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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Psicologia di marketing e comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore

Le condizioni reali di fruizione

In ogni campo del marketing percettivo, le condizioni reali di fruizione devono entrare al centro della progettazione.

Nella fruizione visiva di prodotto, una autovettura potrebbe essere stupenda vista da un’altezza di 1,80 mt., ma produrre un impatto molto inferiore se vista dall’altezza di circa un metro, che rappresenta il reale punto di osservazione del guidatore di un’altra auto in strada.

Per questo, molti modelli di auto “cadono” nel design di parti che sono collocate all’interno della linea di visibilità e detengono quindi un carico comunicazionale, ma non vengono normalmente considerate nella progettazione estetica. Tra queste, i longheroni dell’assale posteriore, o tubi di scappamento, magari funzionalmente perfetti ma inadatti al tipo di immagine che il modello vorrebbe trasmettere.

Allo stesso modo, il retro di un hotel o la vista delle cucine, se difformi all’immagine di facciata (sporcizia, incuria), distruggono l’immagine complessiva nel momento in cui il cliente ne viene a contatto.

Dal punto di vista del risultato, le componenti del prodotto o dell’offerta (o dell’esperienza d’acquisto) divengono oggetti non-contributivi, cioè oggetti che non forniscono contributo alla creazione di valore, o persino de-contributivi, quando vanno a danneggiare la percezione totale.

Psicopatologie degli oggetti quotidiani e interfacce del prodotto

Vi è poi un’altra area di ricerca, che fa riferimento alla facilità d’uso, alla funzionalità dei prodotti, alla loro capacità di risolvere problemi anziché crearne: la “psicopatologia degli oggetti quotidiani”, la quale analizza i problemi di interazione del prodotto con l’utilizzatore umano.

Il lavoro di Donald A. Norman The design of everyday things tratta il  tema della problematicità d’uso dei prodotti, i problemi e le frustrazioni che compongono la vita quotidiana delle persone che acquistano e usano merci. In questo rapporto viene evidenziato come la cattiva progettazione e la mancanza di analisi della psicologia del fruitore creino vere e proprie “psicopatologie degli oggetti quotidiani”. 

In molti casi si evidenziano chiare problematiche di staratura tra prodotto e usabilità umana, che vanno a svantaggio del consumatore, sino al caso famoso di un proiettore di diapositive, in cui per l’avanti si doveva premere un bottone per poco tempo, mentre per l’indietro si doveva premere lo stesso bottone, ma a lungo. Dinamiche contro-intuitive di funzionamento che producono difficoltà di apprendimento, ira, e immagine negativa del produttore.

Anche i prodotti devono apprendere a comunicare, a fornire feedback all’utente.

Quando spingi un bottone ti aspetti che succeda qualcosa. Se non c’è feedback inizi ad andare nel panico e pensi che qualcosa si sia rotto.  È importante fornire feedback in tempo reale, non il giorno dopo, non il minuto dopo. [1]

Come evidenzia Wroblewsky[2], nell’introduzione al corso Advanced User Interfaces:

Il cattivo design, nel senso di non essere capaci di capire come funziona la cosa, è più la regola che l’eccezione nella vita quotidiana. Non dovrebbe essere necessario possedere una laurea in ingegneria al MIT[3] per capire come funziona un comune videoregistratore. Ogni nuovo prodotto domestico pubblicizza caratteristiche nuove e migliorate. Molto spesso queste nuove “caratteristiche” aggiungono solo frustrazione nello sforzo di interpretare come funzionano le cose; in questo modo gli avanzamenti tecnologici, che dovrebbero in teoria semplificare le nostre vite, aggiungono sempre maggiore complessità aumentando la frustrazione; questo è il paradosso della tecnologia.

Il design del prodotto e la progettazione delle sue interfacce devono quindi essere user-centered, ergonomiche e tarate sulle esigenze ed abilità dell’utente. 

Ciascun prodotto, ciascuna interfaccia, ed ogni elemento di contatto deve essere testato ampiamente in diverse condizioni d’uso, coinvolgendo in prove e test più utilizzatori, con lo scopo di scoprire i problemi che derivano dall’uso, eliminare la frustrazione, le problematicità, e, in ultimo, aumentare la produttività e la soddisfazione di chi lo impiega. A questo scopo le aziende produttrici possono impiantare specifici laboratori di utilizzo o, nell’esperienza dell’autore, “laboratori di interazione”, in cui i clienti utilizzano i prodotti e riportano al comparto tecnico e marketing i miglioramenti auspicabili.

La tecnica PSA (perceptual steps product-interaction analysis)

Le valutazioni che il cliente sviluppa sul prodotto avvengono in base ad una sequenza temporale di “avvicinamento” al prodotto, una sequenza di steps. Come abbiamo sottolineato in precedenza, nell’ambito del rapporto psicologico con un prodotto, non tutte le componenti dello stesso possiedono uguale gradiente di importanza. Alcuni steps sono più critici di altri.

Alcuni elementi, che denomineremo first above perceptivity line (FAPL, primi in linea rispetto alla percezione umana) possiedono un elevato carico comunicazionale di prodotto, ovvero incidono molto più fortemente di altri sulla percezione del consumatore – sia per la frequenza con cui vi entrano a contatto che per l’ordine di contatto a livello di step di utilizzo.

Se analizziamo il momento di prova di un’autovettura all’interno di un salone, noteremo che il primo elemento valutativo è dato dall’esterno della stessa (carrozzeria, colori, forme). Il secondo elemento proviene dall’apertura della porta, il terzo elemento dalla visione dell’interno. Avremo in seguito l’atto di entrata e quindi l’atto di seduta al posto di guida.

A seconda di quanto in profondità si voglia giungere nell’analisi dell’azione valutativa del cliente, è possibile analizzare diversi stadi: 

  • le micro-azioni, il comportamento del cliente “al microscopio” temporale (ad esempio, i singoli movimenti del capo e oculari che il cliente mette in atto nella valutazione di una vetrina); nel nostro metodo MICRO-PSA (micro-actions perceptual steps product-interaction analysis).
  • le meso-azioni, ad esempio, ciò che il turista compie in un arco di ore, inclusi tutti i diversi passaggi valutativi, precedenti e successivi all’acquisto; l’analisi relativa è denominata MESO-PSA (meso-actions perceptual steps product-interaction analysis). Riguarda azioni complete e distinte, che delimitano le fasi di fruizione del prodotto e possono considerarsi separate (durata: da pochi secondi ad alcuni minuti, es: l’avvicinamento ad un banco di frutta, la valutazione estetica ed odorifera, l’acquisto, e l’uscita dalla scena)
  • le macro-azioni, le sequenze di eventi che il consumatore mette in atto dall’inizio alla fine del processo di acquisto, incluso il rapporto con il personale di vendita, la valutazione dei locali, delle atmosfere, dei climi umani, i test del prodotto, i dialoghi con gli amici, gli avvenimenti critici che accompagnano tutta la vita del prodotto nel suo utilizzo, sino al punto di monitorare il comportamento del cliente durante tutto l’acro di vita e capire come si è formata l’intenzione d’acquisto del prodotto nel corso degli anni). La tecnica relativa è denominata MACRO-PSA (macro-actions perceptual steps product-interaction analysis).

Uno dei risultati della tecnica consiste nel determinare le componenti del prodotto situate in posizione first above the line, per giungere ad una programmazione del prodotto (in fase ideativa o migliorativa) che massimizzi gli investimenti dell’azienda.

In questa trattazione forniremo una breve descrizione di un’analisi di frame realizzato con livello di dettaglio MESO-PSA. Analizzeremo una breve sequenza di durata approssimativa di pochi minuti, relativa alla “prova di seduta” su un autovettura da parte di un potenziale acquirente, all’interno di un autosalone. In questo setting entrano in scena diverse porzioni del sistema di marketing del prodotto:

  • Step 1: visione dell’esterno dell’auto: marketing visivo – valutazione degli elementi visivi, forme, colori, linee;
  • Step 2: apertura della porta: sub-azione “utilizzo della  maniglia” – si attivano i sistemi di pertinenza del marketing tattile per la sensazione provocata dalla maniglia (caldo-freddo, rigidità, forme), del marketing cinestesico per il livello di sforzo e le sensazioni che derivano dal movimento della maniglia (maggiore o minore resistenza, scatti di apertura), del marketing uditivo per quanto riguarda il rumore del meccanismo di movimento della maniglia; uno scricchiolio in questo punto, ad esempio, causa l’immediato innalzamento della criticità valutativa;
  • Step 3: apertura della porta: sub-azione “movimento della porta” – si attivano le valutazioni di marketing cinestesico in riferimento al livello di sforzo necessario, alla sensazione di solidità della maniglia e della porta, alla scorrevolezza delle cerniere di supporto. Si attiva il marketing uditivo per il rumore dovuto agli attriti (ovattato, stridente, alto, basso);
  • Step 4: visione dell’interno – marketing visivo per gli elementi di interior design;
  • Step 5: fase di ingresso nell’abitacolo: sub-azione di entrata – attivazione del marketing cinestesico per l’ergonomia di ingresso, marketing olfattivo per le fragranze, profumi, odori presenti nell’ambiente interno, marketing tattile per le sensazioni provenienti dalle maniglie o altri elementi di appoggio;
  • Step 6: fase di ingresso nell’abitacolo: sub-azione del sedersi – attivazione del marketing tattile per l’ergonomia dello schienale e della postazione di guida, marketing tattile per la sensazione data dal volante e dal pomello del cambio, marketing visivo per la visione del cruscotto e della plancia, marketing emotivo per la sensazione prodotta dalla sinergia degli elementi percettivi (look-&-feel del prodotto).

Nel caso esposto, in pochi minuti entrano in azione una molteplicità di sistemi valutativi e percettivi. Nulla è ancora conosciuto a livello di prestazione dell’autovettura (tenuta di strada, ripresa, consumi, velocità, comfort di guida) e tuttavia gli elementi FAPL (first above perceptivity line) hanno già determinato, in buona parte, il gradimento del prodotto. Hanno quindi predisposto il consumatore in senso positivo o negativo in termini di intenzione di acquisto (fenomeno di imprinting di prodotto). 

Difficilmente la prova del prodotto potrà modificare sensazioni iniziali negative, e comunque si tratterà di un percorso in salita, che richiede l’inversione degli atteggiamenti iniziali, con conseguente dispersione di risorse.

Una analisi delle micro-azioni con il metodo MICRO-PSA (micro-azioni), incentrato su frame di analisi minimali, avrebbe potuto evidenziare particolari di livello quasi subliminale, come ad esempio l’istante di ricerca di feedback che l’attore genera con il contatto visivo nei riguardi dei presenti (moglie o amico), i quali l’accompagnano nell’esperienza, per verificare il livello di accettazione da parte dei gruppi di riferimento (gli “altri rilevanti”) e quindi orientare le proprie reazioni successive.

Planning ambientale e trust-signals

Una variabile di marketing incisiva sui comportamenti di consumo è data dal “clima d’acquisto” o “atmosfera di acquisto”: le caratterizzazioni psicologiche e fisiche degli ambienti nei quali il consumatore realizza il comportamento decisionale e procede all’acquisto. 

L’atmosfera d’acquisto modifica l’attività di information processing, ad esempio (in caso negativo) facilitando l’orientamento verso informazioni negative, o facilitando la ricerca di filtri e obiezioni alle informazioni positive sul prodotto. Si pensi all’impressione generata dalle atmosfere di una discoteca semivuota, o di un ristorante con nessun cliente all’interno, di un cinema vuoto nei quali essere gli unici avventori, e a come questo produca una sensazione di disagio, scarsa intenzione di entrarvi, rimanervi o consumare. 

L’atmosfera può inibire o facilitare la decisione di acquisto e la quantità di beni acquistati. La ricerca di “climi d’acquisto target” costituisce una nuova frontiera del marketing, dove vengono analizzati i fattori contestuali che possono promuovere o frenare l’acquisto. 

La costruzione del clima di acquisto dipende da una accurata progettazione degli ambienti dal punto di vista percettivo (marketing percettivo). Questo significa allargare la progettazione dei punti di vendita (e più in generale dei punti di contatto azienda-cliente), includendo ogni sfera della percezione sensoriale (visiva, uditiva, olfattiva, tattile, emotiva).

In tal senso assume una posizione centrale il concetto di “Gestalt del punto di vendita”, o “Gestalt del punto di contatto”: la percezione dell’insieme percettivo di contatto del consumatore come un tutto intercollegato, e non come somma di componenti senza relazione tra loro. 

Una corretta pianificazione dell’ambiente di acquisto consente di trasformare l’esperienza di acquisto da “impegno” a “piacere”, aumentando la frequenza di visita del punto vendita. Infatti, non tutti ricercano le stesse esperienze d’acquisto nel frequentare un negozio o un ipermercato. Una ricerca di Roy (1994) [4] negli USA, ad esempio, ha rilevato che i visitatori frequenti di grandi centri commerciali (shopping malls) i quali hanno un reddito medio-elevato, non frequentano questi luoghi per via delle promozioni di prezzo – alle quali non pongono grande attenzione – ma sono alla ricerca di una esperienza ricreativa d’acquisto, un momento piacevole e di svago (acquisto ricreativo). I visitatori caratterizzati da un reddito inferiore, invece, sono più attenti agli sconti e visitano il punto di vendita con specifici obiettivi e liste di acquisto (acquisto funzionale).

Le considerazioni svolte in merito alla psicologia della percezione visiva, inoltre, ci portano a riflettere sull’impatto di tali dinamiche in termini di marketing e progettazione dei punti di vendita, e degli ambienti front-line.

Drammaturgia dell’ambiente d’acquisto

La gestione dei segnali ambientali, se non lasciata al caso, dà luogo ad una vera drammaturgia dell’ambiente, basata su una gestione delle scenografie, e persino delle mosse relazionali che avvengono all’interno dell’arena di acquisto. Alcuni direttori commerciali, ad esempio, sono abilissimi nel creare scenografie e sceneggiature ad-hoc in occasione di determinate visite in azienda da parte di clienti speciali, agenti, o potenziali clienti. 

Lunghe file di camion in attesa di caricare, linee di montaggio funzionanti di notte, montagne di ordini appena giunti, ne costituiscono la porzione scenografica materiale. Incontri, telefonate, accadimenti improvvisi, ne costituiscono la parte dinamica e drammaturgica relazionale. 

Al di là dell’aspetto teatrale, occorre sensibilizzarsi alla necessità di attivare una corretta pianificazione comunicazionale. L’impresa deve porre attenzione a ogni elemento della comunicazione, chiedendosi quali – tra gli elementi che vengono in contatto fisico e relazionale con il cliente – possono trasformarsi in trust-signals e distrust-signals.


[1] Wroblewsky, WSU, introduzione al corso Advanced User Interfaces, 2000.

[2] Washington State University, 2000.

[3] Massachusetts Institute of Technology, tra i principali centri di ricerca tecnologici mondiali.

[4] Roy, A. (1994). Correlates of mall visit frequency. Journal of Retailing, 70, 139-161.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Le parole chiave di questo articolo La percezione umana al centro del prodotto sono :

  • Carico comunicazionale
  • Psicopatologia degli oggetti quotidiani
  • User-centered
  • Interfaccia del prodotto
  • Tecnica PSA
  • Perceptual steps product-interaction analysis 
  • Micro-azioni
  • Meso-azioni
  • Macro-azioni
  • Clima-atmosfera d’acquisto
  • Gestalt del punto di vendita
  • Esperienza ricreativa
  • Acquisto funzionale
  • Acquisto ricreativo
  • Drammaturgia dell’ambiente
  • Pianificazione comunicazionale
  • Trust-signals
  • Marketing percettivo
  • Oggetti non-contributivi
  • Analisi della psicologia del fruitore
  • Distrust-signals

© Copyright estratto dal libro di Daniele Trevisani (2016).  Psicologia di Marketing e Comunicazione. Pulsioni d’acquisto, leve persuasive, nuove strategie di comunicazione e management. Milano, Franco Angeli, 9° edizione.

Psicopatologie degli oggetti quotidiani e interfacce del prodotto

In ogni campo del marketing percettivo, le condizioni reali di fruizione devono entrare al centro della progettazione. Nella fruizione visiva di prodotto, ad esempio, possiamo notare che il retro di un computer è spesso trascurato nella progettazione del design, mentre in realtà in molti studi professionali o uffici aperti al pubblico ciò che il visitatore o cliente vede, stando seduto “dall’altra parte della scrivania”, è proprio il retro di un computer.

Una autovettura potrebbe essere stupenda vista da un’altezza di 1,80 mt., ma produrre un impatto molto inferiore se vista dall’altezza di circa un metro, che rappresenta il reale punto di osservazione del guidatore di un’altra auto in strada.

Per questo, molti modelli di auto “cadono” nel design di parti che sono collocate all’interno della linea di visibilità e detengono quindi un carico comunicazionale, ma non vengono normalmente considerate nella progettazione estetica. Tra queste, i longheroni dell’assale posteriore, o tubi di scappamento, magari funzionalmente perfetti ma inadatti al tipo di immagine che il modello vorrebbe trasmettere.

Allo stesso modo, il retro di un hotel o la vista delle cucine, se difformi all’immagine di facciata (sporcizia, incuria), distruggono l’immagine complessiva nel momento in cui il cliente ne viene a contatto.

Dal punto di vista del risultato, le componenti del prodotto o dell’offerta (o dell’esperienza d’acquisto) divengono oggetti non-contributivi, cioè oggetti che non forniscono contributo alla creazione di valore, o persino de-contributivi, quando vanno a danneggiare la percezione totale.

Vi è poi un’altra area di ricerca, che fa riferimento alla facilità d’uso, alla funzionalità dei prodotti, alla loro capacità di risolvere problemi anziché crearne: la “psicopatologia degli oggetti quotidiani”, la quale analizza i problemi di interazione del prodotto con l’utilizzatore umano.

Il lavoro di Donald A. Norman The design of everyday things tratta il  tema della problematicità d’uso dei prodotti, i problemi e le frustrazioni che compongono la vita quotidiana delle persone che acquistano e usano merci. In questo rapporto viene evidenziato come la cattiva progettazione e la mancanza di analisi della psicologia del fruitore creino vere e proprie “psicopatologie degli oggetti quotidiani”.

In molti casi si evidenziano chiare problematiche di staratura tra prodotto e usabilità umana, che vanno a svantaggio del consumatore, sino al caso famoso di un proiettore di diapositive, in cui per l’avanti si doveva premere un bottone per poco tempo, mentre per l’indietro si doveva premere lo stesso bottone, ma a lungo. Dinamiche contro-intuitive di funzionamento che producono difficoltà di apprendimento, ira, e immagine negativa del produttore.

Anche i prodotti devono apprendere a comunicare, a fornire feedback all’utente. Questo vale soprattutto per quei prodotti che si interfacciano fortemente con il consumatore (es: interfacce grafiche dei sistemi operativi per PC, casalinghi, interfacce elettroniche e comandi, macchinari e utensili).

Quando spingi un bottone ti aspetti che succeda qualcosa. Se non c’è feedback inizi ad andare nel panico e pensi che qualcosa si sia rotto.  È importante fornire feedback in tempo reale, non il giorno dopo, non il minuto dopo.

Tra le considerazioni di Norman sottolineiamo i seguenti principi:

  • Occorre basarsi sull’interpretazione naturale dell’utilizzatore
  • Controlli e display devono utilizzare analogie con il mondo fisico e culturale (natural mapping)
  • Quando cose semplici hanno bisogno di immagini, etichette o spiegazioni, il design ha fallito
  • Il feedback deve rispedire all’utilizzatore informazione su quali azioni siano state effettivamente compiute
  • Deve esserci visibilità degli effetti in modo da sapere se le cose hanno funzionato bene
  • Devono essere considerati i vincoli esistenti, tra cui:
  • vincoli fisici, le azioni richieste devono essere fisicamente possibili
  • vincoli culturali: sono basati su standard culturali (ad esempio, il rosso semaforico viene associato allo stop, la lettura avviene nel mondo occidentale da sinistra a destra, ecc.)
  • Visibilità: gli oggetti utili (manopole, tasti, comandi, ecc.) devono essere visibili e comprensibili.

Altri lavori nel settore, quelli di Jakob Nielsen, trattano le problematiche delle interfacce. Esponiamo brevemente alcuni dei fattori di Nielsen, integrandoli con nostre esperienze, per ottenere un quadro più esaustivo delle variabili critiche nelle User Interfaces di prodotto:

  • Apprendibilità: il funzionamento deve richiedere il minore costo di apprendimento possibile
  • Intuitività: il funzionamento deve poter essere intuito in base alle forme, colori, e mappatura dell’interfaccia
  • Memorizzabilità: le informazioni d’uso devono essere costruite in modo da essere facilmente memorizzabili
  • Protezione dall’errore: devono esistere meccanismi in grado di proteggere dall’errore d’uso, segnalando operazioni improprie, o impedendole
  • Trasferimento di skills: deve essere possibile trasferire le skills necessarie ad un corretto impiego da un utilizzatore all’altro
  • Soddisfazione d’uso: l’uso dell’interfaccia deve produrre soddisfazione e piacere nell’utilizzatore
  • Linguaggio e terminologia: il linguaggio deve essere adattato a quello delle utenze. Le metafore visive devono essere utilizzate quando facilitano la comprensione intuitiva dell’informazione (es: il cestino utilizzato inizialmente dai PC Macintosh per indicare il luogo dove gettare i files, poi riprodotto da altri sistemi operativi quali Windows).
  • Consistency: lo schema visivo e logico deve essere uniforme in tutte le componenti dell’interfaccia, non bisogna generare confusione o cambiare schema, creando disorientamento
  • Uscite: devono esistere sistemi veloci ed evidenti, chiari, per sospendere le operazioni ed uscire dalle interfacce
  • Scorciatoie: le operazioni più frequenti o time-consuming devono essere in primo piano ed utilizzare scorciatoie (aggregazione di comandi, ecc.)
  • Messaggi di errore ben costruiti. Eventuali messaggi di errore sono inutili se non sono comprensibili dall’utente
  • Istruzioni e documentazione: devono essere il meno necessarie possibile, ma deve essere possibile accedervi velocemente in caso di bisogno. Le informazioni devono essere facilmente ricercabili.

Due principali parametri di misurazione della qualità del design e di usabilità del prodotto, evidenziati da Norman, sono:

  • Il gulf of execution: rappresenta la differenza tra le intenzioni della persona e le azioni percepibili permesse dall’oggetto o dal prodotto. Domande pertinenti: Quanto riesco a fare ciò che vorrei? Le azioni permesse dal sistema corrispondono alle intenzioni della persona?
  • Il gulf of evaluation: riflette l’ammontare di sforzo che la persona deve esercitare per interpretare lo stato fisico del sistema e determinare sino a che punto le aspettative e intenzioni dell’utilizzatore sono state risolte.

Come evidenzia Wroblewsky, nell’introduzione al corso Advanced User Interfaces:

Il cattivo design, nel senso di non essere capaci di capire come funziona la cosa, è più la regola che l’eccezione nella vita quotidiana. Non dovrebbe essere necessario possedere una laurea in ingegneria al MIT per capire come funziona un comune videoregistratore. Ogni nuovo prodotto domestico pubblicizza caratteristiche nuove e migliorate. Molto spesso queste nuove “caratteristiche” aggiungono solo frustrazione nello sforzo di interpretare come funzionano le cose; in questo modo gli avanzamenti tecnologici, che dovrebbero in teoria semplificare le nostre vite, aggiungono sempre maggiore complessità aumentando la frustrazione; questo è il paradosso della tecnologia.

Il design del prodotto e la progettazione delle sue interfacce devono quindi essere user-centered, ergonomiche e tarate sulle esigenze ed abilità dell’utente.

Ciascun prodotto, ciascuna interfaccia, ed ogni elemento di contatto deve essere testato ampiamente in diverse condizioni d’uso, coinvolgendo in prove e test più utilizzatori, con lo scopo di scoprire i problemi che derivano dall’uso, eliminare la frustrazione, le problematicità, e, in ultimo, aumentare la produttività e la soddisfazione di chi lo impiega. A questo scopo le aziende produttrici possono impiantare specifici laboratori di utilizzo o, nell’esperienza dell’autore, “laboratori di interazione”, in cui i clienti utilizzano i prodotti e riportano al comparto tecnico e marketing i miglioramenti auspicabili.

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