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psicologia del ruolo

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Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Bilancio delle competenze e psicologia del ruolo

I profili di competenze variano di ruolo in ruolo. Le macro-competenze riempiono di contenuti il ruolo professionale.

Per costruire un piano di sviluppo delle competenze, è necessario costruire una lista di competenze necessarie, avviare la loro valutazione e individuare delle criticità.

Per ciascun punto, viene svolta una valutazione approfondita a livello interpersonale con colloqui in profondità. Le tecniche possono inoltre comprendere l’autovalutazione, la valutazione da parte altrui, o la conduzione di veri e propri test comportamentali e di abilità per ogni area di macro competenza.

Una valutazione bassa deve far emergere immediatamente urgenza di intervenire, di training, di approfondimento.

Le possibili aree sulle quali approfondire la conoscenza sono una moltitudine, e per poter dare una priorità occorre una analisi congiunta che tenga conto del contesto in cui vive l’azienda e il mercato.

Nel caso in questione, si esemplifica il caso di un Direttore Generale che proviene dall’area della finanza, all’interno di un’azienda che affronta un processo di trasformazione da “orientamento alla produzione” ad “orientamento al marchio e al cliente”.

L’essenziale, per il coach o formatore che lo debba assistere, è costruire un piano “centrato sulla persona” e contemporaneamente “centrato sugli scenari”, capire verso quale sviluppo si dirige l’azienda, e le dinamiche del settore.

Definire il piano di sviluppo delle macro-skill è possibile solo analizzando in modo congiunto (1) i punti di forza e debolezza delle competenze attuali, e (2) il contesto nel quale le competenze devono essere spese ed utilizzate.

Nel caso evidenziato, emergono le priorità di concentrarsi innanzitutto sulle competenze di marketing e comunicazione aziendale (vettore di sviluppo 1), sulla leadership (vettore 2) e sulle sue capacità di coaching (vettore 3).

Per capire a fondo quali sono le traiettorie di cambiamento di un ruolo serve una grande dote di visione d’insieme. È inoltre indispensabile ragionare su quali sono i veri “centri di gravità” che danno spessore ad un ruolo, come questi cambiano nel tempo, e saper condurre stime sulle traiettorie future probabili.

Una delle aree più delicate di cui tenere conto è inoltre la psicologia del ruolo: quanta componente di un ruolo ha natura psicologica, quanta è invece la sua parte tecnica? E come varieranno queste in futuro?

La psicologia del ruolo è uno dei fattori più delicati in qualsiasi team che cerchi prestazioni e qualsiasi azienda, oltre che per l’individuo. Ad esempio, se una squadra di calcio vuole cambiare tattica di gioco e basarsi molto di più sugli schemi, e meno sui “colpi di genio” individuali, il ruolo psicologico di ciascuno cambia: da individualista a contributore, da lupo solitario a membro di un branco, da libero battitore a parte di un insieme. Il modo con cui si misurerà la qualità di gioco dovrà cambiare anch’esso coerentemente, non più solo ed unicamente sui “goal fatti” ma sul tipo di contributo dato alla squadra. Ogni tipo di “gioco” o “sfida” prevede una forte capacità di intervenire sulla psicologia del ruolo che ne permette il successo.

Principio 29 – Macro-competenze e metabolismo del cambiamento

Le performance vengono depotenziate o non si raggiungono quando:

  • il ruolo non è compreso e la psicologia del ruolo non è capita o accettata;
  • si sviluppano incoerenze significative tra competenza professionale individuale e il job profile (profilo di competenze della posizione professionale), in sé, o in uno o più membri del team o dell’organizzazione;
  • le job description (descrizione delle attività inerenti il ruolo) perdono di vista i veri tratti fondamentali o non comprendono i veri centri di gravità delle performance;
  • non sono chiare o vengono mal comunicate le attese dell’azienda rispetto al ruolo,  le attese di risultato;
  • non ci si è posti il problema delle attese di se stessi rispetto al sé professionale;
  • le sfide che l’ambiente e il lavoro pongono sul sistema di competenze personali sono superiori alle capacità e non esiste un piano serio per la crescita,
  • le direzioni del cambiamento negli scenari e negli ambienti esterni sono poco analizzate, incomprese o subite passivamente, aumenta l’entropia delle competenze, si genera stress continuativo o di picco legato al cambiamento continuo;
  • viene posto troppa enfasi sul training inteso come “copertura di falle”, e poca sulla bildung, l’acquisizione di spessore umano e culturale proattivo e di meta-competenze.

Le performance aumentano quando:

  • il ruolo è esaminato, compreso e accettato non solo in superficie (interiorizzazione del ruolo);
  • la psicologia del ruolo trova collimazioni importanti con la psicologia della personalità individuale, si creano match buoni tra psicologia del ruolo e psicologia individuale;
  • i diversi job profile (profili professionali) trovano buona coerenza e distribuzione nell’organigramma o nella struttura del team;
  • le job description (descrizione delle attività inerenti il ruolo) comprendono i veri tratti fondamentali e i veri centri di gravità delle performance;
  • le attese dell’azienda o dei leader e coach, rispetto al ruolo, e le attese di risultato, sono chiare o vengono chiaramente comunicate;
  • esiste collimazione tra (1) attese e aspettative individuali e (2) il sé professionale;
  • le direzioni e traiettorie del cambiamento negli scenari e negli ambienti esterni sono analizzate, capite, non subite, viene svolto un lavoro importante non solo di adeguamento ma per trovare spazi di espressione;
  • viene combattuta l’entropia delle competenze, lo stress continuativo o di picco legato al cambiamento continuo;
  • la formazione cambia registro e affianca al training inteso come “copertura di falle”, anche e soprattutto azioni di bildung, l’acquisizione di spessore umano, saggezza, capacità culturale, capacità di ampio respiro e meta-competenze, maggiormente resistenti al cambiamento delle singole micro-competenze.

Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online:

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Articolo estratto con il permesso dell’autore dal testo di Daniele TrevisaniIl potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance”. Franco Angeli editore, Milano.

Le macro-competenze riguardano:

  • il ruolo e la psicologia del ruolo;
  • job profile (profilo della posizione professionale);
  • job description (descrizione delle attività inerenti il ruolo);
  • attese dell’azienda rispetto al ruolo, attese di risultato;
  • attese di se stessi rispetto al sé professionale;
  • sfide che l’ambiente e il lavoro pongono sul sistema di competenze;
  • direzioni del cambiamento nel ruolo e stress legati al cambiamento.

Il tema delle macro-competenze ci pone il problema della rigidità o flessibilità al cambiamento e degli spazi di arricchimento del proprio repertorio di competenze professionali.

Mai, in nessun momento, possiamo considerare che non vi sia spazio per crescere, sia esso uno spazio verticale (aumentare le conoscenze entro una disciplina) ma ancora maggiormente uno spazio orizzontale (allargare la conoscenza a campi laterali).

Esiste un grado di collimazione variabile tra il Self personale e il ruolo che si è chiamati (o si è deciso) di interpretare. Maggiore il grado di collimazione è maggiori sono le possibilità di espressione. Maggiore è lo spazio conoscitivo coperto, maggiori sono le opzioni di vita e professionali praticabili.

Figura 8 – Grado di collimazione tra Io e ruolo

Macro-Skill ed entropia delle competenze

Il fatto che il Self, il concetto di sé, cambi nel tempo, incide sulle proprie attese di ruolo. Ad esempio invecchiando si diventa, generalmente, un po’ più tradizionalisti, un po’ meno avventurosi, un po’ meno propensi al rischio, e se il ruolo richiede invece la stessa dinamica e condizione energetica si può creare un progressivo divario.

Un area manager – venditore internazionale che deve trascorrere all’es­t­e­ro svariati giorni al mese, per molti mesi all’anno – può trovarsi estremamente a suo agio negli anni iniziali (euforia del ruolo), per poi modificare drasticamente l’atteggiamento verso il ruolo nel momento in cui abbia una famiglia con figli, e desideri passare più tempo con loro e smettere di viaggiare in continuazione.

Ogni ruolo evolve nel tempo, nessun ruolo si può interpretare nello stesso modo per tutta una vita, anche per il semplice fatto che gli scenari cambiano.

Clienti, fornitori, concorrenti, colleghi, evolvono e creano un cambiamento di fatto nell’ambiente che ci circonda, creando di conseguenza una entropia delle competenze. L’entropia è un concetto della fisica che denota un au­mento dello stato di disordine o caos in un sistema, e ha molti risvolti interessanti per il sistema delle competenze e per la formazione.

La storia economica pone continuamente le persone di fronte ad un degrado sempre più rapido delle competenze acquisite. Negli anni ‘50 si poteva essere imprenditori di successo parlando solo il dialetto locale, ad esempio vendere mobili o artigianato solo in regione e parlare solo in dialetto, o avere solo un mercato locale in una regione, e conoscere solo il dialetto locale. Ora al massimo chi conosce solo un dialetto locale potrà essere rivenditore, ma non certo sperare di inserirsi nel mercato globale. E man mano che i dialetti si perdono, anche quest’ultima possibilità sparirà.

Man mano che il mercato diventa sempre più internazionale, cresce la necessità di muoversi almeno in un mercato interculturale. La globalizzazione impone alla stragrande maggioranza delle aziende di sapersi muovere su più fronti. Il ruolo imprenditoriale quindi non può essere condotto con la stessa efficacia perché l’ambiente cambia, e quindi è importante saper far evolvere il ruolo e le sue caratteristiche.

Lo stesso accade per un insegnante.Un Maestro classico doveva essere soprattutto preparato nella sua materia (es.: per un insegnante di matematica, sapere la matematica), mentre un insegnante moderno deve essere anche e soprattutto un comunicatore, un pedagogista, una persona in grado di trasmettere e coinvolgere, e nella pratica il suo essere un buon conoscitore di matematica non è più sufficiente.

Anche nello sport l’entropia è in agguato. Un allenatore sportivo di squadre giovanili, non può più essere solo un ex-calciatore che insegna a tirare calci al pallone, urlando insolenze a chi sbaglia. Le attese sono che sappia essere motivatore e coach, stratega e psicologo della squadra e del singolo.

Nessun genitore permette più a nessun allenatore di maltrattare i propri ragazzi. Il contesto è cambiato. Mentre prima poteva permettersi di essere solo un grande tecnico e magari un ex calciatore, oggi deve essere anche mentor e motivatore.

La situazione ottimale richiede una sovrabbondanza di competenze rispetto al ruolo. Il soggetto che possiede un bagaglio superiore rispetto al ruolo richiesto può esperire disagio, ma dall’altro lato è più flessibile rispetto a nuove esigenze o a spostamenti di ruolo, così come a mutamenti di scenario che pongano sfide nuove o superiori.

Al contrario, la persona che conosce solo il minimo indispensabile rispetto al ruolo odierno, andrà incontro presto ad invecchiamento professionale. Il soggetto non riuscirà presto a corrispondere alle aspettative dell’azienda, o degli scenari e sfide che è chiamato a fronteggiare.

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