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Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Il coraggio di evolvere. Coaching attivo esperienziale e counseling per lo sviluppo personale e professionale. Il metodo della Neotropia” Bologna, OM Edizioni.

Occuparsi di Neotropia significa fare ricerca, e gli sforzi di ricerca devono avere un fine e produrre un piacere intimo.

Il piacere è pari a quello che i ricercatori provano nel vivere il percorso di ricerca più che i suoi risultati immediati o output. Si tratta di “essere”, molto più che l’”avere”.

“Cercate ardentemente di scoprire a che cosa siete chiamati a fare, e poi mettetevi a farlo appassionatamente. Siate comunque sempre il meglio di qualsiasi cosa siate.”

Martin Luther King

Einstein, Marco Polo, Amerigo Vespucci, Leonardo da Vinci, Michelangelo, solo per citarne alcuni, erano tutti personaggi “fuori dagli schemi” per i tempi in cui hanno vissuto, ma non si sono abbattuti per questo, stati animati dalla curiosità della scoperta, piacere e sfida del viaggio verso nuovi mondi fisici o del sapere, spesso fuori dagli schemi noti.

Il bisogno di ricerca e nuovo orientamento sul fronte delle “persone” è urgente soprattutto per le organizzazioni. Il suo contrario è la rassegnazione.

Ogni organizzazione si “nutre” delle persone che la compongono, e quindi le qualità delle persone – tenacia, capacità ed energie, spirito di ricerca – sono indispensabili nel fare la differenza. Le aziende e istituzioni dominate da mediocri, inetti, incapaci, rassegnati, non raggiungono alcuna missione.

Le persone sono obbligate a vivere nelle organizzazioni per lavorare. O sono obbligate a confrontarvisi per bisogno (es. rivolgersi ad un ospedale, una assicurazione, uno studio legale, un supermercato, una scuola).

La possibilità pratica di esprimere il nostro potenziale ha ampiamente a che fare con il grado di “illuminismo” che permea i sistemi per cui lavoriamo, spesso basso o nullo, e in alcuni casi risplendente, illuminato dalla presenza di una “luce” verso la quale tendere. Dipende anche dalla possibilità di confrontarci con persone illuminate e ispirate. Chiediamoci quante persone illuminate o ispirate conosciamo. Facciamo un elenco, contiamo.

Ho visto recentemente immagini di un formatore aziendale americano che si propone come modello di successo in corsi di sviluppo personale e – per conferma del suo raggiunto successo – si fa fotografare a fianco della sua gigantesca Hummer (un fuoristrada militare), come simbolo di “avercela fatta”. A fare cosa? Un altro noto coach si vanta di possedere un’isola personale ma spara le più grandi bugie del secolo e la gente gli crede. È un modello di cosa? Vogliamo imparare davvero da queste persone cosa sia il senso della vita? O vogliamo che finalmente sia l’istruzione e la sua applicazione il nuovo metro di misura del successo?

“L’istruzione è l’arma più potente che puoi utilizzare per cambiare il mondo.”

Nelson Mandela

In azienda dovremmo tornare a parlare di umanesimo. Spesso ci rendiamo conto che queste occasioni di incontro e di scambio sul senso profondo di vivere e del lavoro sono “maledettamente poche”, a volte, per alcuni periodi, inesistenti, e il nutrimento che ne può derivare, l’allargamento della mente – e la revisione delle priorità che ne può conseguire – viene meno.

La Neotropia – scienza del “nuovo orientamento”, “riorientamento” e “canalizzazione” delle energie personali – ha bisogno di persone in grado di produrre questo effetto.

Il confronto vitale sul senso profondo della missione aziendale, o persino della vita, sembra mancare sempre più anche nelle organizzazioni, prese dal “fare” e riluttanti verso la riflessione. La sindrome “penseremo dopo, adesso dobbiamo lavorare” è uno stato cronico e diffuso.

In questo caso, il coraggio è quello di non abbandonare la sfida, ma andare avanti verso l’evoluzione.

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Articolo estratto con il permesso dell’autore, dott. Daniele Trevisani, dal testo “Il coraggio di evolvere. Coaching attivo esperienziale e counseling per lo sviluppo personale e professionale. Il metodo della Neotropia” Bologna, OM Edizioni.

La storia dell’evoluzione insegna che l’universo non ha mai smesso di essere creativo o inventivo.

Karl Popper

Sicuramente un percorso di coaching, di formazione, di counseling personale e counseling aziendale di tipo neotropico è radicato nella pulsione verso una condizione più positiva, che sia materiale o esistenziale.

Quando in una sessione di coaching in profondità (Deep Caching) riusciamo a spostare anche di una sola frazione le priorità che la persona aveva, direzionandola verso nuove e diverse priorità, più pulite e anzi disincrostate da “tracce memetiche” dannose, abbiamo compiuto un atto sacro.

La pulizia mentale e la ripulitura da sfondi memetici (idelogie) e pensieri dannosi per la persona e la società è una grande area di obiettivi per la Neotropia.

La ricerca del nuovo e della crescita personale deve essere mossa da obiettivi sani e puliti, e non come moda fine a sé stessa.

Alexander Lowen ci mette in guardia contro il “nuovo” come moda forzata:

Il progresso implica un’attività costante per trasformare il vecchio in nuovo, con la convinzione che il nuovo sia sempre superiore al vecchio. Anche se questo può essere vero in alcuni settori tecnici, si tratta di una convinzione pericolosa. Generalizzando, ciò implica che il figlio sia superiore al padre o che la tradizione sia semplicemente il peso morto del passato. Ci sono culture in cui dominano altri valori, dove il rispetto del passato e della tradizione è più importante del desiderio di cambiamento. In queste culture il conflitto è minimizzato e la nevrosi rara.[1]

Dobbiamo quindi prestare grande attenzione a quale tipo di nuovo vogliamo assimilare e farlo con metodi e tecniche ben focalizzate.

Dobbiamo esaminare cosa non va nella nostra “memetica personale” e cosa mantenere, di cosa liberarci, e cosa farvi entrare.

La “Memetica”, la scienza delle idee, si occupa di far emergere le tracce mentali che abbiamo dentro, i pensieri, le nostre mappe mentali, le nostre ideologie, e come percepiamo il mondo. Agire sulla Memetica, quindi, assume molto più valore che agire su una singola competenza, per quanto pratica e utile.

Significa ripulire un po’ del fango mentale che ci circola dentro e imparare a volare alti.

Ci sono delle anime che, come alcuni animali, si rivoltano nel fango, ed altre che volano come gli uccelli i quali nell’aria si purificano e si puliscono.

(San Giovanni della Croce)

Il Coaching, sia Personale che Aziendale, si occupa di ricentrare il modo stesso di vivere la vita e l’azienda in direzione di una maggiore felicità, maggiore grado di realizzazione, efficacia ed efficienza.

Per farlo, deve apprendere a guardare verso il “nuovo” con uno sguardo ripulito da distorsioni, un’operazione che nel nostro metodo proprietario è appunto chiamata “Neotropia – la Scienza del Nuovo”.

Questa scienza si applica ad ogni situazione di Counseling Professionale, di Formazione, di Ricerca & Sviluppo, di Marketing, e persino sul piano spirituale, ove si voglia individuare quali tipi di “nuovo” ricercare e quali tipi di “vecchio” (vecchie abitudini, vecchie priorità, vecchie modalità, vecchi atteggiamenti e comportamenti, vecchi modi di relazionarsi e comunicare) siano da abbandonare per fare posto al nuovo.

La mutazione è la chiave della nostra evoluzione, ci ha consentito di evolverci da organismi monocellulari a specie dominante sul pianeta. Questo processo è lento e normalmente richiede migliaia e migliaia di anni, ma ogni qualche centinaio di millenni l’evoluzione fa un balzo in avanti.

Jean Grey

Dal film: X-men 2

La Neotropia vuole produrre volontariamente quei “balzi in avanti” che tanto sono necessari alle persone e alle aziende, e senza aspettare i tempi biblici dell’evoluzione, li vuole individuare e fare accadere in tempi ragionevolmente rapidi.

1 Lowen, Alexander (1980). Fear of Life. Edizione italiana: “Paura di vivere”, Roma, Astrolabio – Ubaldini, 1982.

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Articolo estratto dal testo “Deep Coaching™, il metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in profondità e la formazione attiva” Copyright FrancoAngeli e dott. Daniele Trevisani.

L’anima libera è rara, ma quando la vedi la riconosci: soprattutto perché provi un senso di benessere, quando gli sei vicino.

Charles Bukovski

La crescita personale assomiglia ad un viaggio compiuto per ritrovarsi, o per scoprire chi siamo davvero, o cosa potremmo essere. Questo vale anche per la crescita professionale. Alla base di tutto vi è la volontà di accedere a nuovi livelli di vita, o a nuovi livelli professionali, e persino a nuovi stati emotivi. Per farlo con successo, tuttavia, serve un modello che ci guidi.

Il modello Deep Coaching, derivazione del Modello HPM (Human Potential Modeling) sviluppato per la crescita del potenziale umano, ha proprio questo scopo.

In particolare, un metodo di crescita personale o professionale deve rispondere ad alcune domande di base:

  1. quali fattori primari prendere in considerazione per liberare il potenziale e di conseguenza le performance?
  2. come si può attivare una buona formazione esperienziale e un coaching in profondità (Deep Coaching) per stimolare la crescita delle energie personali, delle competenze, della progettualità, sino ai valori e alla spiritualità?

Al centro di tutto questo ragionamento c’è la convinzione profonda che umano possa prendere in mano larga parte delle redini del suo destino. Per farlo, occorre fare alcuni cambiamenti radicali, proposti nel Metodo HPM (Human Potential Modeling), che qui trattiamo. Dobbiamo imparare a fare cose che non facevamo prima, come il lavoro bioenergetico sul corpo, il training mentale, e tante altre aree previste nel metodo, e farle diventare abitudini sane e positive per la nostra crescita personale.

Sembra sempre impossibile, finché non viene fatto.

Nelson Mandela

Se fai tuo questo pensiero, scoprirai che puoi avventurarti in nuove strade della vita, crescere, migliorare e cambiare il tuo modo di pensare, il tuo corpo, il tuo stato mentale e la tua comunicazione e i rapporti con gli altri. Puoi arricchire emotivamente la tua vita. Puoi aiutare gli altri a migliorare a loro volta. Puoi lasciare un segno del tuo passaggio. Puoi dare un contributo alla Civiltà Umana.

Il metodo si interessa sia di chi opera nelle performance di élite (testato in 30 anni di lavoro sul campo nel top management, sport agonistici, ma anche progetti aziendali di alta rilevanza strategica) che della vita quotidiana, e delle azioni di tutti i giorni.

È convinzione diffusa che le performance siano sforzi destinati ad un fine. Vero, ma proviamo per un attimo ad invertire il punto di vista, ed osservare le performance umane come un “termometro”, un indicatore del grado di libertà e di auto-espressione raggiunto.

Questo ci permette di trovare un fine molto più nobile che non siano prestazioni aride e fini a sé stesse: l’elevazione verso livelli di energie, competenze e cause superiori, sia in senso materiale che spirituale.

Il tema dominante di tutto il nostro pensiero va ricentrato, e presto.

Dobbiamo spostarlo dal baratro di banalità in cui il pensiero comune, la televisione, i media commerciali, le letture stupide, e la cultura mediana cercano continuamente di spingerci per non farci pensare.

Dobbiamo cambiare i parametri che usiamo per valutare noi stessi e gli altri. Il conto corrente o la bellezza esteriore sono solo indicatori apparenti, e spesso fuorvianti, di chi sia veramente una persona e di quale sia il suo vero valore.

La motivazione di un coaching in profondità (Deep Coaching)

Dobbiamo liberarci dal cancro mentale che tu sia solo Genetica e tu non abbia alcuna possibilità di influire su ciò che sei, a cosa guardi, verso dove sei diretto, e quindi sul tuo futuro. Dobbiamo iniziare a praticare concretamente la crescita personale e non solo a desiderarla.

Qualunque cosa tu possa fare, qualunque sogno tu possa sognare, comincia. L’audacia reca in sé genialità, magia e forza. Comincia ora.

Johan Wolfgang von Goethe

La tua dote genetica può aver deciso la tua altezza, ma sono nelle tue mani il tuo potenziamento muscolare, la tua flessibilità articolare, o il tuo peso, e persino la tua rapidità di ragionamento, o la liberazione dall’ansia mentale e dallo stress inutile, o da un’immagine di sé improduttiva e dannosa. Sono tutti fattori allenabili e lavorabili con un buon programma di coaching e di training, fatti in profondità.

Nel Deep Coaching dobbiamo mettere al centro la sacralità dell’essere umano e il forte bisogno di non sprecare nemmeno una vita, nemmeno un giorno, nemmeno un minuto, in qualcosa che non sia legato ad una visione positiva, di emancipazione e di crescita.

E, per crescere o reindirizzare il pensiero, le buone intenzioni non sono sufficienti. Serve un metodo che aiuti a canalizzare questo sforzo positivo.

Qualsiasi sia la tua età o condizione, non è mai troppo tardi per iniziare o intensificare un lavoro su te stesso orientato alla tua crescita personale o professionale.

Non si è mai troppo vecchi per fissare un nuovo obiettivo o per sognare un nuovo sogno.

C.S. Lewis

Le sei aree primarie del metodo HPM sono divise in tre macro-categorie: energie, competenze, direzionalità, e queste tre categorie a loro volta sono divise in due aree: soft e hard. Questo dà vita a sei celle di lavoro, sei aree di attività sulla crescita personale che valgono sia per le prestazioni fisiche che per quelle mentali o intellettuali. Ed inoltre, si prestano ad un’analisi delle performance sia individuali che di gruppo.

Vorrei esprimere un concentrato di senso in una frase su cui discutere:

Le performance sono un grande banco di prova per la condizione umana… ci parlano dell’istinto umano a crescere, esplorare nuovi orizzonti, ricercare… capire chi sei… e cosa puoi arrivare a fare.

Daniele Trevisani

Ogni gara o competizione mette in moto i principi delle performance, ogni sfida aziendale, sportiva, o personale, ogni progetto, ci costringe a fare i conti con il nostro stato di preparazione e le nostre energie. Ogni volta che sentiamo la volontà di cambiare e migliorarci, la chiamata verso una vita diversa si fa strada in noi e dobbiamo imparare ad ascoltarla e non a silenziarla. Mai.

Le buone intenzioni valgono poco se non diventano un progetto. E francamente, non è decisivo che un progetto abbia successo o fallisca, perché anche da ogni fallimento possiamo imparare. Possiamo evolvere solo se proviamo e ci avventuriamo in strade nuove.

Sbagli il 100% dei colpi che non spari.

Wayne Gretzky

Il viaggio verso la crescita delle energie umane, fisiche e mentali, è un percorso di esplorazione che deve diventare progetto, un progetto di Deep Coaching.

Ognuno può progredire partendo da qualsiasi stato o condizione.

Una persona depressa o ansiosa può iniziare a vedere una luce, e questo è già progresso, tanto quanto il miglioramento di un record mondiale in qualsiasi sport e disciplina.

Una persona immatura può maturare… chi si sente inadeguato in un lavoro può cambiare, ri-orientarsi, formarsi.

Un’impresa in crisi può generare nuove idee o trovare nuove strade, così come un’impresa vincente può fare da traino a tante startup e diventare fonte di utilità sociale per tutti.

Qualsiasi sia la condizione di partenza, occorre credere in sé stessi, nella possibilità di crescere, di migliorare, di fare dei salti in avanti.

Il progresso personale e professionale avviene solo se ci lavoriamo sopra concretamente. Il miracolo della vita è talmente grande che va celebrato e non sprecato, e come sottolinea Einstein:

Ci sono solo due modi di vivere la propria vita: uno come se niente fosse un miracolo;
l’altro come se tutto fosse un miracolo.

Albert Einstein (citato in Michael J. Gelb, Il Genio che c’è in te)

Ogni volta che alleni il tuo corpo o la tua mente, rendi omaggio al miracolo della vita che ha reso possibile che in quel giorno tu ti sia potuto allenare e formare, mentre altri più sfortunati, non possono.

Ogni giorno che incontri un pensiero buono, ringrazia per l’incontro e fallo tuo.

Per approfondire il Modello Deep Coaching™, il metodo HPM™ per la crescita personale, il coaching in e la formazione attivaqui trovi il link relativo al Libro del Dott. Daniele Trevisani edito da FrancoAngeli

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  • Liberare il potenziale
  • Miglioramento personale
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Articolo di Daniele Trevisani, Copyright 2010, Studio Trevisani

… ogni essere umano possiede dentro di sè una energia che tende alla realizzazione di sè, e – dato un clima psicologico adeguato – questa energia può sprigionarsi e produrre benessere sia personale che per l’intero sistema di appartenenza (famiglia, azienda, squadra).

Oltre al clima psicologico favorevole alla crescita, è importante  la possibilità di non essere soli nel percorso e avere compagni di viaggio (condizione 1). Una condizione ulteriore indispensabile (condizione 2) è sapere dove muoversi, verso dove andare, poter accedere ad un modello o teoria che guidi la crescita.

Con questa duplice attenzione, lo sviluppo personale diventa un fatto perseguibile, non più solo un sogno o un desiderio.

Una persona, un’azienda, un atleta, una squadra, sono organismi in evoluzione che spesso anziché evolvere in-volvono, o implodono, si consumano.

Tutti desideriamo la crescita e il benessere ma a volte ci troviamo di fronte a risultati insufficienti (sul lavoro, o nei rapporti di amicizia, o nel nostro percorso di vita) e a stati d’animo correlati di malessere, sfiducia o calo di autostima.

Dunque, bisogna agire. Ma ancora più interessante – prima di affrontare il come agire – è capire quando nasce il bisogno. Alcune domande provocative:

  • Quali sono i limiti inferiori, i segnali che ci informano del fatto che è ora di cambiare, che qualcosa non va, o che vogliamo essere migliori o anche solo diversi? Dobbiamo aspettare di raggiungerli o possiamo agire prima?
  • Quando prendiamo consapevolezza del bisogno di crescere o evolvere?
  • Da cosa siamo “scottati”, quali esperienze o fatti ci portano a voler evolvere? Quali sono i critical incidents che ci segnalano che è ora di una svolta? Dobbiamo attenderli o possiamo anticiparli?

critical incidents possono essere eventi drammatici o invece di piccola portata, ma comunque significativi, come lo svegliarsi male e non capire perché. Può trattarsi di un accadimento che ci ha riguardato e non riusciamo ad interpretare, non riusciamo a capire cosa sia successo. Possono essere casi di vita come la perdita di un lavoro, o una trattativa andata male, una gara persa, un litigio, una relazione che non va, o anche solo la difficoltà a raggiungere i propri obiettivi quotidiani. Può anche trattarsi di una malattia fisica o sofferenza psicologica. In ogni caso, la vita ci presenta continuamente sfide che non riusciamo a vincere, e alcune di queste fanno male.

Spesso rimanere “scottati” (da un’esperienza o stimolo) è indispensabile per acuire lo stato di bisogno, ma – come dimostrano gli studi sulla fisiologia –  l’organismo degli esseri viventi si abitua anche a stati di sofferenza cronica e finisce per considerarli quasi accettabili. Finisce per conviverci.

La metafora della rana nella pozzanghera, vera o falsa che sia, è comunque suggestiva: leggende metropolitane sostengono che una rana che si tuffi in una pozzanghera surriscaldata dal sole reagisca immediatamente e salti via. La rana scappa dall’ambiente inospitale senza bisogno di complicati ragionamenti. D’estate, una rana che sia nella stessa pozzanghera – la quale progressivamente si surriscalda al sole – non subisce lo shock termico istantaneo e può giungere sino alla morte, poiché – grado dopo grado – il peggioramento ambientale procede, in modo lento e costante, e non si innesca lo shock da reazione.

Non ci interessa la biologia delle rane, se la leggenda sia vera o falsa, e nemmeno se questo sia vero per tutte le rane. Interessa il problema dell’abitudine a vivere al di sotto di uno stato ottimale o della rinuncia a crescere, la rinuncia a credere che sia possibile una via di crescita o (nei casi peggiori) una via di fuga o alternativa ad un vivere oppressivo, intossicato, o semplicemente al di sotto dei propri potenziali.

L’abitudine all’ambiente negativo porta ad uno stato di contaminazione e alla mancanza di uno stimo di reazione adeguato. Si finisce per non sentire più il veleno che circola, l’aria viziata o velenosa.

Bene, in certe zone dello spazio-tempo, del vissuto personale, l’aria è ricca di ossigeno, ma in altre, larga parte dell’aria che respiriamo è viziata, e non ce ne rendiamo conto.

In certe aziende, famiglie o gruppi sociali (e persino nazioni), la persona, e la risorsa umana (in termini aziendalistici) assomiglia molto alla rana: può trattarsi di uno stagno visivamente splendido e accogliente, con entrate sontuose e atri luminosi, ma che – vissuto da dentro – diventa una perfida pozza venefica nella quale non si riesce più a “respirare”, e si finisce per soffocare.

Nella vita gli ambienti circostanti mutano ma non sempre con la velocità sufficiente ad innescare lo shock da reazione, e ci si sforza di adattarsi o sopportare. In altre realtà opposte, l’ambiente è invece favorevole e permette all’essere umano di realizzarsi.

Lo sforzo di adattamento produce un adeguamento inferiore, un blocco della tendenza attualizzante: la tendenza ad essere il massimo di ciò che si potrebbe essere, la tendenza a raggiungere i propri potenziali massimi di auto-espressione. Il nostro scopo è invece di perseguire la tendenza autoespressiva ai suoi massimi livelli: la tendenza di ogni essere umano ad essere il massimo di ciò che può essere.

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Articolo di Daniele Trevisani, Copyright 2010, Studio Trevisani


cap 5.             L’acquisizione e potenziamento delle abilità, l’allenamento delle macro e micro-competenze

 

Il mondo si divide in due categorie:

chi ha la pistola carica e chi scava.

Tu scavi. …

 

Clint Eastwood (il Buono), riferendosi a Tuco.

Dal Film Il buono, il brutto, il cattivo, di Sergio Leone.

 

1.1.         Individuare i frames e centri di gravità delle performance

La frase memorabile di Clint Eastwood espone bene lo stato delle cose passato, e molto probabilmente futuro: chi ha le informazioni e le competenze dirige e decide, gli incompetenti o privi di accesso all’informazione subiscono.

I pochi protetti (incompetenti che decidono) si trovano in ogni paese non ancora sufficientemente meritocratico, ma il lungo corso della storia non lascia spazio, l’evoluzione darwininana non ha per loro parole molto tenere né futuro assicurato. Contro i parassiti la natura non è generosa o tenera.

In epoche globalizzate vince chi ha più abilità e preparazione, chi sa come procurarsi le informazioni utili, e soprattutto chi si impegna per farlo.

Acquisire e potenziare abilità richiede allenamento, e, soprattutto, grande umiltà di apprendimento. Mettersi al lavoro significa prima di tutto iniziare con una buon analisi delle performance.

Ogni performance può essere esaminata come somma e concatenazione di frames . I frames sono riquadri significativi, brani del flusso esperienziale o del flusso di azione che possono essere isolati e denominati.

L’analisi dei frame (frame analysis) è un concetto la cui elaborazione si deve a Goffman[1], concetto sviluppato dai suoi studi nel campo dell’analisi dell’interazione umana. Questo concetto viene portato avanti con molti frutti anche nella ricerca in psicoterapia[2], con molte applicazioni anche per le conversazioni strategiche (negoziazione, vendita, persuasione, gestione dei conflitti, teamworking, comunicazione nei team, comunicazione al cliente, gestione nei team ad alte prestazioni).

Cercare l’eccellenza entro i diversi frame è fondamentale per giungere a performance elevate. Entro ogni frame, inoltre, vanno individuati e allenati i dettagli in grado di fare la differenza.

Alcuni frame, rispetto ad altri, e alcuni dettagli, rispetto ad altri, hanno inoltre la funzione di “centri di gravità” delle performance (CdG), cioè hanno maggiore peso e importanza, essendo momenti attorno ai quali ruota larga parte del frame o da cui dipendono fortemente altri frame.

Possiamo distinguere (1) frame comunicativi e relazionali, (2) frame cognitivi o attività mentali, e (3) frame meccanici, cinetici, esecutivi.

1.2.         Frames e centri di gravità nelle performance sportive

In una competizione sportiva (calcio, volley, basket, pallavolo, sport di combattimento, e ogni sport agonistico), possiamo isolare decine o centinaia di frame a seconda dell’ampiezza di analisi.

Tra i frame significativi possiamo localizzare il frame relazionale del pre-partita, e, entro questo, il momento specifico dei messaggi che il coach dà negli spogliatoi, per dare carica motivazionale o istruzioni. Migliorare questo frame e le competenze psicologiche in questa fase è determinante.

Possiamo considerare un frame cognitivo come modo psicologico. Questo mondo si attiva nell’entrare in campo (sicurezza di sè alta o bassa, soggezione dell’avversario, spirito di vittoria).

Possiamo esaminare quale sia l’atteggiamento mentale da tenere mentre si sta perdendo, mentre si sta vincendo, all’inizio, o alla fine di una gara.

Possiamo localizzare approcci tattici: un pugile costruisce una strategia mentale precisa, ad esempio attendista per il primo round, aggressivo nella chiusura della ripresa, e infinite altre varietà, che poi si traducono in azione.

Potremo anche isolare un dettaglio esecutivo, ad esempio, come vogliamo che venga svolto uno specifico schema di gioco, i passaggi o le alzate o i tiri a canestro o una sequenza specifica di combattimento (frame meccanico).

L’essenziale è localizzare i diversi centri di gravità delle performance. Per una squadra di calcio il CdG strategico può essere l’obiettivo di conseguire superiorità nel controllo di palla, la strategia di tenere poco la palla e passarla spesso, che si traduce in termini comportamentali (osservabili) in un controllo di palla di prima o di seconda (non tenere la palla al piede).

Un combattente può lavorare sul CdG della posizione da tenere sul ring, cercando costantemente il centro, e sul CdG della sequenzialità, cioè portare colpi e tecniche in sequenza e non colpi isolati.

Ma questi sono solo casi, per trasferire i concetti di frame e di centri di gravità, e ogni tipo di performance ha le proprie analisi specifiche.

Le domande diventano: quali sono i frame significativi della mia disciplina sportiva? In quante e quali fasi le voglio disaggregare? Quali sono i dettagli in grado di fare la differenza? Quali sono i centri di gravità della performance?

 

1.3.         Frames e centri di gravità nelle performance aziendali e manageriali

Anche in azienda è essenziale localizzare i vari frame, e in ogni performance dobbiamo capire dove intervenire e dove fare formazione

Come esempi possiamo individuare una performance di vendita, un obiettivo commerciale da raggiungere, ed esaminare quali sono i fattori che ci porteranno a quell’obiettivo, quali sono i frame significativi. Avremo quindi maggiore dettaglio per capire come intervenire. Esamineremo quindi:

·         Il frame della fissazione degli obiettivi di vendita: come vengono fissati, con che criteri? Che spazi di miglioramento abbiamo in questo frame?

·         Il frame della consegna degli obiettivi alle forze vendita o della suddivisione dell’obiettivo: sto tenendo conto delle competenze ed energie? Sto valorizzando le persone al massimo o sto sprecando competenze con una distribuzione sbagliata? Sto tenendo conto di fattori logistici e del territorio? I tempi sono coerenti? Sto valorizzando il momento stesso della consegna dell’obiettivo (strategia di up-keying) o lo sto svalutando e sminuendo (strategia di down-keying)?

·         I frame di progettualità: costruire progetti esecutivi articolandoli in specifiche campagne di vendita. L’obiettivo primario viene diviso in specifiche campagne commerciali, ciascuna di breve durata ed alto impatto, dove ogni campagna è mirata a target e segmenti di mercato precisi. In questo modo avremo più capacità di controllo e maggiore focalizzazione su target specifici, con incrementi generali di efficienza ed efficacia.

·         I frame di controllo e di leadership: chi tiene le fila? Quando? Come? Tramite riunioni, telefono, email, cruscotti informatici? Come avvengono le comunicazioni centro-periferia, direzione e forze vendita, e tra le forze stesse, con che frequenza, con che qualità?

·         I frame motivazionali e di feedback: diamo gratificazione ai risultati anche in progress? Riusciamo a notare cali di motivazione e intervenire? Riusciamo a capirne la causa?

·         I frame formativi e di coaching: ogni obiettivo ha dietro di se necessità formative, di prodotto, o nelle capacità di vendita e negoziazione. Facciamo formazione prima, durante, dopo? Come la facciamo? Utilizziamo metodi attivi e partecipativi? Abbiamo una strategia di coaching e di affiancamento sul campo per osservare e ricentrare atteggiamenti e comportamenti?

Ogni obiettivo ha un proprio centro di gravità, o più di uno. Una campagna di vendite e marketing può individuare il Centro di Gravita comunicazionale “capacità di ascolto durante le fasi di vendita” (obiettivo: portare a casa più informazioni strategiche possibile in ogni colloquio e capire il più possibile dei bisogni del cliente) e il Centro di Gravita strategico “agire tramite campagne strutturate anziché con azioni spot” (obiettivo: evitare che i venditori agiscano in modo disorganizzato, evitare dispersività, sviluppare approccio tattico e concentrazione), e far ruotare tutta le performance attorno a questi due capisaldi.

Gli esempi sopra riportati possono essere estesi ad ogni settore aziendale: marketing, finanza, logistica, produzione, qualità, risorse umane: ogni settore ha propri frames e propri centri di gravità da curare.


[1] Goffman, E. (1974), Frame Analysis, Harvard, Cambridge, MA.

[2] Un lavoro estremamente interessante di applicazione della Frame Analysis  e analisi della conversazione in terapia si trova in: Bercelli, F., Leonardi, P., Viaro, M. (1998), Cornici terapeutiche. Applicazioni cliniche di analisi dell’interazione verbale, Cortina, Milano.

 

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Materiale in anteprima dal libro di Daniele Trevisani (2008), Psicologia delle Performance e del Potenziale Umano, FrancoAngeli Editore, Milano. Copyright. Pubblicato per concessione dell’autore da www.studiotrevisani.it. E’ consentita la riproduzione solo con citazione dell’autore e del volume originario.

Nonostante le avversità che incontriamo, l’evoluzione è – e rimane – un fattore di sopravvivenza. In un certo senso siamo tutti “forzati del cambiamento”, costretti dall’ambiente a non fermarci, ad adattarci, a mutare, poiché il territorio fisico e sociale attorno a noi – e quello psicologico dentro di noi –  cambia, è in costante evoluzione. Il movimento del terreno sul quale una persona poggia permette solo due cose: cadere, o trovare nuovi assetti ed equilibri.

Noi ci rivolgiamo a quelli che vogliono farsi trovare pronti nelle sfide, ricercano il grounding (radicamento, sentirsi fisicamente e psicologicamente ancorati) e allo stesso tempo possiedono spirito di ricerca e si sentono diretti verso un fronte positivo, un orizzonte, e amano lottare per questo.

Il “metodo registico” intende offrire strumenti e concetti utili a chi si occupa di cambiamento positivo e “formazione” nel suo senso più vasto, ma anche di evoluzione assertiva (guidata da principi), trasformazioni del modo di essere, di sistemi di apprendimento e di sviluppo organizzativo, e ancora di potenziale individuale, human potential e human performance, crescita e maturazione individuale o delle imprese.

I tre soggetti-tipo cui si indirizza il metodo sono (1) chi desidera praticare un percorso di evoluzione personale con maggiore consapevolezza dei meccanismi che lo governano; (2) i clienti e ruoli istituzionali strategici coinvolti in progetti sul cambiamento, sviluppo e formazione (dirigenti, leader e manager); (3) i professionisti esterni (consulenti organizzativi, formatori, coach, allenatori e direttori di team, aziendali e sportivi) chiamati a supportare e produrre performance, ad avviare relazioni di aiuto per “cambiare le cose” e “far crescere” (una persona, una squadra, un sistema).

Ognuna di queste persone deve essere aiutata ad acquisire le abilità e capacità fondamentali (key-learning) per far fronte a nuove sfide prioritarie (key-challenges). Cambiare e formarsi serve anche per poter affrontare le sfide.

La realtà ci presenta (nei casi migliori) organizzazioni e persone già pronte ad un cambiamento, anche forte. Ci offre anche organizzazioni e persone restie, o persino contrarie, e che tuttavia hanno bisogno di variare il proprio assetto perché non più adeguato. Nell’uno e nell’altro caso, dobbiamo capire come poter procedere, quale strategia adottare, e come muoverci per essere efficaci.

Nei box “cosa fare” – esposti durante il testo – evidenziamo alcuni suggerimenti operativi su vari temi che riguardano il facilitare il cambiamento, connessi agli argomenti trattati. Vediamo quindi il box seguente:

Riflessioni operative:

·            analizzare se e quanto un soggetto (persona o sistema) possa permettersi di non cambiare, alla luce delle sfide ambientali e sociali che lo attendono, o sia invece nella necessità di dover migliorare o progredire;

·            inquadrare i key-learning (apprendimenti chiave) in risposta alle key-challenges (sfide prioritarie) che attendono la persona (o sistema organizzativo);

·            valutare quanto il soggetto (persona o sistema) sia intenzionato ad impegnarsi in un percorso di cambiamento;

·            capire quali sono i blocchi verso il cambiamento;

·            creare un clima positivo verso il percorso di cambiamento, legato ai benefits che il percorso può produrre.

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Articolo tratto dal volume di Daniele Trevisani “Regie di Cambiamento”, FrancoAngeli editore, Milano (2007). Copyright, materiale pubblicato su concessione dell’autore www.studiotrevisani.it – utilizzabile solo previa citazione della fonte

1.1.       Alchimie tra forze contrapposte: la lotta tra pulsioni di assimilazione, stabilità, rimozione

Il cambiamento positivo è il motore dell’evoluzione e riguarda ogni persona e ogni organizzazione. Il propulsore psicologico può essere un obiettivo da raggiungere, l’orgoglio, volontà, sogni e aspirazioni (motori psicologici positivi), o invece bisogno, sofferenza, necessità di rimuovere uno stato di disagio (motori psicologici negativi).

Chiunque desidera progredire deve mettere in conto un investimento concreto, fatto soprattutto di tempo ed energie mentali, e deve apprendere a ricentrarsi verso le priorità strategiche (azioni di ricentraggio).

Rimanere aperti a nuovi input riguarda indifferentemente la crescita personale, lo sviluppo delle aziende e delle organizzazioni, il mondo del business o quello dello sport. Nelle arti marziali, un Maestro afferma che:

…il praticante deve cercare sempre lo sviluppo delle sue conoscenze e perfezionarle nel corso della sua evoluzione… deve vivere in una perpetua situazione di apprendistato durante la sua esistenza, perché le situazioni e i metodi evolvono costantemente[1].

Secondo questa visione, il cambiamento non è quindi un “atto finito”, ma un “atteggiamento di fondo”, un “amore” verso un percorso fatto di ricerca, di curiosità per il nuovo, di attenzione al nuovo, che mette in atto un meccanismo evolutivo costante.

Siamo sempre in qualche forma di “apprendistato” e possiamo sempre imparare qualcosa di nuovo. Tuttavia, ogni mutamento – volontario o subìto – richiede impegno e presenta un costo (tempo, energie, fatica), e molti non desiderano pagarlo o lo posticipano sino all’ultimo. Le conseguenze in questi casi non tardano ad arrivare.

I “mostri” contro cui lottare sono tanti. Tra questi la regressione verso l’abitudine, un meccanismo involontario che porta le persone a “rintanarsi” e rinchiudersi in riti quotidiani – a volte dannosi. Il “drago” prende anche sembianze di “politico”, attua meccanismi volontari quali il boicottaggio attivo del cambiamento (cercare di bloccare il processo e gli input esterni) e frena l’evoluzione di un sistema, per puro interesse personale.

Abbiamo ancora le resistenze ideologiche, valoriali, o i blocchi che chiunque mette in atto quando sente che altri cercano di attuare un ingresso nel proprio territorio psicologico. Ritroviamo ancora il problema delle energie per cambiare, la cui mancanza può frenare anche le migliori intenzioni. Si presenta inoltre il problema della competenza o incompetenza del consulente o formatore, chiamato ad aiutare il processo evolutivo.

Gli ostacoli possono essere tanti. Questa è solo una breve e incompleta rassegna delle sfide che ci attendono.


[1] Cohen, Alain (2007), Principi I.D.S. Krav Maga, in Budo International, 1/2007.

 

Articolo tratto dal volume di Daniele Trevisani “Regie di Cambiamento”, FrancoAngeli editore, Milano (2007). Copyright, materiale pubblicato su concessione dell’autore www.studiotrevisani.it – utilizzabile solo previa citazione della fonte

Principio 3 – Focalizzazione dei fattori minimi per generare cambiamento

Il cambiamento positivo viene favorito dai seguenti fattori:

·         conoscenza e uso di modelli (teorie, concetti, frames) sui quali incardinare le azioni di cambiamento;

·         multicanalità: l’uso di più angoli di attacco, più strumenti sinergici, più teorie convergenti;

·         relazione forte – di team reale – tra clienti, progettisti, coach, e ogni altro soggetto coinvolto, con la condivisione dei modelli, la convergenza degli obiettivi, una forte volontà comune di ottenere il risultato.

                                                    

Il cambiamento viene bloccato o ostacolato da:

·         mancanza di un modello di riferimento, o modelli latenti ma non esplicitati (mancata emersione), utilizzi inappropriati (improvvisazione);

·         monocanalità (strumento singolo) o multicanalità ma accompagnata da una  mancanza di sinergia (ogni strumento/azione “va per proprio conto”); affidamento a teorie uniche con “presunzioni di sufficienza”;

·         divergenze non esplicitate sul metodo, sui risultati, sulla volontà stessa di cambiare o evolvere, e sulla direzione finale di un percorso.

Articolo tratto dal volume di Daniele Trevisani “Regie di Cambiamento”, FrancoAngeli editore, Milano (2007). Copyright, materiale pubblicato su concessione dell’autore www.studiotrevisani.it – utilizzabile solo previa citazione della fonte.