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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

Target audience

Quando vuoi comunicare la tua azienda o il tuo prodotto, prima di tutto devi chiederti “a chi”. E “cosa vuoi generare in loro”.

L’approccio pragmatico richiede alla campagna di comunicazione una sola cosa: risultati concreti, misurabili, tangibili.

Lo schema Who do you Want to do What (chi vuoi che faccia cosa) esprime chiaramente l’orientamento pratico della campagna.

La comunicazione deve cambiare comportamenti o deve introdurre comportamenti, deve cambiare o introdurre atteggiamenti, deve far accadere situazioni o creare condizioni favorevoli affinché accadano.

E ancora una volta, ricordiamo che il semplice “informare” non equivale a persuadere. Siamo persuasivi solo quando cambiamo uno stato di cose pre-esistente.

Ragionare e convincere, com’è difficile, complicato e laborioso! Suggestionare? com’è facile, veloce ed economico!

(Santiago Ramón y Cajal)

Anche le campagne di comunicazione puramente istituzionali e legate all’immagine devono connettersi a specifici comportamenti da introdurre o modificare. L’imperativo è quindi “comunicare per cambiare”, “comunicare per far accadere”, e non comunicare per se stessi. 

In una tribù, i corteggiamenti hanno successo quando arriva l’accoppiamento, e chi possiede già l’attenzione del “cliente” è ostile e ultra-aggressivo verso chi prova ad avvicinarsi. Difende il territorio. Perciò i messaggi devono riuscire a passare questi innumerevoli “firewall tribali” se vogliono avere successo. 

Questo accade anche nelle aziende, dove i decisori, i VP e CEO sono circondati da appositi branchi di scimmie pagate per tenere lontani nuovi intrusi, di cui hanno paura, soprattutto paura che prendano il loro posto. 

Quindi, la conquista dell’attenzione dei decisori diventa un fattore persino più importante del messaggio.

message in the bottle

Il messaggio arriva dopo.

Dire che sei bravo, che sei “leader” (di cosa… se lo dicono tutti), che hai “qualità” equivale a dire niente. Prova a dire che problemi risolvi, che sogni aiuti a concretizzare, che benefici psicologici e materiali hanno le tue soluzioni. Crea una “storia” che parli al cuore di chi la riceve, non limitarti a seminare slogan.

La definizione delle target audience richiede la delimitazione dei confini comunicazionali.

Identificazione corretta del pubblico obiettivo, del target di marketing e target di comunicazione

Nella campagna di comunicazione risulta indispensabile distinguere tra target di marketing e target di comunicazione

Il Target di Marketing (TM) é costituito dal gruppo di persone, pubblici obiettivo, consumatori o rappresentanti di organizzazioni, dai quali si intende ottenere un effettivo comportamento d’acquisto (esempio, la firma di un contratto, il recarsi presso un punto di vendita e effettuare un acquisto).

Il Target di Comunicazione (TC) é invece dato dalle persone, gruppi o aziende sulle quali viene esercitata una forma di comunicazione, necessaria affinché si produca il risultato di marketing (vendita).

Analizziamo caso per caso le diverse situazioni :

  • TM=TC : target di marketing e target di comunicazione coincidono quando le azioni comunicative sono esercitate esclusivamente ed esattamente sui potenziali clienti.
  • TM è maggiore del TC : la strategia di comunicazione prevede azioni comunicative rivolte ad un numero di soggetti minore rispetto agli acquirenti previsti.

Il principio su cui si basa questa modalità è l’effetto di diffusione, il passaparola, secondo modelli di Two-Step Flow o Multi-Step Flow, spesso basati sul ruolo degli Opinion Leaders. 

In questa situazione comunicativa, il messaggio si rivolge a pochi soggetti per ottenere un effetto su molti.

  • TM minore del TC : quando il TC (Target di Comunicazione) è più ampio del TM (Target di Marketing), siamo di fronte al caso in cui cerchiamo di creare consenso, lavoriamo sul clima esterno al cliente potenziale, affinché si creino delle azioni di push che portino il cliente all’azione. 
child

Un caso esemplificativo è la pubblicità di scarpe che si illuminano camminando, destinata come target comunicativo ai bambini, affinché i genitori vengano stimolati ad acquistarle.

Ma anche, nel Business to Business, le azioni di KLE (Key Leader Engagement) in cui si “lavorano ai fianchi” gli influenzatori affinché siano loro a rivolgersi ai decisori e stimolarli a compiere un’azione o un acquisto.

Molte culture aziendali e addirittura nazionali sono fondate su un forte network di relazioni personali. In questo caso, conquistare la fiducia dei decisori, degli influenzatori, portarli ad agire a nostro favore, è larga parte del vero sforzo di una campagna e richiede ottimi specialisti di KLE.

Siamo in un mondo tribale, anche nel business

Il mondo è molto più tribale di quanto sembri, le persone si fidano di più del suggerimento di una persona che conoscono rispetto a mille spot o brochure, per cui il successo spesso richiede un ritorno a forme di contatto umano personale, face to face.

I canali interpersonali di tipo telefonico, o videoconferenza, possono essere un sostituto ma solo in parte. Sempre e comunque quanto più il rapporto diventa veramente face to face, in vera presenza fisica, quanto più la probabilità di successo aumenta. Questo, paradossalmente, quanto più il mondo si digitalizza, il contatto umano fa la differenza perché diventa più “raro”, e quindi più “prezioso”, come ogni merce.

Durante il contatto umano, accadono più cose, anche perché in presenza fisica è più facile svolgere “lie detection” (scoprire bugie comunicazionali e atteggiamenti sottili) rispetto ad una mail o una telefonata, per non parlare dell’ignoranza vera e da ammettere senza colpe, rispetto al sapere quanto accade veramente nella mente di una persona che vede uno spot o una brochure, un banner, un video, una nostra pagina web, in nostra assenza, e cosa pensa veramente.

Molte aziende non comprerebbero da te nemmeno acqua pura mentre stanno morendo di sete, se non gli piaci a pelle, e questo va contro ogni ragionamento logico, eppure è reale. Vale anche per te quando entri in un ristorante. Se c’è un’atmosfera che non ti piace, magari grigia e facce che non ti piacciono, te ne andrai ancora prima di sapere cosa c’è nel menù. 

Ogni azienda compra tramite “cordate tribale di consenso” e ciascuno cerca di far entrare i propri “fornitori amici” e far fuori gli amici dei propri nemici.

Siamo in un mondo tribale, anche nel business, e nella comunicazione dobbiamo tenerne conto. Nessuno fa niente per niente.

Il dettaglio fondamentale del libero mercato è che nessuno scambio ha luogo senza ch’entrambe le parti ne traggan beneficio. Milton Friedman

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Articolo estratto dal testo “Parliamoci Chiaro: il modello delle quattro distanze per una comunicazione efficace e costruttiva” copyright Gribaudo Editore e Daniele Trevisani, pubblicato con il permesso dell’autore.

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Continuando a parlare di distanza del Self, ci immergiamo oggi nei territori psicologici, cercando di capire come creare e invaderne i confini, sempre nel rispetto dell’altro e pronti ad affrontarne le conseguenze.

Il tentativo di controllo dell’identità altrui è uno dei fattori di incomunicabilità e conflitto più forti. Voler prendere e pretendere il possesso del territorio psicologico altrui è una forma di sopruso che si accetta solo quando costretti. Quando uno dei due soggetti, senza interpellare l’altro, decide in autonomia quale sia l’area di interessi comune o la sfera condivisa, si apre un possibile conflitto.

È vero che qualcuno deve “fare la prima mossa”, ma si tratta di un insieme di mosse cooperative, di un “sondarsi reciprocamente”, e non di un imporsi reciprocamente.  L’imposizione negoziale richiede un potere contrattuale enorme e non è la formula ideale per la crescita di un rapporto. 

L’imposizione è possibile solo sotto forma di proposta, che può sembrare una comunicazione dura, ma è invece una comunicazione in stile “parliamoci chiaro” e offre spazio per dire che le cose non devono essere esattamente così. Si chiariscono in questo modo i punti fondamentali, esplicitando la propria visione delle cose e la propria prospettiva dell’area condivisa e, nello stesso tempo, si offre la necessaria marginalità discrezionale (fosse anche solo un prendere o lasciare, nel caso peggiore).  Vi è quindi una ricerca della zona comune, dove si esplorano i possibili confini e l’area condivisa può essere negoziata.

La mancanza di esplicitazione è un problema molto forte che crea conflitto e incomunicabilità. Caso diverso è quello in cui qualcuno menta, dichiari il falso, o anche solo affermi ciò che non sa. Questo discorso è diverso e ci porta verso il tema del riconoscimento delle bugie (lie detection), che richiede forte abilità sia a livello percettivo che di comunicazione non verbale. 

Quello che preme, adesso, è evidenziare che nessuno ha il potere di imporre l’identità di qualcun altro, perciò bisogna chiedersi: “la sfera d’interessi comune tra persone che negoziano è stata sufficientemente esplorata?”

Esiste chiaramente anche un’area della propria sfera di interessi o di ruolo che non si vuole condividere con l’interlocutore e viceversa, e questo va bene! Nel tempo, le cose potrebbero variare, l’area condivisa potrebbe allargarsi, ma la cosa essenziale in una relazione e in un parlarsi chiaro, è che la mia vita è mia e ne condivido la parte che voglio, la tua vita è tua e ne condividi la parte che vuoi. Se qualcuno obbliga l’altro, ci devono essere ottimi motivi per farlo, e potrebbe in ogni caso non funzionare. 

Mosse di invasione e mosse di rispetto

Una qualsiasi delle nostre affermazioni o risposte può assumere il valore di “mossa relazionale” se in qualche modo va ad alterare lo scacchiere delle forze in corso tra due persone. 

Una mossa di invasione dei territori psicologici è l’uso dell’imperativo, anche se usato in tono pacato. Questo rende subito la comunicazione di tipo top-down, da superiore ad inferiore, e non è assolutamente detto che funzioni se l’altro non si percepisce tale.

Una mossa di rispetto dei territori psicologici è invece: “se puoi, mentre vai a fare le fotocopie, potresti fare anche questa per me? A buon rendere ovviamente!”. Tale approccio, oltre ad essere più “leggero”, si pone come comunicazione da pari a pari. E non è detto che questo vada bene, se invece la comunicazione deve essere da capo a subordinato. 

L’essenziale è capire il valore relazionale e strategico che una mossa comunicativa porta con sé. Ogni parola, gesto del corpo, lettera, messaggio, ha valore di azione e come tale ha valore strategico.

Quando si applicano mosse di invasione o appropriazione impropria dello spazio dell’interlocutore, possono innescarsi sistemi di reazione basati sulla fuga e l’allontanamento, ma anche sul contro-attacco e  sull’aggressione.  

L’invasione dei territori psicologici consiste appunto nel percepire un ingresso indebito nella sfera dei propri interessi senza che questo ingresso sia voluto né gradito. Ma anche la mancata consultazione su una materia di nostra pertinenza, quando dovuta, è una forma di non rispetto del territorio psicologico. 

Mancata cultura dei confini

I limiti di autonomia sono uno dei fattori più incisivi sul piano delle comunicazioni aziendali interne. Quando questi limiti sono poco chiari, l’invasione dei territori psicologici diventa continua, alimentata da una scarsa cultura dei confini, da un’assenza di cultura della definizione degli spazi. 

Nella comunicazione assertiva, è possibile applicare un meccanismo che possiamo denominare “fino a qui” e “non oltre qui”, che definisce chiaramente qual è l’area entro la quale l’altro potrà giocare e qual è l’area in cui non accettiamo invasioni di campo. Come è evidente, senza applicare questo metodo, non si produrrà alcuna comunicazione assertiva. E a forza di ingurgitare invasioni di campo, si rischia il botto finale, l’esplosione di rabbia dovuta a tanta, troppa sopportazione. Meglio segnalare le mosse quando non vanno, che aspettare di esplodere. Questo è un principio sacro del “parlarsi chiaro”. 

Conclusioni

Per concludere, la comunicazione efficace richiede: 

  • comprensione di quali siano i territori psicologici altrui; 
  • comprensione di quali territori psicologici siano determinati dalla cultura di appartenenza della controparte (etnica, religiosa, professionale);
  • atteggiamenti iniziali di rispetto e limitazione degli ingressi nei territori altrui ove non si siano creati gli spazi di relazione adeguati; 
  • difesa attiva dei propri territori psicologici e dei propri confini e margini di decisionalità, quando il non farlo minacci la sovranità del proprio spazio psicologico. 
libro "Parliamoci Chiaro" di Daniele Trevisani

Per approfondimenti vedi: