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Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano

Il supporto relazionale come forma di carica energetica

Non abbiamo tanto bisogno dell’aiuto degli amici, quanto della certezza del loro aiuto.

Epicuro, Esortazioni

Il supporto relazionale è una delle forme più elevate di carica energetica. Allo stesso tempo, il logorio relazionale di chi vive in rapporti intossicati che non funzionano è una delle forme più subdole, deleterie e distruttive di suicidio. Una bomba uccide subito. Il logorio relazionale, che può andare dall’indifferenza sino ai climi umani intossicati e alle violenze psicologiche, consuma lentamente e corrode da dentro.

Il supporto relazionale viene dall’amicizia sincera, dall’incoraggiamento nelle possibilità, dal condividere un obiettivo personale e dare stima alla persona, aiutarlo a perseguire un obiettivo o un sogno.

Poter comunicare e condividere in profondità è una nuova forma di ricchezza. Una ricchezza vera, intangibile e indispensabile come l’ossigeno.

L’appoggio morale è una forma di supporto relazionale importante, che può elevare enormemente le energie individuali. Sapere che uno sforzo è supportato dalla propria famiglia, o dai propri amici e conoscenti intimi, o dalla società o gruppo di appartenenza, dà forza e coraggio.

I gruppi possono fornire enorme energia, e per questo tra i compiti di un leader vi è anche quello di attivare dinamiche di comunicazione interna al gruppo tali da elevare il supporto che il gruppo dà all’individuo stesso.

Lo sport, soprattutto gli sport estremi e pericolosi, ci offrono continuamente spunti fondamentali per capire alcune dinamiche del rapporto complicato tra energie personali e gruppo.

Esistono sport di combattimento estremo, come il Valetudo brasiliano (dove tutto o quasi è ammesso), o la Chute Boxe (misto tra arti marziali e lotta), e altre discipline da ring, dove viene veramente da chiedersi “perché” una persona debba rischiare la vita, e cosa alimenti le energie spirituali e mentali che permettono all’atleta di sopportare il dolore, i colpi, la preparazione ai combattimenti, e i combattimenti stessi, in condizioni così estreme.

Osserviamo questa testimonianza tra due diverse realtà di clima e ambiente umano:

Realtà A

“Uno per tutti, tutti per uno”, la massima dei moschettieri potrebbe ugualmente essere quella della Chute Boxe. Tra i principi inculcati ai combattenti, quelli che li legano tra loro, come l’amicizia, lo spirito di unità e ancora la condivisione, sono largamente presenti nella preparazione psicologica e influiscono largamente sulla motivazione e quindi sui risultati.

Un membro della Chute Boxe che vince, non vince solamente per se stesso ma per tutta la squadra. Ha quindi una motivazione supplementare, fare onore al lavoro di tutto un gruppo, e tutto il gruppo è dietro di lui.

Vi è uno scambio permanente tra i combattenti del team, prima, durante e dopo gli allenamenti. Si parla, ci si aiuta, si comunica e si vince, insieme. Strana somiglianza con l’allenamento dei mitici guerrieri spartani…[1].

La sintesi di questo pensiero viene esposta direttamente dal caposcuola della Chute Boxe, in una frase sintetica ma estremamente evocativa:

Quando uno dei miei combattenti sale sul ring noi ci siamo tutti[2].

Un combattente affiliato alla scuola porta con se durante il combattimento tutto il senso di appartenenza, l’orgoglio del team, e i suo incoraggiamento fisico, morale, spirituale.

Al contrario, una intervista diretta con un altro combattente di sport estremi di combattimento, la Thay Boxe (il quale desidera rimanere nell’ano­nimato per sfogarsi più liberamente) ci mostra quanto un clima di scarso supporto possa distruggere il morale e le energie:

Realtà B

Dopo aver vinto il campionato italiano, arrivo in palestra, entro, e la gente continua ad allenarsi, entro e non mi guardano neanche… non dico che avrei voluto lo champagne, ma sembrava proprio che non gliene fregasse un cazzo a nessuno. Mi sono fatto un culo bestiale, mi sono allenato anche da solo, alcune sere non c’era neanche nessuno ad allenarmi. La prossima gara sarebbe in Svizzera, per l’Europeo, forse mi tocca di andarci da solo, o al massimo con xxx (nome del trainer). Se qui non gliene frega un cazzo a nessuno, cosa mi sbatto a fare?[3].

In questa intervista, non tagliata, notiamo rabbia ed una evidente lacuna nel supporto relazionale che la persona sente di ricevere. Manca l’apporto morale del gruppo al singolo, e questo produce il fatto di sentirsi da solo, di sentirsi abbandonato, di non vedere riconoscimento per gli sforzi, non sentire un gruppo alle spalle, e – infine – sentirsi solo.

In questa condizione, i drivers interiori devono essere di una forza enorme per poter sopperire alla mancanza di energie morali e di supporto del gruppo.

Siamo tutti umani. I drivers interiori e la capacità di automotivazione totale, di tale portata da fare sopportare fatiche psicofisiche intense e impegni psicologici oltremodo estremi, senza supporto morale altrui, sono rarissimi. Pretendere che le persone lottino nella vita senza supporto non è corretto, ed è persino ingiusto, poiché l’essere umano ha bisogno di affetto e condivisione. Vivere senza questo nutrimento è come mangiare in una dieta povera di vitamine: dura poco, e ci si ammala.

Spesso l’integrazione tra drivers interiori e energie del gruppo è fondamentale per creare le condizioni del risultato.

L’energia “buona” del gruppo non si manifesta solo durante attività sportive o manageriali, nel “durante” della performance, ma deve accompagnare tutto il percorso dell’individuo, dell’at­leta o del manager, come un flusso costante di acqua sotterranea che alimenti un campo esposto al sole cocente, una “falda” di energia nella quale le radici dell’indi­viduo trovano nutrimento costante.

Il contrario equivale a chiedere ad una pianta di crescere tanto, senza radici, senza acqua, senza terreno sul quale poggiare.


[1]AA.VV. (2004), La Chute Boxe sarà più dura, reportage da “Fight Sport”, n. 2, ottobre 2004, p. 44.

[2] Ibidem.

[3] Intervista diretta ad un Campione Italiano di Thay Boxe Professionisti (anonimo per richiesta diretta dell’intervistato).

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

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Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Le energie relazionali

Le relazioni umane possono assorbire (drenare) o dare e donare energie. Ogni dirigente di un gruppo può facilmente produrre una lista di membri del grup­po e chiedersi, per ciascuno, se questi stia dando energie o sottraendo e­ner­gie a se stesso e al gruppo. Lo stesso tipo di analisi è applicabile ai membri di una famiglia o comunità, o ai membri di un team sportivo.

Siamo sempre inseriti al centro di una rete di energie relazionali, in cui alcune persone ci ricaricano, e altre ci “assorbono” o scaricano.

Un’analisi importante consiste nel costruire un diagramma delle persone significative con cui abbiamo rapporti in un certo momento della vita, e associare un segno (+ o -) a ciascuno, per indicare se questo legame ci dà energia o ci toglie energie.

Ad un livello più raffinato, potremmo anche inserire segni multipli (es: due + e un -), per indicare che il rapporto con quella persona è sfaccettato, dona energie ma ne toglie anche.

È essenziale che vi sia consapevolezza di come le energie personali sono quotidianamente caricate o scaricate dal contatto con gli altri, e cosa accade nel nostro bilancio energetico personale.

Poter modificare e cambiare la rete di energie relazionali che ci circonda, è un grande atto di assertività. Questo può anche richiedere di tagliare i ponti con alcune persone, o cercare di modificare un rapporto che ci sta consumando o distruggendo, o anche solo una relazione che richiede troppa energia rispetto alle nostre volontà, e non ce ne lascia per altri spazi di vita.

Vediamo un altro esempio grafico di network relazionale nello schema seguente:

Figura 5 – Esempio di rete energetica personale

È facile osservare come il bilancio complessivo possa essere favorevole o sfavorevole per il proprio “conto energetico personale”. Se non si tiene conto di come funziona la propria rete, è facile comprendere come una persona possa uscire svuotata da una giornata o da un tempo speso all’interno di un gruppo nel quale troppe persone drenano energie, e poche ne apportano.

Il benessere relazionale di una società o gruppo proviene anche dalla reciprocità complessiva, per cui è sbagliato interpretare le energie relazionali solo a proprio vantaggio. Nella vita di relazione, e nei team, è produttivo e indispensabile porsi l’obiettivo etico del “dare” energie e non solo riceverle.

Principio 15 – Energie delle reti relazionali

Le energie mentali diminuiscono o si esauriscono quando:

  • L’individuo entra in relazione con singoli soggetti o più soggetti con i quali la relazione stessa risulta difficile/sgradevole e assorbe energie;
  • la relazione con soggetti che assorbono energie è prolungata o troppo frequente rispetto alle possibilità di recupero personale;
  • la relazione con soggetti ricaricanti e positivi è assente, ridotta, o infrequente;
  • sono assenti relazioni equilibrate e dotate di reciprocità.

Le energie mentali aumentano quando:

  • l’individuo apprende a staccare o distanziare il proprio rapporto con persone le quali assorbono le proprie energie in modo negativo e distruttivo;
  • l’individuo apprende a costruire reti di relazione selettive con persone la cui frequentazione e rapporto induce ricarica di energie mentali e positività;
  • viene ricercato un buon livello di equilibrio e di reciprocità nelle relazioni;
  • l’individuo riesce a costruire o sviluppare una rete di relazioni entro un gruppo le cui energie sono positive ed elevate (E-Group), traendone linfa vitale ed energia.

Il problema che poniamo qui va oltre quello della reciprocità: si può dare tanto anche a chi non ha nulla da restituire, e non lo restituirà mai (o quantomeno è scorretto farlo per aspettarsi una ricompensa), facendo ad esempio volontariato sociale.

L’appagamento morale può certamente considerarsi una forma di rientro comunque importante. Tuttavia, nelle relazioni interpersonali in azienda e o nello sport agonistico non si sta facendo volontariato, ma si perseguono obiettivi.

In questi contesti è essenziale porsi il problema di chi sta “rubando” energie, e che strategie o astuzie usa, chi sta dando contributi di energie, quante ne rimangano per i propri scopi personali o professionali. I flussi di energie devono avere una loro giustizia.

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