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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Negoziazione interculturale. Comunicare oltre le barriere culturali. Dalle relazioni interne sino alle trattative internazionali”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

Le barriere linguistiche e culturali

Una delle prime scoperte di chi si avventura al di fuori dei propri contesti culturali, è che le regole comportamentali funzionanti nella propria cultura si dimostrano fragili e poco produttive quando trasposte in un contesto estraneo. 

Vediamo alcuni esempi brevi:

  • Nella tua casa: da un pò vorresti trattare con un tuo familiare un argomento, ma ogni volta che ci provi la persona sfugge. Cosa sta accadendo?
  • Nella tua nazione: un cliente vorrebbe acquistare (un progetto, un prodotto) ma tu sai che l’acquisto è sottodimensionato, il problema che egli vorrebbe risolvere è grande e il budget non è sufficiente per dargli un risultato vero, come riesci a farlo capire?
  • Pechino. Ore 9,30, Hotel Sheraton. La delegazione dell’impresa cliente non è ancora arrivata, l’appuntamento era alle 9,15. Possiamo interpretarlo come una mossa tattica, o un reale ritardo? Volevano ritardare, o è successo qualcosa?
  • Mosca. Proponiamo alla controparte l’esclusiva del nostro prodotto sul territorio Sovietico, il benefit aggiuntivo della formazione del personale di tutta la loro rete vendita, ma la controparte si offende e chiude le trattative. Cosa è successo?
  • Buenos Aires. Le trattative per accedere agli appalti del ministero dell’industria sono interminabili, incomprensibili, oscure. Come comportarci?
  • Gerusalemme. Rappresentanti dei culti ebraico, cattolico e musulmano, ministri e rappresentanti politici si incontrano per negoziare una pace possibile, siete chiamati a condurre il dibattito, come evitare un conflitto?
  • Budapest. La direzione di stabilimento non riesce ad abbattere i difetti di produzione, ogni tentativo di intervenire in profondità è vano. Cosa fare?

In ogni situazione esemplificativa esposta, siamo di fronte alla problematica della negoziazione interculturale.

La capacità negoziale interculturale è nelle mani di chi è più abile nel gestire la comunicazione sul campo, applicando la consapevolezza culturale (power of awareness) in ogni singolo contatto. 

Ma vediamo qualche altra situazione.

  • Bologna, inizi del terzo millennio: un bambino di nove anni non vuole più andare alla scuola di calcio che frequenta già da due anni, preferisce giocare con i propri amici nel campetto, e di scuola di calcio e campionato non vuole più sentire parlare. Perché?
  • Monaco di Baviera: un marito trentenne, libero professionista, litiga con la moglie (stessa età) perché lui vuole fare i figli solo quando avranno una solida base economica, mentre la moglie vuole farli presto. Cosa succede?
  • Casa tua: ti svegli alla mattina e sai di aver fatto un sogno che ti ha colpito ma non riesci a ricordare i particolari. Cosa è successo?
  • Nel tuo ufficio o azienda: con un collega non riesci a capirti da tempo, sembrate parlare due lingue diverse, più ti sforzi e più non vi capite, cominci ad essere veramente stanco della situazione. Cosa sta succedendo in realtà?

In tutti questi casi entra – a vari stadi – la dimensione interculturale. 

Un denominatore comune accomuna tutti questi casi: le barriere linguistiche non sono nulla rispetto alla diversa visione del mondo che le persone portano con se, e alle diversità che esiste tra sè e gli altri, nonostante le apparenze.

Non vogliamo svelare o proporre soluzioni facili o immediate per tutti questi diversi casi (al massimo, possiamo proporre ipotesi), ma vogliamo dare solo un indizio sul caso che sicuramente risulta più strano e difficile da inquadrare come comunicazione interculturale: il ricordo di un sogno. Ebbene, come evidenziano diverse ricerche nel campo, anche il dialogo interno alla stessa persona (dialogo interiore) assume tratti del dialogo interculturale. 

Quando diversi stati di coscienza hanno difficoltà a dialogare tra loro, es: lo stato razionale della veglia contro lo stato inconscio e subconscio del sonno, si produce incomunicabilità interna. Questi stati sono dominati da logiche estremamente diverse, e riescono a trovare momenti di comunanza solo in rare occasioni (come negli stati di confine, di dormiveglia, i momenti nei quali nessuno dei due riesce a dominare l’altro).

Persino a livello interiore, quindi, troviamo sintomi di una condizione di dialogo interculturale.

Le barriere alla comunicabilità e i campi semantici

Abbiamo iniziato ad accennare, nel paragrafo precedente, al problema della diversa concezione del mondo prodotta dalla diversità culturale. 

Ma i problemi non si fermano qui. Nella comunicazione interculturale troviamo infatti una ulteriore barriera, in genere molto più evidente: una lingua diversa, un linguaggio diverso, un codice di comunicazione non comune, dei sottocodici (dialetti, linguaggi professionali) sconosciuti. 

È sufficiente sentir parlare tra di loro due astronomi o due fisici, mentre trattano un loro problema lavorativo, per sentirsi dopo pochi secondi completamente estranei, non riuscire a connettersi mentalmente con quanto essi stiano dicendo.

Anche in questo caso dobbiamo considerare un fenomeno importante: la diversità linguistica può essere evidente (macrodiversità: es., Cinese vs. Arabo), ma anche molto subdola e difficile da riconoscere, creando situazioni di microdiversità linguistica.

Esistono diversi linguaggi professionali all’interno della stessa lingua, e significati diversi applicati alle stesse parole.

Il problema della comunicazione non si limita alla traduzione tra lingue diverse, ma tocca anche il flusso di parole che intercorrono tra padre e figlio, cresciuti in due generazioni diverse, con modelli e linguaggi diversi, o tra dirigenti di diversi settori, i cui problemi e linguaggi divengono mondi separati.

Tradurre significa trasportare significati all’interno di altre lingue, ma anche, e soprattutto, consentire l’accesso ad un sistema di pensiero diverso.

Vediamo il seguente caso:

  • per gli Americani USA, “tomorrow” (domani, in italiano) significa dalla mezzanotte alla mezzanotte;
  • in Messico, “mañana” (sempre “domani” in italiano) significa “nel futuro”, ha senso posticipatorio generale, e non racchiude assolutamente un preciso arco di tempo.

Le due diverse concezioni non sono puramente linguistiche, ma si riferiscono ad una diversa percezione del tempo.

Quando due generazioni o due religioni dialogano tra di loro, il problema dell’interpretariato culturale si pone seriamente. Questo problema emerge anche nel dialogo tra due aziende, indipendentemente dalla lingua utilizzata.

La traduzione è in realtà un fenomeno molto più complesso. Ogni parola, ogni verbo, ha “campi semantici” (campi di significato) specifici e non traducibili esattamente nella lingua altrui. In alcuni casi, non esistono possibilità di traduzione – in molti casi, le parole e verbi non hanno alcuna corrispondenza esatta nelle culture e lingue altrui. 

Vediamo un esempio. Una società italiana si appresta ad avviare una attività produttiva in Cina. È alla ricerca di consulenze in loco per formare i quadri sui temi della leadership orientata alla qualità, l’impegno sui valori aziendali (commitment), la buona comunicazione interna. È alla ricerca quindi di formatori in comunicazione. Ma come farà a descrivere il proprio bisogno, quando la categoria “formatori in comunicazione” non è linguisticamente consolidata nella lingua cinese? E siamo sicuri che – qualora esista un termine similare – l’immagine mentale che in Italia corrisponde al “formatore” sia la stessa nella mente del ricevente cinese? Pensare che le immagini mentali tra due soggetti possano combaciare perfettamente è una pura illusione.

Esistono problemi interculturali anche quando si parla di comunicazione tra sessi. Se solo riflettiamo su quanta diversità esista tra un uomo e una donna latini sul concetto di “avere una relazione”, o “fare l’amore”, e altri concetti simili, possiamo capire che la dimensione interculturale sia presente in ogni istante quotidiano.

Ma torniamo alla nostra dimensione italo-cinese. Di quale forma di comunicazione stiamo parlando? In Cinese esistono almeno due termini (ideogrammi) per descrivere la “comunicazione”, ed almeno tre parole che possono vagamente avvicinarsi al senso del termine “formatore”. Siamo certi di poter tradurre correttamente o che il traduttore lo faccia?

Anche lingue molto simili (italiano e spagnolo) possono dare origine a problemi di traduzione, a volte proprio per la similarità del sound o della parola. 

La parola “imbarazzata” in italiano ha un significato (all’incirca, essere a disagio), mentre in spagnolo la parola “embarazada” significa essere incinta. La stessa similarità nella radice della parola genera problemi nel parlante americano che si rapporta ad un parlante spagnolo dicendo “I am embarrassed” (sono imbarazzato), che può essere decodificato come “sono incinto”.

Il problema interculturale non parte solo dalla distanza chilometrica, ma può prodursi nel raggio di pochi metri. 

Ogni dialetto è pieno di parole che non possono essere tradotte nella lingua ufficiale.

Le distanze psicologiche e comunicative

Sentire la “distanza” tra persone è un fatto comune, quotidiano. Sentirsi lontani anche quando si è vicini fisicamente, cercare un contatto e non trovarlo, non capire le mosse di avvicinamento altrui, i desideri di un rapporto più profondo, o i segnali che gli altri ci lanciano. È un aspetto comune della vita.

Possiamo però, ed è questo il gioco interessante – cercare di ridurre queste distanze, se e quando lo desideriamo interiormente – nel caso delle amicizie e rapporti intimi. 

In questi casi, o quando sia importante in termini di business, è possibile mettere in atto dei dispositivi che ci permettano di cercare l’avvicinamento, ridurre la distanza e allontanare l’incomprensione.

Tra i principali errori della comunicazione vi è quello di illudersi che le persone siano tutto sommato simili in termini di opinioni, linguaggi, atteggiamenti, valori di fondo, visioni del mondo

Questa presunzione porta a considerare la trasmissione di un’idea o concetto che noi consideriamo ovvio e semplice, un fatto quasi “automatico”, mentre nella realtà le cose non stanno così.

Una ulteriore illusione è che la comunicazione interculturale richieda poco sforzo o impegno. Alcuni pensano di risolvere i rapporti con mogli, mariti figli, colleghi, parlando ad un cellulare per pochi minuti. Fossero anche ore, la qualità comunicativa rimarrà comunque inadatta al problema.

La vera negoziazione interculturale richiede tempo, impegno, dedizione, contatti interpersonali e ampio “lavoro di rapporto” che non si conclude con un email o una telefonata.

Se vogliamo essere efficaci sul piano interculturale dobbiamo utilizzare i tempi adeguati e i mezzi di contatto adeguati.

I critical incidents (casi critici, positivi o negativi) sono di estremo aiuto per scoprire alcuni meccanismi di relazione che non funzionano, comportamenti e atteggiamenti che creano difficoltà nei rapporti e nelle negoziazioni, dove non sia stato dedicato il tempo sufficiente a lavorare sul rapporto, a chiarire le diversità, o non siano stati utilizzati i mezzi di contatto più efficaci, da parte nostra o dagli altri.


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Le parole chiave di questo articolo Le barriere comunicative e le distanze psicologiche sono :

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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

Il vantaggio competitivo

I concetti cardine della competitività sviluppati nel metodo ALM, acronimo di Action Line Management, sono basati su un presupposto fondamentale: non esiste competitività esterna senza creazione del vantaggio competitivo interno.

In altre parole:

  1. non esistono scorciatoie ed alternative ad un serio lavoro di costruzione di skills manageriali evolute, e
  2. i risultati esterni sono sempre preceduti da risultati interni (organizzativi, nel campo aziendale, e formativi/attitudinali, nel campo del personale).

La sequenza manageriale ALM

Uno schema a 5 stadi caratterizza il metodo ALM.

  1. Scenari
  2. Mission
  3. Mktg mix
  4. Action Line
  5. Front Line

Ciascuna fase, nel metodo ALM, è propedeutica ed interconnessa alla successiva. Ad esempio “gestire un obiezione” è sicuramente una problematica front-line frequente nelle imprese. Sia nel business-to-business (nei colloqui e trattative di vendita), che nel business-to-consumer, ogni azienda impegna forze ed energie notevoli per vendere, proporre, illustrare, pubblicizzare, i propri prodotti e servizi. Una attività spesso irta di ostacoli. 

Quale venditore non ha mai ricevuto un’obiezione? Quale consumatore non ha mai avuto un dubbio prima di acquistare? Questa fase, strategica per ogni azienda, è riconducibile alla vasta gamma delle problematiche di comunicazione Front-Line (fase 5)

Tuttavia, dobbiamo chiederci: può esistere una regola assoluta, per gestire un’obiezione, che prescinda da chi abbiamo di fronte? Che possa essere astratta dalla valenza strategica del soggetto che pone l’obiezione? Chi mi pone quell’obiezione? Il mio cliente più importante o un cliente inutile e anzi dannoso? Che centralità ha quel cliente per il piano di sviluppo aziendale? Che contributo reale fornisce quel cliente al mio parco clienti?

Queste valutazioni fanno immediatamente emergere un punto: la necessità di impostare a priori un “progetto-cliente”, una linea di azione, appunto, che ne definisca il peso, la priorità, e imposti le regole di comportamento specifiche verso quel tipo di cliente. Senza di essa, le risposte del front-line saranno vuote, stereotipate, decontestualizzate e prive di personalizzazione. Inoltre, dovranno essere create di volta in volta ex novo. Non esisterà un repertorio comunicazionale cui attingere, e questo riduce la prontezza di riflessi del comunicatore. In altre parole, il successo della fase 5 – comunicazione frontale – dipende dalla corretta impostazione della fase 4 – la linea di azione cliente – , il suo inquadramento strategico. 

Nella definizione della modalità di comunicazione aziendale front-line, è necessario sviluppare modelli condivisi di Action-Lines ( fase 4 ) : regole di base cui attenersi, griglie di analisi ed inquadramento delle problematiche che si possono verificare nei rapporti con il cliente. Le persone addette alla vendita e al front-line devono sapere se e quanto possono deviare da queste regole, perché e con chi. Sanno come massimizzare la propria creatività comunicativa perché dispongono di un alveo di regole comunicazionali che li guida. 

Il sistema di regole comportamentali richiede l’acquisizione nelle risorse umane front-line di un insieme di competenze comunicative di base (core competences: competenze centrali e condivise) unite alla capacità di adattare tali competenze alla singola occorrenza comunicazionale (Situational Communication Developmento gestione strategica della comunicazione istantanea).

Procedendo a ritroso, notiamo che per definire una linea di azione sul singolo cliente o sulla singola “occorrenza comunicazionale”[1] è necessario avere impostato a priori il marketing mix per il segmento di appartenenza del cliente. In altre parole, devono essere state impostate le strategie di prodotto, di prezzo, di distribuzione e di comunicazione per quel target specifico di clienti, Marketing Mix ( fase 3 ), in seguito ad una attività di segmentazione.

Il mix, a sua volta, si ispira, quale strumento operativo, alla Mission aziendale ( fase 2 ). Il Mktg Mix infatti traduce la mission in obiettivi pluriennali e annuali. 

Procedendo in questo percorso a ritroso, notiamo che gli obiettivi possono essere determinati efficacemente solo se analizziamo attentamente gli scenari economici, competitivi, di mercato, tecnologici, ecologici, sociali e culturali, Analisi di scenario ( fase 1 ).

Fattori esterni di efficacia della comunicazione front-line

  • Qualità dell’Analisi di Scenario – L’analisi ha identificato i punti di forza e di debolezza della concorrenza, i trend tecnologici, culturali, sociali che agiscono sul mercato
  • Qualità della Mission e organizzativa – L’azienda produce obiettivi chiari per tutti, le gerarchie e responsabilità sono chiare, esiste competenza e motivazione nelle risorse umane
  • Sviluppo del Marketing Mix – L’azienda ha strutturato per ciascun target prioritario un mix adeguato di prodotto/servizio (catalogo), una politica di pricing, una strategia distributiva, una adeguata copertura pubblicitaria e di image building
  • Sviluppo delle Action-Lines – Le forze di vendita dispongono di un repertorio comunicazionale per l’approccio al cliente e di griglie di  inquadramento delle diverse situazioni che possono incontrare. L’azienda produce training adeguato e dedica tempo alla formazione

Il metodo ALM consente di attuare una pianificazione a ritroso (Backward Planning), in grado di fornire i migliori risultati reali (approccio radicale) e non unicamente esiti passeggeri o sintomatici (approccio superficiale).

Usando una metafora “biologica”, non è possibile parlare senza pensare, ma pensare richiede energie, quindi bisogna nutrirsi. Per nutrirsi occorre sapersi procurare il cibo, e questo significa imparare a cacciare, e via così. Questo percorso a ritroso di pianificazione dell’azione (Backward Planning) rappresenta il cardine filosofico del metodo ALM: occorrono radici organizzative e manageriali solide per sviluppare azioni frontali efficaci.

Secondo lo stesso principio, capire la natura delle pulsioni d’acquisto è indispensabile per praticare marketing, comunicazione ed educazione al consumo.

Così come per fornire prestazioni eccellenti nel front-line occorre formazione e pianificazione, per progettare prodotti di valore e strategie comunicative di successo occorre comprendere le radici delle pulsioni d’acquisto.

Occorre capire perché la gente acquista, quali sono i moventi consci ed inconsci di acquisto.

I flussi di valore e il marketing relazionale

L’analisi dei flussi di valore, stimola l’entrata in scena in campo aziendale di concezioni di sviluppo d’impresa basate sul networking, cioè sulla capacità di creare relazioni di valore.

Il modello ALM distingue tra flussi materiali e immateriali.

L’analisi mette in primo piano la necessità di massimizzare le componenti intangibili dell’offerta aziendale ( sicurezza, garanzie, immagine, affidabilità, comunicazione, commitment, networking) in grado di “fare la differenza” su un mercato sempre più affollato, ed uscire dalla pura concorrenza di prezzo.

Il modello di analisi dei flussi di valore identifica delle aree di azione strategica per l’intervento sulla competitività, che danno luogo a specifici principi di sviluppo competitivo.

Principio – Competitività nell’acquisto e rapporti con i fornitori

Lo sviluppo competitivo dipende dalla gestione dei flussi di valore azienda-fornitore:

  • Saper gestire i flussi materiali in ingresso dal fornitore (qualità e prestazioni di merci e servizi acquistate) = competenze nelle tecniche di acquisto;
  • Saper gestire ed incrementare i flussi immateriali dai fornitori (scelta dei marchi e utilizzo dell’ “aura” o prestigio del fornitore per incrementare il nostro valore, continuatività, ingresso di know-how, ecc..) = scelta di “partner di fornitura”, capacità di stabilire accordi chiari e di mutua soddisfazione con il fornitore;
  • Saper gestire correttamente i flussi materiali dall’azienda al fornitore =   pagare equamente i fornitori, con flussi corrispondenti al valore, rispetto dei tempi e degli impegni di pagamento presi con il fornitore;
  • Saper creare flussi immateriali per il fornitore, al fine di conseguire riduzioni di prezzo o altre forme di scambio/baratto = pianificare gli acquisti che possono essere pianificati, mettere in atto altre forme di comportamento di acquisto in grado di erogare valore al fornitore, sviluppare correttezza nei rapporti umani, know-how in uscita, garanzie di continuità nell’acquisto, ecc..;

Le ulteriori quattro leve competitive identificate nel metodo ALM sono basate sulla gestione del rapporto con il cliente.

Principio – Fattori di competitività nel rapporto con il cliente

Lo sviluppo competitivo dipende dalla gestione dei flussi di valore azienda-cliente:

  • Saper incrementare i flussi materiali in ingresso dal cliente = saper gestire i pagamenti del cliente, i loro ammontari, tempi e modi, garantendo forme di corresponsione adeguate e non inferiori al dovuto; non accettare compensi inferiori, rispetto a quanto serve per realizzare un lavoro di qualità. 
  • Sviluppare la capacità di ottenere flussi immateriali dai clienti = creazione di immagine utilizzando il prestigio del marchio per cui si lavora, ottenere pianificazioni di acquisto e acquisti ripetuti, opposti a vendite sporadiche (fidelizzazione del cliente); saper scegliere clienti che assicurino pagamenti corretti e puntuali e con i quali si possa sviluppare un rapporto di soddisfazione. Il costo della gestione di un cliente relazionalmente difficile supera molto presto il ricavo ottenibile, sottraendo tempo ed energie mentali preziose utilizzabili su altri progetti;
  • Saper creare valore nei flussi materiali in uscita verso i clienti  = progettare e vendere prodotti intrinsecamente utili per il target, dotati di efficacia risolutiva o preventiva reale sui bisogni, sviluppare customer satisfaction di prodotto e qualità tecnica;
  • Saper creare valore nei flussi immateriali offerti al cliente = sviluppare qualità relazionale e creare un’immagine di affidabilità: il cliente deve potersi fidare della parola dell’azienda, non in quanto atto dovuto, bensì sulla base delle dimostrazioni di serietà da essa fornite (relationship record o storia del rapporto dal punto di vista delle dimostrazioni di affidabilità date in passato); saper corredare il prodotto/servizio di informazioni e comunicazioni di qualità, saper assicurare continuatività nella fornitura, reperibilità, rintracciabilità dei prodotti, delle persone e delle responsabilità, creare prospettive di ingresso in network virtuosi, erogare know-how al cliente (dal punto di vista tecnico, culturale, manageriale).

Note:


[1] Singolo evento o mossa relazionale dell’interlocutore.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

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Le parole chiave di questo articolo Il metodo ALM sono :

  1. Action line
  2. Action Line Management
  3. Backward planning
  4. Competenze centrali e condivise
  5. Competenze communicative di base
  6. Competitività esterna
  7. Core competences
  8. Flussi di valore
  9. Front line
  10. Gestione strategica della comunicazione istantenea
  11. Marketing mix
  12. Marketing relazionale
  13. Metodo ALM
  14. Mission
  15. Regole comportamentali
  16. Relazioni di valore
  17. Repertorio comunicazionale
  18. Scenari
  19. Singola occorrenza comunicazionale
  20. Situational communication development
  21. Vantaggio competitivo interno
  22. Metodi di Marketing
  23. Metodi Marketing
  24. Metodologie di marketing
  25. Metodologie Marketing
  26. Modelli marketing
  27. Modelli di marketing

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

L’evoluzione della customer satisfaction

L’analisi delle strategie di customer satisfaction può essere migliorata attraverso una ulteriore evoluzione:

  1. la modifica nella addizione delle componenti relazionali al “fattore prodotto” (servizio, post-vendita) e
  2. la inclusione nella customer satisfaction management dell’intero sistema del marketing mix, tramite i concetti di price satisfaction, distribution satisfaction e communication satisfaction.

Si tratta di un allargamento del campo che permette di definire come le strategie di impresa possano giungere alla creazione della overall mix satisfaction, uno stadio ottimale di soddisfazione del consumatore che si espande a tutte le componenti del mix.

Per ciascuna leva andrà analizzato :

  1. il grado di attese esplicite,
  2. la percezione delle prestazioni, e
  3. cosa, per quella specifica caratteristica, può essere considerato l’ideale (inclusione della componente “ideali”). 

Principio – Assioma della customer satisfaction totale (CST)

  • La competitività dipende dalla capacità di soddisfazione del cliente, determinata ad ogni livello della sfera di rapporto cliente-impresa: prodotto, distribuzione, prezzo, comunicazione (immagine e rapporti umani). Dovranno quindi essere realizzate azioni di progettazione per:
  • La customer satisfaction di prodotto/servizio (product satisfaction);
  • La customer satisfaction di prezzo (price satisfaction);
  • La customer satisfaction distributiva (distribution satisfaction);
  • La customer satisfaction di comunicazione, informazione e immagine (communication satisfaction, information satisfaction, image satisfaction);
  • La customer satisfaction delle relazioni personali (relationship satisfaction).

In altre parole, non è più sufficiente ragionare in termini di qualità del prodotto e nel servizio, ma occorre chiedersi se l’impresa stia erogando qualità e rispondendo ad aspettative anche nelle politiche di prezzo e in come queste vengono comunicate ai diversi clienti, ed ancora se si stia producendo comunicazione di qualità, o qualità nella modalità di distribuire il prodotto e renderlo fruibile al cliente.

Price satisfaction

La price satisfaction comprende il sistema di attese e di ideali relativi ai seguenti fattori: 

  • l’adeguatezza del prezzo rispetto alla prestazione ricevuta;
  • la “giustizia di prezzo”: l’assenza di improvvisi ribassi di prezzo su prodotti uguali a quelli appena acquistati, condizioni facilitative di pagamento taciute al momento dell’acquisto, differenze territoriali di prezzo delle quali il consumatore venga a conoscenza giudicandole ingiuste, oppure differenze di trattamento praticate tra diversi clienti senza giustificazioni comprensibili per colui che paga di più;
  • le modalità e termini di pagamento;
  • il rispetto delle promesse di sconto e facilitazioni di pagamento;
  • la variabilità imprevista della spesa;
  • trasparenza dei prezzi.

Un esempio di come le aziende possano determinare customer satisfaction tramite il pricing è dato dalle tariffe fisse telefoniche. Negli ideali di diversi consumatori ed aziende, esiste il desiderio di sapere in anticipo quanto si dovrà pagare al mese, fissando una soglia massima che includa ogni costo telefonico, urbano e nazionale, incluso il traffico internet illimitato. In questo caso il prodotto/servizio rimane invariato (connettività telefonica), ma la formula di pricing per il soggetto è percepita come “liberatoria”, soprattutto perché toglie nel soggetto l’ansia del tempo. L’azienda venditrice potrà poi definire quale sia il suo break-even point (punto di pareggio ricavi-costi) e fissare il prezzo.

Distribution satisfaction

La distribution satisfaction comprende il sistema di attese e di ideali relativi ai seguenti fattori: 

  • il rapporto del cliente con le forze di vendita e di distribuzione;
  • la facilità di accesso al luogo di distribuzione;
  • la soddisfazione riguardante gli ambienti fisici in cui avviene l’acquisto (temperatura, umidità, illuminazione, architetture, comfort, ecc…);
  • la soddisfazione riguardante gli ambienti psicologici in cui avviene l’acquisto (le persone presenti, la loro gradevolezza, ciò che accade nell’ambiente, i climi relazionali ed emotivi);
  • la facilità di acquisizione del prodotto/servizio;
  • il rispetto aziendale dei termini e condizioni di consegna;
  • le modalità di fruizione della prestazione rese possibili dall’offerente.

Dal punto di vista dell’azienda, ogni fattore sopra esposto deve diventare un elemento del proprio piano di qualità. Ma non solo. La capacità di adattarsi ad esigenze distributive non palesate, non intuitive, permette di conseguire vantaggio competitivo ulteriore.

Non dobbiamo dimenticare il potere enorme messo a disposizione da Internet alle imprese che intendano valorizzarne la potenzialità per creare customer satisfaction distributiva e comunicazionale. Attraverso il web è possibile fornire aggiornamenti istantanei ai prodotti nei quali è presente qualche forma di software, fornire notizie in tempo reale, rispondere a quesiti, fornire assistenza, sviluppare addizioni di prodotto (prodotto aumentato). 

Principio – Distribution Satisfaction

La competitività dipende dalla capacità aziendale di generare:

  • aumento di fruibilità del prodotto;
  • riduzione dei tempi e delle distanze di acquisto;
  • azzeramento dello sforzo di approvvigionamento a carico del cliente;
  • qualità relazionale nei sistemi di contatto distributivo (nei contatti umani e nei contatti mediati).

In termini di prodotto aumentato, una banca può vendere un servizio base di gestione titoli, ma corredarla di un sistema automatico di segnalazione ai propri clienti che il titolo in loro possesso ha raggiunto il target price di vendita (segnale di stop-gain). Questo diventa vero valore aggiunto, nel momento stesso in cui una nuova forma distributiva fa risparmiare al consumatore il carico di doversi spostare per ottenere la prestazione.

Communication satisfaction

La communication satisfaction comprende il sistema di attese e di ideali relativi ai seguenti fattori: 

  • La qualità dell’informazione e la soddisfazione per l’informazione aziendale (information satisfaction): riguarda la quantità e qualità di informazioni sulle componenti tecniche che corredano il prodotto (completezza e qualità dei contenuti dei manuali d’uso, etichette di istruzioni, etc.), ma anche la modalità di organizzazione delle informazioni e la fruibilità delle interfacce informative;
  • la qualità dei linguaggi (codici di comunicazione) utilizzati nei prodotti e nelle comunicazione: appropriatezza, comprensibilità, codici e stili, assenza di imperfezioni;
  • la consonanza d’immagine e la soddisfazione che ne deriva (image satisfaction) data dalla conformità tra immagine veicolata del prodotto/marchio e ideal self-image del ricevente-target;
  • La trasparenza delle condizioni commerciali, la comunicazione aperta, chiara, non nascosta, delle condizioni di vendita, tecniche e di prodotto.

In riferimento al tema della consonanza d’immagine, qualora l’immagine di prodotto si discosti o sia in opposizione alla immagine di sé ideale, può nascere dissonanza cognitiva rispetto all’intenzione di acquisto del prodotto. 

Ad esempio, un autovettura fuoristrada può essere pubblicizzata tramite uno spot in cui essa venga utilizzata per un safari di caccia africano, visualizzando l’inseguimento dell’animale e la sua uccisione, con foto finale del trofeo di caccia e presenza dell’auto come sfondo. Tale immagine (accostamento tra il modello e la caccia) potrebbe essere del tutto antitetica rispetto all’immagine di Sé ideale (ideal self-image) che un naturalista ha di se stesso. Un naturalista o ambientalista che intenda acquistare il fuoristrada come strumento di lavoro o mezzo per raggiungere le proprie mete di visitazione cercherà un marchio non connotato semanticamente dalla pubblicità in questa direzione negativa.

La vicinanza dell’immagine di marchio (brand image) al Sé Ideale del target diviene un fattore di successo della comunicazione aziendale. Al contrario, l’associazione di un’immagine indesiderata o di comportamenti controvaloriali rispetto al target è in grado di deprimere persino l’intenzione di acquisto di prodotti-servizi giudicati dal consumatore intrinsecamente, qualitativamente e tecnicamente buoni.

Un tema caldo tra quelli trattati è la trasparenza dell’informazione. Un esempio di scarsa trasparenza è dato dal trovare difformità tra prezzo comunicato e prezzo rilevato, anche se la comunicazione è formalmente veritiera. A parte le difformità fraudolente, esistono infatti anche difformità celate. Ad esempio, una compagnia telefonica può affermare che le proprie telefonate costano x al minuto, ma questo è assolutamente fuorviante se poi viene addebitato uno scatto alla risposta e l’Iva. Lo scatto produce una curva di costo iperbolica che aumenta esageratamente il costo reale delle telefonate brevi, e questo viene taciuto. La comunicazione perciò in questo caso è veritiera ma lacunosa, e ciò genera insoddisfazione.

Relationship satisfaction

In ogni tipo di esperienza di acquisto è possibile individuare due componenti: una componente tecnica legata alla prestazione in sé, e una componente relazionale costituita dal rapporto umano (diretto o indiretto, momentaneo o duraturo) che si instaura tra acquirente e venditore.

Di particolare importanza risulta la distinzione tra elementi tangibili del prodotto e elementi intangibili (la qualità del servizio, l’assistenza, i rapporti interpersonali), poiché la soddisfazione del consumatore non si limita alla soddisfazione circa gli attributi (caratteristiche fisiche) del prodotto, ma comprende anche la soddisfazione verso gli aspetti relazionali e di servizio che accompagnano l’acquisto. 

In altre parole, la soddisfazione verso il prodotto si trasforma in soddisfazione verso l’esperienza di acquisto, intesa nella sua globalità: look e feeling del prodotto, prestazioni del prodotto percepite durante l’utilizzo, chiarezza delle istruzioni, capacità di rassicurazione da parte della forza vendita, rinforzi positivi nel post-vendita, garanzie, rapporto interpersonale con i rappresentanti dell’azienda, price satisfaction.

A livello di prodotto è possibile identificare quindi due componenti:

  • Aspetti tangibili: rendimento, caratteristiche, opzioni, stile, durata, resistenza;
  • Aspetti intangibili: qualità del servizio, qualità della comunicazione umana, cortesia, competenza del personale, qualità del servizio post-vendita, qualità dell’assistenza e garanzie, cordialità, capacità di recovery, capacità di ascolto del cliente (active-listening).

Le relazioni umane hanno alto impatto emotivo. In molte situazioni di acquisto ad alto coinvolgimento (high-involvement), il consumatore rimane più colpito dalle componenti relazionali del venditore che non dalle componenti tecniche del prodotto. Un atto di grave scortesia o di malafede del venditore difficilmente verrà rimediato da una buona prestazione di prodotto.

Prodotti molto simili dal punto di vista del contenuto – come la benzina o il caffè in tazza al bar – risentono ancora maggiormente del peso della componente relazionale – un elemento in grado di fare la differenza.

Nel consumare un caffè, l’avventore del bar non si limita a ricercare unicamente il liquido nero che ingerisce, ma spesso respira le atmosfere del locale, è alla ricerca di un momento di svago o di socializzazione, o di un rapporto umano, oppure intende far sapere agli avventori di essere “lì” in quel bar, che – essendo frequentato da una certa classe sociale – fornisce uno scenario piacevole e un’immagine ai suoi frequentatori.

Proprio a causa della crescente uniformità tecnica di fondo, la competizione si sposta dalla differenza sul prodotto alla differenza sulla comunicazione e sulla relazione venditore-cliente.

Caratteristiche relazionali come affidabilità, trasparenza, sicurezza, competenza, capacità di recupero di situazioni critiche, capacità di ascolto, assumono un peso sempre maggiore nella scelta di un fornitore. La capacità empatica di avvicinamento all’altro, per l’erogatore di un servizio, costituisce un elemento di fondamentale importanza. 

Principio – Principio di qualità relazionale

  • La competitività dipende dalla capacità aziendale nel creare relazioni di qualità con i propri pubblici (interni ed esterni), clienti e partner, ed in generale ogni stakeholder[1]
  • La qualità relazionale deriva dall’espressione di comportamenti ad alta affidabilità e  trasparenza, uniti all’utilizzo di capacità di ascolto ed empatia elevate.

Realizzare prodotti “discreti” o accettabili non rappresenta più un traguardo per l’impresa che punti al top della competitività. Il traguardo si sposta verso l’immissione nel prodotto/servizio di caratteristiche in grado di avvicinarlo al “prodotto/servizio ideale” e di componenti relazionali – uno stato di qualità basato su caratteristiche nuove, che a volte il consumatore nemmeno riesce a proiettare in maniera consapevole, eppure centrali rispetto al BSS reale.

Il modello consente un allargamento del concetto di customer satisfaction alle intere aree del mix. Ne consegue che anche la politica della qualità, così come viene contemplata oggi dalle imprese, abbisogna di una sostanziale trasformazione, passando da un focus attuale – molto orientato al prodotto, a tubi, cavi e bulloni –  per dirigersi verso un nuovo modello basato sulla percezione del consumatore.

Una conferma scientifica sperimentale della esistenza di altre variabili, incidenti sul processo di formazione della customer satisfaction, come previsto dal nostro modello, viene da Spreng, MacKenzie e Olshavsky (1996)[2]. Il modello testato dagli autori – introducendo il concetto di information satisfaction del consumatore (similare al nostro concetto di communication satisfaction) – ha trovato significative evidenze scientifiche sul rapporto esistente tra qualità della comunicazione di marketing e customer satisfaction del cliente.

Interazioni tra i diversi tipi di customer satisfaction

Abbiamo considerato come la Satisfaction provenga da un insieme di prestazioni riconducibili agli elementi del mix. 

Tuttavia, il cliente cioè non analizza separatamente le componenti del mix, ma attua una valutazione di sistema, in cui vengono ponderate tutte le interazioni tra tutte le componenti. Ad esempio, in una pizzeria la CS ( Customer Satisfaction )di prodotto può essere alta (la pizza era buona) ma la CS relazionale molto bassa (i camerieri sono veramente scortesi e i tempi di attesa esagerati). L’esperienza totale sarà nel complesso negativa. È quindi opportuno analizzare quali interazioni esistono tra livelli di soddisfazione per ogni componente del mix.

Realizzeremo una analisi delle interazioni di primo livello:

  • interazione CS-prodotto / CS-distribuzione-canale;
  • interazione CS-prodotto / CS-prezzo;
  • interazione CS-prodotto / CS-promozione/comunicazione.

Interazioni prodotto/canale

Troppo spesso le imprese focalizzano le proprie risorse sulla qualità del prodotto, sulle caratteristiche intrinseche del bene o servizio, dimenticando che la qualità complessiva percepita (e quindi la soddisfazione complessiva del consumatore) proviene anche dal canale distributivo e dal rapporto personale con l’erogatore del servizio e con la rete di vendita e di assistenza.

Per questo motivo è necessario distinguere i concetti di customer satisfaction di prodotto (CSP) e customer satisfaction di canale (CSC) o channel satisfaction

La CSP riguarda le caratteristiche intrinseche del prodotto o servizio (composizione, struttura, performance).

La CSC include: (1) componenti relazionali e (2) componenti logistiche, che sommate producono la qualità complessiva del servizio erogato dal canale distributivo: capacità di rapporto interpersonale, cortesia, tempi di risposta, servizio post-vendita e assistenza, la facilità di accesso al luogo di distribuzione, la facilità di acquisizione del prodotto/servizio, il rispetto dei termini e condizioni di consegna.

La CSC determina il fenomeno della fidelizzazione al canale. Il fatto che il parco-clienti si fidelizzi al canale (più che all’azienda produttrice) permette a questo di spostare il parco clienti in blocco (o quasi) presso altre aziende del settore. È il tipico caso in cui l’agente o area manager, cambiando azienda, porta con se tutto il proprio parco clienti. 

Per l’azienda, emerge la necessità di attivare un triplice livello di attenzione: 

  • Gestire la CSC – la soddisfazione del consumatore nei confronti del rivenditore;
  • gestire la CS del cliente utilizzatore finale rispetto all’azienda produttrice;
  • gestire la CS del canale verso l’azienda – la soddisfazione del rivenditore nei riguardi dell’impresa produttrice.

Attivare modalità di contatto diretto tra azienda e cliente finale permette di poter recuperare il rapporto velocemente in caso di problemi con il canale di vendita (ad esempio, contatti telefonici annuali di valutazione generale della soddisfazione del cliente, attuati direttamente dall’azienda). 

La CS del canale, cioè la soddisfazione del canale distributivo rispetto all’impresa, dipende da fattori quali:

  • Supporto fornito dal produttore al lavoro del canale o del venditore. Es.: supporto pubblicitario e promozionale, sconti speciali, formazione;
  • margini di guadagno per il canale e il venditore, resi possibili dal produttore;
  • qualità della relazione con l’impresa;
  • supporto al distributore per le necessità che si presentano con il cliente finale;
  • lealtà e trasparenza dell’azienda nei riguardi dei propri agenti e canali;
  • capacità di motivazione.

Principio – Soddisfazione dei canali distributivi

  • La competitività dipende dall’identificazione di canali distributivi adeguati e dalla creazione di un rapporto di reciproca soddisfazione tra canale di vendita e azienda.
  • La forza del rapporto dipende sia dalla adeguata remunerazione materiale che dalla qualità di rapporto in entrambe le parti.

È necessario sottolineare che esistono connessioni precise tra immagine del canale (es: professionalità percepita della rete di vendita) e immagine dell’impresa.

Questo significa che il comportamento della rete distributiva si riverbera sull’immagine della azienda (mandante, proprietario del marchio). La qualità dell’agente incide sull’immagine di chi gli ha fornito l’incarico di agenzia. Allo stesso tempo un rappresentante concorre fortemente, con il suo comportamento, a formare l’immagine dei marchi per cui lavora.[3]

Behavioral rules e controllo totale

Le ricerche sulle dinamiche di gestione della soddisfazione nei rapporti con le reti di vendita determinano la forte necessità di stabilire standard di comportamento per le reti distributive, consapevoli che esse veicolano la “faccia” dell’impresa. Questo viene attuato tramite specifiche regole comportamentali (behavioral rules) che ogni membro dell’organizzazione estesa (azienda più rete di vendita e distribuzione e assistenza) deve seguire. 

Altrettanto importante diviene verificarne i comportamenti tramite indagini indipendenti (survey distributive e ispezioni) svolte con diverse tecniche (interviste dirette al cliente finale, metodi osservazionali tipo ghost customer[4]).

Principio – Principio del controllo totale lungo la catena distributiva

  • La competitività dipende dal grado di controllo aziendale sui comportamenti di ogni elemento della catena del valore, in termini di adeguatezza agli standard aziendali. Tra questi:
  • Personale di contatto e front-line aziendale
  • Personale della distribuzione
  • Personale di vendita e reti di vendita
  • Personale di assistenza

Interazione prodotto/prezzo

Principio – Assioma della psicologia del prezzo

La competitività dipende: 

  • dalla capacità di creare un pacchetto di offerta di valore tale da giustificare il prezzo, creando un prezzo psicologico (somma del dare o somma delle privazioni) più basso del vantaggio/utilità ricevuto (somma dei risultati, effetti positivi totali dell’acquisto), e quindi:
  • dalla capacità di riposizionare il prezzo rispetto ai benefici risultati dall’acquisto;
  • dalla capacità di riduzione del prezzo percepito.

Troppo spesso il venditore concentra la propria comunicazione sui dettagli del prezzo, senza approfondire veramente i benefici ricercati dal cliente. Occorre invece invertire la dominanza del contenuto comunicativo sui prezzi e trasferirla verso i benefici attesi.

La psicologia del prezzo è soprattutto un problema di psicologia di comunicazione, premesso che (e questo è veramente importante) le promesse realizzate al cliente devono essere realmente mantenute. La vendita ottenuta grazie a false promesse non ha alcuna valenza di marketing, ma produce solamente scollamento con il cliente nel futuro e distrugge l’immagine aziendale, materia di valore ben superiore a quello rientrante da una singola vendita.

Principio – Della verità di risultato

  • Le promesse di vendita non corrisposte distruggono il valore d’immagine aziendale e sono controproducenti per il marketing e la competitività.
  • Nessun prezzo è eccessivo se il prodotto/servizio produce veramente il risultato atteso, e questo risultato è davvero importante per il cliente.
  • Il prezzo risulta eccessivo solo quando:
  • (1) Le promesse di vendita non vengono mantenute;
  • (2) esiste scarsa percezione –  nel cliente – dell’importanza del risultato.

Interazioni prodotto/comunicazione

Principio – Della consonanza di immagine

  • La competitività dipende dalla capacità di creare immagine nel prodotto e nell’azienda/marchio. L’immagine ricercata è guidata dal concetto di sé ideale del cliente target, con il quale realizzare consonanze e associazioni proiettive. 
  • Il successo di strategie di Image Building si realizza quanto più il soggetto identifica nell’offerta/prodotto/marchio una porzione espressiva del proprio vissuto ideale e uno strumento per il raggiungimento del sé ideale.

[1] “Portatore di interessi”, soggetto che ha una rilevanza per l’azienda (es: un giornalista del settore, un politico, un finanziatore).

[2] Spreng, R., MacKenzie, S.B., & Olshvsky, R.W. (1996). A reexamination of the determinants of consumer satisfaction. Journal of Marketing, vol 60 (July 1996), 15-32.

[3] Nello studio in questione, le variabili che si correlavano positivamente con l’immagine dell’impresa erano: cortesia dimostrata, competenza tecnica, livello di interesse dimostrato dall’agente. La variabile che si correlava negativamente era il tempo trascorso dall’ultima visita: all’aumentare del tempo trascorso dall’ultima visita diminuiva la percezione di immagine positiva sia dell’agente che dell’impresa. I clienti che erano da molto tempo “trascurati” e non visitati vedevano in questo una dimostrazione di scarso interesse sia da parte dell’Agente, sia da parte della azienda produttrice. 

[4] Tecniche in cui un funzionario o incaricato aziendale simula o attua un acquisto per verificare il comportamento del front-line. Oppure ancora metodi di presenza dell’azienda all’insaputa di altri (es: presenza di un incaricato non dichiaratosi, durante la visita dell’agente al punto vendita, il quale simula una normale “occhiata” al negozio, ma in realtà valuta la puntualità dell’agente, e il suo comportamento).

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Le parole chiave di questo articolo sulle strategie della customer satisfaction totale sono :

  • Capacità empatica
  • Communication satisfaction
  • Consonanza d’immagine
  • Customer satisfaction
  • strategie di Customer satisfaction
  • Customer satisfaction di canale
  • Customer satisfaction di prodotto
  • Customer satisfaction totale
  • Distribution satisfaction
  • Esperienza d’acquisto
  • Fidelizzazione al canale
  • Ghost customer
  • Image satisfaction
  • Information satisfaction
  • Overall mix satisfaction
  • Price satisfaction
  • Product satisfaction
  • Psicologia del prezzo
  • Qualità relazionale
  • Regole comportamentali
  • Relationship satisfaction
  • Relazioni umane
  • Standard di comportamento

 

© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategic selling. Psicologia e comunicazione per la vendita consulenziale e le negoziazioni complesse”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Il Valore Totale Percepito

Uno dei passaggi più critici nella preparazione negoziale è comprendere come si forma il possibile valore totale percepito (VTP), sommatoria di vari segmenti di valore (SV).

Il valore percepito, nel metodo ALM, viene considerato come una sommatoria di credenze positive, che si addizionano nella mente dell’acquirente mentre valuta le proposte o condizioni. 

Le caratteristiche distintive dell’offerta sono una combinazione di segmenti di valore che formano il valore complessivo. Ad esempio, un’impresa chimica che negozia una gomma speciale fonoassorbente con un produttore di auto, può creare valore percepito adducendo:

  • il valore dell’unicità: essere i primi a disporre di tale tecnologia;
  • il valore della rapidità: essere tra i pochi a poter consegnare il prodotto in tempo per il lancio dei nuovi modelli di auto sui quali si potrebbe applicare;
  • il valore della ricerca e sviluppo: poter realizzare varianti su richiesta della ditta costruttrice, a seconda delle aree di utilizzo (assorbimento del rumore degli interni, del motore, etc.);
  • il valore dell’affidabilità: dare garanzie di poter consegnare i volumi previsti poiché si è produttori diretti e non semplici distributori del prodotto;
  • … altri valori identificabili da una analisi accurata.

La sommatoria di tali valori potenziali o segmenti di valore (SV) crea il valore percepibile totale. Il valore “percepibile” non verrà però colto nella realtà, se non si crea una comunicazione adeguata. 

Soprattutto, ciascuna caratteristica dell’offerta diventa valore solo ed unicamente se la diagnosi è adeguata. In caso contrario, l’informazione che non tocca la mappa mentale del cliente passa da valore a rumore (noise).

Principio 6 – Valore Totale Percepito (VPT) come sommatoria di Segmenti di Valore (SV)

Il successo della negoziazione dipende:

  • dal valore totale percepito nella controparte rispetto alla nostra identità e alle nostre possibilità di intervento;
  • dalla capacità di costruire, far emergere ed essere consapevoli dei Segmenti di Valore (SV) che compongono la propria offerta;
  • dalla capacità di trasferire i SV all’interlocutore durante la comunicazione;
  • dalla capacità di creare fitting (adattamento, centratura) tra i segmenti di valore offerti e i bisogni della controparte che emergono dalla diagnosi.

Il negoziatore dovrà quindi essere estremamente attento a testare il grado di fitting tra i Segmenti di Valore proposti (ciò che propone) e ciò che nella mente del cliente è realmente importante, centrando le Key Variables (variabili valutative critiche).

Ogni acquirente utilizza variabili critiche (Key Variables) che influenzano il processo decisionale:

il prodotto osservato viene comparato con un’immagine mentale del prodotto ideale, e con altri possibili prodotti. L’azienda consapevole dei processi mentali del cliente sa investire nelle variabili più “pesanti”, quelle che producono effetti e non dà priorità a variabili che il consumatore non utilizza o utilizza poco nelle proprie scelte.

Lo sviluppo di una linea d’azione di successo

Alcuni dei macro-errori della negoziazione:

  • mancata conoscenza dei valori condivisi e analisi delle divergenze valoriali: impostare un rapporto senza una adeguata e reciproca conoscenza delle rispettive missioni e valori condivisi;
  • tenere attivi dei fraintendimenti e non affrontarli subito: non è possibile fare affari solamente con soggetti o aziende delle quali si condividono tutti i valori e la missione. Capita spesso, anzi, di trattare con persone o imprese che non dispongono di una precisa visione. Tuttavia ciò va considerato in quanto fonte di possibili fraintendimenti rispetto agli obiettivi finali del progetto e alle modalità di svolgimento, i quali – senza un esame rapido, possono dare luogo ad aspettative contrastanti e divergenti;
  • dare per scontati i modelli mentali del cliente: pensare che “sicuramente il suo ragionamento è…”, senza testarlo nella realtà;
  • mancata pianificazione di percorsi alternativi: lanciarsi in una Action Line senza avere esplorato le alternative;
  • mancata definizione dei possibili ostacoli di percorso e trappole (Traps);
  • mancata preparazione e test della negoziazione (training sulle Action Lines attuato tramite giochi di ruolo, Role Playing);

Per realizzare una Action Line di successo è necessario:

  • essere consapevoli della propria missione, del proprio valore, della propria distintività;
  • essere consapevoli e comunicare tutti i singoli segmenti di valore che formano il Valore Totale Percepito;
  • definire il punto di partenza e l’obiettivo da raggiungere o punto di arrivo (goal setting negoziale), ciò che vorremmo, i nostri punti di arrivo, chiarire ciò che ci renderebbe orgogliosi come risultato raggiunto;
  • definire diversi percorsi alternativi per raggiungere l’obiettivo o goal (con un minimo suggerito di tre alternative);
  • valutare i pro e contro delle alternative;
  • sperimentare il percorso scelto alla ricerca di Traps e possibili Breakdown;
  • scegliere la linea che massimizza il risultato ricercato (valutando sia il costo economico che organizzativo).

La linea di azione comunicativa

La linea di azione comunicativa si compone di una serie di “mosse relazionali” che ci avvicinano alla meta, verso l’effetto ricercato. 

Ogni comportamento è un messaggio. È messaggio un ritardo nel rispondere o la prontezza nel rispondere, è messaggio una comunicazione aperta o una comunicazione criptica, così come il tono adirato o conciliante, o la cura dell’impaginazione di una lettera o di una email, o la sua trascuratezza.

Le persone e i clienti traggono informazione da tutto.

Per questo, la linea di azione comunicativa deve presidiare ogni fronte dal quale il cliente ricava messaggi e formula la sua immagine e le sue decisioni.

La linea di azione richiede inoltre studio ed analisi. Include soprattutto la ricerca di informazioni sugli interlocutori, sui reali potenziali di business, sui bisogni manifesti e latenti, e sulle leve di valore che maggiormente possono essere efficaci. 

Ogni negoziazione comprende una componente di seduzione e persuasione.

Come osserva un classico della seduzione:

La cortigiana dovrebbe dapprima inviare i massaggiatori, i cantanti e i giocolieri che eventualmente siano al suo servizio o, mancando questi, i Pithamardas ovvero confidenti e altri, a indagare sui sentimenti dell’uomo e sul suo stato d’animo. Per mezzo di tali persone, la cortigiana si accerterà se l’uomo è puro o impuro, se è amabile o meno, capace di attaccamento o indifferente, generoso o gretto;[1]

Ogni negoziazione, al di la della metafora provocatoria, contiene elementi di somiglianza e similarità con un corteggiamento, o con un matrimonio o fidanzamento. Con chi ci stiamo fidanzando? Chi sono le persone con cui stiamo trattando? Che carattere hanno? Che storia hanno? Cosa vogliono realmente? Di cosa hanno bisogno adesso?

Quando sia appurata la qualità potenziale dell’interlocutore, la gestione della comunicazione deve dare dimostrazioni di interesse così come la seduzione crea un rapporto tra due controparti.

Regole stereotipate e linee di azione ragionate

La tentazione di ricorrere a regole preconfezionate, nella negoziazione, è grande.

Sarebbe molto bello poter dire “quando parli con un Cinese, fai…, quando invece sei in America Latina fai x non fare y, e vedrai che il successo è garantito…”

Le regole comportamentali rigide rifiutano di prendere in considerazione la realtà dell’imprinting (matrice) culturale, la varietà di personalità, il lato emotivo dei soggetti e la loro identità multipla: un cinese può avere lavorato per multinazionali americane ed avere maggiore cultura di business anglosassone di un americano del midwest, può essere adirato o felice, può avere avuto esperienze positive o negative in passato con persone della nostra nazione, e questo non lo possiamo né sapere a priori né stereotipare.

Nessuna regola vale per sempre e con tutti.

Le regole stereotipate possono andare bene solo in una società non globalizzata. Oggi i mix culturali producono una multi-stratificazione di culture in ogni individuo che ha contatti con altre culture, per cui non è più possibile dare regole comportamentali certe. Quello che serve è un approccio flessibile, che tenga conto della realtà incontrata e non degli stereotipi, poiché nella negoziazione non esistono regole culturali assolute.

Le realtà che si possono incontrare sono le più diverse, e, come accennato, il grado di varianza intra-culturale non è minore di quello inter-culturale. 

Le poche regole certe devono essere quelle di:

(1) disporre di una “minima condotta efficace trans-culturale, o minimo comune denominatore del comportamento negoziale cross-culturale”, un approccio di qualità conversazionale che possiamo pensare di poter applicare ovunque, es: non interrompere inopportunamente, non offendere la “faccia” e immagine altrui, non esporsi con affermazioni pericolose in campo valoriale e religioso, cercare di capire gli interessi della controparte, e 

(2) conoscere le poche basi culturali generali dell’area geografica o merceologica ove si opera: il background culturale probabilistico che si potrà incontrare, le regole probabili (e sottolineiamo probabili, non certe) che vigono in una certa cultura geografica, etnica o professionale – anche queste da prendere con le pinze.

Occorre cambiare paradigma, passare dalle regolette certe alla flessibilità del comunicatore, occorre un cambiamento di atteggiamento.

Soppesando i pro ed i contro di diverse opzioni di contenuto, è necessario giungere alla definizione di quale messaggio dia la maggiore probabilità di successo.

Probabilità e non certezza. 

Dobbiamo quindi studiare la linea di azione con i minori ritorni negativi latenti, prevedere e anticipare i rischi di effetto boomerang.

Se siamo invitati da un commerciante arabo nella sua casa, spetta a noi capire, inquadrare (attività di framing) se sembra essere una famiglia tradizionalista, ortodossa, integralista, o informale o ancora dove e quanto ha studiato questo commerciante, che potrebbe non avere istruzione formale o avere invece due lauree prese a New York o Sidney. Solo applicando un atteggiamento di apertura ed ascolto possiamo interagire efficacemente.

La produzione di una linea di azione comunicativa non può ricorrere a stereotipi (es: “se sei attaccato, contrattacca”) e non avviene per pura intuizione creativa: essa è frutto di studio, di confronto, consultazione, scambio di pareri tra colleghi e tra colleghi e consulenti. 

Richiede ricerca, esplorazione di opzioni, valutazioni di fattibilità e anticipazione degli effetti. Richiede, in altre parole, l’umiltà del negoziatore professionale, che è sempre proteso a testare le proprie strategie e mosse, pronto con umiltà a confrontarsi con colleghi e consulenti sulla loro possibile efficacia, prima di lanciarsi nell’azione ciecamente seguendo stereotipi. 

Questa umiltà rappresenta il vero fattore distintivo del negoziatore professionale rispetto al “negoziatore rampante” :

  • distingue il prototipo del negoziatore arrogante che pensa di avere sempre ragione e usa stereotipi, da chi si siede ad un tavolo per analizzare e costruire qualcosa;
  • distingue chi si fa forte di leve contrattuali (potere, denaro, legislazioni, politica) da chi ricerca realmente un approccio win-win, di vantaggi reciproci;
  • distingue chi ritiene che il successo sia sempre dovuto e venga in tasca automaticamente, da chi pensa di dover costruire attivamente il proprio successo;
  • distingue chi si scava lentamente la sua fossa, da chi crea qualcosa per gli altri e non solo per se stesso.

Per costruire Action Lines di successo, è quindi necessario il confronto, concretizzato tramite diverse sessioni di brainstorming e di role-playing nelle quali esporre e testare le possibili linee di azione comunicative, per poi scegliere la linea a maggiore probabilità di riuscita.

Struttura delle linee di azione

Ciascuna linea di azione è suddivisibile in Steps, fasi temporali durante le quali si articola il processo di comunicazione. L’insieme dei passi attuati costituisce il percorso della linea di azione (Path). Ogni step prevede diverse comunicazioni, che vanno sottoposte ad esame e prova tramite role-playing (simulazione) o expert review (valutazione da parte di esperti).

Una Action Line Analysis (ALA) si può definire come l’analisi comparativa di una serie di tattiche alternative per il raggiungimento di un obiettivo. 

I fattori strutturali caratterizzanti una ALA sono (a) il numero di linee di azione comparate, e (b) il numero di steps per ciascuna linea.

Per ogni linea devono essere determinate le possibilità di successo, gli errori e trappole (traps), la fattibilità pratica, le ripercussioni sull’immagine di chi la metterà in pratica.

L’importanza della message strategy è la scelta accurata di una linea comunicativa che associ il messaggio a concetti mentali desiderati. Nel costruire una strategia del messaggio, dovremo anche fare attenzione ad associazioni che possano inquinare il marchio e il comunicatore con immagini mentali negative. 

Ogni parola emessa elicita (fa scaturire) costrutti mentali che sono contigui ad essa.

Le scienze cognitive hanno evidenziato che i messaggi non sono recepiti in modo isolato, ma si inseriscono sempre in una mappa mentale del soggetto, una mappa che associa il messaggio a concetti e immagini mentali. 

Per esprimere tale concetto, Shaw e Gaines fanno riferimento al concetto di “Geometria dello Spazio Psicologico”[2] espresso da Kelly (Psicologia dei costrutti personali): ogni messaggio si inserisce in spazi mentali e si associa alle aree contigue.

La message strategy richiede consapevolezza che ogni messaggio aziendale, ogni comportamento comunicativo della linea d’azione, produce immagini evocate, le quali creano un’anticipazione di eventi futuri nei nostri interlocutori (“come sarà lavorare con questa azienda?”) e attribuzioni di significati agli eventi stessi (“perché avranno detto questo?” “se si comportano così ora, cosa faranno dopo?”).

Trappole e problemi della negoziazione

Una delle caratteristiche della negoziazione interculturale è quella di non sapere bene con chi si sta trattando, a meno che non si tratti di noti marchi multinazionali. E anche nel caso di marchi noti, i ruoli possono essere talmente vari da richiedere un approfondimento.

Anche in questo caso, quindi, una dose di attività di analisi rimane fondamentale. Nella negoziazione si aprono numerosi rischi – solo per citarne alcuni – divulgando notizie ad interlocutori non noti, ma anche realizzare gratuitamente lavoro e attività che in altre situazioni andrebbero pagate.

Due riflessioni fondamentali sulla comunicazione.

La prima riguarda come i messaggi che lanciamo o che gli altri lanciano rafforzano o distruggono la sensazione di fiducia. I messaggi e le corrispondenze che noi inviamo o gli altri inviano contengono sempre elementi che possono creare credibilità (segnali di credibilità o credibility cues) così come possibili segnali che mettono in allerta e denotano caduta di credibilità (segnali che producono sfiducia o distrust cues).

La seconda riguarda l’appropriatezza del canale comunicativo. Uno dei suggerimenti più importanti del metodo action line, sul fronte negoziale, è quello di considerare attentamente l’economia della comunicazione, l’appropriatezza dei canali comunicativi rispetto al risultato che vogliamo raggiungere. Si può informare qualcuno con un SMS ma non certo negoziare tramite SMS.

Ogni canale informativo ha un costo comunicativo (alto o basso, in funzione del tempo o risorse necessarie) e una portata informativa (alta o bassa).

La comunicazione interpersonale, faccia a faccia, ha un alto costo relazionale, di tempo, e richiede impegno logistico elevato (bisogna spostarsi, trovarsi fisicamente nello stesso luogo alla stessa ora), ma possiede una enorme portata informativa: possiamo comunicare con tutto il corpo, con il body language, con i canali visivi, non verbali, emotivi, e ogni altro canale umano. Una email, al contrario, è un esempio di canale comunicativo di basso costo (temporale ed economico), ma di ridotta portata informativa reale. È difficile scambiare realmente emozioni o decodificare la controparte, partendo solo da un testo scritto.

Il metodo ALM invita quindi a porsi diverse domande sulla appropriatezza del canale rispetto al task (compito) da svolgere. Le domande chiave:

  • il canale che intendo utilizzare è adeguato al tipo di messaggio?
  • devo inviare solo flussi di informazione o devo anche chiederne?
  • i tipi di dati da trasferire sono solo tecnici (es: informazioni di prodotto, servizi, prezzi) o anche relazionali (comunicare per conoscersi, verifica di affidabilità, incremento della conoscenza reciproca, affiatamento relazionale)?
  • serve un dialogo interattivo o è sufficiente un ping-pong comunicativo?
  • che tempi ho a disposizione?
  • cosa rischio se sbaglio canale informativo?
  • che cosa mi permette di fare il canale che ho scelto?
  • che cosa non mi permette di fare? Quali sono i suoi limiti?

[1] Kamasutra, p. 152, 153. Edizione Mondadori, 1977, Milano.

[2] Shaw, M.L.G, e Gaines, B.R. (1992).”Kelly’s “Geometry of Psychological Space” and its Significance for Cognitive Modeling”. The New Psychologist, Oct. 1992, pp. 23-31.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

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