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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Negoziazione interculturale. Comunicare oltre le barriere culturali. Dalle relazioni interne sino alle trattative internazionali”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

Le differenze tra comunicatori

Una delle principali aree della comunicazione interculturale è lo studio delle differenze tra emittente e ricevente del messaggio. In cosa “io” e “tu” siamo diversi? Nei rapporti tra aziende, dove sono le diversità tra “noi” e “voi”?

Nel nostro metodo utilizzeremo due variabili primarie che costituiscono differenze tra comunicatori, quindi due principali differenze culturali :

  1. il codice di comunicazione e
  2. la visione del mondo (World-View)

Dopo una attenta analisi, proporremo alcune considerazioni sui limiti della comunicazione. In particolare, le implicazioni riguardano:

  • l’aspetto tecnico della qualità comunicativa, cioè, l’esattezza o accuratezza dello scambio di informazioni tra persone di culture diverse (understanding), e 
  • il risultato della comunicazione in termini di accordo (agreement) sui contenuti e sulle visioni espresse fra i comunicatori. 

Il codice di comunicazione

La cultura è considerata in questo metodo come un insieme di modelli di pensiero, categorizzazione, comportamento e comunicazione, che vengono sia appresi (durante la crescita dell’individuo) che ereditati (frutto del codice genetico comportamentale). Questi modelli influenzano la percezione del mondo, la comunicazione ed il comportamento. 

In una prospettiva semiotica, l’ unità fondamentale di analisi ed il primo componente della comunicazione percepito durante l’ interazione è il segno, la più vasta categoria inclusiva di entità di significato. 

I segni sono ciò che emettiamo, e costituiscono il comportamento comunicativo esterno percepito da un ricevente o osservatore. 

Sono quindi segni i comportamenti verbali, i comportamenti non-verbali (immaginiamo ad esempio la postura corporea che assumiamo di fronte ad un interlocutore, e i suoi significati non detti), la comunicazione scritta, i simboli, le immagini che utilizziamo per comunicare. 

I segni (usati per comunicare) ed il significato della comunicazione, sono collegati da un codice di comunicazione, che a sua volta si compone di sottocodici. 

Un codice di comunicazione quindi è inteso come sistema di regole impiegate per collegare le espressioni (qualsiasi segno usato per comunicare, sia verbale che non verbale) ai significati sottostanti. 

La consapevolezza dei codici multipli della comunicazione è essenziale per la qualità comunicativa. 

Ogni comunicatore/negoziatore consapevole sa che il proprio corpo emette segnali in continuazione, e che questi segnali possono essere incongruenti o congruenti con i segnali verbali (parole o frasi dette). 

Possiamo dire – a parole – di essere sereni, ma trasmettere con il corpo la sensazione di essere tesi e nervosi, e i nostri interlocutori se ne accorgeranno.. Possiamo esprimere verbalmente piacere e trasmettere inconsciamente repulsione. 

Il problema dei codici comunicativi è soprattutto un problema di stile comunicativo, che richiede la scelta del tipo di linguaggio da utilizzare. Quale stile, quale linguaggio utilizziamo per esprimere il messaggio?

Ogni negoziatore, ogni comunicatore, consapevolmente o meno, utilizza uno stile linguistico. 

Lo stile si nota in ogni fase del discorso e della conversazione, in ogni comunicazione scritta e persino nei supporti fisici (materiali, oggetti). 

Un negoziatore può aprire la conversazione con un interlocutore di business affermando:

  • «Siamo qui per valutare come sia possibile costruire un progetto assieme» (linguaggio cooperativo);
  • «È necessario valutare la feasibility e l’eventuale break-even point di una nostra joint-venture» (linguaggio managerialese anglofono);
  • «Ok, siamo qui, adesso tagliamo corto, ditemi le vostre condizioni e sbrighiamoci, non ho tempo da perdere» (linguaggio aggressivo);
  • «Cerchiamo di esplorare i nostri orizzonti comuni e vedere se tra noi può sorgere un alba, spero non un tramonto » (linguaggio poetico-ironico).

La consapevolezza dei codici e degli stili utilizzati è indispensabile, poiché codici e stili possono essere antitetici o simili, funzionali o disfunzionali rispetto agli obiettivi.

La visione del mondo (World-View)

Un secondo componente della cultura è “World-View” – la “visione del mondo” 

La visione del mondo è considerata negli studi antropologici come un insieme di credenze, valori e atteggiamenti, impiegati dagli attori sociali per interpretare e categorizzare la realtà, dando significato agli eventi, stabilire rapporti tra di essi e guidare il comportamento. 

La visione del mondo è un concetto talmente personale da essere difficilmente classificabile in schemi rigidi, tuttavia le esigenze (o tentativi) di fornire classificazioni hanno condotto alcuni scienziati sociali a produrre delle categorie attraverso le quali leggere le culture.

La classificazione delle differenze culturali

Tra i classici della comunicazione interculturale si citano spesso le categorie di Hofstede, come parametri per differenziare e categorizzare le culture.

Le categorie di Hofstede possono essere un punto di partenza interessante per avviare una riflessione sulle differenze culturali.

Tuttavia, il rischio che si produca una generalizzazione è elevato, e non è auspicabile usarle per fini predittivi automatici. Sarebbe estremamente sbagliato giungere alla conclusione che – poichè una persona ha un certo passaporto o una certa nazionalità – la sua semplice appartenenza ad un paese ci permetta di prevedere con certezza come si comporterà.

Più utile ci sembra ragionare su come queste categorie ci possono aiutare a capire con chi abbiamo a che fare quando negoziamo, basandoci sui comportamenti concreti che osserviamo, e senza lasciarci annebbiare da automatismi di giudizio. Suggeriamo quindi di utilizzare le categorie soprattutto come strumenti per analizzare le culture organizzative con cui si viene a contatto.

Categorie di Hofstede

  • Power distance: Distanze tra strati sociali e tra ruoli – Distanza tra individui a livelli diversi di una gerarchia – Accettazione delle ineguaglianze – Rigidità delle gerarchie
  • Individualismo-collettivismo : Grado con cui le persone agiscono come individui piuttosto che in gruppo – Spazi per l’espressione individuale e l’iniziativa personale
  • Mascolinità vs femminilità: Divisione dei ruoli e prevalenze di valori Valori maschili : (assertività, successo, competizione) e Valori femminili (qualità della vita, relazioni, aiuto, prendersi cura)
  • Uncertainty avoidance : Misura il bisogno di situazioni strutturate, di regole e schemi Vs. l’accettazione delle diversità, del caos, la  tolleranza per le ambiguità

Power distance

Riguarda il grado con cui una cultura “mantiene le distanze” tra i diversi strati della popolazione, ma anche la rigidità delle gerarchie all’interno di una organizzazione.

Secondo Hofstede, i paesi con low-power distance (basso grado di distanza relazionale, come Canada, USA) sono ritenuti più egualitari nella distribuzione del potere, mentre i paesi con high power distance (Giappone, Sud Corea, Hong Kong, etc.) possiedono strutture organizzate in modo più gerarchico.

Anche a distanza di pochi metri, possiamo avere aziende caratterizzabili come low-power distance e altre come high power distance, e lo stesso vale per le culture familiari.

Individualismo-collettivismo

Le culture individualiste caratterizzano i sistemi nei quali i legami tra individui sono deboli, variano nel tempo, e ognuno deve badare sostanzialmente a se stesso, o al massimo alla propria famiglia ristretta. 

Le libertà individuali sono elevate, e la sicurezza sociale sostanzialmente scarsa, la possibilità di ascesa sociale e carriera elevata, così come il rischio di fallire e cadere senza reti e protezioni.

Le culture collettiviste invece inglobano l’individuo nel gruppo, in modo molto coesivo, offrendogli protezione in cambio di lealtà e fedeltà, dando sicurezza ma limitando al tempo stesso la libertà di espressione e le deviazioni dalla norma. L’individuo è molto controllato.

Il negoziatore interculturale avanzato non dovrà mai dare per scontato che una controparte sia individualista o collettivista (o in qualsiasi altro modo caratterizzata) solo perché classificato in termini di nazionalità e stereotipi.

Mascolinità vs femminilità

Questa dimensione ha dato luogo a molte controversie, perché considerata sessista e discriminatoria. La volontà di Hofstede era invece semplicemente di analizzare come categoria culturale un comportamento di genere, quale il “caring” (prendersi cura dei figli), derivante dalla storia biologica del genere umano femminile, vs. il ruolo maschile prototipico nelle società arcaiche legato alla difesa, agonismo, caccia e lotta.

Identificando fenomeni legati al genere, possiamo notare nazioni come il Giappone ove esistono forti aspettative di ruolo, ci si attende dagli uomini una diversità dal comportamento delle donne, una “presa in carica” (“in-charge” role). Per contrasto, in paesi come la Norvegia, o la Svezia, la dimensione è più femminilizzata, il che significa che i ruoli tra uomini e donne sono molto più fluidi e interscambiabili nelle organizzazioni sociali. 

La visione del ruolo della donna è certamente una variabile ancora forte che differenzia alcune culture (ove ad esempio si impedisce alle donne di comparire in pubblico a volto scoperto) da altre ove una donna è incoraggiata ad assumere ruoli di visibilità e responsabilità nella scala sociale.

Uncertainty avoidance

L’evitazione dell’incertezza, la tolleranza dell’ambiguità. Distingue il bisogno di regole chiare, di procedure, di responsabilità lavorative ben identificate (alto grado di evitazione dell’incertezza), dalla capacità/condizione dell’agire in condizioni di regole incerte o imprecise, senza responsabilità ben identificate o in climi di caos organizzativo, o in ambienti poco strutturati (basso grado di evitazione dell’incertezza). 

Questa variabile è correlata al “bisogno di strutturazione” e alla “tolleranza per l’ambiguità” che varia in modo elevato nelle culture, o tra classi sociali, e persino tra famiglie, e quindi anche tra negoziatori di culture diverse.

L’interculturalità apre anche la strada all’esistenza di altri “modi di essere”, di nuovi modi di vivere la vita, e può essere molto terapeutica.

Il vero problema della psicologia culturale è riconoscere quanta parte di assorbimento culturale ha inciso sulla propria personalità, e riappropriarsi di un modo di essere diverso, sia esso meno “ansioso” o “più dinamico”, con la consapevolezza che non è possibile “avere tutto”, essere allo stesso tempo indaffarati e rilassati. 

La comunicazione interculturale, vista nel metodo ALM, pone la sfida della “multiesistenzialità interna” – la nuova capacità di vivere in stati diversi della personalità assorbendo il meglio di culture diverse –  es: saper essere frizzanti e dinamici in certi momenti, rilassati in altri, ed include la capacità di evitare i trascinamenti esistenziali e culturali, es: vivere con ansia e stress da iperprogrammazione una vacanza, o al contrario non saper vivere in un sistema che richiede scadenze e programmazione, quando necessario.

Si può dire che la dimensione interculturale apre le porte a nuove frontiere dell’essere umano, che (almeno nelle società occidentali) per la prima volta nella storia può scegliere di aderire o meno ad una cultura, può modificare il proprio modo di essere e di vivere.

Altre dimensioni di differenza culturale

Altre dimensioni importanti da considerare nella visione del mondo per il metodo ALM sono:

  • cultura dei tempi personali e priorità temporali: inserire tra le priorità la ricerca di emozioni (goals intangibili) o di goals tangibili; il vissuto temporale e le dominanze temporali, la consapevolezza delle differenze tra cultura personale (dell’individuo), cultura organizzativa e cultura nazionale: come io vivo il tempo, come lo vive la mia azienda, come lo vive la mia cultura nazionale – nella fretta o nel relax, nella pianificazione o nel caos. In questo ambito, tra gli obiettivi principali del metodo ALM vi è la riappropriazione del senso di piacere del tempo, eliminando i condizionamenti forzati prodotti dai prototipi cognitivi della propria cultura (autodeterminazione dei tempi);
  • le credenze religiose, sia nella differenza tra religioni, ma soprattutto nel grado di religiosità palese o latente che l’individuo esperisce e applica nella vita quotidiana e lavorativa;
  • le ideologie politiche;
  • la concezione dell’essere umano e il motivo profondo dell’esistenza;
  • la concezione dei rapporti interpersonali (sfruttamento, utilità, condivisione, simbiosi, competizione) e la poliedricità dei rapporti interpersonali (capacità di vivere più livelli, caratterizzati da sistemi motivazionali diversi);
  • la concezione dei rapporti tra uomo e natura, il grado di spiritualità vs. materialismo;
  • l’orientamento all’interno (autoesplorazione, esplorazione del mondo interno e psicologico, introspezione) vs. l’orientamento all’esterno (esplorazione del mondo esterno);
  • l’orientamento all’essere vs. l’orientamento all’avere;
  • l’orientamento verso la positività o la negatività;
  • l’orientamento al passato, al presente o al futuro (e altri quadranti specifici identificati nel modello proprietario T-chart del metodo ALM);
  • la competitività personale e l’orientamento verso la competitività;
  • l’egocentrismo, etnocentrismo, egoismo, centratura sul self o sui propri bisogni, vs. eterocentrismo, altruismo, centratura anche sull’altro e sui bisogni altrui.

Il miglioramento della comunicazione

L’esattezza dello scambio dell’informazione può essere migliorata riducendo la distanza lungo la dimensione “codice”, il che equivale alla riduzione della distanza linguistica. 

Questo significa in alcuni casi imparare una lingua straniera, un dialetto o subdialetto entro un nazione, ma anche apprendere un linguaggio professionale, un codice non verbale che caratterizza altre culture, gestualità e modalità prossemiche, cadenze e aspetti paralinguistici della comunicazione.

L’accordo può essere migliorato con la diminuzione del grado differenza fra comunicatori nei valori, miti, credenze, atteggiamenti e ideologie – differenze che possono avere conseguenze negative nel processo di comunicazione. 

Inoltre, essendo i due elementi altamente correlati, un aumento nella comprensione di codice aumenterà l’ abilità della comprensione di visione del mondo, e viceversa. 

I livelli interculturali e i limiti della comunicazione

Il codice e le dimensioni di visione del mondo dovrebbero essere considerati non sempre completamente differenti o completamente uguali, in quanto variando lungo un continuum di differenze/similarità. 

I livelli interculturali dipendono dalla quantità e qualità di differenza nella  visione del mondo e nel codice comunicativo. 

In generale, la capacità di interpretazione del comportamento umano aumenta in situazioni nelle quali i codici culturali sono meno rilevanti e i codici biologici prendono il sopravvento, come quelle situazioni che riguardano la sopravvivenza (aggressione) e altri comportamenti più istintivi (come cibarsi o nel sesso).

In altre parole persone di differente cultura o creature appartenenti a differenti specie hanno l’abilità di percepire il comportamento aggressivo o amicale non verbale di un membro di un’altra cultura o specie, mentre comportamenti più culturali saranno meno interpretabili. 

Ogni essere umano condivide a livello basilare ed istintuale la tendenza a riprodurre la specie, il tentativo di non morire di fame o di freddo, la protezione dei figli, ed in genere i comportamenti degli esseri viventi biologicamente evoluti. 

L’evoluzione verso l’autorealizzazione è poi uno degli stati che maggiormente caratterizza ogni essere umano, come sottolinea Carl Rogers[1], e le culture e le religioni stabiliscono solamente diverse modalità o “variazioni sul tema” di questa tendenza di fondo verso l‘autorealizzazione.

Le tecniche di empatia (apprendere a capire la visione del mondo altrui) e una maggiore attenzione all’ottimizzazione dei codici di comunicazione possono dare un’enorme contributo allo sviluppo della comunicazione interculturale. 

Il miglioramento della comunicazione interculturale, a sua volta, genera un impulso enorme alla realizzazione di progetti di sviluppo comuni tra stati, culture e paesi – progetti che non abbiano barriere e confini geografici, ma accomunino le persone verso una comune tendenza alla autorealizzazione personale, sociale ed economica.

Il comportamento umano è determinato da due tipi di forze: dal condizionamento culturale (ontogenetico, appreso durante la crescita) e dal condizionamento biologico ereditario (filogenetico, ricevuto dal DNA), e gli apprendimenti ontogenetici (culturali) si innestano sempre su una base filogenetica, che costituisce il nostro patrimonio comune, e nessuna cultura potrà mai scalfire, ma tuttalpiù potrà coprire, far dimenticare.

Allo stesso tempo, l’impossibilità di codice completamente uguale deriva dalla grande profondità e varietà semantica dei segni (il campo semantico é l’estensione e la gamma dei possibili significati di un segno).

Il significato attribuito ai segni non è un elemento stabile o “dato”, ma è frutto di un accordo simbolico tra individui, è il prodotto cioè della socializzazione e di accordi interpersonali e intergruppo, ma la socializzazione varia in continuazione nel tempo, nello spazio, e tra individuo e individuo, gruppo e gruppo, e quindi variano continuamente anche i significati dei segni.

I segni, e i codici, sono vivi, e mutano. Ogni diade di individui, ogni gruppo, crea nel tempo un proprio codice di comunicazione attribuendo significati peculiari a segni utilizzati.

Ciò avviene, e spesso inconsciamente, all’interno delle aziende. L’errore si determina quanto viene dato per scontato che l’interlocutore dell’azienda controparte possieda un codice condiviso. Questo problema richiede un grande lavoro di metacomunicazione, quella attività comunicativa che serve per spiegare il significato attribuito ai segni emessi e verificare l’esattezza del significato percepito nei segni ricevuti.

Così come per il codice, nessun individuo, nessun gruppo organizzato, possiede esattamente la stessa gamma di valori, comportamenti, atteggiamenti, visioni del mondo, credenze, posizioni ideologiche, sull’intera gamma di oggetti e situazioni che divengono oggetto di comunicazione.

Riconoscere la diversità è il primo strumento utile per poterla affrontare.


[1] Rogers (1961).

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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Negoziazione interculturale. Comunicare oltre le barriere culturali. Dalle relazioni interne sino alle trattative internazionali”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

Le barriere linguistiche e culturali

Una delle prime scoperte di chi si avventura al di fuori dei propri contesti culturali, è che le regole comportamentali funzionanti nella propria cultura si dimostrano fragili e poco produttive quando trasposte in un contesto estraneo. 

Vediamo alcuni esempi brevi:

  • Nella tua casa: da un pò vorresti trattare con un tuo familiare un argomento, ma ogni volta che ci provi la persona sfugge. Cosa sta accadendo?
  • Nella tua nazione: un cliente vorrebbe acquistare (un progetto, un prodotto) ma tu sai che l’acquisto è sottodimensionato, il problema che egli vorrebbe risolvere è grande e il budget non è sufficiente per dargli un risultato vero, come riesci a farlo capire?
  • Pechino. Ore 9,30, Hotel Sheraton. La delegazione dell’impresa cliente non è ancora arrivata, l’appuntamento era alle 9,15. Possiamo interpretarlo come una mossa tattica, o un reale ritardo? Volevano ritardare, o è successo qualcosa?
  • Mosca. Proponiamo alla controparte l’esclusiva del nostro prodotto sul territorio Sovietico, il benefit aggiuntivo della formazione del personale di tutta la loro rete vendita, ma la controparte si offende e chiude le trattative. Cosa è successo?
  • Buenos Aires. Le trattative per accedere agli appalti del ministero dell’industria sono interminabili, incomprensibili, oscure. Come comportarci?
  • Gerusalemme. Rappresentanti dei culti ebraico, cattolico e musulmano, ministri e rappresentanti politici si incontrano per negoziare una pace possibile, siete chiamati a condurre il dibattito, come evitare un conflitto?
  • Budapest. La direzione di stabilimento non riesce ad abbattere i difetti di produzione, ogni tentativo di intervenire in profondità è vano. Cosa fare?

In ogni situazione esemplificativa esposta, siamo di fronte alla problematica della negoziazione interculturale.

La capacità negoziale interculturale è nelle mani di chi è più abile nel gestire la comunicazione sul campo, applicando la consapevolezza culturale (power of awareness) in ogni singolo contatto. 

Ma vediamo qualche altra situazione.

  • Bologna, inizi del terzo millennio: un bambino di nove anni non vuole più andare alla scuola di calcio che frequenta già da due anni, preferisce giocare con i propri amici nel campetto, e di scuola di calcio e campionato non vuole più sentire parlare. Perché?
  • Monaco di Baviera: un marito trentenne, libero professionista, litiga con la moglie (stessa età) perché lui vuole fare i figli solo quando avranno una solida base economica, mentre la moglie vuole farli presto. Cosa succede?
  • Casa tua: ti svegli alla mattina e sai di aver fatto un sogno che ti ha colpito ma non riesci a ricordare i particolari. Cosa è successo?
  • Nel tuo ufficio o azienda: con un collega non riesci a capirti da tempo, sembrate parlare due lingue diverse, più ti sforzi e più non vi capite, cominci ad essere veramente stanco della situazione. Cosa sta succedendo in realtà?

In tutti questi casi entra – a vari stadi – la dimensione interculturale. 

Un denominatore comune accomuna tutti questi casi: le barriere linguistiche non sono nulla rispetto alla diversa visione del mondo che le persone portano con se, e alle diversità che esiste tra sè e gli altri, nonostante le apparenze.

Non vogliamo svelare o proporre soluzioni facili o immediate per tutti questi diversi casi (al massimo, possiamo proporre ipotesi), ma vogliamo dare solo un indizio sul caso che sicuramente risulta più strano e difficile da inquadrare come comunicazione interculturale: il ricordo di un sogno. Ebbene, come evidenziano diverse ricerche nel campo, anche il dialogo interno alla stessa persona (dialogo interiore) assume tratti del dialogo interculturale. 

Quando diversi stati di coscienza hanno difficoltà a dialogare tra loro, es: lo stato razionale della veglia contro lo stato inconscio e subconscio del sonno, si produce incomunicabilità interna. Questi stati sono dominati da logiche estremamente diverse, e riescono a trovare momenti di comunanza solo in rare occasioni (come negli stati di confine, di dormiveglia, i momenti nei quali nessuno dei due riesce a dominare l’altro).

Persino a livello interiore, quindi, troviamo sintomi di una condizione di dialogo interculturale.

Le barriere alla comunicabilità e i campi semantici

Abbiamo iniziato ad accennare, nel paragrafo precedente, al problema della diversa concezione del mondo prodotta dalla diversità culturale. 

Ma i problemi non si fermano qui. Nella comunicazione interculturale troviamo infatti una ulteriore barriera, in genere molto più evidente: una lingua diversa, un linguaggio diverso, un codice di comunicazione non comune, dei sottocodici (dialetti, linguaggi professionali) sconosciuti. 

È sufficiente sentir parlare tra di loro due astronomi o due fisici, mentre trattano un loro problema lavorativo, per sentirsi dopo pochi secondi completamente estranei, non riuscire a connettersi mentalmente con quanto essi stiano dicendo.

Anche in questo caso dobbiamo considerare un fenomeno importante: la diversità linguistica può essere evidente (macrodiversità: es., Cinese vs. Arabo), ma anche molto subdola e difficile da riconoscere, creando situazioni di microdiversità linguistica.

Esistono diversi linguaggi professionali all’interno della stessa lingua, e significati diversi applicati alle stesse parole.

Il problema della comunicazione non si limita alla traduzione tra lingue diverse, ma tocca anche il flusso di parole che intercorrono tra padre e figlio, cresciuti in due generazioni diverse, con modelli e linguaggi diversi, o tra dirigenti di diversi settori, i cui problemi e linguaggi divengono mondi separati.

Tradurre significa trasportare significati all’interno di altre lingue, ma anche, e soprattutto, consentire l’accesso ad un sistema di pensiero diverso.

Vediamo il seguente caso:

  • per gli Americani USA, “tomorrow” (domani, in italiano) significa dalla mezzanotte alla mezzanotte;
  • in Messico, “mañana” (sempre “domani” in italiano) significa “nel futuro”, ha senso posticipatorio generale, e non racchiude assolutamente un preciso arco di tempo.

Le due diverse concezioni non sono puramente linguistiche, ma si riferiscono ad una diversa percezione del tempo.

Quando due generazioni o due religioni dialogano tra di loro, il problema dell’interpretariato culturale si pone seriamente. Questo problema emerge anche nel dialogo tra due aziende, indipendentemente dalla lingua utilizzata.

La traduzione è in realtà un fenomeno molto più complesso. Ogni parola, ogni verbo, ha “campi semantici” (campi di significato) specifici e non traducibili esattamente nella lingua altrui. In alcuni casi, non esistono possibilità di traduzione – in molti casi, le parole e verbi non hanno alcuna corrispondenza esatta nelle culture e lingue altrui. 

Vediamo un esempio. Una società italiana si appresta ad avviare una attività produttiva in Cina. È alla ricerca di consulenze in loco per formare i quadri sui temi della leadership orientata alla qualità, l’impegno sui valori aziendali (commitment), la buona comunicazione interna. È alla ricerca quindi di formatori in comunicazione. Ma come farà a descrivere il proprio bisogno, quando la categoria “formatori in comunicazione” non è linguisticamente consolidata nella lingua cinese? E siamo sicuri che – qualora esista un termine similare – l’immagine mentale che in Italia corrisponde al “formatore” sia la stessa nella mente del ricevente cinese? Pensare che le immagini mentali tra due soggetti possano combaciare perfettamente è una pura illusione.

Esistono problemi interculturali anche quando si parla di comunicazione tra sessi. Se solo riflettiamo su quanta diversità esista tra un uomo e una donna latini sul concetto di “avere una relazione”, o “fare l’amore”, e altri concetti simili, possiamo capire che la dimensione interculturale sia presente in ogni istante quotidiano.

Ma torniamo alla nostra dimensione italo-cinese. Di quale forma di comunicazione stiamo parlando? In Cinese esistono almeno due termini (ideogrammi) per descrivere la “comunicazione”, ed almeno tre parole che possono vagamente avvicinarsi al senso del termine “formatore”. Siamo certi di poter tradurre correttamente o che il traduttore lo faccia?

Anche lingue molto simili (italiano e spagnolo) possono dare origine a problemi di traduzione, a volte proprio per la similarità del sound o della parola. 

La parola “imbarazzata” in italiano ha un significato (all’incirca, essere a disagio), mentre in spagnolo la parola “embarazada” significa essere incinta. La stessa similarità nella radice della parola genera problemi nel parlante americano che si rapporta ad un parlante spagnolo dicendo “I am embarrassed” (sono imbarazzato), che può essere decodificato come “sono incinto”.

Il problema interculturale non parte solo dalla distanza chilometrica, ma può prodursi nel raggio di pochi metri. 

Ogni dialetto è pieno di parole che non possono essere tradotte nella lingua ufficiale.

Le distanze psicologiche e comunicative

Sentire la “distanza” tra persone è un fatto comune, quotidiano. Sentirsi lontani anche quando si è vicini fisicamente, cercare un contatto e non trovarlo, non capire le mosse di avvicinamento altrui, i desideri di un rapporto più profondo, o i segnali che gli altri ci lanciano. È un aspetto comune della vita.

Possiamo però, ed è questo il gioco interessante – cercare di ridurre queste distanze, se e quando lo desideriamo interiormente – nel caso delle amicizie e rapporti intimi. 

In questi casi, o quando sia importante in termini di business, è possibile mettere in atto dei dispositivi che ci permettano di cercare l’avvicinamento, ridurre la distanza e allontanare l’incomprensione.

Tra i principali errori della comunicazione vi è quello di illudersi che le persone siano tutto sommato simili in termini di opinioni, linguaggi, atteggiamenti, valori di fondo, visioni del mondo

Questa presunzione porta a considerare la trasmissione di un’idea o concetto che noi consideriamo ovvio e semplice, un fatto quasi “automatico”, mentre nella realtà le cose non stanno così.

Una ulteriore illusione è che la comunicazione interculturale richieda poco sforzo o impegno. Alcuni pensano di risolvere i rapporti con mogli, mariti figli, colleghi, parlando ad un cellulare per pochi minuti. Fossero anche ore, la qualità comunicativa rimarrà comunque inadatta al problema.

La vera negoziazione interculturale richiede tempo, impegno, dedizione, contatti interpersonali e ampio “lavoro di rapporto” che non si conclude con un email o una telefonata.

Se vogliamo essere efficaci sul piano interculturale dobbiamo utilizzare i tempi adeguati e i mezzi di contatto adeguati.

I critical incidents (casi critici, positivi o negativi) sono di estremo aiuto per scoprire alcuni meccanismi di relazione che non funzionano, comportamenti e atteggiamenti che creano difficoltà nei rapporti e nelle negoziazioni, dove non sia stato dedicato il tempo sufficiente a lavorare sul rapporto, a chiarire le diversità, o non siano stati utilizzati i mezzi di contatto più efficaci, da parte nostra o dagli altri.


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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

I confini comunicazionali della campagna

confini comunicazionali selezionano chiaramente il target, lo descrivono e lo separano da altri target o altri soggetti che – pur interessanti – non sono oggetto delle attenzioni di questa campagna.

La campagna è per definizione un’azione su un target molto specifico e localizzato.

target

I confini della campagna devono essere fissati considerando la fattibilità e le risorse in campo, e un periodo di tempo preciso, che non può in genere andare oltre l’anno di tempo. Il motivo per cui non è conveniente estendere troppo la durata della campagna è che la situation analysis (su cui si basa la campagna) evolve rapidamente, e quindi i presupposti iniziali potrebbero essere molto cambiati anche solo a distanza di un semestre. Il bimestre o trimestre – i 60 o 90 giorni di tempo per fare una intera campagna (come tempo medio) – forzano l’organizzazione a stringere il campo su un target ristretto ma chiaro.

Distinguiamo quindi nettamente una campagna di comunicazione da un programma permanente di comunicazione, per evitare confusioni.

Se un obiettivo è molto ampio e il budget elevato, è molto meglio suddividerlo in più campagne specifiche, delimitate, ristrette, controllabili, anziché produrre azioni mastodontiche e dispersive.

Molti amministratori  o manager – per incapacità o in malafede – fissano volutamente obiettivi confusi e scarsamente delimitati, per sfuggire al controllo di risultato che invece una campagna focalizzata permette di praticare.

I confini dell’azione possono anche essere rifiutati da funzionari o consulenti che non desiderano rendicontare il proprio operato (scarsa Accountability). Questo atteggiamento è negativo per tutti. 

Molto più produttivi risulta invece un patto tra (1) funzionari, leader (e altri membri del team di campagna) e (2) finanziatori della campagna – finalizzato ad ottenere (ed esigere duramente, se necessario) le risorse adeguate agli obiettivi di campagna da raggiungere. 

I project leader devono assolutamente rifiutare obiettivi di campagna che non abbiano adeguata copertura di risorse. Devono quindi costruire una lista di risorse necessarie (lista della spesa) per coprire ogni azione prevista entro i confini della campagna.

Ricerca sui target primari

Il team di progetto dovrà conoscere ogni aspetto critico del target da raggiungere.

Per le campagne al consumatore diretto B2C, si include in genere il profilo sociodemografico (età, sesso, titoli di studio, residenza, gruppo etnico, professione) e i profili psicografici (stili di vita, preferenze politiche, abitudini e atteggiamenti).

Variabili di segmentazione sociodemografica nel B2C

  • Sesso
  • Età
  • Titolo di studio
  • Zona di residenza
  • Gruppo etnico di appartenenza
  • Reddito
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Variabili di segmentazione psicografica nel B2C

  • Atteggiamenti
  • Cultura – identità
  • Valori umani e sociali
  • Stili di vita (lifestyles)
  • Comportamenti e abitudini
  • Personalità
  • Religione d’appartenenza, grado di religiosità
  • Umori, stati umorali ed emotivi
  • Appartenenza politica
  • Weltanschauung – visione del mondo
  • Propensione al rischio
  • Need-for-uniqueness (bisogno di unicità, bisogno di differenziazione)
  • Way-of-buying (comportamenti d’acquisto, modalità e culture d’acquisto)

Nelle campagne B2B è importante definire quali sono le modalità di acquisto, i ruoli di acquisto, gli influenzatori, i comportamenti passati e le motivazioni di base, le possibili leve di vendita che faranno scaturire l’intenzione comportamentale, gli ostacoli ed obiezioni che incontreremo.

Variabili oggettive per la segmentazione B2B

  • Numero di dipendenti
  • Fatturato – classe di fatturato
  • Variazioni di fatturato sugli anni precedenti
  • Zona di insediamento
  • Nazione di appartenenza
  • Settore merceologico
  • Appartenenze ad associazioni di categoria
  • Esportatore o meno, e quanto

Variabili qualitative per la segmentazione B2B

  • Tipologie di acquisto (gara tra fornitori, appalto, acquisto per amicizie, acquisto imitativo, etc)
  • Climi aziendali e organizzativi
  • Culture aziendali.

Quando la campagna di comunicazione è orientata alle vendite, dovrà essere compreso quale way-of-buying adotta il consumatore, quali obiezioni latenti esistono verso i messaggi, come saranno recepiti i messaggi, considerando la struttura mentale del target.

Dovremo inoltre capire se il target è omogeneo o disomogeneo, e quindi se sarà sufficiente un messaggio ad ampia copertura o occorra predisporre messaggi segmentati, tarati sulle singole audience.

Se affrontiamo una campagna di vendita acquisitiva, dovremo sapere presso chi si rivolge oggi il cliente, se ha già dei fornitori, come li ricerca, come decide, chi decide all’interno dell’organizzazione e chi sono gli influenzatori, e numerose altre variabili.

target

La ricerca sui target primari trae vantaggio dalla realizzazione di azioni di ricerca mirata, su piccoli campioni di componenti del target, per produrre un quadro descrittivo sufficientemente nitido, un quadro che permetta di evitare grossolani errori che spesso si praticano nella comunicazione aziendale quando manca un’analisi accurata del target.

Target audience secondari e opinion leaders

Come abbiamo già sottolineato, il comportamento è sempre influenzato a qualche livello dalle aspettative altrui e da gruppi di riferimento o persone vicine. 

In diverse situazioni, comunicare verso gli opinion leaders o verso gli influenzatori è indispensabile per rimuovere blocchi che impediscono l’adozione di nuovi comportamenti e atteggiamenti, o per ottenere dei “lasciapassare comportamentali” che rimuovono veti psicologici latenti.

La ricerca sui sistemi di influenza e sulle reti di influenza è quindi indispensabile per capire a chi altri comunicare, con quali messaggi e con quali media.

Le campagne di comunicazione efficaci richiedono la comprensione della mappa dei poteri e delle relazioni nella quale si inserisce il soggetto target.

Ad esempio, nel campo della promozione dello sport per anziani, è stato notato da ricerche condotte dall’autore per conto di un’associazione nazionale di promozione sportiva, come la comunicazione verso gli anziani stessi sia ampiamente insufficiente se non avvengono azioni su influenzatori quali i medici di base e i membri della famiglia. Altre importanti funzioni di rinforzo sono svolte inoltre dai gruppi associativi quali i circoli per anziani e i sindacati di anziani, il cui supporto diventa determinante per consolidare l’efficacia dei messaggi.

Dimenticare l’esistenza di questi soggetti è un grave errore strategico.

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