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© Articolo estratto con il permesso dell’autore, Dott. Daniele Trevisani dal libro “Ascolto Attivo ed Empatia. I segreti di una comunicazione efficace. Milano, Franco Angeli

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L’importanza della variabile “credibilità della fonte” nella persuasione è stata sottolineata già dai primi studi sulla materia, i quali avvalorano l’ipotesi seguente: un’alta credibilità della fonte ha più effetto, nel persuadere un’audience, che una fonte a bassa credibilità

L’ascolto attivo ha una forte componente persuasiva. Devo persuaderti che vale la pena raccontarmi le tue cose, le tue situazioni, dati, sentimenti, fatti accaduti, qualsiasi cosa sia oggetto del colloquio. 

Allora, la verità comincerà a fluire e l’ascolto a funzionare

Nel coaching, per quanto la fase di comunicare esprimendo dati sia inferiore al tempo passato nell’ascoltare, l’intero “apparato uomo”, l’intera persona come sistema, è una “fonte” che comunica qualcosa di sè, e come tale, soggetta ad esame di credibilità.  

Il coach è una fonte di ascolto, una fonte di consigli, una fonte intesa anche come fonte di saggezza, un porto sicuro nel mare in tempesta. Se non fornisce questa immagine, diventa dissonante. 

Se parliamo di ascolto, possiamo dire senza ombra di dubbio che – ove manchi credibilità spontanea – l’unico modo per ottenere informazioni sarebbe un interrogatorio. E questo non è certo quello che deve fare una persona che voglia praticare ascolto attivo. 

Quello che ci interessa è invece riuscire a creare un ambiente collaborativo e facilitante per l’ascolto. La nostra parte in questo consiste nell’essere persone con una forte credibilità, dovuta a due specifici meccanismi evidenziati dalla psicologia sociale: 

  1. Trustworthiness (o Trust): letteralmente “essere degni di fiducia”, essere persone attendibili; 
  1. Expertise: essere visti come persone competenti ed esperte sul tema che trattiamo, o nel processo di coaching stesso. 

Nel coaching e consulenza, la competenza ricercata è la capacità di analisi, e non tanto l’essere delle persone competenti nel campo merceologico di cui si occupa il cliente. Se ad esempio il cliente produce barche, ma noi siamo coach in azione per lavorare sulla leadership, deve emergere che sappiamo esperti in leadership, e non che siamo esperti di barche.  

Lo stesso vale per il public speaking, dove il fatto di parlare in una banca, in una fabbrica, in un teatro, o in un campo di gioco, non cambia la sostanza forte delle questioni su cui lavorare. 

La dinamica di ascolto va però adattata in funzione delle culture e delle persone.  

Se facciamo ascolto attivo a livello internazionale, sappiamo che un CEO aziendale giapponese pretenderà cenni di rispetto e di cortesia estrema, e non pacche sulla spalla. Il contatto fisico sarà da evitare, almeno nelle prime fasi. Se siamo negli USA, sappiamo che avremo a che fare con una cultura molto diretta, che non apprezza i convenevoli, importanti invece nelle culture latine ed arabe. 

Il fattore expertise (considerato come “competenza” tecnica o “qualificazione”) si riferisce alla conoscenza e preparazione tecnica della fonte riguardo i fatti presentati nel messaggio. 

Il fattore Trustworthiness si riferisce alla percezione che la persona dica o meno la verità che conosce (oppure dia solo una versione parziale dei fatti), con lo scopo di manipolare le controparti a loro insaputa. 

Queste due dimensioni possono essere combinate costruendo una matrice di analisi della credibilità per formare quattro diverse tipologie di percezioni della fonte:

  1. alta expertise- alta trustworthiness: la fonte più credibile, essendo percepita come competente e affidabile; 
  2. alta expertise- bassa trustworthiness: fonte inaffidabile; 
  3. bassa expertise- alta trustworthiness: fonte inesperta; 
  4. bassa expertise- bassa trustworthiness: fonte inaffidabile e inesperta. 

L’intento di passare all’ascolto attivo e non essere quindi spettatori disinteressati ci porta al tema dell’intento di coaching e intento comunicativo e stile comunicativo che ne deriva. 

Tutti si rivolgono a coach, esperti e consulenti per risolvere problemi, o aumentare le loro prestazioni. Il problema avviene quando il cliente pretende di sapere già quale sia la soluzione, e magari cerca una scorciatoia “rapida e indolore” per un obiettivo che richiede invece impegno e continuità. 

Nel momento in cui il professionista accondiscende ad offrire soluzioni che possano portare si alla performance desiderata, ma con grave danno per la persona stessa, l’etica deve far dire no.  

"Ascolto Attivo ed Empatia" di Daniele Trevisani

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Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Continuiamo a parlare di comunicazione non verbale trattando questa volta il concetto di paralinguistica, passando poi al training non verbale e infine al tema della consonanza e dissonanza tra stili linguistici e non verbali, che può portare nel primo caso ad una comunicazione efficace, e nel secondo caso ad un possibile fallimento comunicativo.

La paralinguistica

La paralinguistica riguarda tutte le emissioni vocali che non siano riconducibili strettamente a “parole”, e comprende: 

  • il tono della voce; 
  • il volume; 
  • i silenzi; 
  • le pause; 
  • il ritmo del parlato; 
  • le interiezioni (brevi emissioni, come “ehm”, “uhm”…). 

Essa stabilisce la punteggiatura del parlato e contribuisce a trasmettere le informazioni emotive. Messaggi quali “sono teso”, “sono arrabbiato” o “sono ben disposto” trasudano più dal sistema paralinguistico (percepibile dal suono, a livello uditivo) che dal sistema linguistico (parole e frasi).  

Una frase può portare con sé significati completamente diversi in base all’enfasi posta su parole e al tono di voce. 

Training non verbale

L’addestramento all’uso del paralinguistico richiede un training sull’uso strategico delle pause e dei toni. In generale, la formazione per il non verbale prevede l’accesso a tutti i repertori delle tecniche teatrali e dell’attore: il metodo Stanislavskij e altri metodi di formazione teatrale sono gli unici veramente in grado di agire in profondità sulla formazione e sulla trasformazione dei comportamenti espressivi degli adulti. 

Un training adeguato può essere utile per addestrare il comunicatore a cogliere il tremore della voce altrui (sintomo di nervosismo e stress) e le reazioni non verbali alle proprie affermazioni, e ad agire “teatralmente” tramite movimento, pause e alternanze di ritmi per dare enfasi a parti del discorso e ai punti chiave da fare emergere. 

Come per ogni altro compito manageriale, senza un’adeguata preparazione le chances di essere competitivi sul piano comunicativo calano quando gli equilibri di competenze sono sbilanciati. All’aumentare del divario tra il nostro training e il grado di training della controparte aumentano i rischi di esito sfavorevole di ogni comunicazione. 

Consonanza e dissonanza tra stili linguistici e non verbali

La comunicazione non verbale può rinforzare il messaggio verbale o essere dissonante rispetto a questo. Parlarsi chiaro vuol dire anche cercare coerenza tra i messaggi verbali che emettiamo e la nostra comunicazione non verbale. Se dico un no vero, lo posso accompagnare da un gesto corporeo che segnala il diniego. Se dico un , lo posso accompagnare anche con il body language, con un gesto di apertura delle braccia e un cenno del capo, che mostri che il mio è sentito. 

Quando il corpo dice altro rispetto alla voce, siamo in presenza di incongruenze comunicative o dissonanze comunicative. 

Ascoltare attentamente e dare cenni di assenso può segnalare interesse molto più di una semplice dichiarazione verbale. Dire “sono interessato” con le parole ed esprimere noia o disgusto con le azioni del corpo produce un segnale dissonante e crea sospetto o irritazione. 

I segnali non verbali possono indicare che l’interlocutore stia seguendo con atteggiamento positivo o negativo il dialogo. Le reazioni negative in generale sono denotate da: 

  • angolazioni del corpo (spalle ritratte, allontanamento); 
  • volto (teso, dimostra rabbia); 
  • voce (tono negativo, silenzi improvvisi); 
  • mani (movimenti di rifiuto o disapprovazione, movimenti tesi); 
  • braccia (tese, incrociate sul petto); 
  • gambe (incrociate o che si allontanano nell’angolazione). 

Per riassumere, ogni stile linguistico (a livello interpersonale) si associa ad una precisa modulazione dello stile non verbale. Possiamo infatti avere: 

  • situazioni di rinforzo comunicativo (lo stile non verbale rafforza lo stile verbale); 
  • situazioni di dissonanza o incongruenza tra verbale e non-verbale (la comunicazione non verbale procede su un registro diverso rispetto a quella verbale). 

Le dissonanze riguardano ogni sistema semiotico, ogni segno portatore di possibili significati. Per esempio, un’azienda che si dichiari importante e non abbia un sito internet, o abbia un sito amatoriale, esprime una dissonanza d’immagine.

Concludendo, la coerenza (matching) tra parole e azioni, tra comunicazione verbale e non verbale: 

  • aumenta l’onestà percepita del soggetto; 
  • denota e crea fiducia (trustworthiness); 
  • dimostra interessamento; 
  • mostra che siamo in controllo della situazione; 
  • produce senso di sicurezza e solidità dei contenuti. 

Al contrario, l’incongruenza tra i canali comunicativi verbali e non verbali: 

  • crea senso di sfiducia; 
  • genera sensazioni di scarsa autenticità; 
  • produce dubbi e sospetti di falsità sui contenuti verbali ascoltati; 
  • genera effetti negativi sul personal branding e sull’immagine personale. 
libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

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