Le strategie motivazionali vincenti puntano a valorizzare l’orgoglio di appartenenza (Pride) e il senso di riconoscimento o riconoscenza (Recognition) per il contributo che una persona apporta al team o al gruppo, o alla causa.
L’orgoglio di appartenenza (ad una nazione, ad un gruppo, ad una famiglia) alimenta le energie motivazionali attraverso diversi canali: l’individuo percepisce che il risultato sarà apprezzato da un insieme più vasto di persone. E non solo. Percepisce che il suo lavoro non si limita al fine materiale, può lasciare una traccia di sé, arriverà un riconoscimento morale o materiale per la sua azione.
Questo alimenta l’immagine di sé nel gruppo, la persona contribuisce al gruppo di cui fa parte o al suo benessere complessivo.
Il Pride (orgoglio) permette inoltre di assorbire energie da temi e simboli che caratterizzano il sistema. Il saluto alla bandiera nell’Esercito, l’inno nazionale per una squadra sportiva, sono momenti in cui l’individuo (se crede in quanto sta facendo) innesca una connessione forte con sistemi superiori e con valori sani che li caratterizzano.
Quando questi canali mancano, l’unico fattore motivazionale rimanente è una motivazione endogena, autoprodotta, che non fruisce del rinforzo dei gruppi e sistemi di appartenenza.
I sistemi motivazionali che agiscono tramite orgoglio, senso di appartenenza e riconoscimento, valgono sia nei gruppi formali, ad esempio un’azienda o una pubblica amministrazione, che nei gruppi informali o sociali, quali una famiglia o un gruppo di amici.
Una casalinga che senta il proprio ruolo poco apprezzato e valorizzato, e non riceva riconoscimenti dai membri familiari, potrà unicamente far leva su energie autoctone, ma il mancato riconoscimento del contributo dato poterà prima o poi ad un calo di energie motivazionali.
Il team, l’azienda, pubblica amministrazione, direzione o leader, o la famiglia, che eroga solo sanzioni quando le cose non vanno, e non premia gli sforzi delle persone o i risultati, distrugge i meccanismi della motivazione positiva al risultato (Recognition).
Far crescere l’attenzione verso questo tema è già un risultato in sè. Nelle organizzazioni serie, si possono compiere anche progetti strutturati. Ad esempio, indagare con tecniche quali il differenziale semantico e altri metodi, il profilo di immagine interna percepita dai membri dell’organizzazione, per valutare quando si discosta da una organizzazione per la quale valga la pena di battersi e impegnarsi (Pride). Capire queste percezioni permette di poter intervenire con azioni di comunicazione interna, informazione e motivazione del personale, o sviluppo organizzativo.
Le energie mentali diminuiscono o si esauriscono quando:
l’individuo non percepisce un forte senso di adesione ad un gruppo, non dispone di orgoglio di appartenenza (Pride); specularmente, le energie mentali diminuiscono quando il gruppo non attiva nessuna azione efficace per far sentire un individuo suo membro importante, aumentarne l’orgoglio di appartenenza, la stima, l’onore della partecipazione, la gratificazione al contributo, lo status nel gruppo;
i gruppi di appartenenza non offrono ricompensa morale e gratificazione, banalizzano il valore dell’appartenenza (mancanza di una strategia di Pride nell’organizzazione);
l’individuo non ha fatto propria la mission aziendale o del team, non è in sintonia con gli scopi, o non sente un compito o missione come proprio, non crede e non prova orgoglio verso l’utilità del proprio operato o del valore del gruppo;
l’immagine del gruppo di cui fa parte (identità di gruppo percepita) è negativa, ed egli non vi si associa volentieri;
il profilo di immagine interna percepito dai membri dell’organizzazione si discosta da quello di una organizzazione per la quale valga la pena di battersi e impegnarsi;
il gruppo o la direzione non premiano l’individuo per i risultati o per lo sforzo, sono assenti sistemi di riconoscimento (materiale o immateriale) e soprattutto forme significative di gratificazione morale (Recognition).
Le energie mentali aumentano quando:
un fine, causa, ideale o progetto può essere condiviso con altri che vi credono;
l’individuo percepisce un forte orgoglio di appartenenza a gruppi che considera positivi;
i gruppi sviluppano una strategia di Pride (orgoglio) verso i propri membri, con azioni di gratificazione e riconoscimento per l’appartenenza stessa e la partecipazione alle attività del gruppo;
esiste un senso di unità tra l’individuo e la missione del gruppo di cui fa parte.
Chiunque desideri produrre performance e sviluppare il proprio potenziale deve intraprendere una ricerca, spesso laboriosa, per trovare individui, amici, gruppi di persone, centri di ricerca, gruppi d’incontro, club, gruppi di lavoro, associazioni o altre istituzioni, con cui poter condividere un’esplorazione e un cammino, sia essa anche solo una passione comune come il ballo o lo sport, o qualcosa di più intellettuale o culturale.
E soprattutto, i leader di questi gruppi devono far si che esserne parte sia qualcosa di speciale, di arricchente, e dia nutrimento umano, gratificazione e senso di appartenenza.
Altri materiali su Comunicazione, Coaching, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:
chiarezza del messaggio, coerenza tra i vari messaggi;
riferimenti, presenza di “deissi” (chi, dove, come, quando, con chi, dati ed elementi di verità) in grado di ridurre confusione e combattere l’“entropia” (deriva verso il caos) nel progetto;
sensibilità emotiva: sa quando un messaggio può essere utile, motivante, e quando corrosivo, distruttivo; di base lavora per costruire;
sensibilità situazionale: sa quando è il momento di dare istruzioni rapide, ordini, e quando è il momento di ascoltare, di soppesare, empatizzare. Capire se si tratta di una situazione di crisi, di routine, di picco, di dare istruzioni, fornire un chiarimento, o di altro. Se così non fosse, un leader dirigerebbe un’evacuazione da un incendio come un colloquio psicanalitico.
Ogni gruppo indistintamente può passare da un assembramento casuale e forzato di persone, praticamente una massa di amebe che se ne fregano una dell’altra, a una forza speciale intesa come energie umane in azione che si coordinano e di cui qualcuno prende la responsabilità coordinativa (leadership).
La comunicazione di un buon leader ha capacità coordinative (pratiche) e ispirative (leadership spirituale e morale).
Quando queste due aree si uniscono, un gruppo diventa capace di cose incredibili. Un buon addestramento e formazione sulle comunicazioni operative sa attivare dei valori che motivano le persone a esserci e insegna alle persone come coordinare i loro sforzi.
Principio 2 – La comunicazione di un buon leader
La qualità della comunicazione è un fattore chiave per la leadership. La comunicazione di un buon leader:
è chiara e consistente nei messaggi, riferimenti, “deissi”, chiara nelle aspettative nei riguardi delle persone e le trasmette apertamente;
è chiara nei sistemi di “rinforzo” o “premi psicologici” dei comportamenti virtuosi e riconosce impegno, sforzi e risultati;
non trasmette aspettative impossibili, negative e demotivanti, ma input possibili e motivanti, distinguendo bene la trasmissione di una “vision” dalle comunicazioni operative che si attuano per produrre questa vision;
instilla “pride & recognition”: orgoglio e senso di appartenenza al gruppo;
è chiara sui “rinforzi negativi”, punizioni e interventi correttivi: riprende i comportamenti che non vanno, non li lascia strisciare né crescere, sa farsi valere quando serve, consapevole che il futuro del gruppo dipende dalla sua coesione e dai comportamenti agiti in ogni istante che conta;
tiene un buon battle rhythm, un ritmo di battaglia, una ritmica di messaggi e azioni che ha un suo flusso e una sua logica, una cadenza, una continuità, momenti e picchi alti e pause ragionate, in un concerto ben consapevole.
Se fossimo un’orchestra, chiediamoci: che brano vogliamo suonare ora in questo gruppo? Una marcia funebre, o la Cavalcata delle Valchirie? Un brano con sfondi emotivi allegri o tristi? Una musica epica o popolare? Che ritmi si sentono? 60, 120 battiti per minuto o 200? E per quanto una persona può tenere 200 battiti per minuto senza crollare?
Tutto questo ha a che fare con la gestione delle energie dei membri del team e soprattutto l’autogestione delle energie da parte del leader stesso. Il lavoro su di sé, da parte del leader, diventa sempre più una necessità quanto più alti sono gli obiettivi.
chiarezza del messaggio, coerenza tra i vari messaggi;
riferimenti, presenza di “deissi” (chi, dove, come, quando, con chi, dati ed elementi di verità) in grado di ridurre confusione e combattere l’“entropia” (deriva verso il caos) nel progetto;
sensibilità emotiva: sa quando un messaggio può essere utile, motivante, e quando corrosivo, distruttivo; di base lavora per costruire;
sensibilità situazionale: sa quando è il momento di dare istruzioni rapide, ordini, e quando è il momento di ascoltare, di soppesare, empatizzare. Capire se si tratta di una situazione di crisi, di routine, di picco, di dare istruzioni, fornire un chiarimento, o di altro. Se così non fosse, un leader dirigerebbe un’evacuazione da un incendio come un colloquio psicanalitico.
Ogni gruppo indistintamente può passare da un assembramento casuale e forzato di persone, praticamente una massa di amebe che se ne fregano una dell’altra, a una forza speciale intesa come energie umane in azione che si coordinano e di cui qualcuno prende la responsabilità coordinativa (leadership).
La comunicazione di un buon leader ha capacità coordinative (pratiche) e ispirative (leadership spirituale e morale).
Quando queste due aree si uniscono, un gruppo diventa capace di cose incredibili. Un buon addestramento e formazione sulle comunicazioni operative sa attivare dei valori che motivano le persone a esserci e insegna alle persone come coordinare i loro sforzi.
Principio 2 – La comunicazione di un buon leader
La qualità della comunicazione è un fattore chiave per la leadership. La comunicazione di un buon leader:
è chiara e consistente nei messaggi, riferimenti, “deissi”, chiara nelle aspettative nei riguardi delle persone e le trasmette apertamente;
è chiara nei sistemi di “rinforzo” o “premi psicologici” dei comportamenti virtuosi e riconosce impegno, sforzi e risultati;
non trasmette aspettative impossibili, negative e demotivanti, ma input possibili e motivanti, distinguendo bene la trasmissione di una “vision” dalle comunicazioni operative che si attuano per produrre questa vision;
instilla “pride & recognition”: orgoglio e senso di appartenenza al gruppo;
è chiara sui “rinforzi negativi”, punizioni e interventi correttivi: riprende i comportamenti che non vanno, non li lascia strisciare né crescere, sa farsi valere quando serve, consapevole che il futuro del gruppo dipende dalla sua coesione e dai comportamenti agiti in ogni istante che conta;
tiene un buon battle rhythm, un ritmo di battaglia, una ritmica di messaggi e azioni che ha un suo flusso e una sua logica, una cadenza, una continuità, momenti e picchi alti e pause ragionate, in un concerto ben consapevole.
Se fossimo un’orchestra, chiediamoci: che brano vogliamo suonare ora in questo gruppo? Una marcia funebre, o la Cavalcata delle Valchirie? Un brano con sfondi emotivi allegri o tristi? Una musica epica o popolare? Che ritmi si sentono? 60, 120 battiti per minuto o 200? E per quanto una persona può tenere 200 battiti per minuto senza crollare?
Tutto questo ha a che fare con la gestione delle energie dei membri del team e soprattutto l’autogestione delle energie da parte del leader stesso. Il lavoro su di sé, da parte del leader, diventa sempre più una necessità quanto più alti sono gli obiettivi.
(c) Dal volume Personal Energy di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore
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Se è vero che siamo in viaggio, sorge una domanda. Cosa vorresti dire di aver fatto al termine di questo viaggio?
In altre parole, quando arriverà un giorno in cui ti guarderai indietro, cosa vorresti vedere? Cosa ti farà sentire pieno di onore? E non parlo dell’”avere” materiale, ma di quanto hai tentato di fare.
L’idea stessa del “tentare” di fare viene bloccata dal fatto di ascoltare le voci sbagliate che ti demoralizzano, invece di ascoltare le tue voci interiori che ti dicono che si può provare.
Esiste la vita ed esiste il rischio. I due vanno assieme.
Accettare un rischio ragionevole è parte di ogni vita vera.
Non parlo di buttarsi da un grattacielo per vedere cosa succede. Quello è da idioti. Parlo del rischio associato ad avviare un impresa. Del rischio insito nel mettere al mondo dei figli e cercare di farli crescere, quando sarà ora.
Del rischio associato al tentare una vita e una carriera che di cui essere orgoglioso, anziché seguire la via della paura e della auto-castrazione.
Fare quello che altri vogliono da te, seguire quelle voci se non le senti tue, non ha senso. Prova ad ascoltare le tue voci nel silenzio di un alba, di un tramonto, accanto ad un lago o sulla cima di una montagna. Urleranno.
La maggior parte delle persone vive al buio. Il buio di una mancanza di orientamento, il buio di un senso della vita labile, smarrito, confuso.
Il buio della non conoscenza di chi potresti essere se solo riuscissimo a spezzare le catene. Quali catene? Ce ne sono tante. Tutti ne abbiamo.
Ne cito solo alcune: la catena della cultura di appartenenza che ti dice cosa mangiare e cosa non mangiare, come vestirti e come non vestirti, cosa è bene pensare e cosa non è bene pensare.
Nasci in una cultura che ti offre preconfezionata una religione, un gruppo etnico nel quale identificarti, e persino dei “cattivi” da odiare. Poi ci pensi bene, e ti accorgi che molti cattivi non lo sono (basta guardare ai primi film sugli Indiani d’America contro i Cowboy, in cui gli indiani erano dipinti come i cattivi e i Cowboy come gli eroi, grande bugia storica).
Piano piano scopri che molti, tra i buoni, sono dall’altra parte del pianeta e non li conosci nemmeno. E scopri anche che la “bontà” non si concretizza necessariamente in persone fisiche, ma in modi di pensare, e a volte te ne accorgi troppo tardi.
La catena dell’auto-castrazione fa il resto: pensare di non avere “il fisico” o “la testa” per fare certe cose, o ascoltare le persone che ti demoralizzano o non credono in te, impedisce persino di iniziare a darsi delle possibilità.
Ascolta le tue voci migliori. Lascia perdere il resto.
Serve uno scatto di orgoglio. Iniziare a pensare che lo puoi fare. Puoi lavorarci sopra. Puoi allenare il corpo e la mente. Puoi guadagnarti le capacità e competenze per potenziare il fisico e fare tanto per allenare la mente.
Essere deboli non è utile a nessuno. Anni di diseducazione hanno confuso la pace con la debolezza, la cortesia con l’accettazione dei soprusi.
Grande falsità.
La forza, se direzionata verso fini e cause importanti come la difesa dei deboli, la formazione e l’educazione, è un valore.
Finché abbiamo il tempo, finché abbiamo questo dono, finché la natura ce lo permette, usiamo questo privilegio raro.
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(c) Dal volume Personal Energy di Daniele Trevisani, Franco Angeli editore
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