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principio della psicologia percettiva di prodotto

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© Copyright estratto dal libro di Daniele Trevisani (2016).  Psicologia di Marketing e Comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management. Milano, Franco Angeli, 9° edizione.

Prodotti ergogenici

Capire quali emozioni suscita un’interfaccia di prodotto o un interfaccia di servizio è importante in quanto la gradevolezza dell’esperienza emotiva si correla positivamente alla propensione d’acquisto.

Le emozioni sono eventi mentali successivi alla percezione di un oggetto (ad esempio, la fruizione di un film, la lettura di un libro, la contemplazione di un panorama turistico, l’utilizzo di un robot da cucina). Le esperienze che le persone hanno dei prodotti generano un’attività mentale, un sentimento che determina anche modificazioni organiche (ansia, rilassatezza, sudorazione, spossatezza). Ad esempio un utensile per falciare l’erba mal progettato genera non solo stanchezza fisica, ma anche emozioni di ira verso il venditore o verso se stessi per averlo acquistato.

Lo stesso vale per l’interfaccia grafica di un programma per PC. Da essa possono emergere emozioni piacevoli: gioia per la facilità di creazione del proprio progetto, resa possibile dalla buona qualità dell’interfaccia. Queste emozioni d’uso si trasferiscono verso l’azienda produttrice in un processo di osmosi emotiva. Le osmosi negative producono invece l’odio verso il produttore, derivato dalla frustrazione d’uso o dalle aspettative non mantenute.

Ogni prodotto è quindi in grado di generare emozioni, più o meno forti, più o meno intense. La generazione delle emozioni avviene in seguito ai rapporti che la persona ha con la superficie del prodotto, con le sue “interfacce” (interfacce prodotto). Il concetto di interfaccia esprime infatti ciò che sta tra il prodotto e l’utilizzatore, includendo gli aspetti di superficie, gli elementi visibili e tangibili, i comandi, i controlli, e tutto ciò che del prodotto viene fruito, visto, toccato, respirato.

In termini di marketing e di nascita della pulsione d’acquisto, assume peso la capacità di un’interfaccia di produrre emozioni (piuttosto che semplici input sensoriali, asettici, privi di carica emotiva). Un computer con schermo nero e caratteri verdi produce – nell’utilizzatore medio – meno emozioni di un computer che emette suono, video, musica, immagini animate, colorate, divertenti o interessanti. In ogni campo merceologico, e per ogni target, tali emozioni dovranno essere adeguatamente tarate. Il solo fatto di emettere più dati (più colori, o altro) non è sufficiente a creare marketing emotivo. Occorre valutare la rilevanza e gradevolezza di quei dati per il soggetto.

L’ergogenesi rappresenta il processo di percezione delle sensazioni interne all’organismo. Un dolore ad una parte del corpo – ad esempio il mal di testa – o una sensazione positiva (il gonfiore muscolare provocato da un intenso allenamento, per un bodybuilder) sono esempi di sensazioni ergogeniche, così come la percezione di sensazioni emotive di fiducia, di ansia, di tristezza, di gioia o di intensa speranza.

I prodotti con funzione ergogenica diretta sono ad esempio gli psicofarmaci – che modificano le percezioni interne dell’organismo e alterano gli stati di coscienza – gli antidolorifici, l’alcool e altre sostanze psicoattive. Possiamo parlare in questo caso di ergogenesi diretta o indotta da sostanze.

Altri prodotti, servizi, prestazioni e situazioni possiedono funzione ergogenica indiretta, attuata senza introdurre sostanze nell’organismo, basandosi unicamente sulle proprietà del prodotto di infondere emozioni. Ad esempio, la valenza di un prodotto turistico, un tramonto sul mare, accompagnato dal rumore delle onde e dal profumo della salsedine, le sensazioni del ballo, la potenza della guida, un design emozionante.

L’emozione complessiva risultante dalla esperienza di un acquisto, il senso generale di professionalità che un venditore riesce a creare, o la piacevolezza di utilizzo di un sistema operativo per computer, costituiscono esempi ulteriori.

Produrre sensazioni costituisce la funzione ergogenica del prodotto.

Anche in campo alimentare l’esperienza totale di prodotto (ETP) – poniamo un pasto di mezzogiorno – è data da un sistema iniziale percettivo (visione del cibo, gusto, olfatto, sensazioni tattili durante la masticazione), e da un sistema successivo di ergogenesi (pesantezza o lentezza digestiva, effetti sul rendimento lavorativo e sullo stato di veglia).

A livello pratico, è necessario analizzare quali prodotti sono suscettibili di possedere funzioni ergogeniche, per poi stabilire la sensazione ergogenica da sviluppare. Lo sviluppo delle sensazioni ergogeniche target dà luogo a strategie di marketing emotivo, che consiste nel pianificare le emozioni complessive generate dal prodotto (prestazione emotiva del prodotto/servizio) sul consumatore target.

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La Gestalt

Il cliente può avere difficoltà, o non percepire immediatamente, il valore che si nasconde dietro la soluzione o il prodotto. Tra gli errori più gravi del venditore vi è senza dubbio la “presunzione della chiarezza del valore”.. Compiere questo errore significa supporre che il cliente debba cogliere il valore di una proposta automaticamente. Significa pretendere che tutti debbano vedere e capire ciò che noi vediamo e capiamo perfettamente.

La psicologia cognitiva ci aiuta a capire questo fenomeno. È per tutti scontato che nell’insieme di chiazze sottostanti sia presente qualcosa?

L’immagine dimostra il “principio dell’emergenza” nella percezione. Le regioni locali dell’immagine non contengono sufficiente informazione per formulare un’ipotesi di contenuto, ma non appena l’immagine viene riconosciuta come quella di “un cane”, i contorni percettivi della figura iniziano a prendere forma, riempiendo i perimetri visuali in regioni nelle quali i contorni sono assenti nello stimolo reale.

Certamente, il dalmata che annusa la strada diventerà una normalità per chi è abituato a vederlo, ma non necessariamente per un osservatore casuale.

Lo stesso processo di percezione si applica all’impresa e ai suoi servizi. Ad esempio, per l’impresa che propone servizi internet o formazione aziendale, il potenziale e il valore delle soluzioni offerte sono chiari, palesi, e “parlano da soli”. Per il cliente no.

In questo, ed in altri casi, il cliente va “aiutato a capire”, il che è possibile solamente adottando un approccio centrato sul cliente. Adottare un approccio di vendita e di marketing “centrato sul cliente” significa riconoscere due cose: (1) il cliente non è né un “pollo da spennare”, un soggetto al quale chiedere tanto per poi dare poco, né (2) il padrone dell’azienda o del venditore.

Il cliente è semplicemente una persona, un soggetto, con il quale dobbiamo stabilire un rapporto di business franco, diretto, personale. La base delle relazioni di successo è la trasparenza reciproca. Il cliente è un soggetto che deve essere capito in profondità, ma che al tempo stesso deve essere stimolato a rapportarsi verso l’azienda con la stessa volontà di comprendere.

Questa differenziazione emerge ad esempio nel modo di gestire le obiezioni o di fissare il prezzo. Le scuole tradizionali di vendita insegnano a fissare il prezzo partendo da un punto superiore (target price) per poi scendere a prezzi più bassi man mano che prosegue la trattativa, sino al punto di cedimento (soglia inferiore del range negoziale).

Un approccio centrato sul cliente produrrebbe invece una modalità di comunicazione del prezzo di questo tipo, di fronte ad un’obiezione: «abbiamo analizzato in profondità i tuoi obiettivi, abbiamo capito che l’azienda è a questo punto del suo ciclo di vita, e vuole fare un salto di qualità. Abbiamo analizzato assieme cosa occorre per fare questo salto, quali sono le risorse necessarie. Se mi chiedi di tagliare il prezzo devi però dirmi cosa vuoi tagliare, quali obiettivi non vuoi più raggiungere, o se vuoi impiegare risorse di qualità più scarsa. È questo che vuoi? Proviamo a ripercorrere assieme cosa succede nel caso A, e cosa può succedere nel caso B …. Tu dove vuoi arrivare veramente?». Il marketing moderno non è il “regno del più furbo”, ma il regno delle relazioni. Soltanto chi riuscirà a stabilire relazioni forti, empatiche e reciprocamente umane con il cliente può aspirare a qualche forma di successo.

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La Gestalt del prodotto e l’immagine dell’impresa

Un esperimento di Bugelsky e Alampay, del 1961, ha dimostrato come il fattore situazionale modifichi radicalmente la percezione dello stesso oggetto. Il loro esperimento viene spesso usato per definire l’influenza del set percettivo. Il set percettivo è un contesto situazionale ampio, che coinvolge le esperienze precedenti dell’individuo e determina l’inquadramento delle nuove informazioni in ingresso.

Ad un gruppo di osservatori nell’esperimento è stato mostrato un disegno ambiguo aperto all’interpretazione. Il disegno poteva essere interpretato infatti come un topo o un come un volto umano.

Prima di vedere l’immagine, ai gruppi sono state mostrate delle sequenze di immagini. Un gruppo di controllo, che non aveva visto alcuna immagine precedente, vide nella figura un uomo. Il gruppo che aveva visto la prima sequenza di immagini (vedi figura seguente) percepiva in seguito un topo . In altre parole, lo stesso stimolo visivo può subire due interpretazioni completamente diverse in funzione di ciò che è accaduto prima.

Lo studio è stato da me replicato e verificato sperimentalmente in numerose altre situazioni ottenendo identici risultati.

L’effetto sopra dimostrato (set percettivo) ci induce a sottolineare l’importanza della cura progettuale degli elementi di primo impatto nei prodotti, e  – in generale – la cura di qualsiasi prima occasione di incontro tra azienda e cliente, o tra persone che non si conoscono ancora.

In base al fenomeno del set percettivo, le persone si auto-condizionano a valutare le esperienze successive sulla base delle prime esperienze. Le prime esperienze di prodotto, in altre parole, formano un imprinting, una “marchiatura” dell’azienda, uno schema di riferimento valutativo che guiderà le future considerazioni.

Ad esempio, una lettera sbagliata, un sito internet mal progettato e dilettantesco, un catalogo male impaginato, macchie, errori grammaticali e ortografici – producono un filtro negativo che guiderà  le valutazioni future del cliente. Le valutazioni di un singolo elemento si trasferiscono per osmosi all’intero sistema aziendale. Se così poca cura è stata posta in una semplice lettera  – pensa il cliente – cosa succederà poi a livello di prodotti, o di assistenza e garanzie?

Le prime impressioni guidano le impressioni future. Modificare le impressioni successive ad una serie di valutazioni iniziali negative, i primi momenti di impatto avuti dal cliente, è opera ardua, e richiede molto sforzo (inversione di atteggiamento).

Il fenomeno della persistenza dell’impressione porta il soggetto a ragionare sulla base di regole euristiche. Le euristiche sono modalità di ragionamento stereotipiche, che utilizzano particolari frame o set percettivi per guidare le future analisi degli oggetti o delle persone.

La ricerca dell’evitazione di dissonanza cognitiva dirige la percezione lungo una linea di stabilità e uniformità con le sensazioni iniziali. Se il sito internet dell’azienda (elemento altamente esposto nella linea di visibilità) contiene errori o produce immagine negativa, il cliente sarà portato a ricercare errori e negatività anche in altre parti dell’azienda. Se l’impressione iniziale è positiva, gli errori successivi verranno valutati meno negativamente, godendo di un “bonus” euristico, che porta il cliente a convincersi che si tratta di “errori passeggeri” e non di “errori fondamentali”.

La psicologia della Gestalt può essere considerata – in linea molto semplificata – una scuola di pensiero nella quale si pone attenzione ai rapporti tra un “tutto” e i suoi componenti, tra elemento e insieme di appartenenza.

Le ricerche sottolineano che le persone, andando alla ricerca di una coerenza con i propri costrutti mentali, mettono in pratica comportamenti di percezione selettiva, percezione distorsiva e attenzione selettiva. In altre parole, filtrano la realtà e cercano di ricostruirla per ridare ad essa un senso. Nel farlo, utilizzano dei “set” o “frame” (punti di osservazione e modalità di inquadramento), come linee guida.

Le ripercussioni sulla fruizione del prodotto e sulla customer satisfaction sono numerose. Le caratteristiche del prodotto possono infatti venire giudicate in maniera diversa – più o meno positiva – a seconda del frame adottato.

Nell’immagine che segue è presentata una figura che contiene due possibili interpretazioni, una “anziana signora” o la “giovane col volto girato”. Quali delle due seguiremo per prima, è un effetto del nostro set percettivo (frame).

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Principio della psicologia percettiva di prodotto

Ciò che il cliente valuta nella sua esperienza del prodotto, non è la sua reale consistenza, ma ciò che del prodotto “filtra” attraverso (1) i sensi biologici, e (2) attraverso gli schemi culturali di riferimento o frames culturali, passando per i filtri percettivi e mnemonici (attenzione selettiva, percezione selettiva e ricordo selettivo).

I processi di filtratura distorcono la percezione oggettiva, sino a trasformare completamente le valutazioni.

Come riporta Packard, nella sua analisi sociologica della persuasione dei consumatori, gli ostacoli psicologici verso un prodotto sono persino in grado di trasformare la percezione della realtà. Il caso esposto da Packard riguarda la margarina. Questo prodotto, nel contesto del mercato USA degli anni ’40 e ‘50, assumeva una immagine di prodotto artificiale, sintetico, quasi pericoloso, da “massaia poco attenta alla famiglia”, mentre il suo concorrente, il burro, era visto come naturale, da “brava mamma”, pulito. Vediamo cosa emerse dalle ricerche:

Cheskin dimostrò in modo inequivocabile il carattere irrazionale della ostilità che la margarina incontrava. Durante una colazione, cui partecipava un numeroso gruppo di donne, Dichter chiese alle convenute se fossero in grado di distinguere il burro dalla margarina. Oltre il 90% rispose affermativamente, aggiungendo di preferire il burro perché la margarina aveva un sapore «oleoso», «grasso», «più simile al lardo che al burro», per citare alcune definizioni. A ogni signora presente furono allora serviti due medaglioni, uno giallo (di margarina) e l’altro bianco (di burro fresco). Si trattava di riconoscere, al gusto, l’identità di ciascuno, e di definirne il sapore. Oltre il 95% delle donne scambiarono la margarina gialla per burro, definendola di gusto «puro» e «fresco», e il burro bianco per margarina, lamentandone il sapore oleoso e grasso, simile a quello dello strutto. Avevano, insomma, trasferito al palato una sensazione ottica.

Più recentemente, lo stesso fenomeno è stato dimostrato da Westcombe e Wardle (1997) in un esperimento riguardante un diverso prodotto: lo yogurt. I ricercatori hanno dimostrato che il semplice fatto di apporre una etichetta diversa su una confezione di yogurt (con la dicitura “a basso contenuto di grasso”) causava una valutazione di minore gustosità. Anche se lo yogurt era assolutamente lo stesso.

Riconoscere i che operano su noi stessi consente di divenire consumatori più consapevoli. Per il professionista di marketing, riconoscere i filtri che operano sui consumatori significa poter anticipare le reazioni al prodotto e alla comunicazione.

La combinazione di distorsioni percettive e valutazioni soggettive genera comportamenti di acquisto che sono lontani dall’essere facilmente prevedibili con l’intuito. Solo la ricerca è in grado di fare luce dove l’intuito fallisce.

Dobbiamo considerare tutta la gamma di possibili filtri che si frappongono tra la realtà “vera” e la realtà percepita dal consumatore. Questi filtri – biologici, mnemonici e culturali – determinano il passaggio dalla realtà oggettiva ad una realtà interpretativa.

La percezione viene distorta anche a causa di un fenomeno diverso: il punto di osservazione. Qualsiasi oggetto o idea può infatti essere osservato ed esperito da molteplici punti. L’osservazione da tutti i punti possibili è spesso impossibile, richiederebbe troppo tempo. Accade quindi che due clienti sviluppino impressioni diverse dello stesso prodotto o azienda, a causa delle diverse esperienze da loro avute.


Nell’esempio, l’oggetto reale è composto da un ovale e quattro elementi: A, B, C, D, dei quali tuttavia i due soggetti osservano porzioni diverse e percepiscono caratteristiche diverse. L’esperienza delle due persone, è stata diversa. Lo stesso accade con le aziende, i prodotti, e le prestazioni.

La presenza di diversi punti di osservazione e di filtri alla percezione (biologici, mnemonici, culturali) determina una trasformazione da realtà oggettiva a realtà percettiva, le cui dimensioni possono assumere un divario anche molto ampio.

Principio 3 – Della psicologia percettiva di prodotto

  • La competitività dipende dalla capacità aziendale di curare gli aspetti percettivi del prodotto/servizio, realizzando qualità percepibile dal consumatore.
  • L’azienda deve comprendere quali elementi sono esposti alla valutazione del cliente. La realizzazione della qualità percepibile dipende da una corretta analisi della linea di visibilità e linea di percettività dell’organizzazione e del prodotto, unita all’analisi dei meccanismi, dinamiche e filtri percettivi, di fruizione e valutazione.
  • Il coinvolgimento del cliente (a livello progettuale e di miglioramento) nelle fasi di ricerca è indispensabile alla progettazione delle soluzioni ad esso destinate.

Attraverso tecniche qualitative e sperimentali è possibile determinare i valori di utilità attribuiti dal fruitore alle specifiche caratteristiche del prodotto/servizio, identificando le variabili critiche della qualità percettiva e i livelli che ne ottimizzano le prestazioni.

I meccanismi percettivi generano effetti a  livello di marketing, nella valutazione dei prodotti e dei servizi. Ad esempio, un viaggio aereo può generare maggiore ansia ed apprensione per la sicurezza rispetto ad un autobus di linea, anche se alla prova dei fatti (statisticamente parlando) la probabilità di incidente è inferiore.

Allo stesso tempo, un’acqua potrebbe risultare assolutamente gradevole per il consumatore anche se microbiologicamente impura, radioattiva a livelli mortali, o inquinata da elementi non percepibili. Questo determina due tipologie di prestazione: la prestazione oggettiva (rilevabile in laboratorio e basata su dati fisici) e la prestazione soggettiva, la quale risiede unicamente nelle sensazioni del fruitore.

Accanto alla cura tecnica del prodotto che l’etica aziendale deve imporre, assumono un ruolo primario nella progettazione del prodotto e più in generale del mix aziendale fattori di pertinenza psicologica, quali le soglie percettive, la linea di percettività e i fattori di percettività.

Questa impostazione costituisce una importante differenza rispetto al mainstream dominante nelle imprese, focalizzato sugli aspetti prestazionali tecnici piuttosto che sulla psicologia del prodotto.

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