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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Capire i ragionamenti del buyer: analisi di alcuni metodi di calcolo cognitivo

Il concetto di matematica mentale, ha lo scopo di definire alcuni modelli di base sottostanti il ragionamento che attua il cliente. I modelli valutano le diverse caratteristiche delle alternative presenti sul mercato, al fine di realizzare previsioni sulle scelte di acquisto. 

Questi studi hanno sinora evidenziato alcuni modelli sottostanti, dei quali esporremo in seguito quelli più semplici e sufficientemente compresi.

In particolare ci concentreremo su:

  • metodo dei punteggi semplici;
  • metodo sottrattivo;
  • metodo moltiplicativo;
  • metodo degli scostamenti ponderati.

Una ulteriore differenziazione che analizzeremo è data dal tipo di ponderazione dei rapporti tra le variabili, consistente nell’utilizzo di: 

  • metodi di calcolo mentale compensativi, vs.
  • metodi di calcolo mentale discriminanti (pass or fail). 

I diversi metodi si ritrovano sia nelle decisioni individuali del consumatore che nelle decisioni di acquisto aziendale.

Metodo dei punteggi semplici

Questo metodo consiste nell’applicazione del concetto di “pagella del prodotto” o griglia valutativa semplice. Ogni caratteristica saliente del prodotto viene valutata, e ad essa viene assegnato un punteggio. Il prodotto selezionato sarà quello che ottiene la somma più alta. 

Chi non capisce come un cliente valuta le alternative, quali “materie” inserisce nella propria pagella mentale, non può vendere se non in condizioni di monopolio o mancanza di alternative, una condizione sempre più rara.

La predisposizione di una griglia richiede tuttavia un lavoro cognitivo importante, basato soprattutto sulla emersione delle variabili che si utilizzano per valutare (consapevolezza dei propri criteri di scelta). 

Infatti, per poter applicare una pagella devo prima “far uscire” le variabili o “materie” di valutazione, devo esplicitare quali sono le questioni per me importanti. 

Questo processo è utile per far emergere dal subconscio le variabili critiche dell’acquisto, (key variables) – durata, economicità, valutazione del servizio post-vendita, etc.

Le strutture delle pagelle mentali del consumatore non sono uguali, ma differiscono da persona a persona, da azienda ad azienda.

Nonostante sia di forte aiuto per comprendere la dinamica di scelta, il metodo della pagella di prodotto possiede diverse lacune. Il limite più grave è dato dall’eguaglianza dei pesi attribuiti alle variabili: in altre parole, si ragiona come se tutte le componenti della valutazione avessero peso uguale, mentre in realtà il peso delle variabili o caratteristiche di prodotto può essere diverso. 

Se dimentichiamo la problematica del “peso” di un fattore di scelta, ci illudiamo che ogni variabile sia importante quanto le altre, ma così non è.

L’azienda consapevole dei processi mentali del cliente sa investire nelle variabili più “pesanti”, quelle che producono effetti, e non dà priorità a variabili che il consumatore non utilizza o utilizza poco nelle proprie scelte.

Metodo sottrattivo

Un secondo processo di calcolo mentale rilevato dalle nostre ricerche, più complesso e scientificamente accurato, consiste nel comparare :

  1. le caratteristiche percepite nei vari prodotti o scelte, con 
  2. le caratteristiche di una scelta ideale. 

Il procedimento richiede un’operazione di sottrazione che faccia emergere le carenze del prodotto analizzato rispetto alla soluzione ideale.

Per chi applica la vendita consulenziale, occorre quindi porre domande su:

  1. che caratteristiche dovrebbe avere il prodotto ideale, e
  2. che caratteristiche dovrebbe avere un fornitore ideale di quel tipo di prodotti.

La somma delle carenze di ogni prodotto/servizio rispetto al prodotto ideale e al fornitore ideale viene raffrontata, scegliendo ciò che si discosta meno. 

In questo modo, il prodotto scelto sarà quello che minimizza il livello di insoddisfazione attesa.

La sua lacuna è tuttavia evidente: la mancanza di un “peso” per le variabili. Per esempio, la durata, l’economicità e il servizio assistenza, in questo tipo di ragionamento, potrebbero avere la stessa importanza relativa. Ma cosa succede se un consumatore attribuisce scarso peso ad una variabile? 

Mettiamo il caso che una madre acquisti il latte per i bambini e nel farlo ritenga che il latte a lunga conservazione sia alterato. Una buona valutazione sulla durata, in questo caso, non aumenta il valore del prodotto, ma dovrebbe anzi ridurlo.

Metodo moltiplicativo

Una sostanziale innovazione apportata dal metodo moltiplicativo consiste nel fornire un “peso” a ciascuna caratteristica nella decisione d’acquisto, cioè un’importanza diversa alle variabili di valutazione. Ogni variabile assume una rilevanza alta o bassa, diventando quindi poco o molto incisiva sulla scelta.

Ad esempio, nell’ambito di un pacchetto turistico o vendita di una crociera, la variabile “possibilità di socializzare” (partecipare a party e conoscere persone di altro sesso) avrà un peso maggiore per un single che per una coppia di sposi.

Secondo questo modello, i prodotti tra loro concorrenti vengono valutati dai clienti potenziali con un processo mentale che rapporta tra di loro:

  1. il livello di presenza degli attributi di prodotto e
  2. l’importanza (peso) data ai singoli attributi.

Il prodotto con punteggio complessivo più alto verrà selezionato. 

Queste variabili “pesanti” vengono chiamate nel metodo ALM “Key Variables”, o variabili chiave. Scoprirle è uno dei passi fondamentali di una vendita consulenziale.

Metodo degli scostamenti ponderati

Il metodo degli scostamenti ponderati è una modalità di calcolo cognitivo complessa, che comprende il valutare in un unico modello sia lo scostamento tra aspettative e prestazioni dei diversi prodotti, che il peso attribuito dal consumatore a ciascuna caratteristica del prodotto.

Metodo dei coefficienti di priorità bilanciati

Questa tecnica avanzata sviluppata nelle ricerche ALM consiste nel rilevare sul campo, tramite indagini psicometriche di prodotto:

  • il peso delle variabili valutative;
  • la loro direzione d’incidenza (positiva o negativa) tramite coefficienti di correlazione (coefficiente r, o correlazione di Pearson);
  • il gap che ciascun prodotto ha rispetto ai competitors;
  • la prevedibilità dei comportamenti del cliente rispetto al prodotto specifico
  • i margini di miglioramento che ciascun prodotto detiene, e le variabili specifiche sulle quali indirizzarlo (priorità).

Il risultato è la scoperta di un modello accurato di scelta che il cliente adotta nell’esprimere le valutazioni di prodotto o di un fornitore. 

La sua valenza strategica, tuttavia, consiste nel capire che è possibile andare alla ricerca empiricamente (con analisi sul campo) dei fattori chiave, dei pesi che i clienti assegnano alle variabili, facendo emergere quali sono le variabili importanti o poco importanti, e il tipo di influenza (positiva o negativa) che hanno sulla scelta. 

Questo consente di poter avviare azioni di miglioramento veramente significative, evitando di procedere nel buio o (peggio) di “tentare” in aree nelle quali non è più consentito fare errori (si pensi ad esempio a cosa significa oggi sbagliare un modello di auto, in relazione ai lunghi tempi e investimenti di progettazione e ingegnerizzazione che ne caratterizzano il time-to-market).

Modelli compensativi e modelli discriminanti

Le ricerche del laboratorio di matematica mentale hanno fatto emergere una considerazione importante: i modelli previsionali sopra analizzati sono fondamentalmente “compensativi”: un difetto o lacuna di un prodotto o di un fornitore, può essere compensato da altri pregi. 

Ma non sempre un cliente è disposto a “chiudere un occhio” su una lacuna. Alcune scelte, alcuni test ai quali viene sottoposto un prodotto o servizio, sono del tipo “pass or fail” (promosso o bocciato, presente o assente). 

Emerge quindi una sostanziale differenza tra due diversi modi di pensiero: compensativo e discriminante.

  • In un ragionamento compensativo la presenza di una caratteristica fortemente positiva può eliminare gli effetti di una caratteristica fortemente negativa, nel punteggio finale del prodotto/servizio o del fornitore. 
  • In un ragionamento discriminante il prodotto/servizio o il fornitore devono obbligatoriamente possedere alcune caratteristiche, senza le quali il modello (o il fornitore) sono esclusi a priori dalla scelta. Nessun punto di forza su altre caratteristiche può compensare la caratteristica mancante.

Nel campo degli acquisti di alimentari, se utilizziamo un modello compensativo possiamo ritenere che il risparmio reso possibile dal discount sia sufficiente a compensare la minore certezza di qualità delle merci disponibili. 

In altre parole, nelle formule compensative avvengono degli “scambi di valori” e il cliente “accetta” una lacuna in quanto altre caratteristiche del prodotto o servizio possono compensare le mancanze.

All’opposto, il ragionamento discriminante ricorre a sistemi mentali diversi di valutazione più rigidi. Tra questi:

  • la presenza di fattori di valutazione discriminante del tipo “presente/assente”. La caratteristica ricercata deve essere assolutamente presente, in caso contrario il modello viene espulso dal consideration set.[1] Es: se il modello di autovettura è disponibile in versione turbodiesel, esso rimane nel consideration set (la “rosa” di scelta), altrimenti viene espulso, al di là di qualsiasi altra valutazione sull’auto. La presenza della caratteristica diventa una variabile discriminante dell’acquisto.
  • l’introduzione di livelli di soglia al di sotto dei quali il prodotto viene eliminato dal set di scelta. Non si tratta qui di valutare la presenza/assenza di una caratteristica, ma di fissare livelli minimi o massimi di prestazione desiderata, lungo un continuum ordinale o numerico. Es.: un’azienda decide di rinnovare periodicamente, con metodo, il proprio parco PC ogni 3 anni, e di escludere dal consideration set ogni offerta che non prevede i 3 anni di garanzia on site (assistenza svolta direttamente in azienda). Ogni ipotesi di garanzia inferiore o che prevede che i PC vengano inviati altrove, viene scartata, non esiste alcuna altra caratteristica (potenza dei computer, sconti, dotazioni, ecc.) che possa compensarla.

Questi metodi di scelta possono essere definiti modelli “discriminanti”, e contengono scelte del tipo “promosso o bocciato” (pass or fail) che corrispondono a processi di matematica mentale più rigorosi e rigidi, in cui predominano i banchi o neri, e non le sfumature. 

Al contrario dei modelli compensativi, in cui il risultato di una variabile negativa poteva essere compensato da una variabile molto positiva, qui la comparazione finale avviene solo all’interno dei prodotti o soluzioni che superano le soglie critiche, i prodotti che entrano nel “consideration set” (il gruppo di alternative entro le quali avviene la scelta finale).

Fissare delle soglie produce il risultato di eliminare dalla rosa delle alternative (il consideration set) prodotti caratterizzati dalla mancanza di un fattore, e facilita il processo di scelta. 

In termini persuasivi, una nuova capacità dell’azienda che realizza prodotti e soluzioni di qualità, consiste nel condurre una riflessione guidata nel cliente, rispetto alle soglie minime sotto le quali il cliente stesso otterrebbe un danno dall’acquisto, anziché un beneficio.

Questa attività comunicazionale costituisce una forma di Customer Training (acculturazione del cliente) senza la quale non sarà possibile far apprezzare le differenze di prezzo che le aziende di qualità alta necessariamente richiedono, rispetto alle aziende di fascia inferiore.

Principio 8 – Capacità di produzione di criteri, soglie e discriminanti nella cultura d’acquisto del cliente

  • Il successo dell’azienda dipende dalla capacità di acculturare ed educare il cliente su quali siano le soglie e livelli minimi di qualità, prestazione, relazione,  contenuto – o di way-of-buying – al di sotto dei quali è svantaggioso per il cliente stesso avventurarsi – in relazione alle scelte di acquisto che il cliente sta per compiere.
  • Il successo di tale attività è tanto maggiore quanto il cliente percepisce un rischio concreto e personale nell’adottare il comportamento.
  • Il successo richiede inoltre la capacità di posizionarsi tra le possibili scelte che superano il criterio (ingresso nel consideration set).
  • Il successo dipende dalla capacità di effettuare sessioni di Customer Training che mettano il cliente in grado di capire, orientarsi, percepire e apprezzare le differenze. Un patto psicologico adeguato deve consentire di effettuare il training.

Alla ricerca delle key-variables

L’analisi dei casi sopra riportati permette di delineare un fenomeno dei processi di acquisto: esistono variabili critiche (key-variables), nel processo di acquisto, che assorbono la maggior parte dell’attenzione decisionale dell’individuo. Ad esempio, per un ragazzo giovane, amante delle autovetture sportive, il livello di aggressività del look dell’autovettura (es: doppi scarichi, cerchi in lega allargati, linea sportiva) assorbirà una quota elevatissima del peso decisionale, mettendo in secondo piano gli altri fattori (es. la sicurezza, il risparmio, lo spazio interno, la possibilità di carico bagagli), che divengono secondari. L’innamoramento verso il prodotto o verso il fornitore è generato dalle key variables e non da una analisi logica e razionale, asettica.

La complessità del processo di scelta cresce all’aumentare del numero di persone coinvolte (scegliere in gruppo è difficile senza adeguata leadership).

Questi dati consentono di capire come il cliente pensa, quali processi decisionali vengono attuati dagli individui e dai gruppi. Ciò permette di progettare comunicazioni strategiche, creare una strategia del messaggio definendo quali contenuti trasmettere al cliente per incidere sulla valutazione di prodotto o sulla percezione.

Esiste un forte legame quindi tra analisi dell’antropologia del cliente e comunicazione strategica.

Al di là degli esempi svolti, più in generale le aziende traggono beneficio dall’applicare un approccio di ricerca (comprensione e diagnosi delle variabili critiche che dominano il pensiero del cliente) al fine di progettare la propria  comunicazione e l’innovazione di prodotto/servizio.

Principio 9 – Capacità di identificazione delle variabili critiche e discriminanti

  • Il successo dell’azienda dipende dalla capacità di capire le variabili critiche e discriminanti che dominano la psicologia delle scelte del cliente (key variables).
  • L’emersione dei processi mentali di scelta deve essere condotta tramite apposite diagnosi di mercato orientate all’ascolto, ricerca in profondità delle variabili latenti, e utilizzando tecniche di analisi scientifica.

A livello metodologico, sia le tecniche qualitative che le tecniche quantitative si prestano all’analisi, con un approccio decisamente più efficace nel caso di utilizzo congiunto delle due metodologie.

Capire le dinamiche riferite alle key variables fa parte di un tipo particolare di vantaggio competitivo: il vantaggio competitivo di ricerca ed analisi, che consiste nella maggiore abilità dell’azienda di identificare i processi decisionali del cliente.

Queste competenze si traducono in una maggiore capacità aziendale di intervento sui prodotti/servizi (innovazione e miglioramento), e in strategie più efficaci a livello di comunicazione, pricing e distribuzione.

In sintesi, l’importanza dei nuovi metodi e approcci scientifici all’algebra mentale ha una valenza su numerosi fronti, e ci permette di capire:

  • il ragionamento del cliente posto di fronte ad una scelta tra alternative (processi mentali interiori del cliente);
  • quali variabili il cliente utilizza per valutare se un prodotto risulta o meno di gradimento (comprensione delle variabili in campo);
  • perché un prodotto viene scelto rispetto ad un suo concorrente (comprensione delle variabili critiche e meccanismi di scelta);
  • se e perché un prodotto verrà acquistato (comprensione del grado di possibile successo di un prodotto/servizio). 

[1] Per un approfondimento sul concetto di consideration set, vedi D. Trevisani, “L’arena di acquisto e la concorrenza psicologica”, in Psicologia di Marketing e Comunicazione, Milano, FrancoAngeli, 2001.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Il Valore Totale Percepito

Uno dei passaggi più critici nella preparazione negoziale è comprendere come si forma il possibile valore totale percepito (VTP), sommatoria di vari segmenti di valore (SV).

Il valore percepito, nel metodo ALM, viene considerato come una sommatoria di credenze positive, che si addizionano nella mente dell’acquirente mentre valuta le proposte o condizioni. 

Le caratteristiche distintive dell’offerta sono una combinazione di segmenti di valore che formano il valore complessivo. Ad esempio, un’impresa chimica che negozia una gomma speciale fonoassorbente con un produttore di auto, può creare valore percepito adducendo:

  • il valore dell’unicità: essere i primi a disporre di tale tecnologia;
  • il valore della rapidità: essere tra i pochi a poter consegnare il prodotto in tempo per il lancio dei nuovi modelli di auto sui quali si potrebbe applicare;
  • il valore della ricerca e sviluppo: poter realizzare varianti su richiesta della ditta costruttrice, a seconda delle aree di utilizzo (assorbimento del rumore degli interni, del motore, etc.);
  • il valore dell’affidabilità: dare garanzie di poter consegnare i volumi previsti poiché si è produttori diretti e non semplici distributori del prodotto;
  • … altri valori identificabili da una analisi accurata.

La sommatoria di tali valori potenziali o segmenti di valore (SV) crea il valore percepibile totale. Il valore “percepibile” non verrà però colto nella realtà, se non si crea una comunicazione adeguata. 

Soprattutto, ciascuna caratteristica dell’offerta diventa valore solo ed unicamente se la diagnosi è adeguata. In caso contrario, l’informazione che non tocca la mappa mentale del cliente passa da valore a rumore (noise).

Principio 6 – Valore Totale Percepito (VPT) come sommatoria di Segmenti di Valore (SV)

Il successo della negoziazione dipende:

  • dal valore totale percepito nella controparte rispetto alla nostra identità e alle nostre possibilità di intervento;
  • dalla capacità di costruire, far emergere ed essere consapevoli dei Segmenti di Valore (SV) che compongono la propria offerta;
  • dalla capacità di trasferire i SV all’interlocutore durante la comunicazione;
  • dalla capacità di creare fitting (adattamento, centratura) tra i segmenti di valore offerti e i bisogni della controparte che emergono dalla diagnosi.

Il negoziatore dovrà quindi essere estremamente attento a testare il grado di fitting tra i Segmenti di Valore proposti (ciò che propone) e ciò che nella mente del cliente è realmente importante, centrando le Key Variables (variabili valutative critiche).

Ogni acquirente utilizza variabili critiche (Key Variables) che influenzano il processo decisionale:

il prodotto osservato viene comparato con un’immagine mentale del prodotto ideale, e con altri possibili prodotti. L’azienda consapevole dei processi mentali del cliente sa investire nelle variabili più “pesanti”, quelle che producono effetti e non dà priorità a variabili che il consumatore non utilizza o utilizza poco nelle proprie scelte.

Lo sviluppo di una linea d’azione di successo

Alcuni dei macro-errori della negoziazione:

  • mancata conoscenza dei valori condivisi e analisi delle divergenze valoriali: impostare un rapporto senza una adeguata e reciproca conoscenza delle rispettive missioni e valori condivisi;
  • tenere attivi dei fraintendimenti e non affrontarli subito: non è possibile fare affari solamente con soggetti o aziende delle quali si condividono tutti i valori e la missione. Capita spesso, anzi, di trattare con persone o imprese che non dispongono di una precisa visione. Tuttavia ciò va considerato in quanto fonte di possibili fraintendimenti rispetto agli obiettivi finali del progetto e alle modalità di svolgimento, i quali – senza un esame rapido, possono dare luogo ad aspettative contrastanti e divergenti;
  • dare per scontati i modelli mentali del cliente: pensare che “sicuramente il suo ragionamento è…”, senza testarlo nella realtà;
  • mancata pianificazione di percorsi alternativi: lanciarsi in una Action Line senza avere esplorato le alternative;
  • mancata definizione dei possibili ostacoli di percorso e trappole (Traps);
  • mancata preparazione e test della negoziazione (training sulle Action Lines attuato tramite giochi di ruolo, Role Playing);

Per realizzare una Action Line di successo è necessario:

  • essere consapevoli della propria missione, del proprio valore, della propria distintività;
  • essere consapevoli e comunicare tutti i singoli segmenti di valore che formano il Valore Totale Percepito;
  • definire il punto di partenza e l’obiettivo da raggiungere o punto di arrivo (goal setting negoziale), ciò che vorremmo, i nostri punti di arrivo, chiarire ciò che ci renderebbe orgogliosi come risultato raggiunto;
  • definire diversi percorsi alternativi per raggiungere l’obiettivo o goal (con un minimo suggerito di tre alternative);
  • valutare i pro e contro delle alternative;
  • sperimentare il percorso scelto alla ricerca di Traps e possibili Breakdown;
  • scegliere la linea che massimizza il risultato ricercato (valutando sia il costo economico che organizzativo).

La linea di azione comunicativa

La linea di azione comunicativa si compone di una serie di “mosse relazionali” che ci avvicinano alla meta, verso l’effetto ricercato. 

Ogni comportamento è un messaggio. È messaggio un ritardo nel rispondere o la prontezza nel rispondere, è messaggio una comunicazione aperta o una comunicazione criptica, così come il tono adirato o conciliante, o la cura dell’impaginazione di una lettera o di una email, o la sua trascuratezza.

Le persone e i clienti traggono informazione da tutto.

Per questo, la linea di azione comunicativa deve presidiare ogni fronte dal quale il cliente ricava messaggi e formula la sua immagine e le sue decisioni.

La linea di azione richiede inoltre studio ed analisi. Include soprattutto la ricerca di informazioni sugli interlocutori, sui reali potenziali di business, sui bisogni manifesti e latenti, e sulle leve di valore che maggiormente possono essere efficaci. 

Ogni negoziazione comprende una componente di seduzione e persuasione.

Come osserva un classico della seduzione:

La cortigiana dovrebbe dapprima inviare i massaggiatori, i cantanti e i giocolieri che eventualmente siano al suo servizio o, mancando questi, i Pithamardas ovvero confidenti e altri, a indagare sui sentimenti dell’uomo e sul suo stato d’animo. Per mezzo di tali persone, la cortigiana si accerterà se l’uomo è puro o impuro, se è amabile o meno, capace di attaccamento o indifferente, generoso o gretto;[1]

Ogni negoziazione, al di la della metafora provocatoria, contiene elementi di somiglianza e similarità con un corteggiamento, o con un matrimonio o fidanzamento. Con chi ci stiamo fidanzando? Chi sono le persone con cui stiamo trattando? Che carattere hanno? Che storia hanno? Cosa vogliono realmente? Di cosa hanno bisogno adesso?

Quando sia appurata la qualità potenziale dell’interlocutore, la gestione della comunicazione deve dare dimostrazioni di interesse così come la seduzione crea un rapporto tra due controparti.

Regole stereotipate e linee di azione ragionate

La tentazione di ricorrere a regole preconfezionate, nella negoziazione, è grande.

Sarebbe molto bello poter dire “quando parli con un Cinese, fai…, quando invece sei in America Latina fai x non fare y, e vedrai che il successo è garantito…”

Le regole comportamentali rigide rifiutano di prendere in considerazione la realtà dell’imprinting (matrice) culturale, la varietà di personalità, il lato emotivo dei soggetti e la loro identità multipla: un cinese può avere lavorato per multinazionali americane ed avere maggiore cultura di business anglosassone di un americano del midwest, può essere adirato o felice, può avere avuto esperienze positive o negative in passato con persone della nostra nazione, e questo non lo possiamo né sapere a priori né stereotipare.

Nessuna regola vale per sempre e con tutti.

Le regole stereotipate possono andare bene solo in una società non globalizzata. Oggi i mix culturali producono una multi-stratificazione di culture in ogni individuo che ha contatti con altre culture, per cui non è più possibile dare regole comportamentali certe. Quello che serve è un approccio flessibile, che tenga conto della realtà incontrata e non degli stereotipi, poiché nella negoziazione non esistono regole culturali assolute.

Le realtà che si possono incontrare sono le più diverse, e, come accennato, il grado di varianza intra-culturale non è minore di quello inter-culturale. 

Le poche regole certe devono essere quelle di:

(1) disporre di una “minima condotta efficace trans-culturale, o minimo comune denominatore del comportamento negoziale cross-culturale”, un approccio di qualità conversazionale che possiamo pensare di poter applicare ovunque, es: non interrompere inopportunamente, non offendere la “faccia” e immagine altrui, non esporsi con affermazioni pericolose in campo valoriale e religioso, cercare di capire gli interessi della controparte, e 

(2) conoscere le poche basi culturali generali dell’area geografica o merceologica ove si opera: il background culturale probabilistico che si potrà incontrare, le regole probabili (e sottolineiamo probabili, non certe) che vigono in una certa cultura geografica, etnica o professionale – anche queste da prendere con le pinze.

Occorre cambiare paradigma, passare dalle regolette certe alla flessibilità del comunicatore, occorre un cambiamento di atteggiamento.

Soppesando i pro ed i contro di diverse opzioni di contenuto, è necessario giungere alla definizione di quale messaggio dia la maggiore probabilità di successo.

Probabilità e non certezza. 

Dobbiamo quindi studiare la linea di azione con i minori ritorni negativi latenti, prevedere e anticipare i rischi di effetto boomerang.

Se siamo invitati da un commerciante arabo nella sua casa, spetta a noi capire, inquadrare (attività di framing) se sembra essere una famiglia tradizionalista, ortodossa, integralista, o informale o ancora dove e quanto ha studiato questo commerciante, che potrebbe non avere istruzione formale o avere invece due lauree prese a New York o Sidney. Solo applicando un atteggiamento di apertura ed ascolto possiamo interagire efficacemente.

La produzione di una linea di azione comunicativa non può ricorrere a stereotipi (es: “se sei attaccato, contrattacca”) e non avviene per pura intuizione creativa: essa è frutto di studio, di confronto, consultazione, scambio di pareri tra colleghi e tra colleghi e consulenti. 

Richiede ricerca, esplorazione di opzioni, valutazioni di fattibilità e anticipazione degli effetti. Richiede, in altre parole, l’umiltà del negoziatore professionale, che è sempre proteso a testare le proprie strategie e mosse, pronto con umiltà a confrontarsi con colleghi e consulenti sulla loro possibile efficacia, prima di lanciarsi nell’azione ciecamente seguendo stereotipi. 

Questa umiltà rappresenta il vero fattore distintivo del negoziatore professionale rispetto al “negoziatore rampante” :

  • distingue il prototipo del negoziatore arrogante che pensa di avere sempre ragione e usa stereotipi, da chi si siede ad un tavolo per analizzare e costruire qualcosa;
  • distingue chi si fa forte di leve contrattuali (potere, denaro, legislazioni, politica) da chi ricerca realmente un approccio win-win, di vantaggi reciproci;
  • distingue chi ritiene che il successo sia sempre dovuto e venga in tasca automaticamente, da chi pensa di dover costruire attivamente il proprio successo;
  • distingue chi si scava lentamente la sua fossa, da chi crea qualcosa per gli altri e non solo per se stesso.

Per costruire Action Lines di successo, è quindi necessario il confronto, concretizzato tramite diverse sessioni di brainstorming e di role-playing nelle quali esporre e testare le possibili linee di azione comunicative, per poi scegliere la linea a maggiore probabilità di riuscita.

Struttura delle linee di azione

Ciascuna linea di azione è suddivisibile in Steps, fasi temporali durante le quali si articola il processo di comunicazione. L’insieme dei passi attuati costituisce il percorso della linea di azione (Path). Ogni step prevede diverse comunicazioni, che vanno sottoposte ad esame e prova tramite role-playing (simulazione) o expert review (valutazione da parte di esperti).

Una Action Line Analysis (ALA) si può definire come l’analisi comparativa di una serie di tattiche alternative per il raggiungimento di un obiettivo. 

I fattori strutturali caratterizzanti una ALA sono (a) il numero di linee di azione comparate, e (b) il numero di steps per ciascuna linea.

Per ogni linea devono essere determinate le possibilità di successo, gli errori e trappole (traps), la fattibilità pratica, le ripercussioni sull’immagine di chi la metterà in pratica.

L’importanza della message strategy è la scelta accurata di una linea comunicativa che associ il messaggio a concetti mentali desiderati. Nel costruire una strategia del messaggio, dovremo anche fare attenzione ad associazioni che possano inquinare il marchio e il comunicatore con immagini mentali negative. 

Ogni parola emessa elicita (fa scaturire) costrutti mentali che sono contigui ad essa.

Le scienze cognitive hanno evidenziato che i messaggi non sono recepiti in modo isolato, ma si inseriscono sempre in una mappa mentale del soggetto, una mappa che associa il messaggio a concetti e immagini mentali. 

Per esprimere tale concetto, Shaw e Gaines fanno riferimento al concetto di “Geometria dello Spazio Psicologico”[2] espresso da Kelly (Psicologia dei costrutti personali): ogni messaggio si inserisce in spazi mentali e si associa alle aree contigue.

La message strategy richiede consapevolezza che ogni messaggio aziendale, ogni comportamento comunicativo della linea d’azione, produce immagini evocate, le quali creano un’anticipazione di eventi futuri nei nostri interlocutori (“come sarà lavorare con questa azienda?”) e attribuzioni di significati agli eventi stessi (“perché avranno detto questo?” “se si comportano così ora, cosa faranno dopo?”).

Trappole e problemi della negoziazione

Una delle caratteristiche della negoziazione interculturale è quella di non sapere bene con chi si sta trattando, a meno che non si tratti di noti marchi multinazionali. E anche nel caso di marchi noti, i ruoli possono essere talmente vari da richiedere un approfondimento.

Anche in questo caso, quindi, una dose di attività di analisi rimane fondamentale. Nella negoziazione si aprono numerosi rischi – solo per citarne alcuni – divulgando notizie ad interlocutori non noti, ma anche realizzare gratuitamente lavoro e attività che in altre situazioni andrebbero pagate.

Due riflessioni fondamentali sulla comunicazione.

La prima riguarda come i messaggi che lanciamo o che gli altri lanciano rafforzano o distruggono la sensazione di fiducia. I messaggi e le corrispondenze che noi inviamo o gli altri inviano contengono sempre elementi che possono creare credibilità (segnali di credibilità o credibility cues) così come possibili segnali che mettono in allerta e denotano caduta di credibilità (segnali che producono sfiducia o distrust cues).

La seconda riguarda l’appropriatezza del canale comunicativo. Uno dei suggerimenti più importanti del metodo action line, sul fronte negoziale, è quello di considerare attentamente l’economia della comunicazione, l’appropriatezza dei canali comunicativi rispetto al risultato che vogliamo raggiungere. Si può informare qualcuno con un SMS ma non certo negoziare tramite SMS.

Ogni canale informativo ha un costo comunicativo (alto o basso, in funzione del tempo o risorse necessarie) e una portata informativa (alta o bassa).

La comunicazione interpersonale, faccia a faccia, ha un alto costo relazionale, di tempo, e richiede impegno logistico elevato (bisogna spostarsi, trovarsi fisicamente nello stesso luogo alla stessa ora), ma possiede una enorme portata informativa: possiamo comunicare con tutto il corpo, con il body language, con i canali visivi, non verbali, emotivi, e ogni altro canale umano. Una email, al contrario, è un esempio di canale comunicativo di basso costo (temporale ed economico), ma di ridotta portata informativa reale. È difficile scambiare realmente emozioni o decodificare la controparte, partendo solo da un testo scritto.

Il metodo ALM invita quindi a porsi diverse domande sulla appropriatezza del canale rispetto al task (compito) da svolgere. Le domande chiave:

  • il canale che intendo utilizzare è adeguato al tipo di messaggio?
  • devo inviare solo flussi di informazione o devo anche chiederne?
  • i tipi di dati da trasferire sono solo tecnici (es: informazioni di prodotto, servizi, prezzi) o anche relazionali (comunicare per conoscersi, verifica di affidabilità, incremento della conoscenza reciproca, affiatamento relazionale)?
  • serve un dialogo interattivo o è sufficiente un ping-pong comunicativo?
  • che tempi ho a disposizione?
  • cosa rischio se sbaglio canale informativo?
  • che cosa mi permette di fare il canale che ho scelto?
  • che cosa non mi permette di fare? Quali sono i suoi limiti?

[1] Kamasutra, p. 152, 153. Edizione Mondadori, 1977, Milano.

[2] Shaw, M.L.G, e Gaines, B.R. (1992).”Kelly’s “Geometry of Psychological Space” and its Significance for Cognitive Modeling”. The New Psychologist, Oct. 1992, pp. 23-31.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

La natura multipla delle funzioni di prodotto

Possiamo identificare nel prodotto una funzione tecnica primaria (il motivo originario utilitaristico di esistere del prodotto) e diverse funzioni indotte, ovvero significati sociali e poteri di prodotto creati in base a convenzioni collettive e rafforzate dalla comunicazione pubblicitaria. 

status symbol

Ad esempio,

la funzione primaria dei telefoni portatili è quella di comunicare a distanza. Le funzioni indotte possono essere veicolate dalla comunicazione pubblicitaria e dal discorso sociale tramite messaggi del tipo:

  • Il telefono cellulare ti farà lavorare meglio e aumenterà la tua produttività e i tuoi guadagni: leva sul bisogno di sopravvivenza;
  • il telefono cellulare è indispensabile in caso di emergenza (guasti della macchina su strade isolate, ecc..): leva sul bisogno di sicurezza;
  • con il telefono cellulare potrai darti più importanza e sarai più apprezzato: leva sul bisogno di immagine sociale (presupposto: “una ragazza alla moda oggi non può non avere il telefonino o suo successore (smartphone, etc), vorrebbe dire che nessuno la cerca o che non ha una vita sociale”);
  • il telefono avanzato è l’icona è per gli uomini “arrivati”: leva sul bisogno di autorealizzazione.
status symbol

Oppure:

  • acquisto la lampada abbronzante per la salute della pelle (elimina i brufoli) – motivazione apparente e funzione primaria, ma in realtà….
  • acquisto la lampada abbronzante per avere un aspetto più sano, elitario, piacere di più agli altri (leva sulla funzione sociale e di immagine esterna) e aumentare la mia attrattività sessuale
  • acquisto la lampada abbronzante per piacermi di più quando mi guardo allo specchio, vedermi in forma (leva sul Self), non vedermi grigio o deperito, e quindi per sentirmi meglio.

Indipendentemente dal motivo della scelta, ciascuna persona (negli acquisti individuali) attinge dalle proprie disponibilità economiche per soddisfare qualche tipo di bisogno o leva.

Ad esempio,

l’acquisto di un nuovo robot industriale può avere come motivazione di base il timore di non essere più competitivi sui costi in un prossimo futuro e fare leva sulla sicurezza.

Messaggio e mappe mentali

mappa mentale

Ogni messaggio si confronta con una mappa mentale del soggetto. 

Se un messaggio entra in questa mappa, o se riesce a cambiare qualcosa, è persuasivo.

Ogni volta che un messaggio fa accadere qualcosa nella mente di qualcuno, apre delle porte.

“Più volte si verifica un evento mentale, più è probabile che accada di nuovo.”

Tony Buzan

brain

Finché il messaggio stesso non si “attacca” alla mente della persone, finchè non si collega ad eventi passati, stati presenti o goals futuri dell’orizzonte psicologico umano, la persuasione non avverrà o sarà debole e passeggera.

Ulteriore fonte preziosa di strutture persuasive è la teoria dell’azione ragionata / teoria del comportamento pianificato. 

Tali teorie ci permettono di affrontare la comunicazione persuasiva partendo da stati soggettivi dell’individuo quali gli atteggiamenti preesistenti, la forza dei gruppi di riferimento che possono fungere da barriere o facilitatori, e la percezione di auto-efficacia e controllo situazionale.

Al di là del modello che utilizziamo, ciò che conta, nella strategia del messaggio, è l’utilizzo di un approccio scientifico.

scientific

La pubblicità è uno dei terreni nei quali è più manifesta l’assenza di un approccio scientifico, anche in grandi agenzie e per campagne realizzate da multinazionali.

Un caso eclatante è stato fornito da Fiat per un messaggio che accompagnava una pubblicità del modello “Multipla”. La pagina intera di giornale era occupata per la metà inferiore da una foto dell’auto, e per la metà superiore da una grande scritta, che recita “Sarete belli voi!”. 

La riconosciuta originalità del modello “Fiat Multipla” giustificava un tentativo di sdrammatizzare la situazione. Tuttavia dobbiamo formulare ipotesi scientifiche sui probabili effetti cognitivi di questo messaggio: 

  • Chi lentamente si stava convincendo di aver comprato un’auto semplicemente “alternativa” e non necessariamente “brutta” era portato a ri-pensare, a riflettere, a “ricentrarsi” sul fattore “estetica dell’auto” “ma allora ho veramente un’auto brutta! Fattore che il cliente probabilmente aveva rimosso, per concentrarsi magari su “spaziosità” e “convenienza”;
  • chi era in procinto di acquistare una Multipla, era molto probabilmente “ricentrato” a sua volta sul fattore “estetica”, piuttosto che su spaziosità, convenienza, rapporto qualità prezzo, sui quali il modello aveva numerose spendibili argomentazioni; 

Dobbiamo essere consapevoli che la comunicazione produce sempre un ricentraggio cognitivo che trasporta il pensiero del cliente su un fattore valutativo preciso. Nel caso sopra, l’estetica, anche se per diversi motivi essa non appare la mossa comunicazionale più produttiva.

Dobbiamo quindi fare una riflessione generale: la strategia del messaggio affidata a puri sforzi creativi è pericolosa e distruttiva per il marketing e per le vendite, in quanto le leve persuasive sono mosse da dinamiche psicologiche sulle quali sbagliare è sempre più pericoloso. 

Per non incorrere in gravi errori, occorre procedere ad una maggiore integrazione tra sforzi creativi e scientifici, con un ricorso sempre maggiore alle scienze psicologiche e comunicazionali.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

La strategia del messaggio

La strategia del messaggio specifica quali messaggi verranno inviati e a chi, e il tipo di comunicazione che dovrà essere svolta (emotiva o informativa), ma soprattutto quali leve persuasive utilizzare.

Il messaggio chiede una sorta di “accordo temporaneo” su un’idea, non un matrimonio perenne con l’idea. Il messaggio quindi deve avere qualche elemento di seduzione.

Per ogni target/audience deve essere creato un messaggio efficace.

messaggio
io

Il messaggio deve avere obiettivi esplicitati (l’organizzazione deve conoscere quali goals si prefigge), e i messaggi devono essere pre-testati per verificare che abbiano effetti comprovabili sul destinatario.

Non solo. Ogni messaggio deve seguire uno “schema narrativo madre”, una struttura alla quale si ispirano tutti i messaggi che siano veicolati da persone, computer, mail, video, presentazioni, eventi.

Deve sempre essere chiaro che “il messaggio è quello” in ogni elemento comunicativo e che i temi hanno una visione coordinata. L’audience non deve mai “entrare in confusione mentale” sul tipo di messaggio che riceve.

Per la costruzione del messaggio persuasivo, il requisito fondamentale è la “centratura sul cliente/target/audience”. Il messaggio “centrato” è esperienziale e fa riferimenti precisi a stati soggettivi, ad aspirazioni, sogni, paure, ansie, speranze ed obiettivi della persona.

messaggio
ggg

Il messaggio persuasivo instilla “semi di idee” affinchè questi semi lavorino nella teste delle persone che li ricevono.

Molte idee crescono meglio quando vengono trapiantate in un’altra mente piuttosto che in quella in cui spuntarono. 

Oliver Wendell Holmes (senior), Il poeta alla prima colazione, 1872

Nel metodo ALM si evidenzia un approccio fondamentale: il bilanciamento mentale nell’acquisto[1]. Sostanzialmente, un messaggio viene accettato quando i rientri psicologici percepiti sono maggiori dei costi psicologici.

Ne deriva il fatto che la comunicazione persuasiva deve generare benefici percepiti elevati, e ridurre il costo percepito psicologico, dell’azione o dell’acquisto.

Le persone comprano quando percepiscono che il vantaggio che ne deriva è superiore al valore del denaro che devono “sborsare”. Senza percezione di valore, quindi, non avremo acquisti, comportamenti, azioni.

La combinazione delle leve persuasive all’interno del messaggio

Un ulteriore modello[2] (risoluzione, omeostasi, anticipazione) evidenzia la necessità di collocare nel tempo soggettivo un messaggio persuasivo, esplicitando come la soluzione proposta in un messaggio possa categorizzarsi in:

  1. un equilibratore/risolutore: affronta e si offre come proposta affidabile per i problemi già esistenti;
  2. un manutentore: la “manutenzione” di stati soggettivi positivi, mantenere quanto vi è di già buono e non si vuole perdere;
  3. un preventore: il messaggio e prodotto/servizio puntano alla prevenzione di problemi e futuri stati negativi per la persona, o agiscono sul futuro, diventano un “enabler” (attivatore, concretizzatore): ancoraggi verso un “sogno”, avvicinatore di stati migliorativi o ideali.

L’approccio alle leve persuasive si può trarre ancorandosi alle cinque categorie di bisogno della scala di Maslow come da noi modificata:

  1. bisogni di sopravvivenza
  2. sicurezza
  3. ambientali
  4. sociali
  5. spirituali

In generale, ogni tipo di prodotto o proposta può essere analizzato, alla ricerca di motivazioni anticipatorie, omeostatiche o risolutive. E questo vale per ogni gradino della scala modificata di Maslow.

Emerge un panorama ricco di sfumature utili per costruire “strutture narrative persuasive” dalle quali partire per i nostri messaggi.

Si producono quindi per combinazione 15 classi di valore del prodotto, che possono costituire altrettante leve di vendita.

1. leva risolutiva di sopravvivenza

survive

Elimina i problemi di sopravvivenza. “Se vuoi vivere ti serve x”, “se non vuoi morire ti serve X” Il messaggio si concentra su bisogno di rimuovere stati critici per la sopravvivenza dell’individuo o dell’organizzazione.

Esempio : “se non vendiamo falliamo tutti e il corso di vendita è la soluzione per sopravvivere, non è un lusso”. Oppure sul piano medico “senza questo integratore le tue vene rimarranno ostruite”.

2. leva omeostatica di sopravvivenza

Mantiene condizioni di sopravvivenza. Promuove la proprietà del prodotto/servizio di conservazione delle condizioni attuali che stanno garantendo la sopravvivenza dell’individuo o dell’organizzazione.

Esempio : per una persona, una scorta di pane per l’insorgenza della fame; per un’impresa, un minimo di materia prima necessaria alla produzione, o un tasso di innovazione che consenta almeno di stare sul mercato.

3. leva anticipatoria di sopravvivenza

Anticipa i problemi di sopravvivenza. Promuove la proprietà del prodotto/servizio di prevenire l’insorgere di condizioni che possono minare l’integrità fisica dell’individuo o dell’organizzazione.

Esempio : per l’impresa, un tasso di innovazione in grado di anticipare i problemi futuri. “Se non applichiamo un E-commerce serio chiudiamo, e non è uno scherzo”

4. leva risolutiva di sicurezza

security

Elimina i problemi di sicurezza. È costituita da prodotti/servizi/prestazioni in grado di rimuovere o attenuare problemi attualmente esistenti per la sicurezza dell’individuo o dell’organizzazione

Esempio : sostituire una porta a vetri con una porta blindata, in seguito ad un furto in appartamento.

5. leva omeostatica di sicurezza

Preserva condizioni ottimali di sicurezza. È costituita da prodotti/servizi/prestazioni finalizzate al mantenimento delle condizioni attuali di sicurezza dell’individuo o dell’organizzazione.

Esempio : una protezione contro i sovraccarichi di tensione che potrebbero far saltare i macchinari. “Ok ora sei a posto ma vuoi rimanere a posto?”

6. leva anticipatoria di sicurezza

Anticipa problemi di sicurezza. È costituita da prodotti/servizi/prestazioni che impediscono l’insorgere di condizioni negative, in grado di minare la sicurezza dell’individuo o dell’organizzazione, o ne riducono fortemente la probabilità di accadimento.

Esempio : un estintore in auto in caso accada un incendio. Oppure ancora, per quanto riguarda l’impresa: un piano di anticipazione dei rischi di scenario che possono colpire l’azienda; un progetto di benchmarking[3] in grado di evidenziare quali sono le performance dell’azienda da migliorare, prima che esse degenerino in cadute di fatturato. “Con il radar e sensore di distanza da adesso in avanti sarà impossibile che tu faccia un tamponamento o investa dei pedoni. Impossibile. Sai quanti soldi e problemi ti stai per risparmiare? Sai quanta salute e tranquillità stai comprando per poche migliaia di euro?”

7. leva risolutiva ambientale

ambientale

Elimina il degrado ambientale (fisico o sociale). È costituita da prodotti/servizi/prestazioni finalizzati alla cancellazione di situazioni che rendono sgradevole, inadatto, l’ambiente fisico e sociale in cui il soggetto si trova.

Esempio : una nuova casa per vivere in un quartiere migliore; eliminare fonti di rumore negli uffici (stampanti, copiatrici) e schermare i rumori stradali fastidiosi. Per l’impresa: un piano di miglioramento dei climi organizzativi e l’introduzione della direzione per obiettivi come metodo per “vivere meglio” in azienda.

8. leva omeostatica ambientale

Mantiene un ambiente positivo (fisicamente o relazionalmente). È costituita da prodotti/servizi/prestazioni che forniscono elementi utili alla permanenza di condizioni di piacevolezza e gradevolezza degli ambienti fisici e sociali.

Esempio : un atto di dono necessario per mantenere una buona relazione.

9. leva anticipatoria ambientale

Previene l’insorgenza di elementi di degrado ambientale (fisico e sociale). È costituita da prodotti/servizi/prestazioni che impediscono l’insorgere di minacce alla qualità degli ambienti (fisici e sociali). Si basa soprattutto sulla  creazione di meccanismi di protezione del sistema dall’ingresso di elementi nocivi.

Esempio : una legge che proibisca l’insediamento di industrie ambientalmente nocive in un territorio; una nuova procedura di selezione del personale che impedisca l’ingresso in azienda in futuro di personale tossico e leader tossici, demotivati, disturbatori, inefficienti, prevenendo la creazione di climi interni non produttivi e le cadute di competitività. “La persona giusta al posto giusto, e dare l’esempio per primi, se vogliamo che le persone non smettano mai di credere nella nostra azienda”.

10. leva risolutiva sociale

sociale

È finalizzata alla crescita dell’immagine individuale o aziendale, agendo sulla rimozione di fattori negativi e sull’instaurazione di fattori positivi. È costituita da prodotti/servizi/prestazioni che forniscono elementi utili all’eliminazione di stati di disagio sociale provenienti da un’immagine esterna esistente non gradita o insufficiente.

Esempio : un piano di immagine coordinata per la ricostruzione di un’immagine aziendale debole o minata da eventi negativi, oppure insufficiente rispetto a nuovi target elevati da raggiungere.

11. leva omeostatica sociale

Mantiene un’immagine positiva. È costituita da prodotti, servizi e prestazioni finalizzati al mantenimento di quei fattori che attualmente stanno “funzionando” dal punto di vista dell’immagine esterna.

Esempio : un piano di pubbliche relazioni per mantenere buoni rapporti esistenti con la comunità. O ancora, un piano di fidelizzazione sul cliente attuale già soddisfatto. Questa leva, come ogni leva omeostatica, contiene anche componenti anticipatorie.

12. leva anticipatoria sociale

Previene il peggioramento o la caduta dell’immagine. È costituita da prodotti/servizi/prestazioni che impediscono l’insorgere di condizioni di grave minaccia per l’immagine esterna dell’individuo o dell’organizzazione.

Es: per un’impresa, un piano di crisis communication (comunicazione in stato di crisi) per l’impostazione e la predisposizione di procedure rapide ed efficaci, qualora si determinassero evenienze particolarmente negative  sul piano dell’immagine (incendi, esplosioni nella fabbrica, inquinamenti, scandali, boicottaggi di prodotto, gravi danni derivanti dal prodotto, inquisizione di dirigenti, scioperi e tumulti). Ed ancora: un piano di comunicazione interna in caso di sciopero improvviso o evento atmosferico imprevisto in un grande aeroporto (gelata della pista), che contenga forti elementi di comunicazione e servizio e prevenga il disagio del cliente; un piano di comunicazione che permetta, nel più breve tempo possibile, di arrestare il flusso di auto verso un’autostrada in cui sia avvenuto un incidente, evitando imbottigliamenti e ulteriori incidenti; un piano di soluzioni comunicative pronte in caso di caduta dei titoli azionali, tarato sulle diverse cause probabili, da inviare istantaneamente ai maggiori azionisti, prima che i “rumors” distruggano il titolo.

13. leva risolutiva del self

self

Elimina i fattori che impediscono alla persona di autorealizzarsi o avere stima di sé. È costituita da prodotti/servizi/prestazioni che hanno la proprietà di rimuovere le condizioni o barriere negative che ostacolano il raggiungimento del Sé ideale e l’autorealizzazione.

Esempi: eliminare un grave difetto di personalità che sbarra il passo alla capacità di apprezzare il gusto della vita; imparare a comunicare pienamente; lavorare sulle inibizioni e freni che rallentano il raggiungimento del proprio potenziale; smettere di frequentare una persona o una compagnia che limita le proprie capacità autorealizzative. Per un manager, lavorare attivamente sulle proprie capacità comunicative, di ascolto attivo, e identificazione degli obiettivi, tramite formazione specialistica, per sentirsi maggiormente autorealizzati nel proprio ruolo professionale. Oppure ancora, se analizziamo il caso di un imprenditore insoddisfatto della propria azienda, un piano di vision building può assumere la funzione di risolvere il senso di impotenza, ridare fiducia e speranza nel futuro. 

Altri esempi possono riguardare, a livello personale – l’acquisto di una vacanza o di un libro da cui trarre ispirazione interiore e crescita culturale –  in un momento di caduta di ideali o di scarsa motivazione.

14. leva omeostatica del self

Mantiene elevato il livello di senso di autorealizzazione e stima di sé, agisce sul mantenimento degli elementi positivi che la persona ritiene di possedere già. È costituita da prodotti/servizi/prestazioni che forniscono elementi utili alla salvaguardia delle condizioni attuali di vicinanza al Sé ideale dell’individuo o dell’organizzazione.

Es: una vacanza aziendale nella quale vengano mantenuti saldi i legami e la coesione del gruppo; un programma di consolidamento dell’identità aziendale (Corporate Identity Program); Anche in quest’ultimo caso è evidente la compresenza di una leva anticipatoria.

15. leva anticipatoria del self

Previene la caduta o peggioramento della stima di sé e del senso di autorealizzazione. È costituita da prodotti/servizi/prestazioni che impediscono l’insorgere di condizioni in grado di allontanare l’immagine dell’individuo o organizzazione dal Sé ideale. 

Esempi: evitare l’incontro con persone che sviliscono i risultati ottenuti e generano una caduta del morale; una vacanza per prevenire cadute di automotivazione; prodotti e servizi anti-invecchiamento (prodotti medici, sportivi, farmaceutici, alimentari, estetici, ecc.., che fanno leva sulla paura di invecchiare); diagnosi dei climi organizzativi aziendali per identificare scostamenti motivazionali, diagnosi delle competenze professionali del personale, finalizzata ad anticipare i bisogni di futuri, prevenendo cadute di autostima.


[1] Vedi, cap. 1 di Trevisani, D. (2001). Psicologia di Marketing e Comunicazione. MilanoFrancoAngeli.

[2] Vedi cap. 2, in Trevisani (2001), op. cit.

[3] Valutazione comparativa di prestazioni con particolare attenzione alle prestazioni dei più diretti concorrenti e delle aziende leader.

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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Il Project Leader e i membri del team

clear

Ogni progetto deve possedere una chiara leadership, e soprattutto, attivare meccanismi di comunicazione interna chiari, tempestivi, non dispersivi (tecnicamente, si tratta di Comunicazioni Operative)[1].

Ognuno nel team deve aver chiari in se alcuni principi chiave :

Li esponiamo tramite il principio-guida:

Principio Organizzazione della comunicazione

  • Ridurre al minimo i problemi per gli altri membri del team – principio della minimizzazione dei problemi altrui;
  • Mai operare in stato di confusione, caos, entropia; chiarire i dubbi. Mai lasciarli lievitare. Confrontarsi ogni volta che serve, meglio una volta in più che una volta in meno.
  • Colmare ogni gap informativo importante prima di agire; agire nel buio informativo non è bene.
  • Evitare di parlare a vanvera e fare perdere tempo alle persone su questioni estranee alla campagna, quando siamo in riunioni inerenti la campagna.
leadership

Il coordinatore non deve necessariamente essere il massimo esperto aziendale in comunicazione o marketing. La sua dote principale consiste nella capacità di coordinare le persone, monitorare le azioni, i risultati e i costi. In altre parole: la leadership. 

Deve saper scegliere consulenti preparati e formare i propri collaboratori al lavoro in team. Deve rapportarsi ai propri consulenti interni ed esterni con capacità di motivazione e monitoraggio. 

La sua funzione primaria si connota come “facilitatore di processo”, motore di azioni, controllore di scadenze, gestore di relazioni e di risorse.

identificazione della leadership

Senza l’identificazione della leadership di progetto il programma avrà certamente una fine ingloriosa. Risultati negativi accadono anche quando la leadership è assunta da più persone senza che siano chiarite le rispettive responsabilità.

Ogni progetto di comunicazione deve essere affidato ad un Project Leader o Project Manager chiaramente identificato.

Allo stesso tempo, devono essere identificate le persone o strutture che comporranno il campaign team. Ogni professionista, collaboratore, fornitore, partner o manager che ricopre una funzione chiave nel processo decisionale deve essere identificato. 

Di assoluta importanza e priorità è decidere quali siano i confini dei ruoli. Ad esempio, chi deciderà la strategia del messaggio? Il creativo o lo psicologo, o il direttore commerciale? 

chi fà cosa

Se non chiariamo prima i confini del “chi fa cosa” la campagna sarà un continuo susseguirsi di rimpalli di responsabilità o lotte di potere, e in un caso o nell’altro non ne uscirà nulla di buono.

Non vi è nulla di male ad assegnare (in fase progettuale) una responsabilità a chi poi scopra di non poterla adempiere per vari motivi. I confini dei ruoli possono variare mentre la campagna procede, e anzi questo dinamismo dei ruoli è uno degli elementi importanti che distingue le organizzazioni rigide da quelle elastiche. Ciò che non deve accadere è che i ruoli cambino “per caso”, “a discrezione”, o vi siano un giorno e spariscano il giorno dopo. In ogni organizzazione la certezza della responsabilità nominale (un nome per ogni responsabilità) è un ingrediente fondamentale.

In questa fase dovremo quindi preoccuparci di decidere i main-tasks (compiti principali) dei membri del team, mentre nella fase di Gantizzazione (fare tabelle di chi fa cosa e quando) ci si occuperà della stesura dei dettagli (tempistiche, scadenziari, azioni programmate).

Segui sempre le 3 “R”: Rispetto per te stesso, Rispetto per gli altri, Responsabilità per le tue azioni.

Dalai Lama


[1] Trevisani Daniele (2016), Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team, Milano, Franco Angeli.

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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

I punti chiave che determinano il successo di una campagna

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Le persone non comprano prodotti e servizi, ma relazioni, storie e magia
Seth Godin

Esponiamo di seguito la struttura di una campagna di comunicazione utilizzabile per un approccio organizzato al Communication Planning.

  1. Titolo: una buona campagna deve avere un titolo, una sigla o acronimo che permetta di identificarla. Dare un titolo significativo è uno dei primi e più trascurati problemi di management comunicativo
  2. Problem Setting,  Situation Analysis – Mission e Obiettivi (P.S.M.): Ogni campagna deve agire su problemi o obiettivi, è quindi necessario passare da definizioni vaghe o imprecise ad una esatta definizione del problema che genera il bisogno di fare una campagna o attività
  3. Team di progetto: Definire il Project Leader, i membri del team, i loro confini di ruolo, il loro motivo di inclusione nella campagna e le attese nei loro riguardi
  4. Partners: quali enti o associazioni o aziende coinvolgere, chi può collaborare e portare contributi? Come incoraggiare e motivare i partners? 
  5. Target Audience Primarie: quali sono i destinatari principali? Se si tratta di una campagna di comunicazione, a chi vogliamo comunicare, per ottenere o cambiare cosa?
  6. Target Audience Secondarie: a chi altri è necessario comunicare per rinforzare il risultato o renderlo possibile. Esistono influenzatori e opinion leaders che dovremmo “toccare”?
  7. Communication Goals: passare da un generico obiettivo ad un goal misurabile permette di fissare le azioni sul campo e valutare la qualità delle strategie. La fissazione dei goals richiede la produzione di variabili-target (su cosa voglio vedere effetti) e proposizioni dettagliate di risultato. Es, numero di click, cambiamenti nella percezione, numero di vendite attivate nel periodo di campagna… qualsiasi obiettivo può essere fissato purché misurabile o inquadrabile.
  8. Message Strategy, “Narrative Strategy”, “Storytelling” (“Battle for the Narratives”): La strategia del messaggio si pone il problema di quale sia la stimolazione adeguata, quali messaggi inviare e perché. Quale “storia” si sta veicolando? Contro quale storia alternativa stiamo combattendo? Es., la “storia” che ci vuole azienda locale che deve limitarsi ai piccoli clienti locali vs. la storia di un’azienda artigiana di lusso in grado di servire ogni cliente nel mondo? La storia che siamo una multinazionale cattiva che fa del male al mondo o la storia che siamo un’azienda che studia prodotti che possono cambiarlo questo mondo? Esistono poi le auto-storie, le auto-rappresentazioni: come ti vedi, come vedi te stesso, e come questo incide su quanto racconti, su come comunichi? E come cambiare in meglio? Ogni comunicazione ha dietro di se una storia ed è sempre in corso una “battaglia” per quale storia avrà il sopravvento. Di questa storia, di questo messaggio, chi ne sono i protagonisti? Problemi concreti diventano: quale stile di comunicazione utilizzare (es: ironico, poetico, manageriale, informativo, emotivo…), quali argomentazioni, quali informazioni inserire, come organizzare le parti del messaggio, il timeline della comunicazione, e quindi il tipo e struttura del messaggio. Far uscire la “storia” giusta significa fare una buona pianificazione della psicologia del messaggio, base di ogni risultato.
  9. Channel Strategy – per far sì che il messaggio arrivi è necessario ricorrere a canali comunicativi, siano essi persone, mass media o canali social, direct marketing, mailing, fiere, eventi, convegni, incontri fisici, o elettronici e online, videoconferenze e ogni altro media che emergerà in futuro, senza mai dimenticare il media più antico, l’incontro umano (tecnicamente chiamato Key Leader Engagement quando applicato alla comunicazione persuasiva). È necessario quindi fissare i canali comunicativi da utilizzare, media primari e secondari, e il media-mix. La strategia dei media deve essere “command driven” (seguire una linea strategica impostata), e utilizzare una “matrice di sincronizzazione” (Synchronization Matrix) in cui tutti i mezzi di comunicazione, di informazione, di delivery (consegna di messaggi), e di contatto umano, vengano compresi e sincronizzati. Sincronizzare le attività comunicative e tutti i media elettronici e umani è di assoluta necessità, perché ogni azione ha bisogno delle azioni di supporto che la accompagnano in un esatto, preciso momento del tempo. Ogni campagna ha bisogno di sostegno, e come in un cantiere, quando manca sostegno, o non c’è sincronizzazione tra le azioni degli operai in azione, l’impalcatura cade.
  10. Sistema di valutazione. Per capire se la campagna ha funzionato è necessario poter misurare, far riferimento ai goals prima definiti. Ricavare feedback permette anche di tarare in corso d’opera, per quanto possibile, i temi e messaggi, i canali e i veicoli comunicativi. La difficoltà nel valutare la comunicazione consiste soprattutto nel misurare sia i risultati tangibili che quelli intangibili ma comunque accaduti. La Activation Research misura quanti clienti o altri soggetti sono stati “attivati” e da quale canale. Questo permette di valutare l’efficacia dei vari canali e iniziative utilizzate e ottimizzare le campagne per il futuro.
  11. Project Management. Una campagna mette sul campo una serie di risorse, uomini e mezzi, investimenti, impegni, che devono essere coordinati dall’alto e seguiti. Il project management definisce fasi, tempi e responsabilità, all’interno di una matrice di coordinazione (Coordination Matrix).
  12. Budgeting – per una campagna servono risorse, e quindi è necessario avere una stima adeguata dei costi di tutte le operazioni e delle risorse per le diverse fasi, capire quali saranno le fonti di finanziamento e assicurarsi che la campagna non si interrompa sprecando tutte le azioni precedenti.
idea

Il valore di un’idea sta nel metterla in pratica.

Thomas A. Edison

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Copyright. Articolo estratto dal libro “Direzione Vendite e Leadership. Coordinare e formare i propri venditori per creare un team efficace” di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

La struttura di una Campagna di Vendita Professionale

Una strategia comunicativa è un insieme di azioni organizzate per ottenere un certo effetto, o “end-state” (stato finale, stato di arrivo, destinazione). Non è un esercizio puramente artistico, non è “arte per l’arte”.

E’ “arte e strategia per far succedere qualcosa di importante”.

L’impostazione di una strategia trae gran beneficio dall’assimilare metodi e concetti di “campagna di comunicazione”, piuttosto che da azioni scollegate.

Il termine “campagna” deriva il proprio concetto strategico dalle “campagne militari” volte a conquistare un territorio, un forte, un ponte, ma ripulita da ogni coloritura “bellica”. Ne adotta invece il rigore metodologico, l’impostazione centrata su obiettivi e la porta piuttosto ad osservare se stessa alla stregua delle “Forze Speciali” di cui un’impresa vuole dotarsi per raggiungere i suoi obiettivi.

La Comunicazione oggi è davvero la “forza speciale” di ogni azienda, e come tale deve essere considerata, nutrita e cresciuta, con l’atteggiamento mentale di chi sa di poter fare grandi cose.

Lo schema a 12 Punti per le Campagne di Vendita, Comunicazione e Marketing.

  1. Titolo: una buona campagna deve avere un titolo, una sigla o acronimo che permetta di identificarla. Dare un titolo significativo è uno dei primi e più trascurati problemi di management comunicativo
  2. Problem Setting, Situation Analysis – Mission e Obiettivi (P.S.M.): Ogni campagna deve agire su problemi o obiettivi, è quindi necessario passare da definizioni vaghe o imprecise ad una esatta definizione del problema che genera il bisogno di fare una campagna o attività
  3. Team di progetto: Definire il Project Leader, i membri del team, i loro confini di ruolo, il loro motivo di inclusione nella campagna e le attese nei loro riguardi
  4. Partners: quali enti o associazioni o aziende coinvolgere, chi può collaborare e portare contributi? Come incoraggiare e motivare i partners? 
  5. Target Audience Primarie: quali sono i destinatari principali? Se si tratta di una campagna di comunicazione, a chi vogliamo comunicare, per ottenere o cambiare cosa?
  6. Target Audience Secondarie: a chi altri è necessario comunicare per rinforzare il risultato o renderlo possibile. Esistono influenzatori e opinion leaders che dovremmo “toccare”?
  7. Communication Goal: passare da un generico obiettivo ad un goal misurabile permette di fissare le azioni sul campo e valutare la qualità delle strategie. La fissazione dei goal richiede la produzione di variabili-target (su cosa voglio vedere effetti) e proposizioni dettagliate di risultato. Es, numero di click, cambiamenti nella percezione, numero di vendite attivate nel periodo di campagna… qualsiasi obiettivo può essere fissato purché misurabile o inquadrabile.
  8. Message Strategy, “Narrative Strategy”, “Storytelling” (“Battle for the Narratives”): La strategia del messaggio si pone il problema di quale sia la stimolazione adeguata, quali messaggi inviare e perché. Quale “storia” si sta veicolando? Contro quale storia alternativa stiamo combattendo? Es., la “storia” che ci vuole azienda locale che deve limitarsi ai piccoli clienti locali vs. la storia di un’azienda artigiana di lusso in grado di servire ogni cliente nel mondo? Ogni comunicazione ha dietro di se una storia ed è sempre in corso una “battaglia” per quale storia avrà il sopravvento. Di questa storia, di questo messaggio, chi ne sono i protagonisti? Problemi concreti diventano: quale stile di comunicazione utilizzare (es: ironico, poetico, manageriale, informativo, emotivo…), quali argomentazioni, quali informazioni inserire, come organizzare le parti del messaggio, il timeline della comunicazione, e quindi il tipo e struttura del messaggio. Far uscire la “storia” giusta significa fare una buona pianificazione della psicologia del messaggio, base di ogni risultato.
  9. Channel Strategy – per far sì che il messaggio arrivi è necessario ricorrere a canali comunicativi, siano essi persone, mass media o canali social, direct marketing, mailing, fiere, eventi, convegni, incontri fisici, o elettronici e online, videoconferenze e ogni altro media che emergerà in futuro, senza mai dimenticare il media più antico, l’incontro umano (tecnicamente chiamato Key Leader Engagement quando applicato alla comunicazione persuasiva). È necessario quindi fissare i canali comunicativi da utilizzare, media primari e secondari, e il media-mix. La strategia dei media deve essere “command driven” (seguire una linea strategica impostata), e utilizzare una “matrice di sincronizzazione” (Synchronization Matrix) in cui tutti i mezzi di comunicazione, di informazione, di delivery (consegna di messaggi), e di contatto umano, vengano compresi e sincronizzati. Sincronizzare le attività comunicative e tutti i media elettronici e umani è di assoluta necessità, perché ogni azione ha bisogno delle azioni di supporto che la accompagnano in un esatto, preciso momento del tempo. Ogni campagna ha bisogno di sostegno, e come in un cantiere, quando manca sostegno, o non c’è sincronizzazione tra le azioni degli operai in azione, l’impalcatura cade.
  10. Sistema di valutazione. Per capire se la campagna ha funzionato è necessario poter misurare, far riferimento ai goal prima definiti. Ricavare feedback permette anche di tarare in corso d’opera, per quanto possibile, i temi e messaggi, i canali e i veicoli comunicativi. La difficoltà nel valutare la comunicazione consiste soprattutto nel misurare sia i risultati tangibili che quelli intangibili ma comunque accaduti. La Activation Research misura quanti clienti o altri soggetti sono stati “attivati” e da quale canale. Questo permette di valutare l’efficacia dei vari canali e iniziative utilizzate e ottimizzare le campagne per il futuro.
  11. Project Management. Una campagna mette sul campo una serie di risorse, uomini e mezzi, investimenti, impegni, che devono essere coordinati dall’alto e seguiti. Il project management definisce fasi, tempi e responsabilità, all’interno di una matrice di coordinazione (Coordination Matrix).
  12. Budgeting – per una campagna servono risorse, e quindi è necessario avere una stima adeguata dei costi di tutte le operazioni e delle risorse per le diverse fasi, capire quali saranno le fonti di finanziamento e assicurarsi che la campagna non si interrompa sprecando tutte le azioni precedenti.
I punti chiave che determinano il successo di una campagna

Il valore di un’idea sta nel metterla in pratica.

Thomas A. Edison



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