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La scalata delle Competenze – verso le Supercompetenze

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Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Il coraggio di evolvere. Coaching attivo esperienziale e counseling per lo sviluppo personale e professionale. Il metodo della Neotropia” Bologna, OM Edizioni.

Occuparsi di Neotropia significa fare ricerca, e gli sforzi di ricerca devono avere un fine e produrre un piacere intimo.

Il piacere è pari a quello che i ricercatori provano nel vivere il percorso di ricerca più che i suoi risultati immediati o output. Si tratta di “essere”, molto più che l’”avere”.

“Cercate ardentemente di scoprire a che cosa siete chiamati a fare, e poi mettetevi a farlo appassionatamente. Siate comunque sempre il meglio di qualsiasi cosa siate.”

Martin Luther King

Einstein, Marco Polo, Amerigo Vespucci, Leonardo da Vinci, Michelangelo, solo per citarne alcuni, erano tutti personaggi “fuori dagli schemi” per i tempi in cui hanno vissuto, ma non si sono abbattuti per questo, stati animati dalla curiosità della scoperta, piacere e sfida del viaggio verso nuovi mondi fisici o del sapere, spesso fuori dagli schemi noti.

Il bisogno di ricerca e nuovo orientamento sul fronte delle “persone” è urgente soprattutto per le organizzazioni. Il suo contrario è la rassegnazione.

Ogni organizzazione si “nutre” delle persone che la compongono, e quindi le qualità delle persone – tenacia, capacità ed energie, spirito di ricerca – sono indispensabili nel fare la differenza. Le aziende e istituzioni dominate da mediocri, inetti, incapaci, rassegnati, non raggiungono alcuna missione.

Le persone sono obbligate a vivere nelle organizzazioni per lavorare. O sono obbligate a confrontarvisi per bisogno (es. rivolgersi ad un ospedale, una assicurazione, uno studio legale, un supermercato, una scuola).

La possibilità pratica di esprimere il nostro potenziale ha ampiamente a che fare con il grado di “illuminismo” che permea i sistemi per cui lavoriamo, spesso basso o nullo, e in alcuni casi risplendente, illuminato dalla presenza di una “luce” verso la quale tendere. Dipende anche dalla possibilità di confrontarci con persone illuminate e ispirate. Chiediamoci quante persone illuminate o ispirate conosciamo. Facciamo un elenco, contiamo.

Ho visto recentemente immagini di un formatore aziendale americano che si propone come modello di successo in corsi di sviluppo personale e – per conferma del suo raggiunto successo – si fa fotografare a fianco della sua gigantesca Hummer (un fuoristrada militare), come simbolo di “avercela fatta”. A fare cosa? Un altro noto coach si vanta di possedere un’isola personale ma spara le più grandi bugie del secolo e la gente gli crede. È un modello di cosa? Vogliamo imparare davvero da queste persone cosa sia il senso della vita? O vogliamo che finalmente sia l’istruzione e la sua applicazione il nuovo metro di misura del successo?

“L’istruzione è l’arma più potente che puoi utilizzare per cambiare il mondo.”

Nelson Mandela

In azienda dovremmo tornare a parlare di umanesimo. Spesso ci rendiamo conto che queste occasioni di incontro e di scambio sul senso profondo di vivere e del lavoro sono “maledettamente poche”, a volte, per alcuni periodi, inesistenti, e il nutrimento che ne può derivare, l’allargamento della mente – e la revisione delle priorità che ne può conseguire – viene meno.

La Neotropia – scienza del “nuovo orientamento”, “riorientamento” e “canalizzazione” delle energie personali – ha bisogno di persone in grado di produrre questo effetto.

Il confronto vitale sul senso profondo della missione aziendale, o persino della vita, sembra mancare sempre più anche nelle organizzazioni, prese dal “fare” e riluttanti verso la riflessione. La sindrome “penseremo dopo, adesso dobbiamo lavorare” è uno stato cronico e diffuso.

In questo caso, il coraggio è quello di non abbandonare la sfida, ma andare avanti verso l’evoluzione.

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Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Il coraggio di evolvere. Coaching attivo esperienziale e counseling per lo sviluppo personale e professionale. Il metodo della Neotropia” Bologna, OM Edizioni.

Fare “formazione” significa “formare” – uguale a dare forma, creare. Non significa mostrare una regoletta tramite una diapositiva luccicante.

La formazione aziendale basata sul modello anglosassone “semplificazionista” – “facile, rapida e indolore” – è concettualmente agonizzante, i suoi resti si agitano nervosamente sotto forma di corsi online o d’aula cui nessuno presta vera attenzione. Incapace di aiutare le persone a pensare, ha preferito costruire schermate di schemi colorati da guardare senza riflettere.

La sua grande colpa è di avere distrutto il significato di essere uomini, avere racchiuso il fattore umano in regolette anglofone pronte all’uso, prontuari su come si conduce una riunione, come si prende una decisione, come si guida un gruppo, come persuadere, come vendere, come raddoppiare i fatturati, anzi – quintuplicarli. Non importa come e se i metodi portino poi ad un disastro.

I segni “più” e i grafici in ascesa sono diventati una regola predominante del management rampante. Se poi dietro al segno “più” di un momento o di un mese si nasconda una drastica perdita di senso e di visione del futuro, poco importa. A cosa serve un “più” nei fatturati se nasconde il baratro di fallimento, la carenza di idee e progetti nuovi e solidi?

Dobbiamo renderci finalmente conto del fatto che la formazione deve diventare uno strumento di evoluzione culturale.

“L’evoluzione culturale, nel suo insieme, è determinata dalla somma delle innovazioni e delle scelte o, meglio ancora, dall’accettazione o meno di queste innovazioni da parte della società e da quali innovazioni vengono accettate.”

Luigi Luca Cavalli-Sforza

Se come teorizzano molti guru aziendali, “contano solo i risultati”, allora vogliamo ritorcere contro questa regola e queste semplificazioni una domanda: quali risultati? Vogliamo o no immettere tra i risultati il fatto che l’azienda stia coltivando un sano patrimonio di capitale umano e intellettuale sul quale contare?

La ricerca umanistica di un’organizzazione, il bisogno di senso, il significato di quello che facciamo, è la base dei comportamenti.

Un certo modo anglosassone e americano di interpretare le Risorse Umane (HR) come rotelle di ingranaggi, è basato sulla banalizzazione che pretende di fare bilanci sull’uomo con la stessa sensibilità psicologica ed esistenziale di un registratore di cassa da supermercato.

Nel campo della formazione, un approccio che “colma le lacune” o semplifica tutto, offrendo a chi lavora ricette facili e pronte all’uso, si è finalmente reso evidente per ciò che è: spazzatura professionale.

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Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Il coraggio di evolvere. Coaching attivo esperienziale e counseling per lo sviluppo personale e professionale. Il metodo della Neotropia” Bologna, OM Edizioni.

La storia dell’evoluzione insegna che l’universo non ha mai smesso di essere creativo o inventivo.

Karl Popper

Sicuramente un percorso di coaching, di formazione, di counseling personale e counseling aziendale di tipo neotropico è radicato nella pulsione verso una condizione più positiva, che sia materiale o esistenziale.

Quando in una sessione di coaching in profondità (Deep Caching) riusciamo a spostare anche di una sola frazione le priorità che la persona aveva, direzionandola verso nuove e diverse priorità, più pulite e anzi disincrostate da “tracce memetiche” dannose, abbiamo compiuto un atto sacro.

La pulizia mentale e la ripulitura da sfondi memetici (idelogie) e pensieri dannosi per la persona e la società è una grande area di obiettivi per la Neotropia.

La ricerca del nuovo e della crescita personale deve essere mossa da obiettivi sani e puliti, e non come moda fine a sé stessa.

Alexander Lowen ci mette in guardia contro il “nuovo” come moda forzata:

Il progresso implica un’attività costante per trasformare il vecchio in nuovo, con la convinzione che il nuovo sia sempre superiore al vecchio. Anche se questo può essere vero in alcuni settori tecnici, si tratta di una convinzione pericolosa. Generalizzando, ciò implica che il figlio sia superiore al padre o che la tradizione sia semplicemente il peso morto del passato. Ci sono culture in cui dominano altri valori, dove il rispetto del passato e della tradizione è più importante del desiderio di cambiamento. In queste culture il conflitto è minimizzato e la nevrosi rara.[1]

Dobbiamo quindi prestare grande attenzione a quale tipo di nuovo vogliamo assimilare e farlo con metodi e tecniche ben focalizzate.

Dobbiamo esaminare cosa non va nella nostra “memetica personale” e cosa mantenere, di cosa liberarci, e cosa farvi entrare.

La “Memetica”, la scienza delle idee, si occupa di far emergere le tracce mentali che abbiamo dentro, i pensieri, le nostre mappe mentali, le nostre ideologie, e come percepiamo il mondo. Agire sulla Memetica, quindi, assume molto più valore che agire su una singola competenza, per quanto pratica e utile.

Significa ripulire un po’ del fango mentale che ci circola dentro e imparare a volare alti.

Ci sono delle anime che, come alcuni animali, si rivoltano nel fango, ed altre che volano come gli uccelli i quali nell’aria si purificano e si puliscono.

(San Giovanni della Croce)

Il Coaching, sia Personale che Aziendale, si occupa di ricentrare il modo stesso di vivere la vita e l’azienda in direzione di una maggiore felicità, maggiore grado di realizzazione, efficacia ed efficienza.

Per farlo, deve apprendere a guardare verso il “nuovo” con uno sguardo ripulito da distorsioni, un’operazione che nel nostro metodo proprietario è appunto chiamata “Neotropia – la Scienza del Nuovo”.

Questa scienza si applica ad ogni situazione di Counseling Professionale, di Formazione, di Ricerca & Sviluppo, di Marketing, e persino sul piano spirituale, ove si voglia individuare quali tipi di “nuovo” ricercare e quali tipi di “vecchio” (vecchie abitudini, vecchie priorità, vecchie modalità, vecchi atteggiamenti e comportamenti, vecchi modi di relazionarsi e comunicare) siano da abbandonare per fare posto al nuovo.

La mutazione è la chiave della nostra evoluzione, ci ha consentito di evolverci da organismi monocellulari a specie dominante sul pianeta. Questo processo è lento e normalmente richiede migliaia e migliaia di anni, ma ogni qualche centinaio di millenni l’evoluzione fa un balzo in avanti.

Jean Grey

Dal film: X-men 2

La Neotropia vuole produrre volontariamente quei “balzi in avanti” che tanto sono necessari alle persone e alle aziende, e senza aspettare i tempi biblici dell’evoluzione, li vuole individuare e fare accadere in tempi ragionevolmente rapidi.

1 Lowen, Alexander (1980). Fear of Life. Edizione italiana: “Paura di vivere”, Roma, Astrolabio – Ubaldini, 1982.

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Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

La possibilità di esprimere pienamente sé stessi

Esiste un momento sacro nella vita, in cui una persona decide se vuole o meno correre, o stare sul divano, o magari alternare le due cose, e se corre, vuole imparare ad accorgersi se ha o meno uno zaino sulle spalle, decide di guardarvi dentro. Può fare male, ma è un dolore che produce crescita.

Chi lo fa, si impegna per individuare i sassi e zavorre e distinguerli dalle cose buone, e lavora per iniziare a buttare fuori sassolini e macigni, liberarsi dalle zavorre, alleggerirsi, e correre più libero.

Questo momento è sacro, ma ad oggi nessuna istituzione lo promuove, anzi, è decisamente temuto. I liberi pensatori hanno sempre fatto paura.

Le performance sono forme di pensiero pratico e voglia di vivere in azione.

Esiste una vera sacralità dell’esistenza, come recita un capo Indiano:

Nascere uomo su questa terra è un incarico sacro.

Abbiamo una responsabilità sacra,

dovuta a questo dono eccezionale che ci è stato fatto,

ben al di sopra del dono meraviglioso

che è la vita delle piante, dei pesci, dei boschi,

degli uccelli e di tutte le creature che vivono sulla terra…

(Shenandoah Onondaga)[1]


[1] Onondaga, Audrey Shenandoah (1995), Nascere uomo, in Il Grande Spirito parla al nostro cuore, Red Edizioni, Milano.

Ognuno di noi ha ricevuto un’eredità mentale e genetica da chi lo ha preceduto, un patrimonio di risorse, per alcuni ricco e pieno di frutti, per altri disastrato e pieno di debiti non pagati, con la quale fare i conti. Di questo non abbiamo né colpe né meriti, è il nostro punto di partenza.

Da questo punto in avanti, tuttavia, si avvia la responsabilità della persona nel compiere suoi progressi, tentativi anche piccoli, una responsabilità potente e individuale del volere realizzare se stessi, provare a farlo, o progredire per quanto sia possibile, senza accettare la stasi o la passività (passività da non confondere invece con capacità di rilassamento, un tratto invece positivo).

E quando parliamo di potenziale umano o espressività, non esiste punto di arrivo o traguardo finale. Si tratta di un atteggiamento costante di amore per la vita e per la ricerca.

La scienza è un’amica importante, perché dimostra che esistono possibilità enormi di emancipazione umana e crescita del potenziale personale.

Una grande quantità di studi provano che è possibile mettere mano attivamente alla propria espressività e alle abilità, sia generali che specifiche. Ma per farlo occorre volontà e lavoro allenante.

Lo studio autonomo o di gruppo, la crescita voluta, le esperienze, ma anche il lavoro allenante, formativo, di coaching, di counseling, di training, sono forme per alimentare le nostre ali per volare. Amplificare il potenziale umano significa dare ali a chi non le ha, e aiutare le persone che già volano a volare ancora più in alto.

Con le tecniche giuste, anche persone con handicap hanno potuto amplificare la propria espressività, nel caso specifico l’espressività comunicativa, grazie al ricorso a training particolari basati su tecniche efficaci.

Ad esempio, se parliamo di comunicazione verbale, il prosodic modeling[1] – tecnica che allena la persona a gestire meglio il parlato, il ritmo e intonazione, la buona scansione delle sillabe – migliora la capacità di esprimersi bene, di generare frasi compiute e comprensibili, e ha prodotto effetti scientificamente dimostrati. Il miglioramento è un fatto concreto e possibile.


[1] Young, Arlene R.  et al. (1996), Effects of Prosodic Modeling and Repeated Reading on Poor Readers’ Fluency and Comprehension, Applied Psycholinguistics, v. 17, n. 1, pp. 59-84, Mar.

Ed ancora, è scientificamente dimostrato che le tecniche teatrali nelle loro varie forme (incluso il role-playing,lo psicodramma, le simulazioni) possono essere usate con successo nella formazione in azienda, e anche per aumentare l’espressività di ragazzi con problemi, con risultati tangibili, reali, forti.

Gli studi dimostrano efficacia su variabili determinanti dell’espressività, quali listening skills (capacità di ascolto), eye contact (gestione del contatto visivo), body awareness (consapevolezza corporea), coordinamento fisico, espressività facciale e verbale, focalizzazione e concentrazione, flessibilità mentale e problem solving skills, capacità di interazione sociale, ma anche tratti psicologici quali la self esteem (autostima)[1].

Sono ambiti localizzati, dettagli di un puzzle di crescita, ma sono avanzamenti possibili e mostrano una via, una possibilità reale.

Questo per noi significa tanto: le persone possono andare oltre la posizione di partenza ereditata e oltre lo stato in cui si trovano, qualsiasi esso sia: (1) problematico o patologico, (2) normale o mediano, (3) eccellente o agonistico.

Sicuramente chi si impegna in programmi di sviluppo, su qualsiasi stadio di partenza, sta facendo uno sforzo intenzionale per andare oltre l’eredità ricevuta, e ha un merito. Lo ha anche chi li supporta, i coach, trainer o terapeuti che vi si impegnano. Lo hanno anche i leader se e quando nelle imprese fanno crescere le persone. I leader sono coloro che sviluppano le persone e non solo risultati.

Espressività è liberazione di sé, energia, possibilità di emancipazione, dare aiuto e contributi agli altri e ai loro sogni, così come ai nostri.

Le performance e l’apprendimento sono atti di espressività che non arrivano ad un punto per poi fermarsi, sono piuttosto momenti di azione, seguiti da altri di riflessione, ricarica, e poi ancora ricerca di altre zone di espressività e altre crescite, altri progetti positivi, e ancora riposo, contributi, espressione, in un susseguirsi di “respiro vitale”, un battito di vita profondo e potente.

Ci si può esprimere in una poesia, in una corsa, in un progetto aziendale. Ci si può esprimere aiutando il prossimo, nel volontariato, o in una ricerca spirituale.

Ci si può esprimere nel raccontare con vividezza un racconto o una favola ad un bambino. Non è necessario far soldi o vincere le olimpiadi per esprimersi. Ci si può esprimere nelle professioni, nel lavoro, nell’impresa, ma diventare ricchi non è sempre sintomo di successo vero, anzi, persone che hanno raggiunto obiettivi spirituali, come Gesù, San Francesco, i monaci buddisti, e altri illuminati, hanno deciso che il loro metro di misura fosse altro.

È questa la vera emancipazione: decidere quale sia il nostro metro di misura senza ingoiarlo a forza da altri, non assorbirlo passivamente e impregnarsi da quanto certa società vorrebbe a forza, il consumismo, l’esaspe­razione, il comportamento “produci-consuma-muori”.

Ma, quello che conta ai fini formativi, è che – qualsiasi sia il target o l’obiettivo – l’espressività sia percepita come fattore altamente “lavorabile”, così come lo è, più in generale, ogni ambito della crescita e del potenziale umano.


[1] Bailey, S.D. (1993), Wings To Fly: Bringing Theatre Arts to Students with Special Needs, Woodbine House, Rockville.

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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Il Valore Totale Percepito

Uno dei passaggi più critici nella preparazione negoziale è comprendere come si forma il possibile valore totale percepito (VTP), sommatoria di vari segmenti di valore (SV).

Il valore percepito, nel metodo ALM, viene considerato come una sommatoria di credenze positive, che si addizionano nella mente dell’acquirente mentre valuta le proposte o condizioni. 

Le caratteristiche distintive dell’offerta sono una combinazione di segmenti di valore che formano il valore complessivo. Ad esempio, un’impresa chimica che negozia una gomma speciale fonoassorbente con un produttore di auto, può creare valore percepito adducendo:

  • il valore dell’unicità: essere i primi a disporre di tale tecnologia;
  • il valore della rapidità: essere tra i pochi a poter consegnare il prodotto in tempo per il lancio dei nuovi modelli di auto sui quali si potrebbe applicare;
  • il valore della ricerca e sviluppo: poter realizzare varianti su richiesta della ditta costruttrice, a seconda delle aree di utilizzo (assorbimento del rumore degli interni, del motore, etc.);
  • il valore dell’affidabilità: dare garanzie di poter consegnare i volumi previsti poiché si è produttori diretti e non semplici distributori del prodotto;
  • … altri valori identificabili da una analisi accurata.

La sommatoria di tali valori potenziali o segmenti di valore (SV) crea il valore percepibile totale. Il valore “percepibile” non verrà però colto nella realtà, se non si crea una comunicazione adeguata. 

Soprattutto, ciascuna caratteristica dell’offerta diventa valore solo ed unicamente se la diagnosi è adeguata. In caso contrario, l’informazione che non tocca la mappa mentale del cliente passa da valore a rumore (noise).

Principio 6 – Valore Totale Percepito (VPT) come sommatoria di Segmenti di Valore (SV)

Il successo della negoziazione dipende:

  • dal valore totale percepito nella controparte rispetto alla nostra identità e alle nostre possibilità di intervento;
  • dalla capacità di costruire, far emergere ed essere consapevoli dei Segmenti di Valore (SV) che compongono la propria offerta;
  • dalla capacità di trasferire i SV all’interlocutore durante la comunicazione;
  • dalla capacità di creare fitting (adattamento, centratura) tra i segmenti di valore offerti e i bisogni della controparte che emergono dalla diagnosi.

Il negoziatore dovrà quindi essere estremamente attento a testare il grado di fitting tra i Segmenti di Valore proposti (ciò che propone) e ciò che nella mente del cliente è realmente importante, centrando le Key Variables (variabili valutative critiche).

Ogni acquirente utilizza variabili critiche (Key Variables) che influenzano il processo decisionale:

il prodotto osservato viene comparato con un’immagine mentale del prodotto ideale, e con altri possibili prodotti. L’azienda consapevole dei processi mentali del cliente sa investire nelle variabili più “pesanti”, quelle che producono effetti e non dà priorità a variabili che il consumatore non utilizza o utilizza poco nelle proprie scelte.

Lo sviluppo di una linea d’azione di successo

Alcuni dei macro-errori della negoziazione:

  • mancata conoscenza dei valori condivisi e analisi delle divergenze valoriali: impostare un rapporto senza una adeguata e reciproca conoscenza delle rispettive missioni e valori condivisi;
  • tenere attivi dei fraintendimenti e non affrontarli subito: non è possibile fare affari solamente con soggetti o aziende delle quali si condividono tutti i valori e la missione. Capita spesso, anzi, di trattare con persone o imprese che non dispongono di una precisa visione. Tuttavia ciò va considerato in quanto fonte di possibili fraintendimenti rispetto agli obiettivi finali del progetto e alle modalità di svolgimento, i quali – senza un esame rapido, possono dare luogo ad aspettative contrastanti e divergenti;
  • dare per scontati i modelli mentali del cliente: pensare che “sicuramente il suo ragionamento è…”, senza testarlo nella realtà;
  • mancata pianificazione di percorsi alternativi: lanciarsi in una Action Line senza avere esplorato le alternative;
  • mancata definizione dei possibili ostacoli di percorso e trappole (Traps);
  • mancata preparazione e test della negoziazione (training sulle Action Lines attuato tramite giochi di ruolo, Role Playing);

Per realizzare una Action Line di successo è necessario:

  • essere consapevoli della propria missione, del proprio valore, della propria distintività;
  • essere consapevoli e comunicare tutti i singoli segmenti di valore che formano il Valore Totale Percepito;
  • definire il punto di partenza e l’obiettivo da raggiungere o punto di arrivo (goal setting negoziale), ciò che vorremmo, i nostri punti di arrivo, chiarire ciò che ci renderebbe orgogliosi come risultato raggiunto;
  • definire diversi percorsi alternativi per raggiungere l’obiettivo o goal (con un minimo suggerito di tre alternative);
  • valutare i pro e contro delle alternative;
  • sperimentare il percorso scelto alla ricerca di Traps e possibili Breakdown;
  • scegliere la linea che massimizza il risultato ricercato (valutando sia il costo economico che organizzativo).

La linea di azione comunicativa

La linea di azione comunicativa si compone di una serie di “mosse relazionali” che ci avvicinano alla meta, verso l’effetto ricercato. 

Ogni comportamento è un messaggio. È messaggio un ritardo nel rispondere o la prontezza nel rispondere, è messaggio una comunicazione aperta o una comunicazione criptica, così come il tono adirato o conciliante, o la cura dell’impaginazione di una lettera o di una email, o la sua trascuratezza.

Le persone e i clienti traggono informazione da tutto.

Per questo, la linea di azione comunicativa deve presidiare ogni fronte dal quale il cliente ricava messaggi e formula la sua immagine e le sue decisioni.

La linea di azione richiede inoltre studio ed analisi. Include soprattutto la ricerca di informazioni sugli interlocutori, sui reali potenziali di business, sui bisogni manifesti e latenti, e sulle leve di valore che maggiormente possono essere efficaci. 

Ogni negoziazione comprende una componente di seduzione e persuasione.

Come osserva un classico della seduzione:

La cortigiana dovrebbe dapprima inviare i massaggiatori, i cantanti e i giocolieri che eventualmente siano al suo servizio o, mancando questi, i Pithamardas ovvero confidenti e altri, a indagare sui sentimenti dell’uomo e sul suo stato d’animo. Per mezzo di tali persone, la cortigiana si accerterà se l’uomo è puro o impuro, se è amabile o meno, capace di attaccamento o indifferente, generoso o gretto;[1]

Ogni negoziazione, al di la della metafora provocatoria, contiene elementi di somiglianza e similarità con un corteggiamento, o con un matrimonio o fidanzamento. Con chi ci stiamo fidanzando? Chi sono le persone con cui stiamo trattando? Che carattere hanno? Che storia hanno? Cosa vogliono realmente? Di cosa hanno bisogno adesso?

Quando sia appurata la qualità potenziale dell’interlocutore, la gestione della comunicazione deve dare dimostrazioni di interesse così come la seduzione crea un rapporto tra due controparti.

Regole stereotipate e linee di azione ragionate

La tentazione di ricorrere a regole preconfezionate, nella negoziazione, è grande.

Sarebbe molto bello poter dire “quando parli con un Cinese, fai…, quando invece sei in America Latina fai x non fare y, e vedrai che il successo è garantito…”

Le regole comportamentali rigide rifiutano di prendere in considerazione la realtà dell’imprinting (matrice) culturale, la varietà di personalità, il lato emotivo dei soggetti e la loro identità multipla: un cinese può avere lavorato per multinazionali americane ed avere maggiore cultura di business anglosassone di un americano del midwest, può essere adirato o felice, può avere avuto esperienze positive o negative in passato con persone della nostra nazione, e questo non lo possiamo né sapere a priori né stereotipare.

Nessuna regola vale per sempre e con tutti.

Le regole stereotipate possono andare bene solo in una società non globalizzata. Oggi i mix culturali producono una multi-stratificazione di culture in ogni individuo che ha contatti con altre culture, per cui non è più possibile dare regole comportamentali certe. Quello che serve è un approccio flessibile, che tenga conto della realtà incontrata e non degli stereotipi, poiché nella negoziazione non esistono regole culturali assolute.

Le realtà che si possono incontrare sono le più diverse, e, come accennato, il grado di varianza intra-culturale non è minore di quello inter-culturale. 

Le poche regole certe devono essere quelle di:

(1) disporre di una “minima condotta efficace trans-culturale, o minimo comune denominatore del comportamento negoziale cross-culturale”, un approccio di qualità conversazionale che possiamo pensare di poter applicare ovunque, es: non interrompere inopportunamente, non offendere la “faccia” e immagine altrui, non esporsi con affermazioni pericolose in campo valoriale e religioso, cercare di capire gli interessi della controparte, e 

(2) conoscere le poche basi culturali generali dell’area geografica o merceologica ove si opera: il background culturale probabilistico che si potrà incontrare, le regole probabili (e sottolineiamo probabili, non certe) che vigono in una certa cultura geografica, etnica o professionale – anche queste da prendere con le pinze.

Occorre cambiare paradigma, passare dalle regolette certe alla flessibilità del comunicatore, occorre un cambiamento di atteggiamento.

Soppesando i pro ed i contro di diverse opzioni di contenuto, è necessario giungere alla definizione di quale messaggio dia la maggiore probabilità di successo.

Probabilità e non certezza. 

Dobbiamo quindi studiare la linea di azione con i minori ritorni negativi latenti, prevedere e anticipare i rischi di effetto boomerang.

Se siamo invitati da un commerciante arabo nella sua casa, spetta a noi capire, inquadrare (attività di framing) se sembra essere una famiglia tradizionalista, ortodossa, integralista, o informale o ancora dove e quanto ha studiato questo commerciante, che potrebbe non avere istruzione formale o avere invece due lauree prese a New York o Sidney. Solo applicando un atteggiamento di apertura ed ascolto possiamo interagire efficacemente.

La produzione di una linea di azione comunicativa non può ricorrere a stereotipi (es: “se sei attaccato, contrattacca”) e non avviene per pura intuizione creativa: essa è frutto di studio, di confronto, consultazione, scambio di pareri tra colleghi e tra colleghi e consulenti. 

Richiede ricerca, esplorazione di opzioni, valutazioni di fattibilità e anticipazione degli effetti. Richiede, in altre parole, l’umiltà del negoziatore professionale, che è sempre proteso a testare le proprie strategie e mosse, pronto con umiltà a confrontarsi con colleghi e consulenti sulla loro possibile efficacia, prima di lanciarsi nell’azione ciecamente seguendo stereotipi. 

Questa umiltà rappresenta il vero fattore distintivo del negoziatore professionale rispetto al “negoziatore rampante” :

  • distingue il prototipo del negoziatore arrogante che pensa di avere sempre ragione e usa stereotipi, da chi si siede ad un tavolo per analizzare e costruire qualcosa;
  • distingue chi si fa forte di leve contrattuali (potere, denaro, legislazioni, politica) da chi ricerca realmente un approccio win-win, di vantaggi reciproci;
  • distingue chi ritiene che il successo sia sempre dovuto e venga in tasca automaticamente, da chi pensa di dover costruire attivamente il proprio successo;
  • distingue chi si scava lentamente la sua fossa, da chi crea qualcosa per gli altri e non solo per se stesso.

Per costruire Action Lines di successo, è quindi necessario il confronto, concretizzato tramite diverse sessioni di brainstorming e di role-playing nelle quali esporre e testare le possibili linee di azione comunicative, per poi scegliere la linea a maggiore probabilità di riuscita.

Struttura delle linee di azione

Ciascuna linea di azione è suddivisibile in Steps, fasi temporali durante le quali si articola il processo di comunicazione. L’insieme dei passi attuati costituisce il percorso della linea di azione (Path). Ogni step prevede diverse comunicazioni, che vanno sottoposte ad esame e prova tramite role-playing (simulazione) o expert review (valutazione da parte di esperti).

Una Action Line Analysis (ALA) si può definire come l’analisi comparativa di una serie di tattiche alternative per il raggiungimento di un obiettivo. 

I fattori strutturali caratterizzanti una ALA sono (a) il numero di linee di azione comparate, e (b) il numero di steps per ciascuna linea.

Per ogni linea devono essere determinate le possibilità di successo, gli errori e trappole (traps), la fattibilità pratica, le ripercussioni sull’immagine di chi la metterà in pratica.

L’importanza della message strategy è la scelta accurata di una linea comunicativa che associ il messaggio a concetti mentali desiderati. Nel costruire una strategia del messaggio, dovremo anche fare attenzione ad associazioni che possano inquinare il marchio e il comunicatore con immagini mentali negative. 

Ogni parola emessa elicita (fa scaturire) costrutti mentali che sono contigui ad essa.

Le scienze cognitive hanno evidenziato che i messaggi non sono recepiti in modo isolato, ma si inseriscono sempre in una mappa mentale del soggetto, una mappa che associa il messaggio a concetti e immagini mentali. 

Per esprimere tale concetto, Shaw e Gaines fanno riferimento al concetto di “Geometria dello Spazio Psicologico”[2] espresso da Kelly (Psicologia dei costrutti personali): ogni messaggio si inserisce in spazi mentali e si associa alle aree contigue.

La message strategy richiede consapevolezza che ogni messaggio aziendale, ogni comportamento comunicativo della linea d’azione, produce immagini evocate, le quali creano un’anticipazione di eventi futuri nei nostri interlocutori (“come sarà lavorare con questa azienda?”) e attribuzioni di significati agli eventi stessi (“perché avranno detto questo?” “se si comportano così ora, cosa faranno dopo?”).

Trappole e problemi della negoziazione

Una delle caratteristiche della negoziazione interculturale è quella di non sapere bene con chi si sta trattando, a meno che non si tratti di noti marchi multinazionali. E anche nel caso di marchi noti, i ruoli possono essere talmente vari da richiedere un approfondimento.

Anche in questo caso, quindi, una dose di attività di analisi rimane fondamentale. Nella negoziazione si aprono numerosi rischi – solo per citarne alcuni – divulgando notizie ad interlocutori non noti, ma anche realizzare gratuitamente lavoro e attività che in altre situazioni andrebbero pagate.

Due riflessioni fondamentali sulla comunicazione.

La prima riguarda come i messaggi che lanciamo o che gli altri lanciano rafforzano o distruggono la sensazione di fiducia. I messaggi e le corrispondenze che noi inviamo o gli altri inviano contengono sempre elementi che possono creare credibilità (segnali di credibilità o credibility cues) così come possibili segnali che mettono in allerta e denotano caduta di credibilità (segnali che producono sfiducia o distrust cues).

La seconda riguarda l’appropriatezza del canale comunicativo. Uno dei suggerimenti più importanti del metodo action line, sul fronte negoziale, è quello di considerare attentamente l’economia della comunicazione, l’appropriatezza dei canali comunicativi rispetto al risultato che vogliamo raggiungere. Si può informare qualcuno con un SMS ma non certo negoziare tramite SMS.

Ogni canale informativo ha un costo comunicativo (alto o basso, in funzione del tempo o risorse necessarie) e una portata informativa (alta o bassa).

La comunicazione interpersonale, faccia a faccia, ha un alto costo relazionale, di tempo, e richiede impegno logistico elevato (bisogna spostarsi, trovarsi fisicamente nello stesso luogo alla stessa ora), ma possiede una enorme portata informativa: possiamo comunicare con tutto il corpo, con il body language, con i canali visivi, non verbali, emotivi, e ogni altro canale umano. Una email, al contrario, è un esempio di canale comunicativo di basso costo (temporale ed economico), ma di ridotta portata informativa reale. È difficile scambiare realmente emozioni o decodificare la controparte, partendo solo da un testo scritto.

Il metodo ALM invita quindi a porsi diverse domande sulla appropriatezza del canale rispetto al task (compito) da svolgere. Le domande chiave:

  • il canale che intendo utilizzare è adeguato al tipo di messaggio?
  • devo inviare solo flussi di informazione o devo anche chiederne?
  • i tipi di dati da trasferire sono solo tecnici (es: informazioni di prodotto, servizi, prezzi) o anche relazionali (comunicare per conoscersi, verifica di affidabilità, incremento della conoscenza reciproca, affiatamento relazionale)?
  • serve un dialogo interattivo o è sufficiente un ping-pong comunicativo?
  • che tempi ho a disposizione?
  • cosa rischio se sbaglio canale informativo?
  • che cosa mi permette di fare il canale che ho scelto?
  • che cosa non mi permette di fare? Quali sono i suoi limiti?

[1] Kamasutra, p. 152, 153. Edizione Mondadori, 1977, Milano.

[2] Shaw, M.L.G, e Gaines, B.R. (1992).”Kelly’s “Geometry of Psychological Space” and its Significance for Cognitive Modeling”. The New Psychologist, Oct. 1992, pp. 23-31.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Il primato della comunicazione face-to-face

Ogni Business ha di fronte a sé due grandi strade:

(1) le comunicazioni pubblicitarie, spesso costose, massificate, dagli enormi budget, figlie di un miraggio fatto di inutili lustrini sfavillanti

(2) la scelta di formarsi– soprattutto nel Business to Business – come professionisti nel mondo delle negoziazioni interpersonali e incontri umani, tra persone vere. 

Per la stragrande maggioranza delle imprese e delle organizzazioni non ha senso investire in pubblicità di massa, a tappeto, occorre imparare a colpire i decisori. Occorre un approccio più mirato.

Un contratto da stipulare per un appalto o una fornitura strategica non verranno mai aggiudicati se non attraverso trattative e incremento della conoscenza personale, fiducia, forti legami personali, percezione di benefici.

Ancora, pensiamo a quanta dose di “vendita” e “sviluppo del rapporto umano” vi sia in un colloquio di lavoro, e nella decisione di fidarsi di un certo professionista in ogni campo (medico o avvocato, dentista, fisioterapista, ingegnere o consulente), e persino in un corteggiamento, e nelle tante forme della seduzione. 

Riflettiamo. È sufficiente affidare la seduzione o la costruzione della fiducia ad uno spot o ad un volantino, cartaceo o digitale che sia? Possiamo pensare che uno spot faccia per noi il “lavoro” del capire l’altro, entrarvi in relazione, e costruire una relazione solida?

La pubblicità non è inutile, è uno strumento che serve in casi molto specifici, ma non va confusa con la comunicazione in senso lato. Sono due gambe con le quali le aziende corrono, con la differenza che la gamba pubblicitaria è spesso bella e massaggiata e la gamba della formazione alla negoziazione e comunicazione umana, è amputata.

Siamo circondati e bombardati da pubblicità, da tecnologie di messaggistica, sino alla nausea, siamo stati riempiti di bugie e promesse vuote, e non ci fidiamo più. E abbiamo ben ragione di essere stanchi.

Per questo, molto peso è tornato al fattore umano e all’incontro umano, al guardarsi negli occhi, al voler capire con chi stiamo trattando, un momento essenziale per i progetti che contano davvero. 

Il business del futuro è il risultato di progetti che le imprese, tramite le persone, conducono assieme ad altre imprese tramite persone umane, in carne ed ossa.

È il ritorno del primato dell’uomo.

È in questo campo che si gioca una partita fondamentale. È questo il terreno dove ancora – e sempre più – conta la sensibilità che solo il fattore umano può portare.

Lavorare in partnership con i clienti è una sfida. Significa costruire dal nulla progetti su misura per il clienteavere la capacità di offrire unicità e consulenza, qualità e soprattutto “valore relazionale aggiunto” che faccia la differenza tra noi e gli altri. 

Il mondo degli incontri umani di business face-to-face è più “vero” di quello pubblicitario, è molto più frequente per le piccole, medie e grandi imprese, è un fatto quotidiano, e per le aziende è essenziale formarsi su questo.

face-to-face

Nelle comunicazioni personali, face to face, tutto conta: gli sguardi, le strette di mano, le trattative che le aziende conducono per concludere progetti, affidandosi a poche, selezionate persone in grado di capire situazioni complicate e condurre operazioni negoziali complesse.

Una mente da analista

La vendita complessa è in larga misura la funzione di molte abilità comportamentali e strategiche micro (come la capacità di condurre una conversazione, o osservare dettagli non verbali) e macro (fare analisi di scenario, planning, realizzare progetti e report).

La mente da analista non si ferma al lavoro a tavolino (deskwork), entra in ogni contatto, in ogni stretta di mano, in ogni riunione, in ogni analisi.

sensitivity

Niente viene trascurato.

Comprende anche abilità macro, quali la capacità di compiere analisi socioeconomiche e di progettare piani complessi, elaborare dati, svolgere un’intera analisi di scenario e impostare una strategia.

Nessuno può pretendere di concludere affari o realizzare progetti complessi senza applicare un atteggiamento di analisi profondo, senza avere e coltivare una “mente da analista”.

Un analista si chiede molto spesso “perché”. Nota segnali e sintomi, sviluppa ipotesi, si documenta, svolge ricerca, vuole capire.

Questo atteggiamento, che ho denominato empatia strategica[1], include diversi livelli di comprensione, di attenzione strategica al sistema/cliente al quale ci stiamo avvicinando o che stiamo gestendo:

  • empatia comportamentale (capire i comportamenti del sistema con cui vogliamo lavorare e interagire), 
  • empatia cognitiva (capire come ragiona l’altro), 
  • empatia emozionale (capire gli stati emotivi dell’altro) e 
  • empatia relazionale (capire la rete di relazioni in cui vive l’altro).

Immaginate il contrario: 

  • non capire i comportamenti altrui o non coglierne il senso, 
  • subire azioni le cui ragioni ci sfuggono, e ancora, 
  • non capire che ruolo gioca la controparte,
  • non capire come ragiona l’altro e dare per scontato che ragioni come noi vorremmo o “come si dovrebbe ragionare secondo la (nostra) logica”.

Immaginiamo anche cosa significhi portare con se il fardello di una insensibilità emotiva, l’incapacità di cogliere sfumature, non capire se una persona con cui trattiamo sia triste o felice. Oppure, essere indifferenti verso le reazioni emotive che l’altra persona ha nei riguardi di una scelta o ad alcuni aspetti del progetto che trattiamo, e cosa in specifico la preoccupa, o cosa la interessa. 

E ancora, i problema delle gaffe culturali che possono offendere un dirigente straniero centrale per il successo della trattativa.

tribe

Altro grande tema: l’insensibilità al quadro “tribale” della decisione, i rapporti di forza in essere, la matrice dei poteri (Power Matrix), il rischio di non capire se stiamo trattando con un vero decisore o con un semplice emissario, un influenzatore, o con un puro “parafulmini”, qualcuno che non ha alcun potere. Perdere tempo non è piacevole per nessuno.

A catena, la mancanza di una mente da analista può portarci a perdere di vista persone e ruoli aziendali che dovremmo coinvolgere in un progetto e magari stiamo trascurando completamente.

E, peggio, non afferrare il sistema nelle sue inter-relazioni, ad esempio non capire che esiste un centro di gravità (persone fisiche, o concetti chiave su cui far leva) in ogni acquisto, in ogni decisione. 

Possiamo avere di fronte a noi “clan aziendali” e altre forme tribali che si oppongono al nostro ingresso in azienda così come la compresenza di possibili “amici”, persone che ne vedono invece dei vantaggi. 

Larga parte delle trattative complesse consiste nel “portare dalla nostra parte” i centri di gravità della decisione, con – ancora una volta – abilità nel condurre incontri personali e sviluppo di rapporti umani. 

In un mondo difficile, solo persone preparate e con una “mente da analista” possono penetrare sistemi ostili, individuare le priorità e la “sequenza di mosse” utili per poter spostare l’ago della bilancia decisionale a nostro favore.

Una mente da analista si chiede “Perché dice questo?”, “Perché lo dice adesso?”, “Cosa c’è dietro a questa domanda?”, “Perché non è qui il dott. X… mentre all’altro incontro era presente?”, “Per quali motivi potrebbero dirci di no?”, “Cosa abbiamo di distintivo da proporre?” E tante altre domande, non stereotipate, mai uguali.

I sistemi di contatti e di relazioni in un progetto complesso richiedono visione d’insieme. 

Avere visione d’insieme è una capacità, cogliere il senso di un macro-progetto, capire quando è il momento di fare un incontro, individuare quali sono le informazioni critiche che ci servono (Info-Gap), e arrivare ad esaminare il micro-dettaglio di ogni negoziazione. 

Le capacità nell’analisi micro sono altrettanto fondamentali: come viene condotta una telefonata, un incontro, una stretta di mano, un’occhiata, un gesto, per poi tornare al macro, e, quando serve, ripensare un’intera strategia.

In altre parole, il successo di un’impresa dipende non solo dalle grandi strategie ma anche dalla capacità di portare a casa risultati in ogni singola vendita, e diventare abili in ogni singola conversazione e contatto che costituiscono la linea di vendita. Buoni numeri arrivano solo da buone azioni.

La linea d’azione della vendita (Action Line), così come la linea d’azione negoziale, richiedono una specifica sensibilità. Sensibilità alla comunicazione “olistica”: ogni azione, comportamento, o non-azione, comunica qualcosa.

Questa sensibilità è da praticare contatto dopo contatto, nelle negoziazioni, negli incontri, nelle telefonate, o nei comportamenti tenuti a tavola.

sensibilità

Riguarda persino il modo di parcheggiare in prossimità dell’impresa cliente, le attenzioni nell’aprire la porta o meno a qualcuno, offrire un caffè o un dono. 

I professionisti della vendita strategica e delle negoziazioni complesse adottano un modo di lavorare che è anche un modo di essere.

Colossi aziendali e piccole imprese, nelle loro negoziazioni Business-to-Business, con i distributori, i fornitori, con le reti di vendita, con i buyer aziendali, hanno continui “momenti della verità”: gli incontri faccia a faccia, le discussioni, le mail, le presentazioni, le risposte a domande. 

Per ciascuno di essi diventa essenziale curare le abilità di relazione, le capacità personali di analisi e di comunicazione in chi si deve interfacciare con i clienti che contano, sviluppare grandi progetti e vendite importanti.


[1] Da: Trevisani, Daniele (2005), Negoziazione Interculturale: Comunicazione oltre le barriere culturali. Milano, Franco Angeli.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Campagne di comunicazione strategica

Una strategia comunicativa è un insieme di azioni organizzate per ottenere un certo effetto, o “end-state” (stato finale, stato di arrivo, destinazione).

Non è un esercizio puramente artistico, non è “arte per l’arte”. E’ “arte e strategia per far succedere qualcosa di importante”.

L’impostazione di una strategia trae gran beneficio dall’assimilare metodi e concetti di “campagna di comunicazione”, piuttosto che da azioni scollegate.

comunicazione strategica

Il termine “campagna” deriva il proprio concetto strategico dalle “campagne militari” volte a conquistare un territorio, un forte, un ponte, ma ripulita da ogni coloritura “bellica”.

Ne adotta invece il rigore metodologico, l’impostazione centrata su obiettivi e la porta piuttosto ad osservare se stessa alla stregua delle “Forze Speciali” di cui un’impresa vuole dotarsi per raggiungere i suoi obiettivi.

La Comunicazione oggi è davvero la “forza speciale” di ogni azienda, e come tale deve essere considerata, nutrita e cresciuta, con l’atteggiamento mentale di chi sa di poter fare grandi cose.

“Nulla può impedire all’uomo con il giusto atteggiamento mentale di raggiungere il proprio obiettivo; nulla sulla terra può aiutare l’uomo con l’atteggiamento mentale sbagliato.”

Thomas Jefferson

La comunicazione strategica ne utilizza le logiche,  spostando il tiro su obiettivi tangibili e intangibili importanti, come lo sviluppo di un marchio, la conquista di notorietà, portare avanti un valore, o concetto, trovare consenso, o sviluppo nelle vendite. 

Lo scopo è ottenere comportamenti sociali da parte di pubblici-obiettivo (i target-audience della campagna). Che si tratti di una campagna contro il fumo o per il rispetto della meritocrazia, o vendere l’immagine dell’Italia nel mondo, o un integratore alimentare, si tratta di mettere in moto azioni che producano effetti reali.

Una campagna, consiste nell’applicazione di un insieme di molteplici azioni comunicative, azioni che non devono “viaggiare” in modo confuso, ma essere convergenti e strutturate verso uno scopo.

Per fare una buona campagna, serve una buona “regia”. Un comando strategico. Una visione di cosa ottenere.

E noi cosa vogliamo ottenere? Senza saper rispondere a questa domanda basilare, non avremo la possibilità di iniziare né di arrivare a niente. 

Per cui, il lavoro di “focusing” – la focalizzazione sul ”cosa”, sul “quando”, sul “dove” e sul “perché” , è estremamente preziosa e farà luce tra veri risultati e falsi risultati.

Ciò che determina il successo di una campagna non è tanto il “volume di fuoco” dei messaggi ma la precisione chirurgica, la perfetta identificazione dei target, e la qualità dei messaggi. E quando parte di questi messaggi arrivano via contatti personali, anche la qualità delle persone fa la differenza.

Nelle campagne, le azioni devono organizzate strategicamente per avvicinarsi a specifici obiettivi.

I principi che devono guidare la strategia comunicativa consistono in:

  • Fissare “End-States”, punti di destinazione strategica (principio di inquadramento di obiettivi chiari o Focusing);
  • Agire tramite “campagne di comunicazione strategica” anziché con miriadi di iniziative scollegate e scoordinate – (principio della Sincronizzazione);
  • Avere un “Comando” della comunicazione strategica, non lasciare la comunicazione ad un ruolo marginale o autoproclamato, o vittima delle questioni tribali organizzative,
  • Costruire una leadership chiara sia dei messaggi, dei temi narrativi sovraordinati, da condividere, e delle operations, fare empowerment di chi dirige la comunicazione strategica 
  • Evitare dissonanze nei messaggi che escono (principio di Riduzione della Dissonanza Comunicativa e dei Rumori Comunicativi).

Il concetto di Energia di Attivazione

Una campagna di marketing o di comunicazione deve possedere energia di attivazione. Quando poi si arriva alla vendita, ne deve possedere ancora di più, e questa energia deve essere ancora maggiormente simile ad un raggio  laser che non ad una luce diffusa.

L’attivazione (o Activation nel gergo del marketing) è la metafora di una scintilla che accende interi processi e li alimenta, sintetizza il concetto-chiave : imparare a sviluppare campagne che “attivano”, che generano risultati, che determinano cambiamenti misurabili anche nel breve termine, e mettono in moto le potenzialità aziendali. 

L’Activation Research, letteralmente “ricerca su cosa attiva le persone” dovrà poi misurare gli esiti, e dirci se una campagna ha funzionato.

Perché una reazione avvenga è necessaria la sinergia di più azioni comunicative opportunamente orientate. Le azioni devono essere dotate di un minimo livello di energia (l’energia di attivazione), senza la quale le azioni aziendali diventano solo energia sprecata.

Il mondo della comunicazione oggi vive in un caos di “entropia”, un capogiro di opzioni tra canali social, pubblicitari, siti web, spot, vendita personale, incontri, presentazioni, meeting, fiere, show, eventi, e qualsiasi altra modalità con cui le aziende cercano di “far uscire” il proprio messaggio e vendere. Chi non afferra le leggi di questo caos, rimane fuori mercato.

far uscire il proprio messaggio

In ogni caos c’è un cosmo, in ogni disordine un ordine segreto.

Carl Gustav Jung

Da questo bombardamento le persone escono frastornate. E per chi comunica, fare tanto rumore per nulla, far esplodere fuochi d’artificio che divertono ma non producono azione o vendita, serve a poco, a pochissimo. 

Molto meglio un incontro face-to-face nel quale porti a casa un ordine, che una valanga di messaggi a caso. E nel modello delle campagne, ancora meglio quando i media si “intrecciano” strategicamente, creando un campo di convergenze dove le energie di un canale valorizzano quelle degli altri, in un “coro comunicativo” veramente ben orchestrato.

E’ una questione di leadership. Anche nel gestire campagne di comunicazione. 

Ogni comandante deve sviluppare una strategia comunicativa coordinata e sincronizzata ed essere guida per il supporto e l’esecuzione di uno sforzo coeso.”[1]

Nel mondo aziendale, per uscire dall’indifferenza e dal caos comunicativo occorre sviluppare azioni e messaggi in grado di superare barriera di indifferenza e il “rumore di fondo” e determinare effetti su target localizzati. 

La potenzialità del metodo genera ricadute sia nell’immediato, e anche sulla cultura e il “modo di fare” azione commerciale, nel medio e lungo periodo, e in tutta l’azienda. 

Il metodo instilla un “pensiero strategico” nel quale prima di tutto ci si focalizza sullo stato finale da raggiungere (End-State, in termini militari) e poi sui media e canali da attivare, facendo sinergia tra metodi di vendita face-to-face, canali pubblicitari, strategie di social media, fiere, congressi, eventi. 

Ma al di la del canale, il fondamento è fare chiarezza sui messaggi, sui destinatari, sugli influenzatori, sui prodotti, sulle persone e sul chi deve fare cosa, nelle responsabilità individuali e in team.

La perfezione della tecnologia e la confusione degli obiettivi sembrano caratterizzare la nostra epoca.

Albert Einstein

È fondamentale pensare a quali veri obiettivi attivare in una “campagna” che assimila molti concetti dai metodi delle “campagne militari”, e da questi deriva una sua impostazione strategica. 

Per fare una metafora, troppo spesso le aziende si impegnano in una “guerra di logoramento” in cui ogni giorno drenano energie senza vederne il ritorno, anziché focalizzarle in azioni mirate e d’impatto.

Azioni comunicative come forma di Engagement 

Il concetto di “engagement” o “ingaggio” ha una connotazione di natura militare, es, si parla di Key Leader Engagementper definire la capacità di incontrare con interlocutori umani importanti, in un certo contesto locale in cui agiscono eserciti, o in fase pre e post-conflict.

Nel campo aziendale, la similitudine è forte: saper “ingaggiare” significa saper costruire una serie di contatti dalla quale emergano progressivamente nuovi clienti. In questo senso, i canali “social” hanno discrete potenzialità di “ingaggio debole” (far conoscere un marchio o iniziativa, ad esempio), o virali, mentre gli incontri faccia a faccia sono forme di ingaggio “forte”, sono in grado di negoziare e condurre trattative, possono e devono essere la priorità per siglare contratti nel business-to-business.

Bisogna trovare le parole giuste che aprono l’attenzione del nostro target, bisogna apprendere a comunicare anche e soprattutto con chi non usa il nostro stesso linguaggio.

Io, che l’ho visto più volte in questi anni, non sono mai riuscita a stabilire con lui un contatto che assomigliasse a un contatto umano, a farlo mai indulgere a un attimo di cordialità, di curiosità, di calore, ammenochè non pronunciassi le parole Mercury, Gemini, Apollo, LM.

Oriana Fallaci, da “Quel giorno sulla luna”

Gli esseri umani possono essere “media speciali” e la sinergia tra azioni “fredde” o mediatiche o via internet, e azioni face-to-face, è di forte impatto.

Per forniture di grande peso economico, le azioni che portano alla conoscenza del marchio (brand development) e usano i media e i social, devono essere “chiuse” (concluse) da esseri umani.

social media

La dove invece l’obiettivo di campagna sia soprattutto divulgare informazione, i media hanno maggiore efficienza.

Il termine “campagna” essendo di derivazione militare e utilizza una concezione tipicamente militare dell’azione sul campo, fatta di analisi tattica, leadership operativa e valutazione dei possibili blocchi interni ed esterni che impediscono la “conquista” di un risultato, e una concezione dei tempi dotata di scadenza.

La sequenzialità si riferisce alla necessità e possibilità di utilizzare una serie di operazioni (sequenza) per ottenere un particolare risultato. 

Come per altre operazioni manageriali, le campagne si basano sul principio di Backward-planning (pianificazione a ritroso): Fissare un obiettivo e da questo dedurre tutte le singole tattiche finalizzate a quell’obiettivo, fissare una scadenza finale, le fasi precedenti e le scadenze intermedie.

La letteratura presenta una distinzione tra campagna di comunicazione e programma di comunicazione. In particolare, la campagna è considerata come una serie di eventi che hanno una durata temporale definita, mentre il programma non ha una durata o limite preciso.

Una campagna pianificata per la durata di un mese, sei mesi, un anno o più (ma comunque di durata definita e controllabile), si presta alla misurazione degli effetti, genera una maggiore precisione sia nella pianificazione che nella fase di esecuzione, mentre programmazione continua non ha un chiaro inizio o fine, e l’impegno spesso degenera e si deteriora.

Piani di attività che non hanno scadenze tendono ad essere rimandati di continuo nella scala delle priorità.

La durata di 60 giorni, in genere, qualifica un tempo medio sufficientemente corto per poter focalizzare la mente e le menti di chi vi opera.

Le macro-fasi della campagna di comunicazione 

Nelle campagne di pubbliche relazioni l’attuazione di una “generica” campagna richiede attenzione a quattro fasi sequenziali:

  • Ricerca
  • Adattamento
  • Implementazione
  • Valutazione.

Ciascuna fase è caratterizzata da operazioni che elenchiamo di seguito in forma riassuntiva.

Ricerca

La ricerca precede la campagna e riguarda l’acquisizione di informazioni sui problemi da risolvere (atteggiamenti, comportamenti, background, condizioni), sulla loro natura ed entità. Gli obiettivi e processi sottostanti sono:

  • Analizzare la natura del problema o problemi, studiare il background.
  • Analizzare i sintomi e ipotizzare cause (formulazione di ipotesi).
  • Raccogliere dati per verificare le ipotesi, utilizzando metodologie valide e affidabili sia nella raccolta che nella misurazione.
  • Interpretare i dati.
  • Identificare i problemi in forma di dichiarazione scritta del problema (problem setting).

Adattamento

L’adattamento implica la capacità di far combaciare i goals e obiettivi comunicativi con la situazione rilevata nella ricerca. 

Per produrre un adattamento adeguato è necessario suddividere il problema o i problemi in obiettivi specifici e misurabili, chiarificando i vincoli e confini della campagna. I processi sottostanti sono:

  • Suddividere i problemi in dichiarazioni di goals misurabili.
  • Segmentare i pubblici e dare ordini di priorità.
  • Creare una lista di possibili soluzioni per la soluzione dei problemi (problem solving).
  • Elencare risorse umane finanziarie
  • Evidenziare le limitazioni e fissare i confini: evidenziare i limiti comunicazionali della campagna (temporali, numero di soggetti raggiungibili, luoghi, spazi), considerando le risorse disponibili e i dati della fase di ricerca.

Implementazione

L’implementazione riguarda la scelta delle strategie e la loro realizzazione pratica. Per procedere all’implementazione occorre attivare i seguenti processi:

  • Selezione le strategie di problem solving dotate di elevata probabilità di successo e maggiore fattibilità.
  • Individuare il piano di comunicazione (fonti, messaggi, canali, media-mix o Communication mix, destinatari e pubblici obiettivo).
  • Assegnare un budget per ogni azione o evento.
  • Pianificare nel tempo l’intera strategia e piano di comunicazione (scadenzario, pianificazione Gantt).

Valutazione

La valutazione riguarda l’analisi relativa al livello di conseguimento degli obiettivi, e altri effetti causati dalla campagna. I processi coinvolti:

  • Misurare il livello di ottenimento dei goals.
  • Misurare i miglioramenti verificati.
  • Valutare l’efficienza economica della campagna (analisi costi-benefici).
  • Valutare la presenza di effetti inaspettati della campagna (positivi e/o negativi).
  • Valutare gli effetti sull’organizzazione stessa, prodotti dalla campagna (team building, coesione, migliore organizzazione, maggiore managerialità).
  • Concentrarsi sia sugli effetti immediati che sugli effetti che la campagna può lasciare nel medio e lungo periodo come eredità comunicativa.

[1] Major General Stephen Layfield Introduction to US Joint Forces Command (2010). In: “Commander’s Handbook for Strategic Communication and Communication Strategies”. Published by U.S. Joint Forces Command, Joint Warfighting Center, Suffolk, Virginia.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Empathy word cloud on a white background.

  • Anteprima editoriale esclusiva per i lettori del blog, realizzata dall’autore del libro, articolo condivisibile, si prega di citare sempre la fonte. Per ricevere altri articoli appena escono, iscriversi al blog https://studiotrevisani.it sulla destra in alto, inserire la mail e fare clic su “segui il blog”.
  • © Daniele Trevisani, Volume “L’ascolto Attivo: Metodi e Strumenti per l’ascolto attivo ed empatico”. Anteprima editoriale, Franco Angeli editore Milano, 2019.

Empatia: Alcune evidenze dalla ricerca

Regala la tua assenza a chi non da valore alla tua presenza.
(Oscar Wilde)

L’empatia è un valore e genera valore. Per questo è bene osservare cosa dicono alcune indicazioni in merito, dal mondo della ricerca.

L’empatia, il fatto di praticarla bene, richiede una mente che funzioni bene[1]. Questo significa per noi, che il comunicatore empatico deve prendere cura di se stesso, della sua salute, dello stato della sua mente, esempio essere riposato, non abusare di sostanze, nutrirsi e fare attività fisica, insomma, siamo di fronte a degli atleti della comunicazione e a degli atleti della mente.

Certo, si potrà obiettare che alcuni psicoterapeuti riescono ad essere estremamente abili nell’ascolto attivo ed empatici anche a 80 anni, ma non dimentichiamo quanta esperienza li stia sorreggendo, e facciamo i nostri compiti con diligenza.

Prendersi cura di sè aiuta l’empatia. Avere energie personali, fisiche, corporee, mentali, motivazionali, aiuta l’empatia. Se non hai energie, non ascolterai mai nessuno davvero in profondità.

Altra evidenza: quando il tema dell’ascolto attivo ed empatico è una sofferenza (distress)[2], avere alle spalle una scuola metodologica, ad esempio la psicologia umanistica, o altre, è un fattore di aiuto, perchè non si è più soli nell’ascoltare, si è soli solo fisicamente, ma la presenza della “scuola” aiuta a procedere comunque bene.

Per quanta buona volontà tu abbia, avere alle spalle una scuola che dà struttura, aiuta.

La “scuola” può essere anche un’associazione, circolo o gruppo di persone nelle quali si discute del metodo e del lavoro, e questa discussione è di enorme arricchimento professionale. Che si tratti di un circolo di leader, di un circolo di Counselor, di una scuola formativa, i momenti di “sbobinatura e riallineamento” come quelli di supervisione sono fondamentali, anche nel contesto non clinico.

Anzi, si pensi a quanto in azienda possa essere migliorativo fare colloqui con i collaboratori da parte di un leader, sapendo di avere un Mentor e poterli poi discutere con un supervisore, piuttosto che lasciarli nel nulla.

In ultimo, una riflessione importante. L’empatia è un concetto che viene interpretato, in letteratura, in molti modi a volte anche non compatibili tra di loro[3].

La distinzione sostanziale è tra due estremi, un tipo di empatia che sia soprattutto emozionale, cioè basata sul sentire e riflettere i sentimenti di chi parla, e un tipo di empatia cognitiva, basata sul riflettere i ragionamenti di chi parla.

La nostra visione è che l’empatia sia una forma concreta di colloquio attivo in grado di generare presenza reciproca, un colloquio nel quale si vuole ottenere l’End State (punto di arrivo) di comprendere una persona nel pieno delle sue sfumature fisico-corporee, intellettuali ed emozionali.

Significa anche poter capire una situazione o brano di vita secondo il punto di vista di chi lo vive, e questo richiede fare luce su componenti emozionali (capire le emozioni e le loro sfumature), e ragionamenti (capire i valori, le convinzioni, le azioni, i pensieri strutturati).

Solo l’unione tra le due componenti può portare a vera empatia, almeno per quanto riguarda l’ascolto empatico.

Diverso discorso si può fare per un “modo di essere” empatico, che significa vivere costantemente con l’attenzione e la sensibilità alle emozioni altrui, ma questo fuoriesce dal tema della tecnica di ascolto attivo ed empatico, non è certamente da condannare, ma nemmeno da forzare.

Credo sia giusto lasciare al libero arbitrio di ciascuno, come condurre la propria vita. Di certo, però, quando entriamo in una sessione di ascolto attivo o empatico, saper attingere a questa sensibilità, serve.

[1] Neumann D1, Zupan B. Empathic Responses to Affective Film Clips Following Brain Injury and the Association with Emotion Recognition Accuracy. In:  Arch Phys Med Rehabil. 2018 Aug 21. pii: S0003-9993(18)30938-9. doi: 10.1016/j.apmr.2018.07.431.

[2] Guan K, Kim RE, Rodas NV, Brown TE, Gamarra JM, Krull JL, Chorpita BF,. Emergent Life Events: An In-Depth Investigation of Characteristics and Provider Responses during Youth Evidence-Based Treatment. In: J Clin Child Adolesc Psychol. 2018 Aug 24:1-16. doi: 10.1080/15374416.2018.1496441.

[3] Dohrenwend AM. Defining Empathy to Better Teach, Measure, and Understand its Impact. In: Acad Med. 2018 Aug 21. doi: 10.1097/ACM.0000000000002427.

 

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