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Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team

leadership conversazionale

Competenze comunicative del leader

La leadership conversazionale contiene modalità espressive “dure” e modalità “morbide”. Con un mix situazionale adeguato, è possibile uscire dalla linea da “encefalogramma piatto” che caratterizza troppe conversazioni aziendali e familiari. Se dirigere significa gestire risultati (come spesso accade nelle organizzazioni), appaiono necessari almeno tre comportamenti comunicativi di repertorio del leader:

•     fissare ciò che si desidera e specificare come si desidera che un compito venga svolto;

•     rinforzare in positivo (premiare) i comportamenti positivi;

•     far capire se qualche cosa non va perché non va, e se serve, rinforzare in negativo (sanzionare, punire) i comportamenti negativi.

Avremo quindi un repertorio minimo costituito da fissazione delle attese, rinforzi positivi e rinforzi negativi.

Fissazione delle attese

•     Mi aspetto che…

•     Desidero che…

•     È opportuno che…

•     Voglio che…

•     Il nostro obiettivo è…

•     Vorrei che fosse raggiunto in questo modo…

•     Mi aspetto che vi comportiate così…

•     Voglio essere avvisato quando…

•     Se (x) allora (y)…

Rinforzo positivo

•     Apprezzo…

•     Mi fa piacere…

•     Sei stato bravo nel…

•     Vedo che…

Rinforzo negativo

•     Non mi piace quando…

•     Non mi va bene che…

•     Trovo sbagliato che…

•     Non accetto che…

•     Trovo inopportuno che…

•     Questa cosa fatta così provoca questi risultati che non vogliamo…

Uno dei problemi più forti della leadership è l’abuso del rinforzo e la mancanza della fase di fissazione. Crea problemi gravi anche la mancanza di rinforzo. Vediamo in rapida rassegna le diverse problematiche nello specifico.

Mancanza del rinforzo positivo

È il caso tipico in cui un comportamento positivo, mosso da intenzioni ammirevoli, o condotto con particolare dedizione, non viene riconosciuto. La mancanza di riconoscimento è un dramma sociale odierno: gli individui vengono criticati quando sbagliano ma è raro che siano premiati quando agiscono bene. La mancanza del rinforzo positivo crea demotivazione, riduce il senso di appartenenza alla comunità/organizzazione, e stimola l’abbandono del comportamento positivo.

I programmi di “pride & recognition” (letteralmente “orgoglio e riconoscenza, riconoscimento”) si prefiggono di agire esattamente su questi punti.

Abuso del rinforzo positivo

Il rinforzo positivo deve essere correlato a specifici comportamenti e atteggiamenti target. L’adulazione immotivata, i premi non meritati, le gratificazioni “a pioggia” distruggono il principio base della meritocrazia, in base al quale chi maggiormente crea valore per la propria organizzazione viene maggiormente premiato.

Si potrà certamente valutare se la meritocrazia debba essere praticata in base ai risultati (obiettivi raggiunti) o agli sforzi (impegno personale), o ad altri parametri ancora. È certo comunque che i premi o riconoscimenti non ancorati a obiettivi specifici non portano alcun risultato e non creano leadership, mentre al contrario saper dispensare premi e riconoscimenti in relazione a precisi obiettivi o comportamenti rinforza la leadership.

Mancanza del rinforzo negativo

Uno dei problemi più frequentemente riportati dagli amministratori delegati o presidenti di imprese è che i propri massimi dirigenti non “suonano la campana”, non richiamano al­l’ordine, quando ve ne sarebbe motivata occasione. Non spiegano quando qualche cosa non va, perché non va, e quali conseguenze negative possono derivarne.

Il problema nasce da diverse possibili fonti:

•     uno stile di gestione “buonista” o “paternalista” che tende sempre a ricercare scusanti per la mancanza di rispetto delle regole aziendali o delle attese;

•     il timore di affrontare le persone direttamente, faccia a faccia (incapacità assertiva);

•     il timore di ripercussioni negative sui climi aziendali;

•     la speranza che il problema si risolva da solo o non si ripresenti più per puro caso.

Queste strategie sono tutte fallimentari, poiché:

•     lo stile di gestione “buonista” o “paternalista”, se elimina il rispetto delle regole, produce climi nei quali le persone utilizzeranno gli strumenti aziendali unicamente per i fini personali, si perderà di vista la missione aziendale a vantaggio della ricerca del puro tornaconto personale (potere, denaro) utilizzando unicamente l’azienda come mezzo. È il caso tipico di molte aziende a gestione pubblica, in cui emeriti incompetenti continuano a fare avanzamenti di carriera, completamente scollegati a risultati prodotti, e soprattutto i cui errori, anche gravi, non vengono mai puniti. In questo modo non si produce alcun incentivo al miglioramento;

•     l’incapacità di essere assertivi, il timore di affrontare le persone direttamente, faccia a faccia, è un modo di agire che non si confà al ruolo di un leader. È necessario introdurre questa capacità tramite le tecniche di assimilazione progressiva (uscita dalla comfort zone, incursioni progressive nella zona di cambiamento, e ricerca/azione comportamentale per imparare un’assertività equilibrata);

•     timore di ripercussioni negative sui climi aziendali: in realtà l’unica ripercussione negativa si avrà dalla mancanza di rinforzo. Gli eventuali malumori e passaparola negativi di chi non apprezza i rinforzi negativi sono un risultato desiderato che amplifica il concetto “qui puoi fare quello che ti pare tanto non succede niente” oppure “qui dentro, quando si fa sul serio, non si scherza”;

•     speranza che il problema si risolva da solo o non si ripresenti più: se un comportamento contrario alle regole e alle attese permane, non solo si ripresenterà, ma si allargherà come un cancro ad altre persone, ad altri comportamenti, ad altri reparti, e a tutta la cultura aziendale. I problemi che nascono da atteggiamenti sbagliati non si correggono da soli, occorre intervenire su atteggiamenti, credenze e valori che li determinano, e sulle specifiche persone che li producono.

Abuso del rinforzo negativo o punizione immotivata

Vi sono leader la cui unica arma di controllo è il “bastone”, e il cui unico repertorio comunicazionale è dato dal redarguire, criticare, demolire, avvilire, provocare, aggredire.

Questi comportamenti sono concessi unicamente a fronte di deviazioni dalle regole e dai sistemi di attese, e non possono essere la prassi. Tra l’altro, una buona selezione iniziale e un buon patto d’ingresso dovrebbero eliminarli in larga misura ancora prima che essi si possano presentare.

Il rinforzo negativo (attacco, punizione) quando immotivato è distruttivo per il clima motivazionale, elimina alla radice la volontà di impegnarsi per l’azienda e per le persone che praticano questo comportamento.

La prassi comunicativa adeguata consiste nel capire il motivo del mancato rispetto, del comportamento deviante, e sanzionare solo gli aspetti che realmente denotano la mancanza di volontà nel non rispetto delle regole.

Mancata fissazione del sistema di attese

La problematica di leadership conversazionale più forte in assoluto è la mancata fissazione del sistema di attese, l’apertura del discorso su “co­me vorrei si lavorasse”, del “che cosa mi aspetto da te”, l’esplica­zio­ne dei valori personali e di come questi si traducono in attese verso i membri del team.

Finché il sistema di attese non viene fissato, non è possibile aspettarsi un rispetto delle regole o sperare che queste vengano “immaginate” dai membri del team. Salvo alcuni valori di base quali rispetto personale, dedizione, rispetto degli orari e della parola data, la stragrande maggioranza dei comportamenti ha tassi alti di variabilità operativa e richiede che vengano prese posizioni esplicite, chiarendo i possibili punti di fraintendimento.

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online:

Temi e Keywords dell’articolo:

  • Leadership
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  • Direzione dei team
  • Clima motivazionale
  • Direzione aziendale

Copyright Daniele Trevisani. Dal libro

team leadership e comunicazione operativa

Team leadership e comunicazione operativa. Principi e pratiche per il miglioramento continuo individuale e di team

Elementi di qualità comunicativa di un leader:

  • chiarezza del messaggio, coerenza tra i vari messaggi;
  • riferimenti, presenza di “deissi” (chi, dove, come, quando, con chi, dati ed elementi di verità) in grado di ridurre confusione e combattere l’“entropia” (deriva verso il caos) nel progetto;
  • sensibilità emotiva: sa quando un messaggio può essere utile, motivante, e quando corrosivo, distruttivo; di base lavora per costruire;
  • sensibilità situazionale: sa quando è il momento di dare istruzioni rapide, ordini, e quando è il momento di ascoltare, di soppesare, empatizzare. Capire se si tratta di una situazione di crisi, di routine, di picco, di dare istruzioni, fornire un chiarimento, o di altro. Se così non fosse, un leader dirigerebbe un’evacuazione da un incendio come un colloquio psicanalitico.

Ogni gruppo indistintamente può passare da un assembramento casuale e forzato di persone, praticamente una massa di amebe che se ne fregano una dell’altra, a una forza speciale intesa come energie umane in azione che si coordinano e di cui qualcuno prende la responsabilità coordinativa (leadership).

La comunicazione di un buon leader ha capacità coordinative (pratiche) e ispirative (leadership spirituale e morale).

Quando queste due aree si uniscono, un gruppo diventa capace di cose incredibili. Un buon addestramento e formazione sulle comunicazioni operative sa attivare dei valori che motivano le persone a esserci e insegna alle persone come coordinare i loro sforzi.

Principio 2 – La comunicazione di un buon leader

La qualità della comunicazione è un fattore chiave per la leadership. La comunicazione di un buon leader:

  • è chiara e consistente nei messaggi, riferimenti, “deissi”, chiara nelle aspettative nei riguardi delle persone e le trasmette apertamente;

  • è chiara nei sistemi di “rinforzo” o “premi psicologici” dei comportamenti virtuosi e riconosce impegno, sforzi e risultati;

  • non trasmette aspettative impossibili, negative e demotivanti, ma input possibili e motivanti, distinguendo bene la trasmissione di una “vision” dalle comunicazioni operative che si attuano per produrre questa vision;

  • instilla “pride & recognition”: orgoglio e senso di appartenenza al gruppo;

  • è chiara sui “rinforzi negativi”, punizioni e interventi correttivi: riprende i comportamenti che non vanno, non li lascia strisciare né crescere, sa farsi valere quando serve, consapevole che il futuro del gruppo dipende dalla sua coesione e dai comportamenti agiti in ogni istante che conta;

  • tiene un buon battle rhythm, un ritmo di battaglia, una ritmica di messaggi e azioni che ha un suo flusso e una sua logica, una cadenza, una continuità, momenti e picchi alti e pause ragionate, in un concerto ben consapevole.

Se fossimo un’orchestra, chiediamoci: che brano vogliamo suonare ora in questo gruppo? Una marcia funebre, o la Cavalcata delle Valchirie? Un brano con sfondi emotivi allegri o tristi? Una musica epica o popolare? Che ritmi si sentono? 60, 120 battiti per minuto o 200? E per quanto una persona può tenere 200 battiti per minuto senza crollare?

Tutto questo ha a che fare con la gestione delle energie dei membri del team e soprattutto l’autogestione delle energie da parte del leader stesso. Il lavoro su di sé, da parte del leader, diventa sempre più una necessità quanto più alti sono gli obiettivi.

Copyright Daniele Trevisani. Dal libro

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