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© Articolo estratto dal libro di Daniele Trevisani “Strategie di comunicazione e marketing. Un metodo in 12 punti per campagne di comunicazione persuasiva”. Franco Angeli editore, Milano. Pubblicato con il permesso dell’autore.

La creatività e la produzione del messaggio

Fattori importanti nel management della campagna sono i metodi creativi, in cui si realizzano slogan, frasi, bozze di immagine o si generano strategie. 

creative

La creatività è una capacità manageriale tanto fondamentale quanto trascurata.

“Il dirigente aziendale medio ha speso tra le 1.000 e le 10.000 ore a imparare formalmente l’economia, la storia, le lingue, la letteratura, la matematica e le scienze politiche! Lo stesso dirigente ha speso meno di dieci ore ad imparare qualcosa del pensiero creativo!” Tony Buzan

La tecnica del brainstorming viene utilizzata per produrre listati di idee o listati di frasi o listati di strategie, che saranno poi filtrati con criteri decisi dal gruppo stesso. 

Ciò che conta, nel brainstorming, è lasciare che il flusso della creatività non venga interrotto, separando adeguatamente la fase creativa dalla fase valutativa e di selezione dalla lista. 

Il risultato del brainstorming (liste di possibili strategie di messaggio) deve essere sottoposto seguendo il seguente schema :

  • Un primo processo di filtratura e selezione. E’ necessario considerare solo le idee in grado di essere ricordate e i messaggi che possono generare attenzione nel primo impatto cognitivo, privi di dannosi effetti boomerang (evitazione del messaggio in quanto sgradito o troppo forte, già nel primo impatto).
  • Un secondo passaggio di selezione (filtratura) andrà invece a ricercare i messaggi dal potere persuasivo maggiore.
  • Un ulteriore grado di perfezionamento si ottiene sottoponendo il messaggio selezionato ad un pretest su un campione rappresentativo di membri del target. 

Questo consente di realizzare una ricerca valutativa dell’impatto, del gradimento ed efficacia del messaggio stesso.

La linea di azione comunicativa e la strategia relazionale

La linea di azione comunicativa esplicita la strategia relazionale che il messaggio intende produrre, o che le persone fisicamente intraprendono per arrivare allo scopo.

Esempi di grandi strategie relazionali sono :

  • Ammiccamento: “noi si che ti vogliamo bene”, “noi sappiamo tenere i tuoi segreti come nessun altro”
  • Distanziamento: “noi siamo i professionisti”
  • Massimo distanziamento. “Si riceve dalle alle previo appuntamento da concordare obbligatoriamente con la segretaria contattabile unicamente dalle alle il lun. pomeriggio h. 14-15 e venerdì mattina h 9-10”
  • Seduzione. “Con x, hai un fascino incredibile”
  • Agonismo. Vinci, sii vincente, vinci le sfide, etc
  • Empatia. “La banca che ti capisce” (poco credibile ma molto usata), “un’azienda che ti ascolta”, e altre.

Soppesando i pro ed i contro di diverse opzioni di contenuto, è necessario giungere alla definizione di quale messaggio dia la maggiore probabilità di successo, con i minori ritorni negativi latenti, eliminando i rischi di effetto boomerang.

Esponiamo un esempio:

Il titolare di un’azienda di arredamenti industriali si rivolge al nostro studio di consulenza per un problema: l’azienda è vittima di un attacco pesantissimo da parte della concorrenza, la quale sta facendo circolare messaggi falsi su una probabile chiusura o fallimento. 

Il cliente si rivolge all’autore per impostare una strategia di difesa e rilancio. Le contromosse prevedono l’impostazione di una campagna fidelizzativa di comunicazione e informazione. Il tema di quale messaggio lanciare (message strategy) è il punto nodale: se l’azienda telefonasse a tutti i clienti dicendo “non è vero che stiamo chiudendo, se sentite notizie di questo tipo sono solo diffamazioni“, l’effetto cognitivo sarà comunque di riposizionare il brand vicino al costrutto mentale “chiusura e fallimento”. 

La psicologia dei costrutti mentali e il marketing semantico, infatti, evidenziano come il toccare una parola come “fallimento” o “crisi” apra effetti associativi a catena sulle aree contigue, per associazione. 

È stata quindi svolta una situation analysis per ricercare quali messaggi veritieri, reali e concreti l’azienda potesse emettere, in grado di (1) far emergere naturalmente, senza bisogno di dirlo, il fatto che l’azienda era viva e vegeta, ed anzi in ottima salute, e (2) ottenere dall’investimento nella campagna comunicativa altri vantaggi, senza focalizzarsi unicamente su un approccio difensivo, ma cogliendo l’occasione per un rilancio della politica di fidelizzazione del parco-clienti.

La situation analysis aveva prodotto diverse opzioni. Una linea scartata fu  quella di telefonare ai clienti dicendo sostanzialmente “non è vero che stiamo fallendo”. Dovevamo evitare assolutamente di lanciare un messaggio in cui il marchio venisse accostato al concetto di fallimento, consapevoli che avremmo creato un’associazione mentale tra marchio e “chiusura-fallimento” anche solo affermando che questo non era vero. 

La linea finale, decisa in accordo con la direzione e la proprietà, era: 

  • step 1 informare tutto il parco clienti che l’azienda aveva appena acquisito una nuova falegnameria – evento reale, ma che prima non era stato reputato degno di essere comunicato; 
  • step 2 comunicare i benefit chiaramente: eravamo da ora in grado di produrre soluzioni d’arredo ancora più personalizzate; 
  • step 3 ogni cliente doveva essere invitato ad un incontro, nel quale poter visualizzare le nuove gamme possibili e programmare una campagna per la stagione entrante.

In questo modo, è stata adottata una “linea di comunicazione inoculativa”: chiunque avesse contattato il cliente nei giorni successivi (per annunciare che l’azienda stava chiudendo), avrebbe egli stesso fatto la “figura dell’idiota”, producendo un effetto boomerang su se stesso. Il cliente dell’azienda di arredamenti avrebbe infatti chiaramente percepito un intento manipolatorio in chiunque lanciasse il messaggio fuorviante, avendo sentito e vissuto di persona una realtà che andava in contraddizione con il messaggio falso.

La produzione di una linea di azione comunicativa non avviene per intuizione: essa richiede confronto, esplorazione di opzioni, valutazioni di fattibilità e anticipazione degli effetti. È necessario produrre diverse sessioni di brainstorming e di role-playing nelle quali esporre le possibili linee di azione comunicative, per poi scegliere la linea a maggiore probabilità di successo.

La struttura delle linee di azione

brainstorming

Ciascuna linea di azione è suddivisibile in steps, fasi temporali durante le quali si articola il processo di comunicazione. L’insieme dei passi attuati costituisce il percorso della linea di azione (path).

Una Action Line Analysis (ALA) si può definire come l’analisi comparativa di una serie di tattiche alternative per il raggiungimento di un obiettivo. 

I fattori strutturali caratterizzanti una ALA sono:

  1. il numero di linee di azione comparate
  2. il numero di steps per ciascuna linea

Per ogni linea devono essere determinate le possibilità di successo, gli errori e trappole (traps), la fattibilità pratica e le ripercussioni sull’immagine di chi la metterà in pratica.

Come abbiamo visto nell’esempio dell’azienda di arredamenti, di fondamentale importanza nella message strategy è la scelta accurata di una linea comunicativa che associ il messaggio a concetti mentali desiderati ed eviti di inquinare il marchio e il comunicatore con immagini mentali negative. 

Ogni parola emessa elicita (fa scaturire) costrutti mentali che sono contigui ad essa. Le scienze cognitive hanno evidenziato che i messaggi non sono recepiti in modo isolato, ma si inseriscono sempre in una mappa mentale del soggetto, una mappa che associa il messaggio a concetti ed immagini mentali.

Per esprimere tale concetto, Shaw e Gaines fanno riferimento al concetto di “Geometria dello Spazio Psicologico”[1]espresso da Kelly (Psicologia dei costrutti personali): ogni messaggio si inserisce in spazi mentali e si associa alle aree contigue.

La message strategy richiede consapevolezza che ogni messaggio aziendale, ogni comportamento della linea d’azione, produce immagini evocate, le quali creano un’anticipazione di eventi futuri nei nostri interlocutori (“come sarà lavorare con quest’azienda?”) ed attribuzioni di significati agli eventi stessi (“perché avranno detto questo?” “se si comportano così ora, cosa faranno dopo?”).

Le azioni sono comportamenti. E’ arrivato il tempo di pensare meno al fatto che comunicare sia sufficiente o equivalente a mettere un involucro luccicante su carne maleodorante quando la apri, o pensare che si possa mettere un packaging a qualsiasi cosa e che questo sia sufficiente. 

Le PR e la comunicazione devono comunicare quanto di buono si fa, non coprire il suolo di menzogne. 

Siamo tutti stanchi di bugie e le bugie non pagano più, se mai hanno pagato. Non è più tempo di bugie.

Se le cerchi, hai un sacco di possibili:

  1. caratteristiche
  2. vantaggi
  3. benefici
  4. unicità

Di queste, ne basta una, non ne servono dieci e più.

Partiamo da quelli, senza andare a cercare bugie assurde.

Se scaviamo troveremo un sacco di verità che vale la pena comunicare. Ma occorre scavare, esaminare, non stare in superficie.

E non fermiamoci al marketing mix, entriamo nella comunicazione come relazione. Cerchiamo il “common ground”, cosa di buono possiamo veramente fare assieme.

Se applichiamo questa sequenza, troveremo:

  1. Sviluppare una mente da analista : volontà di capire, di analizzare
  2. Conoscenza di sè : consapevolezza del proprio valore attuale e potenziale
  3. Conoscenza dell’altro : mappatura del sistema, dei bisogni, delle vulnerabilità
  4. Costruire la relazione : saper identificare e le modalità per una relazione di successo

Comunicare può essere un “fare assieme” win-win” fuori dalle maschere, ma può invece essere un teatrino delle falsità.

Tu quale preferisci?

relationship

Occorre tornare a pensare che le nostre azioni reali, il nostro agire, il nostro comportamento, sono la forma di comunicazione più forte e la sola in cui le persone credono in caso di dubbio.

Le parole insegnano, gli esempi trascinano.

 Solo i fatti danno credibilità alle parole.

Agostino d’Ippona 


[1] Shaw, M.L.G, e Gaines, B.R. (1992).”Kelly’s “Geometry of Psychological Space” and its Significance for Cognitive Modeling”. The New Psychologist, Oct. 1992, pp. 23-31.

Altri materiali su Comunicazione, Formazione, Potenziale Umano, Crescita Personale e Professionale, disponibili in questi siti e link:

Altre risorse online

Estratto con commenti inediti dell’autore dal testo Il Potenziale Umano

Il potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance, di Daniele Trevisani (Franco Angeli editore)

Lo stress è un fenomeno molto esteso, pervasivo, e colpisce qualsiasi essere vivente. E’ una parte integrante della vita biologica. Essendo così diffuso, viene usato spesso come terminologia “buona per tutto”. Dire “sono stressato” significa tutto e niente, dal punto di vista del capire quale tipologia di stress stia accadendo e cosa in particolare stia colpendo. E’ il caso di imparare a distinguere, nel nostro e altrui interesse

Il contributo del Modello HPM e del capitolo dedicato allo Stress nel libro omonimo, è quello di avere individuato sei specifiche tipologie di stress, ciascuna delle quale ha specifiche caratteristiche.

Lo stress che accusiamo, può quindi essere dovuto ad una sola singola fonte, ad una combinazione di più fonti, fino alla combinazione e interazione di tutte o le fonti individuate dal modello.

La buona notizia, è che una volta individuata la tipologia di stress, possiamo capirla, affrontarla, e smetteremo di cercare colpevoli alternativi. Ci concentreremo su cosa conta davvero. A volte il rimedio può essere cambiare qualcosa di molto tangibile come il cibo. A volte, può riguardare il cambiare qualcosa di molto intangibile, come la nostra spiritualità, i nostri riferimenti, i modelli che prendiamo ad esempio.

Ci concentriamo su questo articolo sui due primi elementi dello stress: quello che colpisce il substrato biologico, e quello che colpisce il substrato psicologico. In pratica, lo stress “basale” della piramide del Modello HPM. Gli altri fattori, altrettanto importanti saranno oggetto di altri approfondimenti.

 Stress bioenergetico (stress fisico)

Riguarda la presenza di un compito o stile di vita che risulta troppo gravoso rispetto alle energie organismiche, fisiche, biologiche.

Tra questi: dormire troppo poco rispetto alle esigenze personali, alterare ripetutamente i ritmi sonno-veglia, svolgere lavori che impegnano eccessivamente alcuni apparati senza sufficiente tempo di recupero (es: apparato visivo), intasarsi di sostanze tossiche (fumo, alcool, cibi spazzatura, farmaci, smog e altro) senza valutarne le dosi e/o senza purificarsi o contrastare i “veleni” con sostanze riparanti o curative (integratori, cibo di qualità, aria sana, rigenerazione fisica).

Lo stress bioenergetico eccessivo e cronico emerge sia in casi di fatica acuta, oltre la soglia di riserva, che come forma di affaticamento cronico o fatica cronica, e va ad intaccare negativamente lo stato psicoenergetico, la volontà, la motivazione, e persino la sicurezza di sé, sino a distruggere progressivamente la salute fisica.

Possiamo essere aggrediti dallo stress da un “atto” o da uno “stile di vita non nostro”. Un’azione può aggredire il nostro corpo in modo acuto (es, fare un trasloco e farsi mal di schiena) o in modo cronico, es deprivarsi dal sonno un poco tutti i giorni. Il nostro corpo non ci parla se non quando siamo in grado di capire i suoi segnali. I segnali ci sono, ma noi non li sentiamo. A volte sono nel respiro che si fa corto o poco profondo, altre volte sono individuabili in tensioni croniche dei trapezi, o degli addominali, altre volte in micro-infiammazioni silenti ma dannose. Imparare ad ascoltare il corpo è una tecnica specifica (focusing) che si può apprendere in specifici corsi di Counseling, Coaching Corporeo, e altre tecniche dedicate.

 Stress psicoenergetico (energie mentali)

Si verifica ogniqualvolta le risorse mentali necessarie sono superiori a quelle disponibili e attivabili. Tra i casi, citiamo la condizione in cui vi sia un compito da svolgere che richiede energie motivazionali superiori a quelle disponibili, ruoli che il soggetto non sente come propri, o ancora manca la linfa vitale del sostegno del gruppo, o vi sono troppe persone che drenano le energie mentali rispetto a quelle che invece apportano energie all’individuo.

Fanno parte dello stress psicoenergetico anche le crisi di ansia (timore e attivazione negativa, generalizzata o specifica per situazioni) e le crisi di senso (perdita di un riferimento o significati nel proprio orizzonte).

Ad esempio, uno studente di chirurgia che non sopporti la vista del sangue e stia studiando medicina su pressione dei genitori si sta sottoponendo a stress psicoenergetico forte. È stress andare a lavorare in un ruolo che non piace e non si sente proprio. È stress fare nel lavoro ripetutamente un’azione in cui non si crede, ad esempio, per un venditore può essere stress ascoltare il cliente, se non crede fermamente nel valore dell’empatia ai fini della vendita.

È stress psicoenergetico ogni lavoro svolto malvolentieri, ogni relazione obbligata, non voluta o desiderata, forzata, ogni situazione emotiva che non corrisponde ai desideri.

Tali situazioni sono sicuramente comuni, ma la condizione di stress si manifesta proprio nel divario tra risorse energetiche in grado di attivarsi per far fronte (almeno momentaneamente) alla situazione, e il compito stesso.

Le tecniche di training psicoenergetico possono incidere favorevolmente sulla capacità di metabolizzare gli stressor, sulla sopportazione, flessibilità, capacità di straniamento e distanziamento, capacità di contestualizzazione degli eventi, sino alla superiorità esistenziale.

Il Principio N. 3 del Potenziale Umano, esposto nel metodo HPM, ci aiuta a sintetizzare questo quadro

Principio 3 – Stress management ed energie mentali

Le energie mentali diminuiscono o si esauriscono quando:

  1. l’individuo intraprendere azioni che superano le proprie energie totali disponibili, per troppo tempo, e senza recupero adeguato;
  2. l’individuo non impiega tempo e progetti all’interno della area di sfida, chiudendosi progressivamente;
  3. l’individuo non trascorre tempo sufficiente all’interno dell’area di comfort al fine di ricaricarsi e metabolizzare gli stressor;
  4. gli stressor sono di natura forte (per intensità, durata e ripetitività) tale da ledere la tenuta e la capacità di recupero, e l’individuo li affronta da solo, senza supporto emotivo e relazionale adeguato.

Le energie mentali aumentano quando:

  1. l’individuo intraprende azioni e sforzi correlati alle energie disponibili
  2. vengono avviati progetti e iniziative nell’area di sfida, con spirito positivo;
  3. tempo e modalità del recupero e della ricarica di energie sono adeguati;
  4. l’individuo ha supporto emotivo e relazionale per affrontare lo stress.

NB. Questo principio funziona come una formula matematica, è possibile fare analisi accurate tenendo in considerazione i fattori esposti, e capire su quali canali intervenire, solo dopo una forte fase di analisi.

Tra tutti, evidenziamo proprio il punto finale: il supporto emotivo e delle relazioni umane. Possiamo affrontare “quasi” qualsiasi cosa nella vita, se abbiamo qualcuno che ci sostiene, se possiamo avere supporto morale, sostegno morale, sostegno emotivo, in caso contrario, gli stressor ci sovrastano, le forze necessarie per imanere in piedi diventano incredibili e molto superiori alle nostre possibilità pratiche di generarle.

Estratto con commenti inediti dell’autore dal testo Il Potenziale Umano

Il potenziale umano. Metodi e tecniche di coaching e training per lo sviluppo delle performance, di Daniele Trevisani (Franco Angeli editore)

 

Prima di acquistare un biglietto per una vacanza, occorre decidere il tipo di esperienza che si vuole vivere. È necessario ispirarsi ad una visione, a volte questo significa sognare, guardare oltre, decidere se si desidera viaggiare per far raccolta di fotografie o di emozioni, se stare da soli o in compagnia, e di chi. In altre parole, serve una visione ispiratrice. Anche nel cambiamento organizzativo siamo di fronte a questa scelta di fondo.

Un meta-modello, una visione ispiratrice che governa i modelli specifici di cui ci occupiamo, è il modello metabolico.

Nella nostra prospettiva, ogni soggetto (persona, team o azienda) – impegnato in un percorso di cambiamento – può essere assimilato ad una cellula. Una cellula che “respira” è viva, una cellula chiusa, imprigionata in se stessa, è morta.

Il sistema-cellula scambia informazioni o sostanze con l’ambiente esterno muta, evolve, si sforza di far entrare nutrienti, e cerca di espellere cataboliti (materiali di scarto), veleni o sostanze tossiche.

Agire sul cambiamento significa dare impulso a tali dinamiche.

Ogni sistema vivente, piccolo o grande – se desidera vivere – deve continuamente lavorare per mantenere i suoi equilibri interiori in un ambiente che cambia senza sosta. Il funzionamento descritto assomiglia molto a quello di una macchina, o di un’unità biologica, tuttavia la dinamica del cambiamento psicologico, culturale e organizzativo, non è estranea a questi processi.

Diversi approcci alla psicologia, come la Bioenergetica, riconoscono questo tipo di funzionamento:

un qualsiasi organismo, per quanto complicato, funziona sempre, nel suo insieme, come un’unica cellula. Le funzioni vitali dell’organismo quali l’espansione e la contrazione, la tensione verso l’esterno ed il ritiro in sé o all’indietro, l’assorbimento e l’emissione, sono regolate da quello che è conosciuto come principio del piacere[1].

In altre parole, il cambiamento positivo cerca di portare tendenzialmente una persona o un sistema verso uno stato di maggiore piacere e soddisfazione (“andare verso”), rifuggendo da dolore e disagio (“allontanarsi da”).

Questo prototipo di funzionamento generale ha tuttavia delle aberrazioni pratiche e apparentemente illogiche, come la persistenza volontaria in uno stato di disagio, l’assunzione di sostanze (fisiche) o pensieri (mentali) che causano danni all’organismo.

Nel capitolo sull’omeostasi esamineremo come questi fatti siano da collegare ai meccanismi di regressione verso l’abitudine, il tentativo di mantenere equilibri, anche se precari o dannosi, mosso dalla pulsione umana verso la sedentarietà o dalla difesa del carattere da attacchi esterni. Lottare contro questi antagonisti del cambiamento, tra cui la “resistenza” e la regressione, fa parte di un’analisi registica del cambiamento.

In termini metaforici, possiamo evidenziare in un sistema umano che cambia tre differenti attività prima di tutto mentali, che corrispondono ad altrettante operazioni psicologiche concrete: acquisire, consolidare, espellere.

Nel metodo delle regie il cambiamento è visto come un meccanismo nel quale è necessario far luce su (1) cosa sia bene acquisire, far entrare (2) cosa sia bene mantenere, consolidare e (3) di cosa sia invece opportuno disfarsi, abbandonare, lasciare.

Si tratta del principio di base del metabolismo, la cui sostanza vale in ogni processo di cambiamento personale o aziendale, terapeutico o formativo.

Riepilogando, le tre aree di analisi principali individuate nel “modello metabolico” sono:

 

·       Zona 1: rimuovere, abbandonare, disapprendere, lasciar andare, disfarsi di…

·       Zona 2: consolidare, mantenere, aggrapparsi a, rafforzare, ancorarsi a…

·       Zona 3: acquisire, imparare, apprendere, assimilare, far entrare…


[1] AA.VV. (2007), Bioenergetica, in Wikipedia, enciclopedia online (al 4/1/2007).

 

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Articolo tratto dal volume di Daniele Trevisani “Regie di Cambiamento”, FrancoAngeli editore, Milano (2007). Copyright, materiale pubblicato su concessione dell’autore www.studiotrevisani.it – utilizzabile solo previa citazione della fonte