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Spirito di rinuncia o Sparta? Il coraggio di essere, di vivere, di diventare

di Daniele Trevisani, Formatore, Consulente in Formazione Strategica www.studiotrevisani.it – Estratto dal volume “Il Coraggio delle Emozioni” Franco Angeli Editore.

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A qualsiasi età, è bene sentirsi un guerriero che si sta allenando.

Nelle aziende, le energie delle persone sembrano a volte spente, come se non ci volesse più la domanda “cosa hai fatto oggi di buono, di positivo, di importante?“, ma bastasse “tirare avanti”.  No,non è così. Non farlo nemmeno per, fallo per i tuoi figli e le generazioni future. Ricorda, sei il frutto di gente che ha combattutto e tanto, per farti arrivare qui. Centinaia di generazioni sono servite, perchè tu sia qui, ora, adesso.

Anche in azienda, occorre lottare per costruire un futuro dove i nostri figli non debbano essere costretti ad emigrare. O no? E questo ha molto a che fare con come gestisci il Marketing, le Vendite Internazionali, le Negoziazioni, le Risorse Umane, e soprattutto, la Formazione.

La Formazione è allenarsi ad essere, allenarsi a diventare. Ma diventare cosa? Un profeta, un bravo pizzaiolo, muratore, artista. Sia quello che sia. Va Bene. Un ottimo esperto di Marketing, di Qualità, di Logistica, di Recruiting, va benissimo. Puoi esplorare tutte le potenzialità che potresti esprimere nella vita, sino all’ultimo respiro. Puoi cambiare vita ed essere molte cose, cambiare pelle, girare tra vari strati sociali, e culture.

È sufficiente che non ti accontenti di vivere una vita spenta.

Nessuna vita deve essere sprecata. E nei momenti in cui senti che lo sia, proprio in quei momenti, può e deve nascere la voglia di fare qualcosa per cambiare.

Per farlo, serve coraggio.

Il coraggio è una caratteristica umana tra le più difficili da coltivare.

Molti pensatori vi si sono avvicinati e il loro pensiero è per noi stimolo importante.

Tiziano Terzani sostiene che: “Il coraggio è il superamento della paura”[1]. Questo coraggio si trova nelle scelte difficili, nei bivi esistenziali, nei momenti in cui si trova una strada incerta, per cui:

 

La regola secondo me è: quando sei a un bivio e trovi una strada che va in su e una che va in giù, piglia quella che va in su.

È più facile andare in discesa, ma alla fine ti trovi in un buco.

A salire c’è più speranza. È difficile, è un altro modo di vedere le cose, è una sfida, ti tiene all’erta.[2]

 

Anche secondo Ralph Waldo Emerson, tra i primi pensatori americani più influenti sul movimento per potenziale individuale, il coraggio consiste nel superamento delle paure. E questo non in termini di scelte eroiche, ma di atteggiamento quotidiano.

Il suggerimento preciso di Emerson per imparare la lezione della vita è quello di “vincere una paura ogni giorno”.

 

Non ha imparato la lezione della vita

chi non vince una paura ogni giorno

(Ralph Waldo Emerson)

 

Il coraggio quindi smette di essere un atteggiamento solo epico o eroico, qualcosa da fare “ogni tanto”, e “se si presenta l’occasione della vita”, ma diventa un atteggiamento quotidiano, ogni singolo giorno un piccolo piccolo passo.

Esercitarlo un pò ogni giorno lo allena, lo potenzia. Ad esempio, andare sul ring ogni giorno, fa passare la paura del ring. Iniziare a guidare, e fare ogni giorno un pò di strada, allena alla guida. E prendere una strada nuova, allena ancora di più.

Anche secondo Osho, se se non vi fossero paure non vi sarebbe nemmeno la possibilità di definire il coraggio.

E questo significa fare le cose nonostante si abbia paura, e non perché non si ha paura[3].

 

La parola “coraggio” è molto interessante: viene dalla radice latina cor, che significa “cuore”;

quindi essere coraggiosi significa vivere con il cuore….

…la via del cuore è la via del coraggio: essa significa vivere nell’insicurezza, nell’amore, nella fiducia e ti orienta verso l’ignoto.

È la via che ti fa abbandonare il passato e ti apre al futuro.

Essere coraggiosi significa incamminarsi su percorsi pericolosi. La vita è pericolosa, solo i codardi evitano i pericoli e, così facendo, sono già morti.

(Osho)

 

La sfida del potenziale umano consiste nello scoprire come fare i conti con la paura. Non si tratta di un atteggiamento autodistruttivo o di gettarsi nel fuoco tanto per provare. Nemmeno di provare a farsi male quando questo sia certo.

Si tratta di sconfiggere le sensazioni di paura immotivate che sono radicate in noi e quelle che ci limitano solamente ma non hanno radici nella realtà se non in noi.

La persona forte è proprio quella che va avanti e nel frattempo ha paura, ma persevera. Vado avanti nonostante la paura: questo è atteggiamento eroico.

A volte si tratta persino del vincere la paura di riposare in un ambiente dove tutti corrono come formiche. Sia quello che sia.

Quando un certo atteggiamento combattivo si consolida, diventa schema mentale e comportamentale. La “percezione delle cose”, come nel giovane combattente del film “300”, è diversa in chi guarda gli eventi e il futuro con spirito di lotta rispetto a chi guarda il mondo con spirito di rinuncia.

 

Non è la paura a governarlo, ma solo una cresciuta percezione delle cose: l’aria fredda nei polmoni,

i pini piegati dal vento della notte che incombe.

Le sue mani sono ferme. La sua forma: perfetta.

(Dal film: “300” di Zack Snyder)

 

L’abitudine all’ambiente negativo accettato senza lottare porta a uno stato di apatia, mancanza di uno stimolo di reazione adeguato. Si finisce per non sentire più il veleno che circola, l’aria viziata o velenosa.

Si finisce per non lottare.

Al contrario, le frasi dal film “300” evidenziano bene lo spirito combattivo che vigeva a Sparta.

 

Qui è dove li bloccheremo…

Qui è dove combatteremo…

Qui è dove moriranno!

 

Questo spirito viene inculcato e assorbito durante la crescita:

 

gli insegnarono a non indietreggiare mai a non arrendersi mai,

gli insegnarono che la morte sul campo di battaglia al servizio di Sparta era la gloria più grande che la vita avrebbe potuto offrirgli.

 

Il concetto di onore si associa a quello della lotta per una causa.

 

Soldato Spartano: Mio re! È un onore morire al tuo fianco…

Re Leonida: è un onore aver vissuto al tuo…

 

Un’ulteriore caratteristica del clima combattivo è un clima psicologico permeato di forza e coraggio, la presenza di un atteggiamento, esteso e permeante di non-rassegnazione. Uno spirito che a Sparta tocca tutti:

 

(messaggero) Le vostre donne saranno fatte schiave…

(Leonida, Re di Sparta) Evidentemente non conosci le nostre donne… avrei potuto mandare anche loro a combattere.

 

Ogni persona vive in un certo clima psicologico circostante e ne assorbe dei tratti, venendone potenziato o depotenziato. Il suo scatto di orgoglio sa nell’andare oltre questo clima, soprattutto quando questo è depotenziante.

La realtà psicologica non è sempre simile a quella di Sparta, non sempre, non per tutti, non ovunque. Ma la dobbiamo cercare.

 

Ultimo, ma assolutamente non meno importante, il coraggio – il coraggio morale, il coraggio delle proprie convinzioni, il coraggio di vedere attraverso le cose. Il mondo è in costante cospirazione contro i coraggiosi. È una battaglia vecchia come il tempo – il ruggito della folla da un lato e la voce della tua coscienza dall’altro.
(Douglas Macarthur)

 

La gioia di vivere deriva dall’incontro con nuove esperienze, e quindi non esiste gioia più grande dell’avere un orizzonte in costante cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e diverso… Non dobbiamo che trovare il coraggio di rivoltarci contro lo stile di vita abituale e buttarci in un’esistenza non convenzionale…
(Dal film Into the wild)

 

[1] Fonte: http://it.wikiquote.org/wiki/Tiziano_Terzani

[2] Ibidem.

[3] Osho (Bhagwan Shree Rajneesh) (2003), Il coraggio. Come vivere la propria esistenza senza mai tirarsi indietro. Riza Edizioni, Milano.

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di Daniele Trevisani, Formatore, Consulente in Formazione Strategica www.studiotrevisani.it – Estratto dal volume “Il Coraggio delle Emozioni” Franco Angeli Editore.

© Dal libro Il Potenziale Umano, Franco Angeli editore, autore Daniele Trevisani

Le tre grandi forze che agiscono sull’individuo vanno chiarite e distinte:

  1. genetica;
  2. apprendimento ambientale;
  3. apprendimento intenzionale.

Sulla prima non abbiamo ancora possibilità di intervento, per ora.

Sulla seconda, larga parte di quello che ci ha plasmato inizialmente è accaduto quando eravamo troppo piccoli per farci qualcosa, i modelli sociali e culturali dei nostri primi anni di vita, e i genitori, non li abbiamo scelti noi.

L’operazione più utile da compiere, come detto, è guardarvi dentro e decidere autonomamente cosa sia risorsa, cosa invece sia freno, e cosa manchi.

Sulla terza, gli spazi sono aperti.

Dall’adolescenza in avanti inizia la vera forza da coltivare nell’individuo, la coscienza della possibilità di scegliere: ad esempio, è possibile emanciparsi e decidere di smettere di guardare la televisione commerciale, e leggere qualche libro in cui si possa imparare qualcosa. Aiutare gli altri a farlo è altrettanto essenziale.

È possibile decidere di fare sport, fosse anche solo correre, o se il nostro corpo non ce lo permette ora, possiamo cercare altri spazi di espressione fisica, leggera o pesante, agonistica o meno. O muoverci sul fronte intellettuale.

Nelle relazioni, è possibile iniziare a scegliere le persone con cui passare il tempo libero. Sul lavoro, sullo studio, possiamo iniziare a fare scelte. La coscienza della possibilità di fare scelte è una conquista.

E non è detto che se una certa strada sia chiusa non ve ne siano altre, o che se ci si sente stanchi e demotivati non si possa cercare un modo diverso per esprimersi. La ricerca di un campo di espressione è lavoro allenante in sé.

È possibile iniziare a lottare contro le forze avverse, i sistemi clientelari, arretrati, corrotti e arroganti, le strutture ingessate, le culture amputanti.

Esiste chi non vuole che lo facciamo, chi teme che smettiamo di respirare a forza le regole del sistema che ci soffocano. I pensatori autonomi fanno paura. Non a caso, sono i primi che i regimi cercano di sopprimere.

Possiamo invece crearci un nuovo insieme di regole e spazi di espressione, che rispetti gli altri, ma anche se stessi. Questo significa esprimersi: andare oltre i vincoli esistenti, usare la ragione e procedere verso ciò che per noi sia una luce, una visione positiva, una forma di libertà.

Fai Focusing. Prova a focalizzare quali sono gli apprendimenti volontari che vuoi fare, quelli che l’ambiente non ti ha ancora offerto, quelli che la genetica non ti può avere regalato, e fatti un bellissimo regalo: decidi di apprendere per tutta la vita, volontariamente, coscientemente, da uomo libero (Daniele Trevisani).

Sette giorni, sette mesi, sette anni

 

Il futuro si costruisce.

Tu hai la responsabilità di costruire il tuo. Non sperare che altri lo facciano per te.

Tu hai la responsabilità di lasciare il mondo migliore di come l’hai trovato, o di provarci. Non sperare lo facciano solo gli altri.

Se non senti questa responsabilità, in questo mondo non meriti di starci.

Ma non pretendo che questo messaggio, così duro, sia per forza già presente in te o nelle persone che ti stanno vicine. In realtà, si tratta di un messaggio antico, di una saggezza arcaica, che oggi la civiltà del consumo di massa e del torpore mentale cerca costantemente di far passare per utopia.

Per cui, nessuna meraviglia se questo messaggio non è molto diffuso.

Molti politici e industriali – mentalmente malati – inquinerebbero il mare dove i propri nipoti dovranno nuotare. O persino quello dei figli.

Molti viaggiatori gettano rifiuti dalle auto pensando che tanto quella strada non è la loro. Chi sporca il mondo sporca la propria casa. Prima o poi ripasseremo dappertutto. Prima o poi quello che abbiamo fatto nella vita verrà visto. Non importa credere nel Giudizio Universale, perché questo giudizio è la coscienza planetaria diffusa, che si sta affermando sempre più, prima in una elite di pensatori, poi in numerosi gruppi di influenza, quindi nella politica sana, e sempre di più nelle masse.

Semi di questa coscienza sono in ciascuno di noi. Alla nascita, ogni essere umano ne è dotato. Ogni bambino sorride nel vedere un volto. La crescita può corrodere questi semi, o invece lasciare che sboccino. Spetta a te dargli da bere, coltivarli, farli crescere.

Occorre recuperare questa antica saggezza.

Ad esempio, tra gli Indiani d’America, un saggio Indiano, Oren Lyons, Capo degli Onondaga, scrive[1]:

“Guardiamo avanti, perchè uno dei primi compiti che ci è dato da assolvere come capi, è di pensare che ogni decisione che prendiamo dobbiamo mettere al primo posto il suo impatto futuro sul benessere e sulla salute della settima generazione a venire .” “E la settima generazione? Dove li stai portando? Cosa avranno?”[2]

Possiamo apprendere tanto da questa antica sapienza.

Come staremo tra sette giorni dipende già da come inizieremo ad alimentarci oggi e a fare attività fisica. I progetti cui staremo lavorando tra sette mesi devono essere pensati oggi altrimenti non si verificheranno mai. Cosa saremo tra sette anni dipende da alcune scelte che possiamo iniziare a fare oggi. E sette anni, arrivano in fretta.

Salvo eccezioni, tra 7 anni potrai essere un lardoso ammasso di materia inutile, o un essere attivo e fisicamente potente. Dipende tutto da come scegli di alimentarti e dal regime fisico cui intendi sottoporti.

Tra 7 anni potrai essere ridotto ad una ameba mentale, pronto a cliccare su qualsiasi link ti passi davanti, o essere mentalmente lucido, selettivo, cosciente, impegnato su più fronti appaganti in sfide che ti danno il gusto di svegliarti la mattina. Salvo asteroidi e catastrofi, dipende soprattutto dalle tue scelte. Lo stile di vita che intendi adottare ti forgerà, nel bene o nel male. Lo stile di pensiero che intendi adottare farà di te l’ameba o il pensatore, la vittima o il guerriero.

E ancora, se ogni governante delle nazioni più potenti pensasse come gli Irochesi, smetteremo di distruggere, di fare strade di asfalto e auto alimentate a benzina, e viaggeremo tutti tra 7 anni su auto volanti alimentate ad idrogeno o fonti rinnovabili.

Trarremo ogni energia possibile dal sole, dal vento, dal mare, e vivremo in pace gli uni con gli altri.

È ingegneristicamente possibile, completamente e assolutamente avverabile. Manca solo la saggezza per farlo.

L’egoismo impedisce ai governanti medi di guardare oltre, se non a cosa poter rubare durante il proprio mandato, o quali vantaggi procurare a se, ai propri familiari o al proprio clan politico. Anche l’egoismo è una catena mentale. E può prendere chiunque.

Le catene sono tantissime, ma le puoi spezzare. Puoi vivere nella luce, sconfiggere il buio. Il buio di vite “non-vissute”, in cui si è costantemente prigionieri di maschere, di falsità, di circostanza, di ruoli che non sono né propri, né veri, gente che non lascerà nessun segno se non una striscia di veleno o qualche traccia tossica. Non è così che deve andare.

La strada verso la verità e la pienezza è però piena di ostacoli, il primo dei quali è la “paura della luce” dopo essere stati per anni al buio. La purezza fa paura perché abbaglia.

Possiamo perdonare un bambino che ha paura del buio.

La vera tragedia della vita è quando gli uomini hanno paura della luce. (Platone)


[1] Wikipedia online, 2012, voce “Seven generation sustainability”, Wikipedia Foundation.

[2] An Iroquois Perspective. Pp. 173, 174 in American Indian Environments: Ecological Issues in Native American History. Vecsey C, Venables RW (Editors). Syracuse University Press, New York

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Testo Copyright by Dr. Daniele Trevisani, Formatore e Coach per lo Sviluppo Personale e dei Team. Anteprima editoriale dal volume di Daniele Trevisani “Personal Energy”.

1.1.       Conscio, subconscio e inconscio

A volte risulta difficile spiegare il comportamento delle persone nella sfera del consumo e del rapporto con i prodotti. Ci animiamo per questioni apparentemente futili (quale film vedere…), ma ci abituiamo a fatti che non dovrebbero lasciarci dormire (es: la produzione di mine antibambino). Un impiegato dedica una vita a far raccolte di tappi di bottiglia, un bambino non va a scuola senza quello specifico zainetto, un operaio non dorme se la sua auto non ha il cerchio in lega leggera cromato a cinque raggi, un manager soffre nell’indecisione su quale quadro alla parete può meglio comunicare la sua immagine all’interno dell’ufficio, ecc… ecc…. I casi umani sono tanti. Ogni persona ha le proprie ansie, paure, speranze, illusioni, e queste si trasferiscono anche nel comportamento di acquisto (e di riflesso, sulle strategie di vendita).

Se dovessimo catalogare in “consapevoli vs. inconsapevoli”, “razionali vs. irrazionali”, “realmente utili vs. futili”, gli acquisti e i comportamenti del consumatore medio, saremmo costretti ad attribuirne buona parte al  secondo tipo: illogico, irrazionale, difficile da spiegare.

Quando si entra nella sfera dei gusti e delle preferenze, esprimere consciamente perché odiamo un certo tipo di scarpe (es.: un adolescente che non sopporta i sandali aperti di cuoio “da frate”, pur essendo essi comodi e confortevoli), un vestito di un certo colore, un’azienda tedesca piuttosto che italiana, vede spesso goffi tentativi di ricerca di spiegazioni. Quando queste vengono attuate, si dimostrano spesso vere e proprie “azioni di copertura”. In queste azioni, l’individuo si sforza di riportare una coltre di apparente razionalità in scelte altrimenti difficile da spiegare anche a se stessi.

Il grado di consapevolezza delle proprie pulsioni infatti decresce nel passaggio da conscio a subconscio ed inconscio.

Grado di consapevolezza dei moventi d’acquisto

Conscio

Subconscio

Inconscio

+

Possiamo o meno essere d’accordo con le analisi freudiane, certo, tuttavia, risulta strano spiegare ricorrendo alla logica perché le persone non utilizzino più i cavalli come mezzo di spostamento a corto raggio, perché molte donne amino il giardinaggio, perché esistano gli sport violenti, perché i bambini siano attratti da attività quali lo smontare e il rimontare o l’arrampicarsi sugli alberi, perché esistano i rossetti, perché alcuni odino i computer, perché esistano le pellicce, perché.., perché…. infiniti perché ai quali non è possibile rispondere dando soluzioni meccaniche e razionali.

Se analizziamo le trascrizioni scientifiche dei moventi d’acquisto – espresse dagli stessi consumatori – notiamo che in molti atti non appare niente di quanto previsto dall’economia classica. Il concetto di utilità razionale del prodotto a volte sparisce e l’acquisto diventa un fenomeno psicologico che risponde ad altre esigenze, ad esempio un “riempitivo psicologico”, una tecnica di “riparazione di stati emotivi negativi”, o un modo di affermarsi. Ad esempio[1]:

A volte, se non mi sento molto in forma, vado fuori, questo mi fa già sentire meglio. Poi penso, beh, voglio tirarmi su ancora un pò, e quando vedi qualcosa, dici, beh, lo prendo. Mi trasporta in un altro mondo, mi porta con la mente in una sorta di viaggio magico, mi tira su totalmente. Mi  nutre, in qualche modo, è qualcosa di cui ho bisogno.

Man mano che procediamo nell’analisi dei moventi, notiamo che le motivazioni divengono sempre meno “superficiali” e razionali, ed emergono fattori nuovi. Le motivazioni di primo livello (il motivo apparente d’acquisto) sono progressivamente sostituite da concetti più complessi e la coltre di razionalità sparisce.

Magari passo davanti ad un negozio di vestiti e vedo qualcosa nella vetrina, e dico, quello è proprio carino. Vado nel negozio, e poi vedo qualcos’altro. E poi dico… quello è ancora più carino di quello in vetrina. E poi mi dico, non ho proprio intenzione di comprare queste cose, me le provo solo un attimo. Così, vado dentro, li provo, e dico, mmh, questo mi sta proprio bene, mi chiedo se c’è qualcos’altro che ci stia bene assieme. Così, provo altre cose che ci si abbinino, … vado dentro perché sono interessata ad una cosa e me ne esco con altre tre o quattro. E posso persino venir fuori con tre o quattro o cinque pezzi tutti uguali, solo di colore diverso. Devo andare dentro, e poi sento quasi che non posso uscire dal negozio senza aver preso qualcosa.[2]

Continuando a scendere nel grado di introspezione, si nota che le motivazioni apparenti (del tipo, “l’ho comprato perché ne avevo bisogno”, o “mi piaceva, e basta”), non tengono. Il livello di profondità nella discesa verso il mondo nascosto a se stessi, l’area delle pulsioni profonde, può decifrare i significati simbolici ed il rapporto emotivo che si genera tra prodotto ed immagine di sè. Da queste analisi emerge spesso che il prodotto diviene strumento di proiezione d’immagine, o mezzo per raggiungere obiettivi strategici (seduzione, potere), e ciò avviene anche inconsapevolmente.

L’inconsapevolezza dei propri moventi non deve meravigliare. Vediamo una constatazione sulla natura umana, svolta in base al pensiero di Freud:

Per Freud la psiche è per la maggior parte inconscia. Essa assomiglia ad un iceberg, i nove decimi della quale sono nascosti o inconsci, e solo un decimo è in superficie o consapevole. Per questo i 9/10 dei nostri atti sono dettati da motivazioni inconsce. La parte consapevole, poi, si divide tra Io o Ego (la coscienza propriamente detta) e Super-io o Super-ego, che raccoglie i referenti morali e educativi. L’Io o Ego media tra motivazioni inconsce e motivazioni morali. La psicoanalisi è pertanto un processo di autoconoscenza, perché aiuta a svelare l’inconscio, e a capire quali sono le motivazioni autentiche dell’individuo rispetto a quelle imposte dai modelli morali o educativi[3].

Il fatto che i moventi dei consumatori non siano sempre ben chiari, o le scelte delle aziende appaiano a volte controintuitive, deve portarci ad una prima riflessione generale: i consumatori e clienti sono macchine biologiche e sociali il cui funzionamento è lungi dall’essere compreso a pieno. Queste macchine a volte hanno dei comportamenti strani, ma le aziende, con questi comportamenti, devono fare i conti tutti i giorni.

A volte i desideri e le scelte di acquisto delle persone sono prevedibili, a volte non lo sono affatto. Se il campo del consumo fosse dominato dalle leggi della razionalità, vivremmo in un mondo diverso.


[1] Trascrizioni tratte da Dittmar, H. & Drury, J. (2000). Self-image – is it in the bag? A qualitative comparison between “ordinary” and “excessive” consumers. Journal of Economic Psychology, 21. 109-142.

[2] Fonte: trascrizioni svolte da Dittmar & Drury, 2000.

[3] Enciclopedia Rizzoli Larousse 2000.

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Materiali dal volume di Daniele Trevisani (2002) “Psicologia di Marketing e Comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Milano, Franco Angeli editore, Copyright. Selezione a cura dell’autore (www.studiotrevisani.it) per soli scopi didattici e di ricerca. E’ consentita la riproduzione solo con citazione del volume da cui deriva e dell’autore. È proibita la modifica non autorizzata.