli studi recenti sui neuroni specchio scoperti da Giacomo Rizzolatti, che confermano che l’empatia non nasce da uno sforzo intellettuale, è bensì parte del corredo genetico della specie. Si vedano al proposito anche gli studi di Daniel Stern.

Nell’uso comune, empatia è l’attitudine a offrire la propria attenzione per un’altra persona, mettendo da parte le preoccupazioni e i pensieri personali. La qualità della relazione si basa sull’ascolto non valutativo e si concentra sulla comprensione dei sentimenti e bisogni fondamentali dell’altro.

Il contrario di ’empatia’ è ‘dispatia’ ovvero l’incapacità o il rifiuto di condividere i sentimenti o le sofferenze altrui; il vocabolo ‘dispatia’ non è inserito nei comuni vocabolari ma è utilizzato nei testi di alcuni autori. [senza fonte] In medicina l’empatia è considerata un elemento fondamentale della relazione di cura (ad esempio la relazione medico-paziente) e viene talvolta contrapposta alla simpatia: quest’ultima sarebbe un autentico sentimento doloroso, di sofferenza insieme (da syn- “insieme” e pathos “sofferenza o sentimento”) al paziente e sarebbe quindi un ostacolo ad un giudizio clinico efficace; al contrario l’empatia permetterebbe al curante di comprendere i sentimenti e le sofferenze del paziente, incorporandoli nella costruzione del rapporto di cura ma senza esserne sopraffatto (questo tipo di distinzione non è condiviso da tutti, vedi alla voce simpatia). Sono state anche messe a punto delle scale per la misurazione dell’empatia nella relazione di cura, come la Jefferson Scale of Physician Empathy. L’empatia nella relazione di cura è stata messa in relazione a migliori risultati terapeutici (outcome), migliore soddisfazione del paziente e a minori contenziosi medico-legali tra medici e pazienti.[7]

La nozione di empatia è stata oggetto di numerose riflessioni da parte di intellettuali come Edith Stein, Antoine Chesì, Max Scheler, Sigmund Freud o Carl Rogers.

Il merito dell’introduzione del principio di empatia in psicoanalisi è principalmente dovuto a Heinz Kohut[8]. Il suo principio è applicabile al metodo di raccolta del materiale inconscio[9]. Anche l’alternativa all’applicazione del principio rientra nelle possibilità di cura, quando è ineludibile la necessità di fare i conti con un altro principio, quello di realtà.

Per le sue origini l’empatia ha ragione di essere nell’arte e nelle sue applicazioni. In maniera particolare quando l’arte utilizza le parole per la narrazione. In questo caso non solo è mantenuto il rapporto con la psicologia, ma si ampliano le sue possibilità di intervento. Non tutti possono scolpire o dipingere, ma parlando se non scrivendo qualcosa lo possono raccontare molti. Allora la produzione si sviluppa nel verso artista-psicologo-individuo. Non sono escluse possibilità per i disabili, privilegiando la relazione artista-individuo con la mediazione più cauta dello psicologo. Quest’ultimo non può suggerire all’individuo un percorso di emulazione. Il che non impedisce che l’individuo disabile possa diventare artista a sua volta. A cambiare è la posizione dello psicologo che deve solo rendere possibile la fusione dei vissuti dell’artista con quelli dell’individuo. Di certo lo psicologo dovrebbe mantenere entro limiti accettabili la complessità dell’intervento. Senza che per questo il disabile o l’arte abbiano a soffrirne, anzi si potrebbe dire il contrario.

Il libro di Geoffrey Miller The mating mind difende il punto di vista secondo il quale

« l’empatia si sarebbe sviluppata perché mettersi nei panni dell’altro per sapere cosa pensa e come reagirebbe costituisce un importante fattore di sopravvivenza in un mondo in cui l’uomo è in continua competizione con gli altri uomini. »

L’autore spiega inoltre che la selezione naturale non ha potuto che rinforzarla, poiché influiva sulla sopravvivenza e che alla fine si è sviluppato un sentimento umano che attribuiva una personalità praticamente a tutto ciò che la circondava. Si vede in questo un’origine probabile dell’animismo e più tardi del panteismo.

L’empatia è anche il cuore del processo di comunicazione non violenta secondo Marshall Rosenberg, allievo di Carl Rogers.

Grande interesse è stato posto nella ricerca di corrispondenze biologiche per l’empatia[10]. Sono stati valutati allo scopo i cosiddetti “neuroni-specchio”, attraverso diagnostica per immagini del tipo fRMN[11]. Queste cellule si attivano sia quando un’azione viene effettuata da un individuo sia quando questo stesso individuo osserva la stessa azione effettuata da un altro individuo; questo fenomeno è stato in particolare osservato in alcuni primati[12] Analogamente negli uomini si attiva la medesima area cerebrale nel corso di un’emozione e osservando altre persone nel medesimo stato emozionale[13]. Vi sono altre segnalazioni analoghe[14], anche in psicopatologia[15].

Molti si aspettano dalla biologia una spiegazione definitiva di questa materia. Creature differenti sembrano possedere lo stesso numero di geni. Il genere umano è tuttavia peculiare nel mondo vivente. Sappiamo che la funzione del RNA non consiste solo nella produzione di proteine sotto la guida del DNA. L’RNA ha proprietà di regolazione e programmazione su crescita e funzione cellulare. Il complicato meccanismo d’azione non è del tutto noto e potrebbe spiegare la differente complessità degli esseri viventi. Al riguardo l’impressione è che la biologia sia ancora priva di conoscenze complete.[16] L’empatia in questione coinvolge troppo ampiamente sviluppo e funzione psichica perché questo orientamento di ricerca trovi una conferma in esclusiva. Alternativamente si può fare conto su conoscenze disponibili in altre discipline.

Distinzione tra empatia positiva ed empatia negativa

Con empatia positiva si intende la capacità del soggetto di partecipare pienamente alla gioia altrui; si tratta di un con-gioire e di un saper perciò cogliere la gioia altrui, avendo coscienza della felicità da lui provata. In questo senso l’empatia in termini positivi può essere collegata, in generale a simpatia. La gioia colta attraverso la simpatia è però diversa, rispetto al contenuto, dalla gioia colta tramite l’empatia. Nel primo caso, infatti sarà una gioia non-originaria e quindi meno intensa e durevole rispetto a colui che si presenta più prossimo a questa gioia; mentre nel secondo caso, la gioia colta tramite l’empatia sarà di tipo originario, in quanto il contenuto di ciò che viene provato empatizzando con l’altro avrà lo stesso contenuto, anche se solo un altro modo di datità[17].

Con empatia negativa si concepisce l’esperienza di colui che non riesce a empatizzare rispetto alla gioia altrui, trasferendo nel proprio vissuto originario le sue emozioni. Ciò accade in quanto qualcosa in lui si oppone; un’esperienza presente o passata o la stessa personalità della persona fungono, infatti,da barriera alla sua capacità di cogliere la gioia altrui. L’esempio potrebbe essere quello della perdita di una persona cara, che impedisce all’individuo di far emergere una simpatia verso la gioia dell’altro e quindi di condividerla. In questo caso, infatti, il triste evento e i sentimenti di altrettanto tipo che ne derivano fanno sorgere un conflitto, in quanto l’io si sente diviso tra due parti: vivere della gioia altrui o rimanere nella tristezza che quanto accaduto determina[18].

I diversi approcci

Approccio cognitivo e affettivo

Secondo un approccio prettamente affettivo, l’empatia sarebbe un evento di partecipazione/condivisione del vissuto emotivo dell’altro, seppure in modo vicario.

Psicoterapeuti, e psicoanalisti già dall’inizio del secolo scorso, avevano dato maggiore rilievo al ruolo che l’empatia gioca nelle relazioni interpersonali. In particolare, per chi per primo si è avventurato nello studio dell’empatia, inserendola nell’ambito della psicologia sociale, essa è imitazione spontanea di gesti e posture osservate negli altri, e quindi condivisione dei loro vissuti; d’altro canto per alcuni psicoanalisti, empatizzare significa provare quello che prova l’altro, dando motivo al soggetto di capire ciò che prova egli stesso. Secondo invece la natura di tipo cognitivo l’empatia è considerata la capacità di comprendere il punto di vista dell’altro. Per i cognitivisti, a partire dagli anni ’60, empatizzare con qualcuno significa comprendere i suoi pensieri, le sue intenzioni, riconoscere le sue emozioni in modo accurato e riuscire a vedere la situazione che sta vivendo dalla sua prospettiva[19], pur non negando che vi sia anche una piccola partecipazione dell’emotività che entra in gioco, ma considerandola come un epifenomeno cognitivo.

Dagli anni ’80, empatizzare significa provare un’esperienza di condivisione emotiva e di comprensione dell’esperienza dell’altro, dando quindi spazio ad una componente affettiva ed una cognitiva, in modo tale che esse possano coesistere nel processo empatico. Questa nuova idea di vedere il fenomeno, fa riferimento ai modelli multifattoriali (o multidimensionali) dell’empatia. Malgrado alcuni distinguano due tipi diversi di empatia (cognitiva e emozionale), come A. Mehrabian (1997), vi sono altri studiosi, come N.D. Feshbach, la quale considera l’empatia come un costrutto multicomponenziale. In essa vi è un incontro affettivo (affect match), in cui però si prova certezza nel fatto che ciò che si prova è ciò che prova anche l’altro (condivisione vicaria). Vi è quindi un’integrazione delle due componenti affettiva e cognitiva.

Approccio psicoanalitico

Secondo Nancy Mc Williams l’empatia è uno strumento non solo utile, ma necessario allo psicoanalista di professione per percepire ciò che il paziente prova dal punto di vista emotivo. Capita spesso infatti, che vi siano molti terapeuti che si lamentino di essere poco empatici nei confronti dei propri pazienti, ma in realtà questa loro insicurezza, paura e spesso ostilità verso la clientela, è provocata da affetti poco positivi, che scaturiscono proprio dal loro elevato livello di empatia, il quale permette di entrare talmente nello stato del paziente, da sentirne i sentimenti, a tal punto da confondere i propri con quelli degli altri. Gli affetti dei pazienti quindi, molte volte causano una sofferenza talmente grande allo stesso terapeuta, che a lui risulta difficile indurre negli stessi risposte di uguale intensità. Tutto ciò in realtà è molto positivo, perché in questo modo l’infelicità del paziente diventa percepita in maniera sincera e genuina. Non è quindi frutto di una meccanismo dettato dalla mera compassione professionale, ma tenendo conto dell’unicità della persona si entra autenticamente a far parte del suo vissuto emotivo.

Approccio interculturale ed empatia interculturale

L’empatia interculturale rappresenta la capacità di percepire il mondo come esso viene percepito da una cultura diversa dalla propria. Ad esempio, quale sia la diversa concezione della morte nella cultura Italiana rispetto a quella Indiana (utile per capire come essa generi diversi rituali e comportamenti che altrimenti non troverebbero spiegazione), quale sia l’approccio verso il tempo (scadenze, precisione temporale, prospettiva temporale) in una cultura Nord- Europea o Latina (e quindi come regolarsi nei casi di comunicazione interculturale, mantenendo efficacia anche all’interno di una cultura diversa), come negoziare con persone e organizzazione di culture diverse, e essere capaci di integrare ogni possibile differenza nella propria strategia comunicativa. La letteratura in materia distingue quattro livelli di empatia (Trevisani, 2005) che qualificano le dimensioni utili per applicare una componente empatica sul piano interculturale:

  • Empatia comportamentale: capire i comportamenti di una cultura diversa e le loro cause, capire il perché del comportamento e le catene di comportamenti correlati.
  • Empatia emozionale: riuscire a percepire le emozioni vissute dagli altri, anche in culture diverse dalle proprie, capire che emozioni prova il soggetto (quale emozione è in circolo), di quale intensità, quali mix emozionali vive l’interlocutore, come le emozioni si associano a persone, oggetti, fatti, situazioni interne o esterne che l’altro vive.
  • Empatia relazionale: capire la mappa delle relazioni del soggetto e le sue valenze affettive nella cultura di appartenenza, capire con chi il soggetto si rapporta volontariamente o per obbligo, con chi deve rapportarsi per decidere, lavorare o vivere, quale è la sua mappa degli “altri significativi”, dei referenti, degli interlocutori, degli “altri rilevanti” e influenzatori che incidono sulle sue decisioni, con chi va d’accordo e chi no, chi incide sulla sua vita professionale (e in alcuni casi personale).
  • Empatia cognitiva (o dei prototipi cognitivi): capire i prototipi cognitivi attivi in un dato momento del tempo in una certa cultura, le credenze di cui si compone, i valori, le ideologie, le strutture mentali che il soggetto culturalmente diverso possiede e a cui si ancora” (Trevisani, 2005)

Educazione

Genitori e attaccamento

Già M. L. Hoffman dà rilievo all’empatia, come qualcosa che compare nella consapevolezza del bambino fin dai primi anni di vita. Madre e padre dovrebbero imparare anch’essi ad essere soggetti empatici, soprattutto tramite la sensibilità e non la punizione. Dovrebbero quindi educare ai valori dell’altruismo, dell’apertura verso il prossimo, in modo tale che il figlio impari a capire e condividere il punto di vista degli altri.

In generale, secondo John Bowlby, esiste la cosiddetta teoria dell’attaccamento, per la quale il legame relazionale che si crea tra il bimbo e le figure adulte (caregivers), che si prendono cura di lui, è innato. Inoltre tale legame può essere spiegato ricorrendo alla teoria evoluzionistica, secondo la quale il piccolo può sopravvivere più facilmente se vicino a qualcuno che lo protegge dai pericoli e gli è vicino nei momenti felici e in quelli di difficoltà.

Secondo J. Elicker, M.Englund e L. A. Stroufe, le figure adulte di attaccamento, non solo favoriscono al bambino aspettative sociali positive, ma inoltre fa sì che si rinforzi l’autostima del bambino assieme all’immagine che egli ha di sé.

A scuola

Presupposto essenziale dell’educazione è la trasmissione di un messaggio dal contenuto relazionale-affettivo, perché solo con un clima positivo e di fiducia reciproca c’è un incremento dell’apprendimento negli allievi. Per questo l’insegnante stesso, per essere un buon insegnante deve ricorrere al raggiungimento di un buon livello di empatia con la sua classe.

Cooper ha voluto indagare quale sia il legame fra empatia-insegnante-alunni, e ha notato, che a livello morale, il livello di empatia dell’insegnante influenza enormemente la condivisione di affetti, sentimenti e conoscenze a livello interclasse. È insomma, egli stesso un esempio, una guida, una sorta di catalizzatore dell’apprendimento. L’importante per lui, è tenere conto individualmente di ciascun alunno, ma senza perdere di vista l’insieme, affinché questa sorta di partecipazione influisca anche sugli alunni più bravi, in modo che lo supportino nel suo obiettivo.

Fortuna e Tiberio (1999) hanno determinato dei criteri per stabilire quanto un insegnante sia più empatico di un altro. Nel caso sia più empatico, il docente è contraddistinto da una maggiore propensione a elogiare e premiare gli studenti che se lo meritano, più che a denigrare o svalutare coloro che non riescono a portare a termine un risultato. Inoltre sanno accogliere e guidare gli studenti che esprimono liberamente i propri sentimenti, incentivando le discussioni condivise in aula. Tali maestri non ricorrono all’atteggiamento autoritario, ma sono capaci di valorizzare i propri alunni, facendo emergere la loro creatività. Molto importante è il fatto che gli alunni che collaborano con insegnanti empatici abbiano un livello di autostima più alto e un concetto di sé sociale più positivo, senza contare che anche a livello sociale gli alunni si prestano molto più ad essere collaborativi, perché capiscono qual è il comportamento più rispettoso da tenere all’interno di un gruppo. L’empatia non è presente però in tutti gli insegnanti, essi stessi infatti ritengono che essa sia una sorta di caratteristica individuale più o meno esercitata nel tempo. Essa emerge soprattutto all’interno delle classi poco numerose. Condizione necessaria è che si instauri tra insegnante e alunni un rapporto di fiducia, positivo, cooperativo e volto all’ascolto reciproco.

Empatia nelle relazioni d’amore

L’empatia è un fattore fondamentale nelle relazioni di coppia. Nelle relazioni amorose l’uomo non dà cose materiali, ma se stesso in sostanza; dunque le persone che amano si sentono vive. C’è un desiderio di fondersi con l’altro essere, comprendendolo pienamente, che è proprio una dimensione dell’empatia stessa; pertanto l’empatia facilita il coinvolgimento della crescita all’interno della coppia.

L’empatia può produrre effetti positivi e negativi nella coppia. Nel primo caso può essere utilizzata per risolvere incomprensioni e litigi futili; nel secondo caso invece può danneggiarla evidenziando le differenze che minacciano la continuità della relazione. Infatti l’empatia prolunga l’amore quando non vi è una disparità tra i partner nella comprensione reciproca e nella capacità di sentirsi vicendevolmente.

La misurazione dell’empatia

Poiché non esiste una definizione condivisa di empatia, risulta particolarmente difficile definire quali sono i metodi e gli strumenti maggiormente idonei a misurarla. Alcuni studiosi, infatti, privilegiano l’approccio cognitivo e altri quello affettivo.

È quindi possibile distinguere diverse tecniche di misurazione dell’empatia facendo riferimento agli aspetti che esse considerano: cognitivi, affettivi o multidimensionali.

Strumenti basati su aspetti cognitivi

Tra di essi si possono distinguere due sottocategorie:

  • I test di predizione sociale, che identificano l’empatia come la capacità della persona di fare una stima di ciò che gli altri provano (emozioni e pensieri). Due famosi test di questo tipo sono quello di R. F. Dymond e quello di W. A. Kerr e B. J. Speroff.
  • I test di role taking affettivo, che identificano l’empatia come l’abilità dell’individuo di comprendere la prospettiva dell’altro in una determinata situazione. L’esempio più noto è il Test di Percezione Interpersonale (Interpersonal Perception Test) di H. Borke.

Strumenti basati su aspetti affettivi

In questo caso si possono individuare tre tipologie:

  • Resoconti verbali, cioè risposte che gli individui danno a situazioni stimolo come storie figurate, interviste e questionari.
  • Indici somatici, cioè posture, gesti, sguardi, vocalizzi ed espressioni facciali[20] che le persone assumono nel momento in cui si trovano esposte a situazioni significative dal punto di vista emotivo.
  • Indici psicofisiologici, cioè risposte del sistema nervoso autonomo come, ad esempio, la sudorazione, la vasocostrizione, il battito cardiaco, la temperatura e la conduttanza della pelle[21].

Strumenti basati su aspetti multidimensionali

Secondo alcuni autori non è sufficiente limitarsi a considerare solamente o l’aspetto cognitivo o quello affettivo, ma è necessario utilizzare strumenti più complessi che fanno riferimento ad entrambi. Due esempi significativi sono il Sistema di Punteggio Continuo (Empathy Continuum Scoring System) di Janet Stayer e l’Indice di Reattività Interpersonale (Interpersonal Reactivity Index) di M. H. Davis.

Disturbi

Alcuni disturbi e malattie mentali presentano come sintomi anche carenza di empatia. Mentre in questi tale caratteristica è solo conseguente o parallela ad altre caratteristiche disturbanti, esiste un disturbo comprendente a volte deficit di empatia cognitiva, la sindrome di Asperger; in questa, tale deficit non deve essere interpretato come negativo, ma neutro, in quanto se nei pazienti mancano i risvolti “positivi” dell’empatia, mancano anche quelli “negativi” (schadenfreude, acredine).

La civiltà dell’empatia di Jeremy Rifkin

Secondo i concetti esposti dall’economista e saggista statunitense Jeremy Rifkin in un saggio del 2010 intitolato La civiltà dell’empatia, l’uomo moderno è naturalmente predisposto all’empatia, intesa come capacità di immedesimarsi negli altri – uomini o animali – attraverso i cosiddetti neuroni specchio, così da sentirne le sofferenze, le gioie, le fatiche ecc. Secondo Rifkin «sono circa 20.000 anni che non siamo più homo sapiens sapiens, ma homo empathicus. Leghiamo tra di noi, socializziamo, ci occupiamo l’uno dell’altro, siamo cooperativi […] Ci basiamo su tre colonne portanti per il nostro benessere: la socializzazione, la salute (igiene e sanità, nutrizione), e la creatività. Quando una di queste tre colonne o l’empatia viene a mancare o repressa, vengono fuori i nostri alter-eghi, da cui la violenza, l’egoismo, il narcisismo ecc. […] Poi però, ci pentiamo di aver fatto del male, perché non è proprio nella nostra natura.[22]

Note

  1. ^ Fortuna F., Tiberio A., Il mondo dell’empatia. Campi di applicazione, Franco Angeli 1999, p. 11.
  2. ^ Cf. empatia in Enciclopedia Treccani online.
  3. ^ Giusti E., Locatelli M., Empatia integrata. Analisi umanistica del comportamento, Sovera edizioni. 2007, p. 13.
  4. ^ Giusti E., Locatelli M., Empatia integrata. Analisi umanistica del comportamento, Sovera edizioni. 2007, p. 12.
  5. ^ Cf. Einfühlung in Enciclopedia Treccani online.
  6. ^ Mallgrave and Ikonomou, Introduction, in Empathy, Form and Space. Problems in German Aesthetics, 1873-1893, Santa Monica, 1994, pp. 1-85.
  7. ^ Hojat M. “Empathy in patient care”, Springer 2007, Storia, sviluppo, misurazione ed esito dell’uso dell’empatia nella cura dei pazienti.
  8. ^ Kohut H., “How does analysis cure?” The University of Chigago Press (Chicago, 1984), 82
  9. ^ Galotti A., “Profili: Heinz Kohut” in “Individuazione” anno 11° nº 42 (Genova, dicembre 2002), 4.
  10. ^ Preston e de Waal, 2002
  11. ^ Decety e Jackson, Decety e Lamm, de Vignemont e Singer; 2006
  12. ^ ‘Empathy – Neurological basis’ English www.wikipedia.org
  13. ^ Wicker et al., 2003. Keysers et al., Morrison et al., 2004. Singer et al., 2004 e 2006. Jackson et al., 2005 e 2006. Lamm et al., 2007
  14. ^ Bower; Nakahara e Miyashita; 2005
  15. ^ Tunstall, Fahy e McGuire, 2003. Dapretto et al., 2006
  16. ^ Biology’s Big Bang – Unravelling the Secrets of RNA The Economist June 16th, 2007.
  17. ^ Stein E., L’empatia, Franco Angeli, 1986, pp. 68-70
  18. ^ Stein E., L’empatia, Franco Angeli, 1986, pp. 68-70.
  19. ^ Albiero P., Matricardi G., Che cos’è l’empatia, Carocci, 2006, p.11
  20. ^ Bonino S., Lo Coco A., Tani F., Empatia. I processi di condivisione delle emozioni, Giunti Editore, 2010, p. 82
  21. ^ Albiero P., Matricardi G., Che cos’è l’empatia, Carocci, 2006, p.70
  22. ^ Jeremy Rifkin, La civiltà dell’empatia, Milano, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., 2010. ISBN 978-88-04-59548-9

Bibliografia

  • Trevisani, D., Negoziazione Interculturale. Comunicazione oltre le barriere culturali, Franco Angeli, 2005.
  • Mallgrave and Ikonomou, “Introduction”, in “Empathy, Form and Space: Problems in German Aesthetics, 1873-1893” (Santa Monica, 1994), 1-85.
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