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Integrazione competitiva

Articolo dal volume Competitività Aziendale, Personale, Organizzativa. Strumenti di Sviluppo e Creazione del Valore. Franco Angeli editore, Milano.

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Siamo in un grande gioco. Il tiro alla fune. Cosa succede se qualcuno tira dalla parte sbagliata?

Uno dei principali segreti della competitività è rappresentato dall’adozione del management integrato.

Cosa si intende per management “integrato”? Nel metodo ALM, viene messo in pratica un principio basilare: le aree e le funzioni aziendali non esistono per se stesse – sono strumenti per raggiungere la missione aziendale (azione sul consumatore) e risultati economici (obiettivi finanziari). Le aziende che operano per obiettivi settoriali sono limitate: ciascuna area aziendale agisce per il proprio potere, perdendo di vista la vera ragione per cui essa esiste.

Per essere competitiva, l’azienda necessita di aree collaborative, sinergiche, con raccordo operativo elevato, in grado di sviluppare linee di azione autonoma su una base culturale comune. Al crescere dell’integrazione e della comprensione interna tra i membri di una organizzazione, i processi decisionali diventano più rapidi, le scelte meno dispersive e le strategie più focalizzate. La conoscenza reciproca e valori comuni sono tra i primi elementi veri del vantaggio competitivo.

La mancanza di coordinazione aziendale genera inefficienza e pessimi risultati. Come un corpo che muova scoordinatamente braccia e gambe, l’azienda che non crea sinergia rimarrà bloccata al palo. Come un’auto in cui le ruote sterzino in direzioni opposte, l’azienda che non opera in modalità integrata richiederà enormi sforzi di riallineamento.

Lo sviluppo competitivo richiede innanzi tutto il superare le divisioni, fissando punti fermi per ispirare il management ad una linea comune. Questo richiede focalizzare qualità e marketing, controllo di gestione e acquisti, risorse umane e comunicazione aziendale verso un unico obiettivo: la mission aziendale.

Il ruolo guida della missione costituisce uno dei punti fermi del metodo ALM. Ogni azione, ogni risultato, ogni sforzo, ogni proposta, hanno senso solo se contribuiscono al raggiungimento della mission.

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Copyright. Articolo dal volume Competitività Aziendale, Personale, Organizzativa. Strumenti di Sviluppo e Creazione del Valore. Franco Angeli editore, Milano.

L’essere umano ha una propria economia energetica globale, un insieme di equilibri delicati dal quale emerge il suo grado di “potenza” complessiva, la capacità di affrontare casi, azioni, sfide, problemi piccoli, grandi, semplici o complessi, dominandoli, o – in caso contrario – essendone schiacciati.

L’alchimia delle intere energie personali è decisamente complessa.

 Anche i distretti locali del sistema umano hanno una propria economia locale. Possiamo esaminare non solo il tutto, ma anche specifiche parti.

 

L’economia energetica riguarda sia i macro-distretti (es.: fisico e mentale) sino, scendendo di scala, a toccare micro-economie molto specifiche.

Esistono economie locali nei distretti fisici, come una spalla, un ginocchio, lo stomaco, e ogni altro organo.

 

Lo stesso per le economie legate alle competenze mentali, come la concentrazione o la lucidità decisionale. La mente ha proprie economie generali che la portano a funzionare bene o male, così come economie in specifiche aree cognitive, es., la creatività. Ciascun distretto (sia corporeo che cerebrale) è inoltre un sistema aperto, e risente dei distretti con cui interagisce. Il complesso delle energie individuali è quindi articolato e si connette alle performance che la persona può o meno generare.

 

Ogni organo vive di risorse esauribili, ha proprie capacità di tenuta e propri punti di stress e di rottura, che non possono essere ignorati. Ad esempio, in reumatologia si studia il concetto di “economia articolare”, cioè l’“economia dell’articolazione” . Ogni zona del corpo, come un ginocchio, ha una sua economia locale, e possiamo chiederci quanto una persona può correre senza infiammarlo, che attività fisiche lo irrobustiscono o invece lo danneggiano, che tipo di nutrienti servono per tenerne in buono stato la cartilagine, e ancora come alzare un oggetto pesante senza danneggiarlo.

 

Chiedere alle persone di dare performance senza studiare (1) lo stato delle economie energetiche complessive, e, (2) le economie locali più direttamente coinvolte nella specifica prestazione, è come chiedere ad un cavallo di correre senza controllare se ha mangiato o se ha gli zoccoli. Vuol dire fregarsene e spremerlo per poi gettarlo, e questa non è la nostra filosofia.

Non siamo nemmeno dell’idea che sia bene massaggiare il cavallo per un anno in attesa che abbia voglia di correre (buonismo inutile), ma non riteniamo nemmeno utile o giusto frustarlo per spremere sino all’ultima energia di riserva. Ciò che serve è strategia allenante attenta.

 

L’approccio è quello del rimuovere (1) ipocrisie e buonismo, (2) aggressività inutili, e (3) improvvisazione.

Per lavorare tecnicamente alle performance attese, dobbiamo coltivare lo sviluppo personale e la condizione energetica, rispettando sia la sacralità della persona che la sacralità dell’obiettivo.

 

Cambiare comportamenti, studiare attentamente lo stato di un distretto fisico e/o mentale, tenerne conto nel proprio stile di vita, permette di gestire meglio le energie e la condizione sia del distretto che dell’intera attività personale.

Ottimizzare  l’“economia specifica” dei distretti fisici, ridurre al minimo traumi o danni, permette di ampliare la possibilità operativa delle persone. Specifiche ricerche dimostrano come tenendo conto delle economie locali e ottimizzando i gesti e comportamenti sia possibile permettere di tornare a lavorare o ad allenarsi anche per chi ha avuto traumi. Questa attenzione alle energie ed economie, locali e complessive, va estesa ben oltre il fronte della malattia.

 

Lo stesso ragionamento “per distretti” tocca anche le economie del funzionamento mentale e cognitivo. Ad esempio, abbiamo una “economia delle capacità decisionali”, una “economia dell’ansia”, e ancora una “economia dell’attenzione”, o una “economia delle capacità relazionali”. Se parliamo tanto e forzatamente per lavoro, ci accorgiamo di non avere più voglia di parlare di lavoro magari in pausa, e vorremmo evitare altre attività relazionali obbligate. Questo ne è un esempio.

 

Tocchiamo con mano i livelli energetici ogni volta che una variabile viene chiamata in azione, ad esempio, per l’economia dell’attenzione, ne constatiamo l’esistenza ogni volta che un relatore sale sul palco o un docente insegna, e notiamo per quanto riusciamo a rimanere attenti.

Se non abbiamo dormito da giorni o abbiamo un forte mal di denti, o mal di testa, non avremo capacità di attenzione, la nostra economia ne sarà stata deprivata, le nostre energie saranno svuotate o assorbite da altro.

Ed ancora, incideranno le abilità del docente, l’interesse per il tema, in un rapporto mutevole e con equilibrio dipendente da molte variabili.

 

Il messaggio finale, anche in un contesto introduttivo come questo, è che – per lavorare seriamente al potenziale umano e delle organizzazioni – occorre la capacità di spostare il livello di analisi dal micro al macro, e viceversa, con una forte capacità di zoom, uno stretching mentale che è esso stesso lavoro allenante e formativo.

  


Vedi ad esempio lo studio di Pasqui, F., Mastrodonato, L., Ceccarelli, F., Scrivo, R., Magrini, L., Riccieri, V., Di Franco, M., Gentili, M., Valesini, G., Spadaro, A., (2006), La terapia occupazionale nell’artrite reumatoide: studio prospettico a breve termine in pazienti in trattamento con farmaci anti-TNF-alfa. Occupational therapy in rheumatoid arthritis: short term prospective study in patients treated with anti-TNF-alpha drugs, Reumatismo, 58 (3), pp. 191-198.

 

 

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Copyright, dal Volume: “Il Potenziale Umano”

Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance